29 aprile 2025

Alastair Crooke - Trump e il disastroso piano Kellogg per l'Ucraina




Traduzione da Strategic Culture, 28 aprile 2025.

A Washington la politica intesa come guerra è un endemismo. Ma il numero delle vittime al Pentagono ha iniziato a salire vertiginosamente. Tre dei principali consiglieri del segretario alla Difesa Hegseth sono stati sospesi e poi licenziati. La guerra continua, e adesso nel mirino c'è lo stesso segretario. La cosa è importante perché l'attacco a Hegseth arriva nel mezzo di un feroce dibattito interno all'amministrazione Trump sulla politica nei confronti dell'Iran. I falchi vogliono l'eliminazione definitiva di tutte le capacità nucleari e militari dell'Iran, mentre molti "moderati" mettono in guardia contro un'escalation militare; secondo quanto riferito, Hegseth era tra coloro che mettevano in guardia contro un intervento in Iran.
I recenti licenziamenti al Pentagono sono stati tutti identificati come appartenenti all'ala dei dubbiosi. Uno di questi, Dan Caldwell, ex consigliere capo di Hegseth e veterano dell'esercito, ha scritto un post in cui criticava aspramente i falchi, e successivamente è stato licenziato. In seguito è stato intervistato da Tucker Carlson. In particolare, Caldwell descrive in termini durissimi le guerre statunitensi in Iraq e in Siria ("criminali"). Questo atteggiamento negativo nei confronti delle guerre precedenti sembra essere un tema ricorrente tra i veterani statunitensi di oggi.
A quanto pare i tre membri dello staff del Pentagono sono stati licenziati non per aver divulgato informazioni riservate, ma sostanzialmente per aver dissuaso Hegseth dal sostenere la guerra contro l'Iran; i sostenitori dello stato sionista invece a quella guerra non hanno affatto rinunciato.
Le arroventate linee di frattura che dividono falchi e “repubblicani” tradizionalisti si ritrovano anche per la questione dell'Ucraina, anche se l'appartenenza alle fazioni può cambiare leggermente. I sostenitori dello stato sionista e i falchi statunitensi in generale si ritrovano sia a sostenere la guerra contro la Russia sia ad avanzare posizioni perentorie nei confronti dell'Iran.
Il commentatore conservatore Fred Bauer osserva che quanto a impulsi bellicisti, in Trump se ne trovano di contrastanti:
Influenzato dalla guerra del Vietnam della sua giovinezza... Trump sembra profondamente contrario ai conflitti militari a lungo termine, ma allo stesso tempo ammira una politica fatta di forza e di spavalderia. Una cosa che vuol dire eliminare i generali iraniani, lanciare attacchi aerei contro gli Houthi e aumentare il budget della difesa a mille miliardi di dollari.
Se le pressioni per la sua rimozione dovessero avere successo e Hegseth dovesse uscire di scena, la contesa potrebbe diventare ancora più feroce. E c'è già una prima vittima: la speranza di Trump di porre rapidamente fine al conflitto in Ucraina non esiste più.
Questa settimana il team di Trump (comprese entrambe le fazioni in lotta, Rubio, Witkoff e il generale Kellogg) si è riunito a Parigi con vari rappresentanti europei e ucraini. Durante l'incontro la delegazione statunitense ha avanzato una proposta di cessate il fuoco unilaterale russo-ucraino.
In aeroporto a riunioni terminate Rubio ha detto con chiarezza che il piano per un cessate il fuoco era un'iniziativa statunitense "da prendere o lasciare". Le varie parti -la Russia, Kiev e i membri europei della "coalizione dei volenterosi"- avevano solo pochi giorni per accettarlo, altrimenti gli Stati Uniti si sarebbero "chiamati fuori" e della guerra se ne sarebbero lavati le mani.
Il quadro presentato, secondo quanto riferito, è quasi -forse al 95%- identico a quello proposto a suo tempo dal generale Kellogg: si tratta, cioè, sempre del suo piano, reso noto per la prima volta nell'aprile 2024. Sembra che Trump abbia fatto propria questa "formula Kellogg", anche se all'epoca era nel pieno della campagna elettorale e difficilmente poteva seguire da vicino i complicati dettagli della guerra in Ucraina.
Al generale Kellogg è verosimile che si debba anche l'ottimismo con cui Trump considera possibile mettere termine alle ostilità in Ucraina con uno schiocco di dita, ovvero attraverso l'applicazione di limitate pressioni asimmetriche e minacce su entrambi i belligeranti, e secondo i tempi decisi a Washington.
In sostanza il piano era frutto del consenso vigente negli ambienti governativi sul fatto che gli USA avrebbero potuto arrivare a imporre una soluzione negoziata, con condizioni in linea con gli interessi statunitensi e ucraini.
Le ipotesi implicite nel piano di Kellogg erano che la Russia fosse altamente vulnerabile alla minaccia di sanzioni (la sua economia era percepita come fragile), che avesse subito perdite insostenibili e che la guerra fosse in una fase di stallo. Kellogg ha quindi convinto Trump che la Russia avrebbe accettato prontamente i termini proposti per il cessate il fuoco, sebbene questi si fondassero su ipotesi palesemente errate circa la Russia e le sue presunte debolezze.
L'influenza di Kellogg, con i suoi fallaci presupposti, si è resa fin troppo evidente in gennaio quando Trump, dopo aver affermato che la Russia aveva perso un milione di uomini (in guerra), ha proseguito dicendo che "Putin sta distruggendo la Russia, col suo rifiutare un accordo", aggiungendo -apparentemente come se fosse un'osservazione a margine- che Putin potrebbe aver già deciso di "non accettare un accordo". Trump disse anche che l'economia russa è "alla rovina" e -cosa ancora più significativa- che avrebbe preso in considerazione l'ipotesi di imporre sanzioni o dazi alla Russia. In un successivo post su Truth Social, Trump ha scritto: "Farò un grande FAVORE alla Russia, la cui economia è in crisi, e al presidente Putin".
Tutte le ipotesi di Kellogg erano prive di qualsiasi fondamento nella realtà. Eppure Trump sembra averle accettate senza riserve. E nonostante i tre lunghi incontri personali successivi di Steve Witkoff con il presidente Putin, in cui Putin ha ripetutamente affermato che non avrebbe accettato alcun cessate il fuoco fino a quando non fosse stato concordato un inquadramento politico, i sostenitori di Kellogg hanno continuato a dare per scontato che la Russia sarebbe stata costretta ad accettare la mano che Kellogg le tendeva, viste le (presunte) gravi "battute d'arresto" subite in Ucraina.
Se le cose stanno così, non sorprende che i termini del quadro per un cessate il fuoco delineati da Rubio questa settimana a Parigi sembrassero più quelli che si rivolgerebbero a una controparte sul punto di capitolare, piuttosto che a uno Stato che prevede di raggiungere i propri obiettivi con mezzi militari.
In sostanza, il piano Kellogg mirava a ottenere una "vittoria" degli Stati Uniti a condizioni in linea con la volontà di mantenere aperta l'opzione di continuare contro la Russia una guerra di logoramento.
Ma cosa prevede il piano Kellogg? In sostanza, mira a congelare la situazione lungo la linea del fronte. All'Ucraina non sarebbe impedito in via definitiva un ingresso nella NATO, ma piuttosto di rinviare l'adesione a un lontano futuro. Non sono previsti limiti alle dimensioni di un futuro esercito ucraino né restrizioni al tipo o alla quantità di armamenti a disposizione delle forze ucraine. Anzi, dopo il cessate il fuoco gli Stati Uniti potrebbero al contrario riarmare, addestrare e sostenere militarmente delle future forze armate. Insomma, si tratterebbe di tornare ai tempi del dopo Maidan del 2014. Inoltre l'Ucraina non cederebbe alcun territorio alla Russia ad eccezione della Crimea, che sarebbe riconosciuta dagli Stati Uniti come russa (l'unica concessione a Witkoff?); la Russia eserciterebbe un mero "controllo" sulle quattro regioni che attualmente rivendica, ma solo fino alla linea del fronte; i territori al di là del fronte rimarrebbero sotto il controllo ucraino (si veda qui per la "mappa di Kellogg"). La centrale nucleare di Zaporizhya sarebbe territorio neutrale, controllato e gestito dagli Stati Uniti. Non viene fatto alcun riferimento alle città di Zaporizhya e di Kherson, che la Russia considera costituzionalmente proprio territorio ma che si trovano oltre la linea del fronte.
A quanto pare il piano non delineava alcuna soluzione politica e lasciava all'Ucraina la libertà di rivendicare tutti i suoi ex territori ad eccezione della Crimea.
Il territorio ucraino a ovest del fiume Dnieper sarebbe però diviso in tre zone, rispettivamente di responsabilità britannica, francese e tedesca. Cioè gestite dalle forze della NATO. In ultimo, non sono previste garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti.
Rubio ha successivamente fatto avere i dettagli del piano al ministro degli Esteri russo Lavrov, il quale ha risposto con calma che qualsiasi piano per un cessate il fuoco dovrebbe avere come primo obiettivo la risoluzione delle cause alla base del conflitto.
Witkoff si reca a Mosca questa settimana per presentare a Putin un piano chiaramente votato al fallimento e per cercare di ottenere il suo consenso. Gli europei e gli ucraini si riuniranno mercoledì prossimo a Londra per formulare una loro risposta a Trump.
Cosa succederà adesso? È ovvio che il piano Kellogg non scioglierà certo le ali al vento. La Russia non lo accetterà e probabilmente nemmeno Zelensky, anche se gli europei cercheranno di convincerlo sperando di "mettere Mosca in difficoltà" facendo fare alla Russia la figura del guastafeste principale. Secondo quanto riferito, Zelensky ha già respinto la clausola sulla Crimea.
Gli europei potrebbero scoprire che il fatto che non siano previste garanzie di sicurezza o di sostegno da parte degli Stati Uniti rappresenta una pietra tombale per la loro aspirazione di dispiegare truppe in Ucraina nel contesto del cessate il fuoco. Trump si laverà davvero le mani dell'Ucraina? Probabilmente no, dato che la leadership istituzionale neoconservatrice degli Stati Uniti dirà a Trump che farlo indebolirebbe la narrativa ameriKKKana della "pace attraverso la forza". Trump potrebbe adottare una posizione di sostegno "a bassa intensità", dichiarando che quella "non è mai stata la sua guerra" intanto che cerca una "vittoria" contro la Russia sul fronte commerciale.
In buona sostanza che Kellogg non ha servito bene il suo padrone. Gli Stati Uniti hanno bisogno di intrattenere con la Russia delle relazioni che funzionano. I sostenitori di Kellogg hanno contribuito nel presentare a Trump una raffigurazione della Russia gravemente errata. Putin è un attore serio, che dice ciò che pensa e pensa ciò che dice.
Il colonnello Macgregor riassume così:
Trump tende a vedere il mondo attraverso la lente degli accordi. [Porre fine alla guerra in Ucraina] non è una questione di accordi. Si tratta della vita e della morte di nazioni e popoli. Non c'è alcun interesse per una sorta di accordo a breve termine che conferisca a Trump o alla sua amministrazione l'aura della grandezza. Non ci sarà alcuna vittoria personale per Donald Trump in tutto questo. Non succederà mai.

24 aprile 2025

Firenze. Sulla prospettata chiusura del consolato statunitense di Lungarno Vespucci



 A Firenze un personaggio è un individuo dalle caratteristiche comportamentali che gli consentono di attirare sulle prime un'attenzione incuriosita e non malevola, ma destinato a rivelarsi dopo non molto tempo una compagnia tra l'imbarazzante e l'ingestibile a causa di opinioni, decisioni, azioni e comportamenti avventati, scriteriati, velleitari, incompetenti o semplicemente idioti ma comunque in grado di riguardare molti terzi con le loro conseguenze. Conseguenze sempre negative, ma di difficile attribuzione causale per chi non abbia assistito da vicino ai comportamenti che ne sono stati la causa.
La tendenza dell'amministrazione statunitense a cooptare personaggi in grado di far sparire il Presidente Dwayne Camacho, Frito Pendejo e gli altri protagonisti di Idiocracy, già ben affermata da decenni, pare aver accelerato dopo l'insediamento di Donald Trump per il suo secondo mandato.
Uno di questi è lo straricco e viziato Elon Musk, cui Trump ha affidato addirittura un ministero per l'efficienza governativa nel cui stemma figura molto appropriatamente e molto giustamente un cane.


Prima di stancarsene presto, come tutti i ricchi viziati, questo Musk avrebbe tagliato spese e personale con quegli you are fired che da quelle parti ti mettono immediatamente ad arrangiarti da solo perché amici e conoscenti spariscono come per incanto. Nulla di particolarmente rivoluzionario o innovativo, visto che sono almeno quarant'anni che dicono di non aver fatto altro. Sempre che non si tratti di armi, o di agevolazioni fiscali per i ricchi. Negli ultimi tempi la weltanschauung "occidentalista" ha finalmente perso le ultime remore e può dispiegarsi senza neppure doversi preoccupare di mettere in conto opposizioni concrete neppure minime.
Insieme a un commensale che si chiama Marco Rubio, questo Musk avrebbe messo in piedi anche una "radicale riorganizzazione del Dipartimento di Stato" chiudendo sedi e licenziando gente. La sede consolare fiorentina di lungarno Vespucci sarebbe tra quelle da chiudere.
Finalmente si tolgono dai piedi, la reazione immediata di molte persone serie.
Solo che le cose non stanno propriamente in questo modo. La presenza statunitense potrebbe diventare anzi ancor più fastidiosa.
Il Corriere Fiorentino così riporta il 23 aprile 2025 considerazioni attribuite a Marco Rubio:
Così com'è, il dipartimento è ipertrofico, burocratico e incapace di svolgere la sua essenziale missione diplomatica in questa nuova era di grande competizione tra potenze. Negli ultimi quindici anni il dipartimento ha registrato una crescita senza precedenti e i costi sono aumentati vertiginosamente ma, lungi dal vedere un ritorno dell'investimento, i contribuenti hanno assistito a una diplomazia meno efficace ed efficiente.
Un ortolano che constati le cattive condizioni di una partita di banane appena consegnatagli non si esprimerebbe in termini diversi. Dietro le righe si vedono gli ultimi sviluppi tendenziali -per non dire l'ultima moda- della politica "occidentalista": dal disprezzare la diplomazia nei confronti di paesi in cui esportare la democrazia a mezzo missile da crociera è passata a disprezzare la diplomazia in quanto tale. Un disprezzo che passa dal definanziamento e anche dal rifiuto del soft power. Questo abdicare a una costellazione di pratiche che comprende anche l'influenza culturale potrebbe sembrare scriteriato, ma un certo immaginario fatto di strade della California, generali Lee, rambi allo stato brado, fonzarelli a pollici alzati e con il "Reader's Digest" per attirare gli spiriti meno ardenti non ha alcun legame con la realtà da decenni, sempre che ne abbia mai avuto uno. E forse lo spettacolo dell'idiocrazia vigente e delle sue conseguenze sulla vita quotidiana, che di legami con la realtà statunitense ne ha fin troppi, è bene tenerlo quanto possibile in secondo piano.
I due micropolitici fiorentini Francesco Casini e Francesco Grazzini invece hanno reagito come se qualcuno gli avesse spento la luce per dispetto mentre facevano i compiti con "I Quindici" sulla scrivania, rifacendosela con l'esecutivo di Roma e con la madre non sposata che vi ricopre il ruolo di Primo Ministro. Probabile che la rilevanza letteralmente garzonale della loro opinione abbia loro risparmiato conseguenze più consistenti di qualche risatina di scherno.
Il modo per ottenere un ritorno dell'investimento esiste ed è dei più ovvi, tanto più che lo stabile è di proprietà governativa statunitense dal 1949.
Per prima cosa il consolato chiude.
Fine.
Le diciannovenni che vanno a Firenze in cerca di grane e poi si presentano a chiedere aiuto in lungarno Vespucci appena qualcuno gliene procura si rivolgeranno a Roma o a Milano; non rappresentano certo una fonte di entrate.
I quattro gatti che ci lavorano si arrangino, vadano a piangere dai sindacati. Ecco come finisce chi si fida degli ameriKKKani, si potrebbe infierire; nella penisola italiana la politica liberista -di cui il "sovranismo" altro non è che uno sviluppo ulteriormente incarognito- ha sempre contato su una base elettorale sicura che per lei una ciotola di maccaruna c'a' pummarola 'n coppa ci sarebbe sempre e comunque stata e che se perdi il lavoro è colpa tua. In quelle file il principio di realtà avanza da decenni a colpi di falce fienaia, ma evidentemente ancora non basta.
Palazzo Calcagnini o Canevaro di Zoagli ha di per sé tutto quello che serve per diventare uno charming resort: stucchi dorati, scalone monumentale, archi, colonne e un intero piano nobile. L'organizzando fine dining restaurant potrebbe essere chiamato "The bicorn in Florence" a ricordo dei vecchi tempi, così come locali dalle stesse pretese hanno spesso nomi che rimandano a realtà precedenti dove si lavorava sul serio. Con i suoi trenta euro per un goccio di liquore -pardon, per il settore mixology- e duecentosettanta per un menu scoperta garantirebbe spazi, frequentazioni e atmosfere dei più adatti alle trattative d'affari attirando una clientela di livello e consentendo di arrivare al punto senza perdite di tempo e di denaro. Ripensandoci anche il personale consolare in esubero potrebbe trarre vantaggi: perché non riassumerlo per posizioni come quella di sguattero o di cameriera ai piani, con una retribuzione pari a un terzo di quella precedente?
La diplomazia non è mai rifuggita da mezzi di questo genere, anzi. Solo che con alcune notevoli eccezioni -la prima che viene in mente è Joachim von Ribbentrop- a frequentare certi ambienti e a disporre di certi mezzi sono di solito individui e compagini che della diplomazia sono per lo meno disposti ad ammettere la liceità e l'utilità.

18 aprile 2025

Alastair Crooke - Trump smantella un ordine mondiale in crisi: nuove opportunità sorgono dal caos



Traduzione da Strategic Culture, 16 aprile 2025.

Lo shock inflitto da Trump –il suo sottrarre l'AmeriKKKa al ruolo di perno dell'ordine postbellico basato sul dollaro– ha aperto una profonda spaccatura tra coloro che hanno tratto enormi benefici dallo status quo da un lato, e la fazione del Make AmeriKKKa Great Again che era arrivata a considerare lo status quo come un nemico -se non come una minaccia esistenziale- per gli interessi degli Stati Uniti dall'altro. Le due parti sono contrapposte da un'aspra polarizzazione irta di accuse reciproche.
Uno dei dati ironici della situazione è il fatto che il Presidente Trump e i repubblicani di destra abbiano insistito nel denunciare come una dannazione la vantaggiosa posizione del dollaro come valuta di riserva, che ha deviato proprio verso gli Stati Uniti il flusso dei risparmi del mondo che ha permesso loro di godere del privilegio unico di stampare moneta senza conseguenze negative. Almeno fino ad ora. Perché a quanto pare le dimensioni dell'indebitamento iniziano a farsi sentire anche per il Leviatano.
Il vicepresidente Vance adesso paragona la valuta di riserva a un "parassita" che ha corroso la sostanza del suo "ospite" –l'economia statunitense– con l'imposizione della sopravvalutazione del dollaro.
Per essere chiari, il presidente Trump riteneva che non ci fosse scelta: o si rovesciava il paradigma esistente al prezzo di notevoli sacrifici per molti di coloro che dipendono dal sistema finanziario, oppure si lasciava che gli eventi seguissero il loro corso verso l'inevitabile collasso economico degli Stati Uniti. Anche coloro che comprendevano il dilemma degli Stati Uniti sono rimasti comunque piuttosto scioccati dallo sfacciato egoismo con cui Trump ha deciso di "imporre dazi al mondo".
Al contrario di quello che molti affermano, le iniziative di Trump non sono dei capricci o dei gesti impulsivi. Sulle tariffe doganali il suo entourage ha lavorato per anni, e la loro imposizione costituiva parte integrante di un quadro più complesso che integrava gli effetti dei dazi sulla riduzione del debito e sulle entrate con un programma volto a costringere un'industria manifatturiera ormai scomparsa a tornare negli Stati Uniti.
Quella di Trump è una scommessa; potrebbe riuscire oppure no. Rischia una crisi finanziaria ancora più grave, dato che i mercati finanziari sono sovraindebitati e fragili. Ma ciò che è chiaro è che alle sue rozze minacce e al suo umiliare i leader mondiali seguirà una perdita di centralità degli USA che finirà per provocare una reazione nociva sia nelle relazioni con gli altri Paesi sia nella loro disponibilità a continuare ad avere a che fare con attività statunitensi, come i titoli del Tesoro. La sfida della Cina a Trump conferirà all'atmosfera un tono cui si adeguerà anche chi non ha il peso della Cina.
Perché allora Trump dovrebbe correre un rischio del genere? Perché, dietro le azioni audaci di Trump, osserva Simplicius, si nasconde una dura realtà che molti sostenitori del MAGA devono affrontare:
Rimane indiscutibile che la forza lavoro statunitense è stata devastata dalla tripla minaccia dell'immigrazione di massa, dall'anomia generale dei lavoratori come conseguenza del decadimento culturale e, in particolare, dall'alienazione di massa e dalla privazione dei diritti civili degli uomini di orientamento conservatore. Questi sono stati fattori che hanno fortemente contribuito all'attuale crisi di fiducia nella capacità dell'industria manifatturiera statunitense di tornare ai fasti del passato, indipendentemente dall'entità dei tagli che Trump deciderà di infliggere a un "ordine mondiale" ormai in crisi.
Trump sta scatenando una rivoluzione per ribaltare questa realtà. La sua speranza è che ponendo fine all'anomia riporterà l'industria negli Stati Uniti.
Esiste una corrente nell'opinione pubblica occidentale –"non limitata affatto agli intellettuali", né ai soli statunitensi– che dispera della "mancanza di volontà" del proprio Paese, o della sua incapacità di fare ciò che è necessario, della sua inettitudine e della sua "crisi di competenza". Questa gente desidera ardentemente una leadership a suo giudizio più dura e più determinata, bramosa di potere illimitato e spietato.
Un sostenitore di Trump di alto rango esprime il concetto in modo piuttosto brutale: "Siamo ora a un punto di svolta molto importante. Se vogliamo affrontare di brutto la Cina non possiamo tollerare incrinature sul fronte interno... È ora di diventare cattivi, brutalmente, duramente cattivi. Le delicatezze sensibili devono essere spazzate via come piume in un uragano".
Non sorprende che in un Occidente dominato da un generico nichilismo possa prendere piede una mentalità che ammira il potere e soluzioni tecnocratiche animate da una quasi compiaciuta spietatezza.
Prendete nota: ci aspetta un futuro turbolento.
A complicare ancora di più il quadro del disfacimento economico dell'Occidente arriva la contraddittorietà delle dichiarazioni di Trump. Potrebbero anche essere parte del suo repertorio, ma la loro casualità fa pensare che nulla sia affidabile e nulla sia costante.
Secondo alcune fonti interne alla Casa Bianca, Trump avrebbe perso ogni inibizione quando si tratta di agire con audacia: "È all'apice del non fregarsene più di niente", ha dichiarato al Washington Post un funzionario della Casa Bianca che conosce bene il modo di pensare di Trump:
Cattive notizie? Non gliene frega un cazzo. Farà quello che deve fare. Farà quello che ha promesso durante la campagna elettorale.
Quando una parte della popolazione di un Paese deplora la "mancanza di volontà" o l'incapacità del proprio Paese di "fare quello che va fatto", sostiene lo Aurelien, essa inizia di tanto in tanto a identificarsi emotivamente con "un altro Paese", ritenuto più forte e più deciso. In questo particolare momento, "il manto" che toccherebbe a "una sorta di supereroe nietzscheano al di là di considerazioni sul bene e sul male"... "è caduto sullo stato sionista" - almeno per una rilevante quota di politici statunitensi ed europei. Aurelien continua:
Nello stato sionista troviamo una società apparentemente occidentale insieme a una linea comportamentale spregiudicata, spietata e improntata a un totale disprezzo per il diritto internazionale e per la vita umana; molti lo trovavano esaltante ed è diventato un modello da emulare. Il sostegno occidentale allo stato sionista su Gaza acquista molto più senso quando ci si rende conto che i politici occidentali e parte della classe intellettuale provano una segreta ammirazione per la spietatezza e la brutalità dello stato sionista in guerra.
La "svolta" imposta dagli Stati Uniti, nonostante i costosi sconvolgimenti che impone, rappresenta anche un'enorme opportunità: quella di passare a un paradigma sociale alternativo che vada oltre il dominio della sfera finanziaria imposta dal neoliberismo. Questa prospettiva, fino ad oggi, è stata negata dall'insistenza con cui le élite hanno ripetuto che "non ci sono alternative". Adesso si è aperto uno spiraglio.
Karl Polanyi nel suo La grande trasformazione pubblicato circa ottant'anni fa sosteneva che le enormi trasformazioni economiche e sociali a cui aveva assistito durante la sua vita –la fine del secolo di "pace relativa" in Europa dal 1815 al 1914 e la successiva caduta nel caos economico, nel fascismo e nella guerra, ancora in corso al momento della pubblicazione del libro– avevano un'unica causa generale.
Prima del XIX secolo, sosteneva Polanyi, nel "modo di essere" dell'uomo l'economia era una componente organica della società e di essa era sempre stata "parte integrante", subordinata alla politica locale, ai costumi, alla religione e alle relazioni sociali, ovvero subordinata a una cultura civilizzatrice. La vita non era considerata una cosa separata, non era ridotta a particolari distinti, ma era vista come parte di un tutto organico che era la Vita stessa.
Il nichilismo postmoderno è sfociato nel neoliberismo sfrenato degli anni '80 e ha capovolto questa logica. In quanto tale, ha costituito una rottura ontologica con gran parte della storia. Non solo ha separato artificialmente l'"economico" dal "modo di essere" politico ed etico, ma l'economia aperta e liberista (nella sua formulazione di Adam Smith) ha richiesto la subordinazione della società alla logica astratta di un mercato in grado di autoregolarsi. Per Polanyi, questo "significava nientemeno che il funzionamento della comunità come appendice del mercato" e come nient'altro.
La sua proposta –chiaramente– era quella di riportare la società al ruolo dominante in una comunità squisitamente umana, ovvero darle un senso attraverso una cultura viva. In questo senso, Polanyi sottolineava anche il carattere territoriale della sovranità: lo Stato-nazione come condizione sovrana per l'esercizio della politica democratica.
Polanyi avrebbe sostenuto che, in assenza di un ritorno alla Vita stessa come perno centrale della politica, una reazione violenta sarebbe stata inevitabile. È forse questa la reazione cui stiamo assistendo oggi?
In una conferenza davanti a un pubblico di industriali e di imprenditori russi il 18 marzo 2025, Putin ha fatto riferimento proprio a una soluzione alternativa per la Russia, quella della "economia nazionale". Putin ha sottolineato sia l'assedio che è stato imposto allo Stato russo sia la risposta russa, un modello che probabilmente sarà adottato da gran parte del mondo.
Si tratta di un modo di concepire l'economia già praticato dalla Cina, che aveva giocato d'anticipo sull'offensiva tariffaria di Trump.
Il discorso di Putin –in senso metaforico– costituisce la controparte finanziaria del discorso che tenne al Forum sulla sicurezza di Monaco del 2007, in cui aveva accettato la sfida militare lanciata dalla "NATO collettiva". Il mese scorso tuttavia Putin è andato oltre, affermando chiaramente che la Russia aveva accettato la sfida lanciata dall'ordine finanziario anglosassone dell'"economia aperta".
Il discorso di Putin non conteneva elementi nuovi in senso stretto: sanciva il passaggio dal modello della "economia aperta" a quello della "economia nazionale". La "scuola dell'economia nazionale" (del XIX secolo) sosteneva che l'analisi di Adam Smith, fortemente incentrata sull'individualismo e il cosmopolitismo, trascurava il ruolo cruciale dell'economia nazionale.
Il risultato di un libero scambio generale non sarebbe stato l'approdo a una repubblica universale, ma al contrario la sottomissione universale delle nazioni meno avanzate alle potenze manifatturiere e commerciali predominanti. I sostenitori di un'economia nazionale contrastarono l'idea dell'economia aperta di Smith sostenendo invece un'economia chiusa che consentisse alle industrie nascenti di crescere e di diventare competitive sulla scena globale.
"Non fatevi illusioni: non esiste nulla al di fuori di questa realtà". Questo l'ammonimento di Putin agli industriali russi riuniti nel marzo 2025. "Mettete da parte le illusioni", ha detto ai delegati:
Le sanzioni e le restrizioni sono la realtà di oggi, insieme alla una nuova spirale di rivalità economiche già scatenatasi.
Le sanzioni non sono misure temporanee né mirate, ma costituiscono un meccanismo di pressione sistematica e strategica contro la nostra nazione. Indipendentemente dagli sviluppi globali o dai cambiamenti nell'ordine internazionale, i nostri concorrenti cercheranno in permanenza di impastoiare la Russia e di ridurne le capacità economiche e tecnologiche.
Non dovete sperare in una completa libertà di commercio, di transazioni e di trasferimenti di capitali. Non dovete contare sui meccanismi occidentali per proteggere i diritti degli investitori e degli imprenditori... Non sto parlando di sistemi giuridici: semplicemente, essi non esistono! Esistono solo per se stessi! Questo è il trucco. Capite?!
Noi [russi] dobbiamo affrontare le nostre sfide, certamente -ha detto Putin- ma anche gli occidentali devono affrontarne numerose. Il dominio occidentale sta svanendo. Nuovi centri di crescita globale stanno prendendo il centro della scena.
Queste sfide non sono il problema; sono l'opportunità, ha sostenuto Putin:
daremo priorità alla produzione interna e allo sviluppo delle industrie tecnologiche. Il vecchio modello è finito. La produzione di petrolio e gas sarà semplicemente il complemento di un'economia reale in gran parte interna e autosufficiente, in cui l'energia non sarà più il motore. Siamo aperti agli investimenti occidentali, ma solo alle nostre condizioni, e il piccolo settore "aperto" della nostra economia reale, altrimenti chiusa e autosufficiente, continuerà naturalmente a commerciare con i nostri partner dei BRICS.
La Russia sta tornando al modello dell'economia nazionale, ha lasciato intendere Putin. "In questo modo potremo resistere alle sanzioni e ai dazi". "La Russia è anche in grado di reggere gli incentivi, essendo autosufficiente in termini di energia e materie prime", ha affermato Putin. Un chiaro paradigma economico alternativo, davanti a un ordine mondiale in disgregazione.

16 aprile 2025

Firenze: chi ha messo coperte termiche sulle porte della chiesa della Santissima Annunziata e della scuola Giovanni Villani ha fatto bene



Il 25 marzo 2025 l'arcivescovo di Firenze ha espresso apprezzamento per l'installazione artistica di Giovanni de Gara, che ha chiuso le porte della chiesa fiorentina della Santissima Annunziata usando alcune coperte termiche del tipo usato nei casi di emergenza. E tra i casi di emergenza rientrano anche quei salvataggi in mare su cui gli "occidentalisti" dei partiti che governano a Roma hanno capitalizzato voti per decenni. Ai loro esponenti fiorentini il gesto non è piaciuto; hanno il senso estetico squisito e oltremodo sensibile di chi vagheggia i tempi in cui Firenze era un verziere olezzante di lavanda, e una sensibilità ancora più squisita per qualsiasi cosa accenni al tema, per loro inconcepibile, della giustizia sociale. Il micropolitico "occidentalista" Alessandro Draghi e il ben vestito Giovanni Gandolfo si sono recati con premura all'ufficio stampa del Comune deplorando la deriva immigrazionista della sinistra fiorentina -coincidente quindi con la locale gerarchia ecclesiastica, pare di capire- e auspicando una installazione artistica fatta di fogli di via.
E lontana dal centro, ci mancherebbe.
Contestare perentoriamente il cattolicesimo fiorentino, che in materia di giustizia sociale ha -diciamo- una certa consuetudine, non deve essere agevole. Difficile rimetterlo al suo posto statuendo che i preti dovrebbero fare i preti, secondo il costume dei liberisti da gazzetta e del sovranismo con l'aperitivo. Quella è roba che va bene per edificare i buoni a nulla delle reti sociali, che con la realtà e con la competenza hanno un rapporto per lo meno discutibile sempre che ce l'abbiano; a Firenze c'è il serio rischio che a denigrare roba del genere l'unico risultato sia quello di additarla a un certo numero di volenterosi imitatori, dando il via alla sua propagazione.
E difatti pochi giorni dopo qualcosa di simile arriva sulle porte di una scuola elementare nel quartiere di Gavinana. Stavolta l'arcivescovo non c'entra, per cui Draghi e Gandolfo devono ricorrere all'altro caposaldo della roba che passano al gazzettificio, che è la deplorazione della propaganda ideologica. Laddove con ideologico, sempre nel linguaggio "occidentalista", si intende qualsiasi cosa non corrisponda alla linea che si intenderebbe imporre. Tant'è che una installazione artistica fatta di fogli di via anziché di coperte termiche avrebbe riscosso l'approvazione preventiva di questi adusi al ristorante.
Tutta la questione non avrebbe molta rilevanza in sé. Le gazzette grondano roba del genere. Il fatto che qualche metallina -il nome corrente tra i professionisti del soccorso e tra le persone che fanno volontariato sul serio, altro che le risentite esortazioni dei gandolfo- sia stata sufficiente a infastidire una volta di più gente che merita di essere per lo meno infastidita (e derisa) ci ha però convinto a dare un po' di visibilità all'iniziativa, per quanto ci è possibile con un blog e con un sito.




13 aprile 2025

Firenze: chi manifesta contro i'ddegràdo ai bottegoni Esselunga merita di essere deriso


Firenze, aprile 2025. La propaganda del governo di Roma circa quarant'anni fa magnificava risultati economici da quinta potenza economica mondiale. Oggi magnifica la costruzione di campi di concentramento. Nonostante l'impegno la situazione deve essere davvero invivibile se un gruppo di ultracinquantenni si schioda dalla televisione per invocare ancora più repressione.

Nella penisola italiana sono almeno trent'anni che in agenda politica trovano posto solo degrado e insicurezza.
Sempre da trent'anni, le persone serie e la politica di base sfuggita all'annientamento fanno presente ogni giorno con tranquillità e costanza che l'unico ruolo accordato dal potere ai sudditi sarebbe stato quello di consumatori. E nemmeno sempre.
Il centro commerciale si è evoluto splendidamente; nato come bottegone, è diventato agorà, cattedrale, tempio. Per gli stessi trent'anni è stato visto di buon occhio dal democratismo rappresentativo perché secondo l'opinione prevalente -cioè l'unica, essendo qualsiasi dubbio pubblicamente derubricato a nostalgia del gulag- avrebbe potuto e dovuto sostituire ogni altra sede fisica di socializzazione togliendo motivo di esistere a un sacco di posti che si avrebbe avuto l'agio di definanziare, denigrare, trascurare e infine chiudere con la prima scusa buona. Per poi metterne a reddito gli spazi.
Anzi, per "restituirli alla città", come dicono loro.
A Firenze una delle più recenti e riuscite restituzioni è consistita nel trasformare una scuola privata in un posto dove per dormire si possono spendere diecimila euro a notte, ma dove per mangiare possono bastarne un centinaio. Quelli che fanno cuocere roba e vorrebbero venderla a quel prezzo hanno chiamato la rivendita "La gamella"; il giro dovrebbe essere quello delle osterie da cinquanta euro a bicchiere e degli empori da trecento euro a calzino. Persino sulla gazzetta che pubblicava la roba di Oriana Fallaci hanno fatto del sarcasmo.
Comunque: per queste restituzioni si procede innanzitutto mondando edifici e dintorni di quella insicurezza e di quel degrado che si combattono facilmente e semplicemente colpendo le condotte e le persone che non piacciono -a prescindere dal loro spessore criminale- perché percepite come d'intralcio per la messa a reddito su accennata.
Il problema è che ancora mancano, malauguratamente, vere politiche di deportazione e di sterminio sistematico. Per cui si ostinano a rimanere in vita persone e gruppi che intralciano la messa a reddito. E che non vivono al di sopra della legge, come affermano i soliti ben vestiti col ristorante in nota spese e la faccia da vicepreside che ti ha beccato a fumare in bagno.
Vivono al di sotto.
Nel senso che hanno una quotidianità talmente infima -redditi ridicoli, solvibilità sotto i piedi, domicilio precario sempre che ce ne sia uno e così via- che le sanzioni li lasciano spesso indifferenti. Anche le più ingegnose, pare. E di questa quotidianità i bottegoni promossi ad agorà e cattedrali sono una delle scene più importanti, visto che ad agorà e a cattedrali si sono voluti promuovere e che sarebbe poco realistico pretendere che qualcuno non li tratti come piazze. A dire il vero anche questa realtà comincia a perdere seriamente attrattiva, sotto i colpi del commercio per via telematica e della generale e inarrestabile contrazione dei redditi.
Insomma, pare che attorno a certi bottegoni graviti una piccola ma consistente umanità che sfida la fantasia sanzionatoria del legislatore e che fornisce un mucchio di materiale a quella "libera informazione" che ogni giorno presenta qualche bagatellfall come se fosse il sacco di Alarico. Le vendite delle gazzette vanno a rotta di collo comunque, chissà che non ci sia un motivo.
I bottegoni non sono luoghi pubblici. Sono luoghi privati, tanto per fare un esempio, dove qualche padrone cui non piace avere in giro troppi ragazzini dal ridotto potere d'acquisto avrebbe anche fatto installare luci che mettono in evidenza acne e altri problemi della pelle in modo da metterli in imbarazzo; si cerchino un altro agorà, un'altra cattedrale. Quale, non è affar suo.
Accedere ai bottegoni significa tollerare di essere videoripresi in ogni movimento, scansionati, parametrati, censiti, valutati, osservati, campionati e sottoposti a una specie di forca caudina se appena si osa uscirne senza aver acquistato niente. Occorrerebbe dimostrare di essersi separati da del denaro anche per andare in bagno[*]. Sullo shelf marketing e sulle molte pratiche che servono a drenare fondi dalla clientela per riversarli nelle tasche del padrone vengono scritti ogni anno scaffali di volumi, per cui è inutile indugiarvi qui.
Il padrone dei bottegoni Esselunga non si peritava certo di presentare la propria libertà di intraprendere e di guadagnare come se fosse la libertà di tutti. Il padrone dei bottegoni Esselunga faceva un grosso vanto del proprio rigore antisindacale; negli anni successivi al "trentennio glorioso" la cosa gli è riuscita bene, i sudditi che stavano cedendo armi politiche e sindacali pagate col sangue in cambio di qualche fettina di salmone potevano anche essere indotti a credere che per loro una ciotola di maccheroni ci sarebbe sempre e comunque stata. Più recentemente i bottegoni Esselunga a Firenze sono incappati in qualche incidente non proprio di percorso. Nel clima sociale inscalfibile in cui esercitare una coscienza politica da scarafaggi è da tanti anni persino motivo di vanto, non stupisce che siano comunque riusciti ad attirare qualche manifestazioncina contro i'ddegràdo e l'insihurézza. La miserabile difesa dei bottegoni come massima espressione dell'impegno civile merita senz'altro di essere accolta con una risata di scherno.



[*] Al bottegone fiorentino di via del Gignoro sono state automatizzate le porte dei bagni, adesso obbedienti solo a un lecito scontrino. Il fantasma del signor Caprotti, che molti ricordano (e deridono) come protagonista di una ridicola battaglia a colpi di gazzetta in cui accusava la concorrenza di filocomunismo, non si scomoda certo per apparire ai dannati della poliuria per dirgli che il bottegone è suo e che quindi fa come gli pare; c'è invece un cartellino con le istruzioni, che accampa scuse su decoro e sicurezza.

11 aprile 2025

Su "Un mare di porti lontani". Le ONG nel Mediterraneo in un documentario di Marco Daffra


Firenze conta molte persone serie che ritengono un piacevole dovere confutare, contrastare, disconfermare e deridere per mezzo di pensieri, parole, opere e omissioni la propaganda "occidentalista" diffusa dall'esecutivo di Roma e dai gazzettifici ad esso contigui. Quando la confutazione, il contrasto, la disconferma e la derisione non sono sufficienti qualcuno ricorre anche ad altri sistemi
In questa lodevole attività la città non cessa di produrre molti esempi documentati, coerenti e di briosa dedizione.
Una sera di aprile abbiamo assistito a un documentario sull'operato delle organizzazioni non governative che collaborano al soccorso di quanti cercano di attraversare il Mediterraneo con imbarcazioni inadeguate. Sulla denigrazione di queste organizzazioni e di quello che fanno molti protagonisti del democratismo rappresentativo hanno costruito solide e lunghissime carriere; al regista Marco Daffra è bastata poco meno di un'ora di interviste e di filmati per ritrarre una realtà ovviamente e pacificamente opposta a quella descritta dalla "libera informazione".
Un mare di porti lontani è uscito nei primi mesi del 2024, il materiale è stato raccolto nel 2023 e i porti lontani sono un riferimento a una delle mille ingegnose trovate con cui l'esecutivo di Roma ha messo legalissimi bastoni tra le ruote a gruppi che all'epoca sarebbero stati secondo Daffra protagonisti di circa il 7% delle operazioni di salvataggio, con gendarmeria, guardia costiera e attori istituzionali in genere ad occuparsi dell'enorme rimanente.
In un anno circa Marco Daffra avrebbe presentato il documentario in oltre cento iniziative nella penisola italiana e nello Stato e Cantone Ticino, trovando un pubblico molto ricettivo soprattutto nelle scuole. La presentazione e la successiva discussione avrebbero spesso riguardato la demolizione della rappresentazione sociale veicolata da una propaganda che per anni ha cercato di ritrarre le organizzazioni non governative e il loro personale nel peggior modo possibile. L'idea che la serietà e la rispettabilità stiano nella giacca e nella cravatta dell'amministratore di condominio buono a nulla o nel pezzo di metallo che segna le ore al polso del consulente finanziario che sparirà col tuo denaro è a tutt'oggi dominante; il fatto che sulla Ocean Viking o sulla Open Arms fossero imbarcati nedici, ufficiali e marinai in maglietta e capelli lunghi presentava al gazzettificio materiale praticamente già pronto; il risultato del "lavoro" dei gazzettieri avrebbe dapprincipio influenzato lo stesso regista.
Io ho la passione per il vin santo e ho preso l'abitudine di produrmelo da solo. Al momento di imbarcarmi per le riprese ho pensato che andavo fra gente con dread, canne e tutto il resto e che un po' di vino avrebbe fatto senz'altro piacere; quindi ne ho portata con me una bottiglia. Come mi hanno accolto? "No, Marco. Grazie, ma alcolici non ne imbarchiamo".

10 aprile 2025

Le buone pratiche nella vita quotidiana sono il fondamento della convivenza civile

 


Firenze, una metà pomeriggio di primavera in un discount fra i più piccoli.
Ci sono diverse casse, ma ne funziona sempre una soltanto e il più delle volte a intermittenza; l'impressione è che il personale sia decisamente sotto organico e che inoltre tra cassieri, magazzinieri e addetti al rifornimento degli scaffali non ci sia troppa distinzione di mansioni. In sostanza la ragazza di turno deve lasciare sguarnita la postazione per aiutare gli altri e fare in pratica il lavoro di due addetti. Questo può causare la formazione di una piccola coda anche nelle ore di minore affluenza.
La clientela è austera e composta ma dato il target dell'attività è difficile confonderla con quella di Hermes. Da qualche tempo a ravvivare un ambiente altrimenti plumbeo provvede di quando in quando un individuo piuttosto disturbato che irrompe ecolalico dalle porte automatiche, ecolalico percorre i corridoi, ecolalico se ne esce così come è entrato per sparire nel nulla fino alla volta successiva.
In questa metà pomeriggio spicca tra i clienti anche una di quelle donne di mezza età che grondano disprezzo e denaro non proprio.
Il non aver trovato pronta accoglienza alla cassa la contraria all'istante.
La cassiera, pur intenta a someggiare un ingombrante carico di scatolame, si affretta in postazione.
Con l'unico risultato di dare la stura al livore della cliente che pareva non aspettasse altro.
La minutissima ragazza viene sommersa da un lago di considerazioni sprezzanti, tipiche delle licenze che certi individui ad alto reddito amano prendersi nei confronti di chi considerano inferiore.
La cassiera incassa. Probabile non sia nemmeno la prima volta.
La clientela -cinque o sei persone- si divide: chi fa finta di non aver sentito, chi fa qualche sorrisetto conciliante o di circostanza.
Ritirato lo scontrino con degnazione dopo aver impartito una lezione di comportamento di classe a edificazione della servitù, la donna esce.
Chi scrive lascia da parte il carrello e la segue nel parcheggio.
Parandosi davanti al portellone del SUV -presumibilmente non intestato a lei- cui la fallaciana cliente si stava avvicinando.
"Allora. Tu davanti a me non tratti così nessuno. Se tu ti prendi la licenza di trattare in questo modo una che lavora, io mi prendo la licenza di ricordarti che nelle foibe c'è ancora tanto posto. Bene così?"
Un ingranaggio che funziona male. Deve essere un'eventualità rara, perché la cliente resta imbarazzata e inebetita.
Davanti a uno che oltre ad avere una decina buona di anni in meno pare anche essere una ventina di chili più pesante forse è bene non ostentare troppa indignazione.
"Siamo d'accordo, allora? Bene. E attenta a come mi guardi".
Ritornati sui propri passi con la tranquilla maestà di chi è nel giusto, si racconta quanto successo alla cassiera. I sorrisi di gratitudine fanno sempre piacere.

08 aprile 2025

Donald Trump e l'arte della trattativa

 


Alastair Crooke sostiene da anni che il Presidente degli USA Donald Trump abbia introdotto ai massimi livelli della politica statunitense la stessa modalità relazionale orientata al risultato che lo ha portato a un indiscutibile successo nel settore immobiliare. Donald Trump, insieme a quel debordantemente ricco e quasi altrettanto capriccioso Elon Musk che al momento in cui scriviamo è uno dei suoi più ascoltati consulenti, gode da tempo della massima stima di alcuni dei più involuti "occidentalisti" del panorama gazzettiero.
Nel 1981 Stephen King e Peter Straub pubblicarono Il talismano, lungo romanzo di un genere definito dark fantasy, qualsiasi cosa voglia dire.
Tra i protagonisti figura proprio un imprenditore immobiliare di nome Morgan Sloat: l'estratto che segue ne descrive la condotta abituale.
...L'acquisto di quello stabile era stato particolarmente esaltante proprio per l'inclinazione di Sloat a fare tutto da sé.
Dopo aver negoziato con Sawyer l'acquisto del fabbricato con un mutuo a breve e successivamente (dopo uno scontro a fuoco in sede legale) con un mutuo a lungo termine, avevano fissato i loro canoni a un tanto al metro quadro, apportato le necessarie modifiche e offerto i locali a nuovi inquilini. L'unico inquilino che avevano ereditato era il ristorante cinese del pianterreno, che aveva conservato un canone d'affitto pari a un terzo circa di quello che valeva lo spazio che occupava. Sloat aveva tentato di avviare trattative ragionevoli con i cinesi, ma questi, appena ebbero capito che aveva intenzione di aumentare loro l'affitto, avevano improvvisamente perso la capacità di parlare e comprendere la lingua inglese. I tentativi di Sloat si erano faticosamente protratti per alcuni giorni, finché aveva notato un garzone di cucina uscire con un secchio di grasso dalla porta sul retro. Sentendosi già meglio, Sloat l'aveva seguito nell'angusto e buio cul-de-sac e lo aveva visto versare il grasso in un bidone per le immondizie. Non aveva avuto bisogno d'altro. Il giorno seguente, una recinzione di catenelle metalliche separava il cul-de-sac dal ristorante; un giorno dopo ancora un ispettore del Dipartimento di Sanità aveva consegnato ai cinesi un reclamo e una convocazione ufficiale. Ora il garzone doveva trasportare tutti i rifiuti, grasso incluso, prima attraverso la zona pranzo e poi fuori, per uno stretto passaggio delimitato da fil di ferro che Sloat aveva fatto costruire accanto al ristorante. Gli affari si erano messi ad andar male: ai clienti giungevano olezzi strani e sgradevoli dalla vicina spazzatura. I proprietari avevano riscoperto l'uso della lingua inglese e avevano offerto di raddoppiare il loro canone mensile. Sloat aveva risposto con un discorso che traboccava gratitudine e non diceva niente. E quella notte, dopo essersi caricato di tre abbondanti Martini, Sloat era uscito di casa sua e si era recato al ristorante munito di una mazza da baseball con la quale aveva fracassato la lunga vetrata che in precedenza aveva offerto una bella vista sulla via e che ormai dava su un corridoio di reticolato che finiva in un ammasso di bidoni per le immondizie.
Aveva fatto tutte queste cose... ma quando le aveva fatte non era proprio Sloat.
Il mattino seguente i cinesi lo avevano invitato per un nuovo incontro e questa volta gli avevano offerto di quadruplicare la somma. «Ora sì che parliamo da uomini», aveva esclamato Sloat, congratulandosi con i cinesi che lo guardavano con una faccia di pietra. «E vi dirò di più! Per dimostrarvi che siamo tutti amici e collaboratori, copriremo metà del costo della vetrata nuova.»
Nel giro di nove mesi dall'entrata in possesso dello stabile da parte della Sawyer & Sloat, tutti gli affitti erano sostanzialmente cresciuti e le iniziali proiezioni di costi e profitti già apparivano oltremodo pessimistiche. Ormai questo edificio rappresentava uno degli affari più modesti della Sawyer & Sloat, ma Morgan Sloat ne andava orgoglioso non meno che dei possenti nuovi fabbricati costruiti in centro. Gli bastava passare là dove aveva fatto erigere il recinto quando veniva a lavorare ogni mattina per ricordare a se stesso, quotidianamente, fino a che punto aveva contribuito al benessere della Sawyer & Sloat e quanto ragionevoli erano le sue richieste!


02 aprile 2025

Giovanni Donzelli, Giacomo Salvini e i fratelli di chat


Giovanni Donzelli è un diplomato fiorentino di cui ci siamo occupati molte volte fin dal 2008 e non proprio per farne dei panegirici.
Un presenzialismo mediatico alacre e non esente da piccole disavventure, i meccanismi del promoveatur ut amoveatur e qualche tocco di quella diligente disumanità che è un prerequisito importante per ogni politico "occidentalista" gli hanno consentito una buona carriera in vari e sempre più importanti organi elettivi. Va briosamente sottolineato che le sue iniziative non hanno lasciato tracce rilevanti in nessuno di essi, facendo del suo curriculum l'esatto opposto di quello cui dovrebbe ispirarsi chiunque abbia minime pretese di serietà.
A fine marzo 2025 il (quasi sempre) ben vestito Giovanni Donzelli ha fatto l'ennesimo giro di gazzette per aver accolto con un po' di insofferenza un certo Stefano Salvini. Stefano Salvini avrebbe scritto un libro sul partito in cui Donzelli ricopre ruoli dirigenziali e parlamentari, il che potrebbe anche giustificare certe reazioni poco diplomatiche. Solo che in tutte le sue trecentotrentasei pagine non si trova nulla che consenta di aggiungere qualcosa a ritratti personali e organizzativi già più che eloquenti; diciamo pure che si tratta di una lettura che non aggiunge niente e che quindi niente dovrebbe dare da temere. Occorre comunque specificare che il non indispensabile Fratelli di chat ha contribuito in modo evidente -e per il solo fatto di esistere- a irritare individui e ambienti che meritano di essere irritati, il che è un motivo sufficiente perché le persone serie che ne hanno la possibilità pensino di dedicare qualche ora alla sua lettura.