Nella foto, gli avanzati laboratori linguistici per l'apprendimento della lingua inglese a disposizione dei cittadini kirghisi.
Il piccolo pullman Mercedes -non traballante, non vecchio, non maltenuto, questo blog non ama i luoghi comuni- che ci sta portando da Osh a Bishkek si ferma in mezzo alla piana; si scende, ci si guarda un po' in giro, si fanno due passi per sgranchirsi un po'. La strada è ancora lunga e la giornata anche.
Siamo in un quadrivio: due strade che si incrociano formando quattr'angoli da novanta e quattro quadranti cartesiani. Nel primo, un distributore di benzina chiuso. Nel secondo, prato. Idem nel terzo. Nel quarto, la notevole eccezione di qualche pecora.
Arriva un signore sui cinquanta o sessant'anni vestito all'uso locale: stivali alti di cuoio, giubba con cintura, ak kalpak ricamato. Tutti i denti visibili sono d'oro. "Hello, how are you?". Si risponde, si scambiano nomi e si riassumono situazioni coniugali e stati civili, secondo la cortesia centroasiatica. Visto il luogo e il personaggio, sarebbe logico aspettarsi che la conversazione languisse dopo i convenevoli... se non che il nostro interlocutore mostra una conoscenza della lingua inglese piuttosto approfondita che lo mette in grado di discorrere d'un sacco di cose e di questioni; all'autista però la cosa interessa -diciamo- in modo un tantinello relativo; c'è da andar via. "Where did you learn english? You are fluent!" "Here!". Here. Sotto il Tien Shan.
Giorni dopo, in Tagikistan. Nel paese ci sono diverse sorgenti termali e sulla strada lungo il confine afghano ci fermiamo in un Sanatorium con sale comuni e da pranzo, camere, divani enormi, tendaggi pesanti e quanto di meglio si potesse desiderare in fatto di eleganza ai tempi di Breznev. Una pausa gradita, ché è qualche giorno che siamo in giro per una strada sterratissima a mezza costa. Una ragazzina sui tredici anni ha voglia di parlare un po'; altro scambio di convenevoli come sopra, ed altrettanta se non migliore padronanza dell'inglese. "I have never been out of Tadjikistan, never left Korog district", dice. E racconta anche un'altra cosa interessante. La scuola tagika insegna in russo e in tagiko, e l'inglese è materia corrente per tutti. Il che permette di concludere, con buona approssimazione, che i quattordicenni di un paese che per tre quarti della sua estensione non ha un metro di terra coltivabile ed in cui gli abitanti di zone grandi quanto la Toscana sono vissuti per anni grazie agli aiuti dell'Aga Khan (c'è il suo ritratto in molte case) hanno la possibilità di padroneggiare con sicurezza almeno tre lingue, l'una diversissima dall'altra.
In altre parole, in piena Asia centrale, in località che i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana non saprebbero da che parte cominciare per trovarle su una carta, esistono persone cui le circostanze di vita per lo meno scomode, giusto per non esagerare con gli aggettivi, non hanno impedito di sviluppare competenze di assoluto rispetto. Il sistema di istruzione sovietico? L'ascolto di Voice of America? Chi lo sa. La cosa dà da pensare. Dà da pensare soprattutto che in Asia centrale l'ignoranza sia percepita come uno handicap grave, come qualcosa di cui per lo meno vergognarsi. L'esatto contrario di quello che succede da anni nella penisola italiana, in cui l'incultura, la scortesia, la bassezza, lo sporco anche morale vengono percepiti come valori da difendere, trovano ogni sorta di giustificazione ed in estesi settori produttivi aiutano tranquillamente a far carriera.
La guerra dichiarata contro "quelli che ci portan via il lavoro" nasconde anche e soprattutto realtà come quella di cui si è data breve nota. Ma abbiamo ragione di pensare che il riflettere sulla questione sia ormai fuori della portata del comune sentire, roba da poeti se non da "comunisti".
Siamo in un quadrivio: due strade che si incrociano formando quattr'angoli da novanta e quattro quadranti cartesiani. Nel primo, un distributore di benzina chiuso. Nel secondo, prato. Idem nel terzo. Nel quarto, la notevole eccezione di qualche pecora.
Arriva un signore sui cinquanta o sessant'anni vestito all'uso locale: stivali alti di cuoio, giubba con cintura, ak kalpak ricamato. Tutti i denti visibili sono d'oro. "Hello, how are you?". Si risponde, si scambiano nomi e si riassumono situazioni coniugali e stati civili, secondo la cortesia centroasiatica. Visto il luogo e il personaggio, sarebbe logico aspettarsi che la conversazione languisse dopo i convenevoli... se non che il nostro interlocutore mostra una conoscenza della lingua inglese piuttosto approfondita che lo mette in grado di discorrere d'un sacco di cose e di questioni; all'autista però la cosa interessa -diciamo- in modo un tantinello relativo; c'è da andar via. "Where did you learn english? You are fluent!" "Here!". Here. Sotto il Tien Shan.
Giorni dopo, in Tagikistan. Nel paese ci sono diverse sorgenti termali e sulla strada lungo il confine afghano ci fermiamo in un Sanatorium con sale comuni e da pranzo, camere, divani enormi, tendaggi pesanti e quanto di meglio si potesse desiderare in fatto di eleganza ai tempi di Breznev. Una pausa gradita, ché è qualche giorno che siamo in giro per una strada sterratissima a mezza costa. Una ragazzina sui tredici anni ha voglia di parlare un po'; altro scambio di convenevoli come sopra, ed altrettanta se non migliore padronanza dell'inglese. "I have never been out of Tadjikistan, never left Korog district", dice. E racconta anche un'altra cosa interessante. La scuola tagika insegna in russo e in tagiko, e l'inglese è materia corrente per tutti. Il che permette di concludere, con buona approssimazione, che i quattordicenni di un paese che per tre quarti della sua estensione non ha un metro di terra coltivabile ed in cui gli abitanti di zone grandi quanto la Toscana sono vissuti per anni grazie agli aiuti dell'Aga Khan (c'è il suo ritratto in molte case) hanno la possibilità di padroneggiare con sicurezza almeno tre lingue, l'una diversissima dall'altra.
In altre parole, in piena Asia centrale, in località che i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana non saprebbero da che parte cominciare per trovarle su una carta, esistono persone cui le circostanze di vita per lo meno scomode, giusto per non esagerare con gli aggettivi, non hanno impedito di sviluppare competenze di assoluto rispetto. Il sistema di istruzione sovietico? L'ascolto di Voice of America? Chi lo sa. La cosa dà da pensare. Dà da pensare soprattutto che in Asia centrale l'ignoranza sia percepita come uno handicap grave, come qualcosa di cui per lo meno vergognarsi. L'esatto contrario di quello che succede da anni nella penisola italiana, in cui l'incultura, la scortesia, la bassezza, lo sporco anche morale vengono percepiti come valori da difendere, trovano ogni sorta di giustificazione ed in estesi settori produttivi aiutano tranquillamente a far carriera.
La guerra dichiarata contro "quelli che ci portan via il lavoro" nasconde anche e soprattutto realtà come quella di cui si è data breve nota. Ma abbiamo ragione di pensare che il riflettere sulla questione sia ormai fuori della portata del comune sentire, roba da poeti se non da "comunisti".
Interessante questa faccenda dell'istruzione.
RispondiEliminaCioè le "tre i", il fulcro della Sacra Competitività, ecc. ecc., i nostri liberisti non sono in grado di competere con i tagiki.
Cosa che non mi dispiace nemmeno un po'.
Miguel Martinez
http://kelebek.splinder.com
Le "tre i"...? Eppure, Martinez, con la tua attività sgobbativa dovresti ben sapere, madonna abkhazza e santa, a quale livello di eccelsa conoscenza sia l'inglese in questo paese di Santi, Wati & Navigatori. Ti stupisci che i nostri liberisti non siano in grado di competere coi tagiki? A me non solo non dispiace, ma non stupisce neanche un po'! (Saluti)
RispondiEliminaIl concetto delle "tre i" merita uno sviluppo tutto suo. Lo farò alla prima occasione favorevole, che probabilmente non tarderà ad occorrere.
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