domenica 16 giugno 2024

Colin Powers - Come si finanzia un genocidio. L'economia di guerra dello stato sionista

 

Traduzione da Orient XXI, 12 giugno 2024.


Come tutte le guerre, anche quella dello stato sionista contro Gaza è estremamente costosa dal punto di vista economico e il tasso di crescita dell'economia sionista sta crollando. Al momento un crollo effettivo è stato evitato grazie a sovvenzioni tanto pubbliche quanto private provenienti non solo dagli Stati Uniti ma anche dall'Unione Europea, che ha continuato con gli scambi commerciali come se nulla fosse. E non dimentichiamo l'India e la Cina. Benyamin Netanyahu può continuare tranquillamente col suo genocidio di palestinesi.

L'economia dello stato sionista ha fatto segnare un calo del prodotto interno lordo del 21% nell'ultimo trimestre del 2023 rispetto all'anno precedente; il doppio di quanto previsto dalla banca centrale dopo il 7 ottobre. Nel febbraio 2024 l'agenzia statunitense Moody's ha compiuto un passo senza precedenti declassando lo Stato sionista e le sue cinque maggiori banche commerciali.
Le conseguenze peseranno molto sull'industria tecnologica. In tempi normali questo settore dà lavoro a un cittadino dello stato sionista su sette ed è responsabile di circa la metà delle esportazioni del Paese, di un quinto del prodotto interno lordo e di più di un quarto delle entrate fiscali. Questa performance può essere mantenuta solo con l'accesso a capitali stranieri, il cui costo minaccia di aumentare.
Calo degli investimenti in tecnologia Dalla fine del 2022 gli investimenti nell'alta tecnologia sono in costante calo e alla fine del 2023 hanno raggiunto il 20% rispetto al dato già basso dell'anno precedente. Gli investimenti esteri sono crollati del 29%(1). I primi dati per il 2024 mostrano che i flussi sono al minimo da nove anni a questa parte.
Dal momento che il modello di crescita del Paese è legato a questo settore, simili risultati pongono problemi rilevanti. Tanto più che i progetti del Primo Ministro Benyamin Netanyahu di orientare l'economia verso la produzione di materie prime -a scapito di questo settore che egli considera di dubbia fedeltà politica- stanno andando male. Nel marzo 2024 la Compagnia petrolifera nazionale di Abu Dhabi (ADNOC) e la British Petroleum (BP) hanno interrotto i colloqui per la prevista acquisizione della metà del più grande produttore di gas naturale dello stato sionista NewMed Energy, preoccupate per i missili degli Houthi e per le ricadute politiche(2).
Tutto questo solleva qualche interrrogativo sulla sostenibilità dell'economia dello stato sionista e, di conseguenza, sulla sua capacità di continuare con la guerra contro Gaza. Gli economisti del Ministero delle Finanze avevano già stimato che le sole manovre di Netanyahu per cambiare la Costituzione e l'opposizione che questa iniziativa ha incontrato avrebbero portato a un taglio della crescita tra i 15 e i 25 miliardi di dollari -14,9 e 18,6 miliardi di euro- all'anno(3). Uno studio della società di consulenza statunitense RAND ha stimato che le perdite economiche in caso di una campagna militare limitata ma a lungo termine contro la Palestina ammonterebbero a 400 miliardi di dollari -oltre 373 miliardi di euro- in dieci anni(4). Secondo il Ministero delle Finanze l'Operazione Iron Scourge sta costando all'economia 269 milioni di dollari -oltre 350 milioni di euro- al giorno - una guerra a livello regionale sarebbe ovviamente molto più costosa.
È lecito chiedersi se la società dello stato sionista, che vive in un relativo benessere materiale, sarebbe in grado di sopportare un ritorno all'economia di guerra degli anni Settanta, quando le spese militari rappresentavano il 30% del PIL. Anche ignorando questo interrrogativo ne sorgono molti altri: le realtà economiche possono influenzare il percorso seguito dai leader politici e militari? Se sì, in che modo? Le aziende straniere che hanno contribuito al genocidio saranno in grado di mantenere la propria politica nel lungo periodo?


Fonti di resilienza a medio termine

Nonostante le oggettive difficoltà, ci sono poche ragioni per credere che le pressioni economiche possano accelerare la fine della guerra nel breve o nel medio termine. Ciò è dovuto alle dimensioni dei mercati finanziari e delle riserve valutarie dello stato sionista da un lato, e alle relazioni esterne dello Stato e dell'economia dall'altro.
1. Mercati dei capitali profondi e riserve abbondanti. La profondità dei mercati dei capitali dello stato sionista consente alla coalizione al potere di finanziare gran parte dei progetti militari a livello locale: quest'anno, circa il 70% dei 60 miliardi di dollari -55,8 miliardi di euro- di titoli di Stato saranno venduti sui mercati nazionali e denominati in New Israeli Shekel (NIS). Inoltre, data la forte domanda da parte delle istituzioni finanziarie locali, i tassi d'interesse rimangono bassi a livello locale, un po' più alti rispetto ai titoli del Tesoro offerti a livello internazionale ma non eccessivamente superiori a quelli attualmente emessi dagli Stati Uniti. Di conseguenza nei primi cinque mesi di quest'anno il Ministero delle Finanze dello stato sionista ha potuto prendere in prestito vendendo titoli di Stato un totale di 67,5 miliardi di NIS -16,7 miliardi di euro- senza doversi accollare pesanti oneri per il rimborso.
Quindi, nonostante il governatore della Banca centrale dello stato sionista non cessi di pronunciare ammonimenti contro un eccessivo indebitamento e nonostante alcuni indicatori segnalino un malessere del mercato Tel Aviv può indebitarsi senza soffrire troppo dal punto di vista finanziario, almeno per il momento. Questo dà ai leader una grande autonomia, che a sua volta si riflette sulla condotta in guerra.
L'accumulo di riserve valutarie negli ultimi due decenni ha un effetto protettivo simile. Dai 27 miliardi di dollari -25 miliardi di euro- del 2005, il valore delle riserve detenute dalla Banca centrale dello stato sionista ha superato i 200 miliardi di dollari -186 miliardi di euro- all'inizio del 2024. Queste attività non solo generano reddito per lo Stato, ma consentono alla banca centrale di difendere lo shekel sui mercati dei cambi(5). Questo contribuisce a mantenere bassa l'inflazione, rafforzando la stabilità dell'economia di guerra.
La violenza genocida dell'esercito richiede tuttavia volumi di munizioni di gran lunga superiori a quelli che i produttori nazionali, che hanno riorientato le loro attività verso prodotti di alta gamma, sono attualmente in grado di produrre. Senza l'incessante flusso di proiettili d'artiglieria, missili, testate e simili quasi tutti provenienti dagli Stati Uniti o da depositi di armi di loro proprietà già presenti nello stato sionista prima di questa guerra (6) e dalla Germania, le attuali campagne a Gaza e nel Libano meridionale andrebbero incontro a un rapido fallimento. Allo stesso modo, senza i cloud forniti da Google e Microsoft e senza la condivisione dei dati di WhatsApp fornita da Meta possiamo essere certi che per lo stato sionista le campagne di omicidi mirati guidate dall'intelligenza artificiale andrebbero incontro a fallimenti altrettanto rapidi.
2. Relazioni estere solide. Il secondo e forse il più importante fattore che spiega la resistenza a medio termine dell'economia dello stato sionista è dato dalla solidità delle sue relazioni estere. Da queste gli arriva ogni tipo di aiuto: dai flussi finanziari al commercio e al supporto logistico, senza dimenticare gli eserciti di riserva della manodopera, come i cinquanta o centomila lavoratori che l'India ha promesso per sostituire i palestinesi in Cisgiordania. Sono cose come queste ad aver consentito che lo stato sionista procedesse a un genocidio. Una vasta costellazione di attori statunitensi, sia pubblici che privati, fornisce attualmente sostegno finanziario alla macchina statale, all'esercito e all'economia. I flussi dal governo federale rimangono i più consistenti. La sovvenzione annuale del Programma di finanziamento militare estero degli Stati Uniti -3,3 miliardi di dollari pari a 3,075 miliardi di euro all'anno dall'amministrazione Obama (2009-2017)- copre generalmente il 15% delle spese per la difesa. Poiché le spese per la difesa sono destinate ad aumentare di quasi 15 miliardi di dollari -13,95 miliardi di euro- entro il 2024, dalla linea di credito gratuita del governo statunitense quest'anno si vedranno aumenti significativi. Lo scorso aprile il Congresso degli Stati Uniti ha approvato il National Security Act concedendo 13 miliardi di dollari -12 miliardi di euro- di aiuti aggiuntivi alle forze armate statunitensi(7). Di questa somma 5,2 miliardi di dollari sono stati destinati al rifornimento dei sistemi di difesa Iron Dome, Iron Beam e David's Sling, 4,4 miliardi di dollari -4,1 miliardi di euro- alla ricostituzione delle scorte di munizioni esaurite e 3,5 miliardi di dollari -3,2 miliardi di euro- a sistemi d'arma avanzati.


Organizzazioni americane per il budget sionista

Ma non solo. In tutti gli Stati Uniti, anche i singoli Stati, le contee e persino i comuni stanno tirando fuori il libretto degli assegni. Il canale di finanziamento è gestito dalla Development Corporation for Israel (DCI), un ente registrato negli Stati Uniti che agisce come intermediario e sottoscrittore locale per conto del Ministero delle Finanze dello stato sionista. Dal 1951, la DCI emette le cosiddette "obbligazioni dello stato sionista" sul mercato statunitense. Anche se arrivano raramente alla consapevolezza del pubblico, questi strumenti finanziari denominati in dollari e destinati a fornire un sostegno generale al bilancio dello stato sionista rappresentano il 12-15% del suo debito estero totale. Sono quindi una fonte concreta di credito e di valuta forte per Tel Aviv.
Dal 7 ottobre la DCI ha aumentato in modo significativo le vendite di obbligazioni, in parte ampliando la collaborazione con un'organizzazione di destra come l'American Legislative Exchange Council (ALEC). Negli ultimi due decenni l'ALEC è stata una delle forze più influenti dietro le quinte della politica statunitense. Il suo operato consiste tipicamente nel redigere proposte di legge su argomenti che vanno dall'aborto al movimento Boycott, Divestment and Sanctions (BDS), per poi diffondere i modelli legislativi ai suoi alleati nelle legislature statali; in quella sede diventano legge.
Quest'autunno l'ALEC ha diversificato le sue operazioni mobilitando la sua State Financial Officers Foundation per incoraggiare l'acquisto di obbligazioni dello stato sionista da parte dei fondi pensione pubblici e delle tesorerie statali e municipali. I frutti di questi sforzi sono piuttosto impressionanti: 1,7 miliardi di dollari -1,58 miliardi di euro- in di obbligazioni acquistate in soli sei mesi. Al di là del loro valore materiale per lo stato sionista, questi acquisti rappresentano un grande impegno da parte dell'intero apparato statale statunitense. Sia le autorità locali che il governo federale sono pronti a investire somme significative nelle imprese genocide dello stato sionista.
Purtroppo i cittadini e le istituzioni finanziarie hanno lo stesso atteggiamento dei leader. Anch'essi hanno concesso (e/o agevolato) un gran numero di prestiti allo stato sionista dopo che ha iniziato a distruggere Gaza. Alcuni lo hanno fatto la scorsa primavera, quando hanno acquistato quasi tre quarti delle obbligazioni cui si è appena fatto cenno. All'indomani dell'operazione "Iron Sabre", le banche statunitensi hanno anche organizzato vendite di obbligazioni private per conto dello stato sionista , i cui rendimenti non sono stati resi pubblici.


Da Goldman Sachs a BNP-Paribas

Lo sviluppo più significativo è stato l'operazione guidata da Bank of America e Goldman Sachs, che nel marzo 2024 hanno sottoscritto la prima vendita internazionale di obbligazioni dello stato sionista dopo il 7 ottobre. Insieme a Deutsche Bank e BNP Paribas questi finanziatori sono riusciti ad attirare un tale numero di investitori da tutto il mondo da rendere l'operazione la più grande inziativa del genere nella storia dello stato sionista: quasi 7,5 miliardi di eurobond(8).
I contributi da parte di privati dagli Stati Uniti non sono soltanto questi. Sebbene gli investimenti nel settore tecnologico siano complessivamente diminuiti, alcune aziende continuano a immettere capitali nonostante il genocidio in corso. Ad esempio negli ultimi sei mesi Nvidia, leader mondiale nella produzione di chip e nell'intelligenza artificiale con sede a Santa Clara, ha investito somme considerevoli nell'acquisizione di aziende dello stato sionista(9). A dicembre, Intel ha accettato di costruire un nuovo impianto di semiconduttori approfittando di una sovvenzione di 3,2 miliardi di dollari -3 miliardi di euro- e di un'aliquota fiscale estremamente bassa (7,5% anziché 23%). Un mese dopo Palantir Technologies, una società di modellazione di intelligenza artificiale, ha annunciato una nuova partnership strategica con il Ministero della Difesa dello stato sionista.


L'Unione Europea, un'ancora di salvezza

Come dimostra la partecipazione di Deutsche Bank e BNP Paribas all'emissione di Eurobond, l'Europa sta svolgendo un ruolo importante. La Banca Europea per gli Investimenti, con sede in Lussemburgo e di proprietà congiunta dei 27 Stati membri dell'Unione, ha mantenuto la promessa di iniettare liquidità per 900 milioni di dollari -838 milioni di euro- nell'economia dello stato sionista(10). Dal 7 ottobre il programma Horizon Europe, il principale strumento di finanziamento di ricerca e innovazione, ha autorizzato l'assegnazione di quasi un centinaio di sovvenzioni ad aziende e istituzioni dello stato sionista. Su scala più ridotta il Consiglio europeo per gli investimenti (EIC), organizzazione senza scopo di lucro, ha recentemente aumentato i suoi investimenti nelle start up dello stato sionista.
Ma è soprattutto lo scambio di beni e servizi che conta. Il flusso ininterrotto di esportazioni verso il mercato europeo, che rimane il suo principale partner, ha giocato un ruolo chiave nel surplus commerciale dello stato sionista, che ha segnato un 5,1% nell'ultimo trimestre del 2023. Sebbene nelle capitali europee si sia parlato di rivedere l'accordo di associazione dello stato sionista all'Unione Europea, i primi dati pubblicati per il 2024 mostrano che l'UE continua a importare prodotti dello stato sionista: oltre 4,27 miliardi di euro nel primo trimestre. Una somma più o meno in linea con quanto visto negli ultimi anni e che funge da ancora di salvezza per l'economia dello stato sionista.


Gli affari con Cina e India continuano

Il mantenimento da parte di Tel Aviv di legami più o meno pubblici con economie non occidentali ha anche rafforzato la vitalità della sua economia di guerra. Anche se non proprio ai livelli precedenti il 7 ottobre, e senza dubbio ridotti dagli interventi degli Houthi che hanno costretto le compagnie di navigazione a sospendere il commercio diretto, i dati della Banca centrale dello stato sionista indicano che le importazioni dalla Cina sono ancora consistenti: 10 miliardi di dollari (9,3 miliardi di euro) nel primo trimestre del 2024. Esse rimangono una parte vitale dell'economia su base giornaliera, anche se gli investimenti cinesi rimangono depressi per lo più a causa delle pressioni degli Stati Uniti su Tel Aviv.
Il contributo dell'India, che importa grandi quantità di armi dallo stato sionista ed esporta manodopera a basso costo per occupare i posti di lavoro lasciati liberi dai palestinesi, è tutt'altro che trascurabile.
Nonostante le difficoltà è chiaro che le merci indiane continuano ad arrivare nello stato sionista attraverso il Golfo e la Giordania e a rifornire gli scaffali dei negozi.
Infine, bisogna tenere conto delle relazioni ambigue con la Turchia. Sebbene il Ministero del Commercio di Ankara abbia introdotto progressive restrizioni ai traffici con stato sionista a partire dall'inizio di aprile 2024, c'è motivo di credere che la misura non sarà pienamente attuata. Inizialmente la politica prevedeva una moratoria di tre mesi che consentisse alle aziende di evadere gli ordini esistenti attraverso Paesi terzi. È quindi improbabile che la misura porti a una stretta immediata. In secondo luogo, i legami commerciali tra i produttori turchi di acciaio e alluminio e stato sionista sono profondi e di lunga data, e la dipendenza dei produttori turchi da questo mercato è ben nota. Non si può quindi escludere che i produttori turchi trovino un modo per consegnare forniture essenziali non solo alle imprese edili ma anche all'industria degli armamenti, magari attraverso una triangolazione con la Slovenia.
Lo stato sionista può attingere a grandi mercati di capitali e a forti riserve valutarie, nonché avvalersi di solide relazioni con partner economici esteri. Non è soggetto nell'immediato a limiti materiali che gil impediscano di portare a termine il genocidio. A meno che le politiche dei suddetti partner non cambino, lo stato sionista sarà libero di continuare il suo inaccettabile massacro ancora per qualche tempo.


Qualche speranza a lungo termine?

A lungo termine, diversi fattori potrebbero giocare a sfavore di questa economia di guerra. Tra questi la tendenza al disinvestimento menzionata in precedenza e che gli interventi del governo difficilmente riusciranno a invertire. A ciò si aggiunge la possibilità di un aumento delle tasse per ricostituire le riserve. Ma forse la cosa più importante sono le tensioni sociali che il perdurare del genocidio acuirà nei mesi e negli anni a venire. Il Paese è da tempo uno dei più interessati dalla disuguaglianza sociale in tutta la OCSE(11). Secondo criteri di misurazione più sofisticati, il tasso di povertà è attualmente del 27,8% e un terzo della popolazione soffre di insicurezza alimentare. Con buona pace dell'aura di sapore mitologico che ha avvolto la nazione delle start up, risulta anche che la crescita e gli aumenti della produttività raggiunti negli ultimi due decenni sono stati in realtà relativamente bassi. E la fuga dei cervelli ha fatto sentire il suo peso.
A questo stato di cose si aggiunge l'austerità. Dopo aver accumulato enormi deficit durante la campagna contro Gaza, stato sionista sta per accelerare la contrazione del sistema di welfare tagliando la spesa per l'assistenza sociale e per l'istruzione, e intanto spreme le famiglie povere aumentando le imposte al consumo. Non c'è dubbio che ci si debbano aspettare grandi tensioni sociali in un momento in cui la società dello stato sionista è già percorsa da spaccature: tra i pochi che hanno beneficiato del boom tecnologico e immobiliare e i molti altri che non ne hanno ricavato nulla, tra le comunità religiose esentate dal servizio militare e quelle i cui appartenenti devono rischiare la vita per portare avanti la loro idea di conquista; tra una comunità di coloni che beneficia di una speciale dispensa da parte dello Stato e tutte le altre costrette a fare affidamento sui banchi alimentari per garantirsi la sussistenza. In un modo o nell'altro, questo non può che avere un impatto negativo sulla coerenza del progetto statale e sulla capacità dell'attuale governo di perseguire i suoi piani distruttivi.
Per la Palestina, e più in particolare per i palestinesi di Gaza, la situazione è grave. Il tempo necessario perché nella società dello stato sionista si mettano in moto dinamiche sociali di questo genere e perché la capacità dello stato sionista di fare la guerra venga a indebolirsi dall'interno è semplicemente troppo lungo.
Chiunque speri di porre fine a al genocidio può solo asserire che l'unica via percorribile è quella di isolare economicamente lo stato sionista in ogni modo possibile. Finché le solide relazioni esterne del Paese non verranno indebolite o addirittura troncate il motore della violenza dello stato sionista continuerà a girare senza il minimo intoppo. Per bloccarlo fino a far sì che le bombe smettano di cadere è necessario interrompere i circuiti finanziari e commerciali esistenti.


1. Adrian Filut, Economic concerns mount as Israel faces drop in foreign investment and services export, Ctech, 18 marzo 2024.
2. Ani, BP, UAE suspend USD 2 bn gas deal in Israel amid Gaza war, The Economic Times, Bombay, 15 marzo 2024.
3. Nimrod Flaschenberg, Israel’s economy was Netanyahu’s crown jewel. Can apartheid survive without it?, +972 Magazine, 27 marzo 2023.
4. C. Ross Anthony et al., The Costs o the Israeli-Palestinian Conflict, Rand Corporation, Santa Monica (USA), 2015.
5. Galit Alstein, Israel’s $48 billion war leaves it at mercy of bond markets, BNN Bloomberg, Toronto, 22 novembre 2023.
6. Connor Echols, Bombs, guns, treasure: What Israel wants, the US gives, The New Arab, 12 marzo 2024.
7. FY2024 National Security Supplemental Funding : Defense Appropriations, Insight, Congressional Research Service, Washington, 25 aprile 2024.
8. Steven Scheer, Israel sells record $8 billion in bonds despite Oct 7 attacks, downgrade, Reuters, 6 marzo 2024.
9. Meir Orbach, Nvidia continues Israel shopping spree with acquisition of Deci, Ctech, 25 avril 2024.
10. Sharon Wrobel, EU financial arm to invest €900m in Israel, including Western Galilee desalination, The Times of Israel, 25 giugno 2023.
11. Il coefficiente di Gini, che corrisponde a 0 per la perfetta uguaglianza e a 1 per la totale disuguaglianza, è pari a 0,34, contro lo 0,395 degli Stati Uniti e lo 0,298 della Francia.

giovedì 6 giugno 2024

Hamas - Documento di principi e politiche generali (2017)


Da La Luce si riprende il testo del Documento di principi e politiche generali diffuso dal Movimento di Resistenza Islamica palestinese nel 2017.


Lode ad Allah, il Signore dei mondi. La pace e le benedizioni di Allah siano su Muhammad, maestro dei messaggeri e guida dei mujahidin, sulla sua famiglia e su tutti i suoi compagni.


Premessa

La Palestina è la terra del popolo arabo palestinese, dalla quale ha origine, alla quale è unito e appartiene, e sulla quale si propaga ed esprime.
La Palestina è una terra la cui posizione è stata elevata dall’Islam, una religione che la tiene in grande considerazione, che respira attraverso di essa il suo spirito e i giusti valori e che pone le basi per la dottrina della difesa e della protezione della stessa.
La Palestina è la causa di un popolo che è stato deluso da un mondo che non riesce a garantire i suoi diritti e a restituirgli ciò che gli è stato usurpato, un popolo la cui terra continua a subire una delle peggiori occupazioni al mondo.
La Palestina è una terra sequestrata da un progetto sionista razzista, disumano e coloniale, fondato su una falsa promessa (la Dichiarazione Balfour), sul riconoscimento di un’entità usurpatrice e sull’imposizione con la forza del fatto compiuto.
La Palestina simboleggia la resistenza che continuerà fino al raggiungimento della liberazione, fino al quando il ritorno non sarà avvenuto e fino all’istituzione di uno Stato pienamente sovrano con Gerusalemme come capitale.
La Palestina è il vero sodalizio tra palestinesi di tutte le appartenenze per il sublime obiettivo della liberazione.
La Palestina è lo spirito della Ummah e la sua causa principale; è l’anima dell’umanità e la sua coscienza vivente.
Questo documento è il prodotto di profonde discussioni che ci hanno portato ad un forte consenso. Come movimento, concordiamo sia sulla teoria che sulla pratica della visione delineata nelle pagine che seguono. È una visione che poggia su basi solide e su principi consolidati. Questo documento svela gli obiettivi, le tappe fondamentali e il modo in cui l’unità nazionale può essere realizzata. Definisce inoltre la nostra comprensione comune della causa palestinese, i principi operativi che utilizziamo per promuoverla e i limiti di flessibilità utilizzati per interpretarla.


Il movimento

1. Il Movimento di Resistenza Islamica “Hamas” è un movimento islamico di liberazione nazionale e di resistenza palestinese. Il suo obiettivo è liberare la Palestina e contrastare il progetto sionista. Il suo sistema di riferimento è l’Islam, che ne determina i principi, gli obiettivi e i mezzi.


La Terra di Palestina

2. La Palestina, che si estende dal fiume Giordano a est al Mediterraneo a ovest e da Ras al-Naqurah a nord a Umm al-Rashrash a sud, è un’unità territoriale integrale. È la terra e la casa del popolo palestinese. L’espulsione e l’esilio del popolo palestinese dalla sua terra e l’insediamento dell’entità sionista al suo interno non annullano il diritto del popolo palestinese all’intero territorio e non conferiscono alcun diritto all’entità sionista usurpatrice.
3. La Palestina è una terra arabo-islamica. È una terra sacra e benedetta che occupa un posto speciale nel cuore di ogni arabo e di ogni musulmano.


Il popolo palestinese

4. I palestinesi sono gli arabi che hanno vissuto in Palestina fino al 1947, indipendentemente dal fatto che ne siano stati espulsi o che vi siano rimasti; e ogni persona nata da padre arabo palestinese dopo tale data, sia all’interno che all’esterno della Palestina, è un palestinese.
5. L’identità palestinese è autentica e senza tempo; si trasmette di generazione in generazione. Le catastrofi che hanno colpito il popolo palestinese, come conseguenza dell’occupazione sionista e della sua politica di sfollamento, non possono cancellare l’identità del popolo palestinese, né possono negarla. Un palestinese non può perdere la sua identità nazionale o i suoi diritti acquisendo una seconda nazionalità.
6. Il popolo palestinese è un unico popolo, composto da tutti i palestinesi, dentro e fuori la Palestina, indipendentemente dalla loro religione, cultura o affiliazione politica.


Islam e Palestina

7. La Palestina è al centro della Ummah araba e islamica e gode di uno status speciale. In Palestina si trova Gerusalemme, i cui confini sono benedetti da Allah. La Palestina è la Terra Santa che Allah ha benedetto per l’umanità. È la prima Qiblah dei musulmani e la meta del viaggio notturno del Profeta Muhammad, la pace sia con lui. È il luogo da cui è asceso ai cieli superiori. È il luogo di nascita di Gesù Cristo, la pace sia con lui. Il suo suolo contiene i resti di migliaia di profeti, compagni e mujahidin. È la terra di persone determinate a difendere la verità – all’interno di Gerusalemme e nei suoi dintorni – che non si lasciano scoraggiare o intimidire da coloro che si oppongono a loro e da coloro che li tradiscono, e che continueranno la loro missione fino a quando la promessa di Allah non sarà compiuta.
8. In virtù della sua vocazione giustamente equilibrata e della sua natura moderata, l’Islam – per Hamas – fornisce uno stile di vita completo e un ordine che è adatto allo scopo in ogni momento e in ogni luogo. L’Islam è una religione di pace e tolleranza. Fornisce una protezione per i seguaci di altri credi e religioni che possono praticare il loro credo in sicurezza. Hamas ritiene inoltre che la Palestina sia sempre stata e sarà sempre un modello di coesistenza, tolleranza e innovazione civile.
9. Hamas crede che il messaggio dell’Islam sostenga i valori della verità, della giustizia, della libertà e della dignità e proibisca ogni forma di ingiustizia incriminando gli oppressori a prescindere dalla loro religione, razza, sesso o nazionalità. L’Islam è contro ogni forma di estremismo e bigottismo religioso, etnico o settario. È la religione che insegna ai suoi fedeli il valore della resistenza alle aggressioni e del sostegno agli oppressi; li motiva a donare generosamente e a fare sacrifici in difesa della loro dignità, della loro terra, dei loro popoli e dei loro luoghi sacri.


Gerusalemme

10. Gerusalemme è la capitale della Palestina. Il suo status religioso, storico e civile è fondamentale per gli arabi, i musulmani e il mondo intero. I suoi luoghi sacri islamici e cristiani appartengono esclusivamente al popolo palestinese e alla Ummah araba e islamica. Non una sola pietra di Gerusalemme può essere ceduta o abbandonata. Le misure intraprese dagli occupanti a Gerusalemme, come l’ebraicizzazione, la costruzione di insediamenti e l’approvazione dei fatti sul terreno sono sostanzialmente nulle e senza valore.
11. La benedetta Moschea di al-Aqsa appartiene esclusivamente al nostro popolo e alla nostra Ummah e l’occupazione non ha alcun diritto su di essa. I complotti, le misure e i tentativi dell’occupazione di giudaizzare al-Aqsa e di dividerla sono nulli, inesistenti e illegittimi.


Rifugiati e diritto al ritorno

12. La causa palestinese, nella sua essenza, è la causa di una terra occupata e di un popolo sfollato. Il diritto dei rifugiati e degli sfollati palestinesi di ritornare alle loro case dalle quali sono stati cacciati o a cui è stato impedito di tornare – sia nelle terre occupate nel 1948 che in quelle occupate nel 1967 (cioè l’intera Palestina) – è un diritto naturale, sia individuale che collettivo. Questo diritto è confermato da tutte le leggi divine e dai principi fondamentali dei diritti umani e del diritto internazionale. Si tratta di un diritto inalienabile e non può essere soppresso da nessuna delle parti, sia essa palestinese, araba o internazionale.
13. Hamas respinge tutti i tentativi di cancellare i diritti dei rifugiati, compresi i tentativi di collocarli fuori dalla Palestina e attraverso i progetti di patria alternativa. Il risarcimento dei profughi palestinesi per i danni subiti in seguito all’esilio e all’occupazione della loro terra è un diritto assoluto che va di pari passo con il loro diritto al ritorno. I profughi palestinesi devono ricevere un indennizzo al loro rientro e questo non nega o diminuisce il loro diritto al ritorno.


Il progetto sionista

14. Il progetto sionista è un progetto razzista, aggressivo, coloniale ed espansionistico basato sull’appropriazione delle proprietà altrui; è ostile al popolo palestinese e alla sua aspirazione alla libertà, alla liberazione, al ritorno e all’autodeterminazione. L’entità israeliana è il giocattolo del progetto sionista e la base per la sua aggressione.
15. Il progetto sionista non si rivolge solo al popolo palestinese, ma è nemico della Ummah araba e islamica e costituisce una grave minaccia alla sua sicurezza e ai suoi interessi. È anche ostile alle aspirazioni di unità, rinascita e liberazione della Ummah ed è stato la principale fonte dei suoi problemi. Il progetto sionista rappresenta anche un pericolo per la sicurezza e la pace internazionale e per l’umanità, i suoi interessi e la sua stabilità.
16. Hamas afferma che il suo conflitto è con il progetto sionista e non con gli ebrei a causa della loro religione. Hamas non lotta contro gli ebrei perché sono ebrei, ma lotta contro i sionisti che occupano la Palestina. Eppure, sono i sionisti che identificano costantemente l’ebraismo e gli ebrei con il loro progetto coloniale e la loro entità illegale.
17. Hamas rifiuta la persecuzione di qualsiasi essere umano o la soppressione dei suoi diritti per motivi nazionalistici, religiosi o settari. Hamas ritiene che il problema ebraico, l’antisemitismo e la persecuzione degli ebrei siano fenomeni principalmente legati alla storia europea e non alla storia degli arabi e dei musulmani o al loro patrimonio culturale. Il movimento sionista, che è riuscito con l’aiuto delle potenze occidentali ad occupare la Palestina, è la forma più pericolosa di occupazione coloniale che è già scomparsa in gran parte del mondo e deve scomparire dalla Palestina.


La posizione nei confronti dell’occupazione e le soluzioni politiche

18. Sono considerati nulli e non validi: la Dichiarazione Balfour, il Documento del Mandato Britannico, la Risoluzione delle Nazioni Unite sulla spartizione della Palestina e tutte le risoluzioni e le misure che ne derivano o che sono simili ad esse. L’istituzione di “Israele” è del tutto illegale e contravviene ai diritti inalienabili del popolo palestinese e va contro la sua volontà e quella della Ummah; inoltre viola i diritti umani garantiti dalle convenzioni internazionali, primo fra tutti il diritto all’autodeterminazione.
19. Non ci sarà alcun riconoscimento della legittimità dell’entità sionista. Qualsiasi cosa sia accaduta alla terra di Palestina in termini di occupazione, costruzione di insediamenti, giudaizzazione o modifica delle sue caratteristiche o falsificazione dei fatti è illegittima. I diritti non decadono mai.
20. Hamas ritiene che nessuna parte della terra di Palestina debba essere compromessa o ceduta, indipendentemente dalle cause, dalle circostanze e dalle pressioni e a prescindere dalla durata dell’occupazione. Hamas rifiuta qualsiasi alternativa alla piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare. Tuttavia, senza compromettere il suo rifiuto dell’entità sionista e senza rinunciare ad alcun diritto palestinese, Hamas ritiene che l’istituzione di uno Stato palestinese pienamente sovrano e indipendente, con Gerusalemme come capitale secondo i confini del 4 giugno 1967, con il ritorno dei rifugiati e degli sfollati nelle loro case dalle quali sono stati espulsi, sia un principio di consenso nazionale.
21. Hamas afferma che gli accordi di Oslo e le loro integrazioni contravvengono alle regole del diritto internazionale in quanto generano impegni che violano i diritti inalienabili del popolo palestinese. Pertanto, il Movimento rifiuta questi accordi e tutto ciò che ne deriva, come gli obblighi che sono dannosi per gli interessi del nostro popolo, in particolare il coordinamento della sicurezza (collaborazione).
22. Hamas respinge tutti gli accordi, le iniziative e i progetti di insediamento che tendono a minare la causa palestinese e i diritti del nostro popolo palestinese. A questo proposito, qualsiasi posizione, iniziativa o programma politico non deve in alcun modo violare questi diritti e non deve contravvenire o contraddirli.
23. Hamas sottolinea che la violenza contro il popolo palestinese, l’usurpazione della sua terra e l’esilio dalla sua patria non possono essere chiamati pace. Qualsiasi accordo raggiunto su questa base non porterà alla pace. La resistenza e la jihad per la liberazione della Palestina rimarranno un diritto legittimo, un dovere e un onore per tutti i figli e le figlie del nostro popolo e della nostra Ummah.


Resistenza e liberazione

24. La liberazione della Palestina è un dovere del popolo palestinese in particolare e della Ummah araba e islamica in generale. Si tratta anche di un obbligo umanitario, reso necessario dai principi di verità e giustizia. Le organizzazioni che lavorano per la Palestina, siano esse nazionali, arabe, islamiche o umanitarie, si completano a vicenda e sono in armonia e non in conflitto tra loro.
25. Resistere all’occupazione con tutti i mezzi e i metodi è un diritto legittimo garantito dalle leggi divine e dalle norme e leggi internazionali. Al centro di queste c’è la resistenza armata, che è considerata la scelta strategica per proteggere i principi e i diritti del popolo palestinese.
26. Hamas respinge qualsiasi tentativo di minare la resistenza e le sue armi. Afferma inoltre il diritto del nostro popolo a sviluppare i mezzi e i meccanismi della resistenza. La gestione della resistenza, in termini di escalation o de-escalation, o in termini di diversificazione dei mezzi e dei metodi, è parte integrante del processo di gestione del conflitto e non dovrebbe andare a scapito del principio della resistenza.


Il sistema politico palestinese

27. Un vero Stato di Palestina è uno Stato liberato. Non c’è alternativa a uno Stato palestinese pienamente sovrano sull’intero suolo nazionale palestinese, con Gerusalemme come capitale.
28. Hamas crede e aderisce alla gestione delle relazioni con la Palestina sulla base del pluralismo, della democrazia, del partenariato nazionale, dell’accettazione dell’altro e dell’adozione del dialogo. L’obiettivo è quello di rafforzare l’unità dei ranghi e l’azione congiunta al fine di realizzare gli obiettivi nazionali e soddisfare le aspirazioni del popolo palestinese.
29. L’OLP è una struttura nazionale per il popolo palestinese all’interno e all’esterno della Palestina. Pertanto, dovrebbe essere preservata, sviluppata e ricostruita su basi democratiche, in modo da assicurare la partecipazione di tutti i costituenti e le forze del popolo palestinese, in modo da salvaguardare i diritti dei palestinesi.
30. Hamas sottolinea la necessità di stabilire le istituzioni nazionali palestinesi su solidi principi democratici, primo fra tutti quello di elezioni libere ed eque. Tale processo dovrebbe avvenire sulla base di un partenariato nazionale e in conformità con un programma e una strategia chiari che aderiscano ai diritti, compreso il diritto alla resistenza, e che soddisfino le aspirazioni del popolo palestinese.
31. Hamas afferma che il ruolo dell’Autorità Palestinese dovrebbe essere quello di servire il popolo palestinese e salvaguardare la sua sicurezza, i suoi diritti e il suo progetto nazionale.
32. Hamas sottolinea la necessità di mantenere l’indipendenza del processo decisionale nazionale palestinese. Non si deve permettere a forze esterne di intervenire. Allo stesso tempo, Hamas afferma la responsabilità degli arabi e dei musulmani e il loro dovere e ruolo nella liberazione della Palestina dall’occupazione sionista.
33. La società palestinese è arricchita dalle sue personalità di spicco, dalle figure, dai dignitari, dalle istituzioni della società civile e dai gruppi di giovani, studenti, sindacalisti e donne che insieme lavorano per il raggiungimento degli obiettivi nazionali e la costruzione della società, perseguono la resistenza e raggiungono la liberazione.
34. Il ruolo delle donne palestinesi è fondamentale nel processo di costruzione del presente e del futuro, così come lo è sempre stato nel processo di costruzione della storia palestinese. È un ruolo centrale nel progetto di resistenza, liberazione e costruzione del sistema politico.


La Ummah araba e islamica

35. Hamas ritiene che la questione palestinese sia la causa centrale della Ummah araba e islamica.
36. Hamas crede nell’unità della Ummah con tutti i suoi diversi costituenti ed è consapevole della necessità di evitare qualsiasi cosa che possa frammentare la Ummah e minare la sua unità.
37. Hamas crede nella cooperazione con tutti gli Stati che sostengono i diritti del popolo palestinese. Si oppone all’intervento negli affari interni di qualsiasi Paese. Rifiuta inoltre di essere coinvolto nelle dispute e nei conflitti che si verificano tra i diversi Paesi. Hamas adotta una politica di apertura verso i diversi Stati del mondo, in particolare verso gli Stati arabi e islamici. Cerca di stabilire relazioni equilibrate sulla base di una combinazione tra le esigenze della causa palestinese e gli interessi del popolo palestinese da un lato e gli interessi della Ummah, della sua rinascita e della sua sicurezza dall’altro.


L’aspetto umanitario e internazionale

38. La questione palestinese ha aspetti umanitari e internazionali rilevanti. Sostenere e appoggiare questa causa è un obiettivo umanitario e di civiltà, richiesto dai presupposti di verità, giustizia e valori umanitari comuni.
39. Dal punto di vista giuridico e umanitario, la liberazione della Palestina è un’attività legittima, è un atto di autodifesa ed è l’espressione del diritto naturale di tutti i popoli all’autodeterminazione.
40. Nelle sue relazioni con le nazioni e i popoli del mondo, Hamas crede nei valori della cooperazione, della giustizia, della libertà e del rispetto della volontà dei popoli.
41. Hamas accoglie con favore le posizioni di Stati, organizzazioni e istituzioni che sostengono i diritti del popolo palestinese. Rende omaggio ai popoli liberi del mondo che sostengono la causa palestinese. Allo stesso tempo, denuncia il sostegno concesso da qualsiasi soggetto all’entità sionista o i tentativi di coprire i suoi crimini e le sue aggressioni contro i palestinesi e chiede il perseguimento dei criminali di guerra sionisti.
42. Hamas rigetta i tentativi di imporre l’egemonia sulla Ummah araba e islamica, così come respinge i tentativi di imporre l’egemonia sul resto delle nazioni e dei popoli del mondo. Hamas condanna anche tutte le forme di colonialismo, occupazione, discriminazione, oppressione e aggressione nel mondo.



mercoledì 5 giugno 2024

Alastair Crooke - Un Novus Ordo Saeculorum incombe. Si deve cambiare, non ci sono alternative

 


Traduzione da Strategic Culture, 3 giugno 2024.

Walter Münchau ha scritto che in occasione di una visita a Oxford qualche settimana fa Josep Borrell, l'Alto rappresentante dell'Unione Europea, ha fatto un'osservazione interessante: "La diplomazia è l'arte di gestire due pesi e due misure". Münchau ne ha illustrato l'intrinseca ipocrisia contrapponendo l'entusiasmo con cui i leader dell'Unione Europea hanno accolto lo scorso anno la decisione della Corte penale internazionale di chiedere un mandato d'arresto contro Putin e "la nulla disponibilità a prenderne atto quando colpisce qualcuno dei vostri", cioè Netanyahu. L'esempio più eclatante di questo doppio modo di ragionare riguarda un fenomeno correlato, ovvero la "gestione" da parte dell'Occidente delle realtà che esso stesso ha creato. Si mette in piedi una narrativa in cui l'Occidente vince, e la si contrappone a una in cui gli altri perdono.
Il ricorso alla creazione di narrative vittoriose invece che a vittorie vere e proprie può sembrare piuttosto intelligente, ma l'incertezza che questo provoca può avere conseguenze impreviste e potenzialmente disastrose. Ad esempio, le minacce volutamente confuse del Presidente Macron di inviare forze NATO in Ucraina hanno solo contribuito a far sì che la Russia si preparasse a una guerra di più vasta portata contro tutta la NATO, accelerando le sue operazioni offensive.
Invece di scoraggiare l'avversario, come probabilmente intendeva fare Macron, questa iniziativa lo ha reso più determinato: Putin ha avvertito che la Russia avrebbe ucciso qualsiasi "invasore" della NATO. Non è stata una mossa molto intelligente, dopo tutto.
Prendiamo come esempio più concreto la risposta data dal Presidente Putin a una domanda in conferenza stampa durante la sua visita in Uzbekistan: "Questi rappresentanti dei Paesi della NATO, soprattutto in Europa, ...prima ci hanno provocato nel Donbass; ci hanno preso per il naso per otto anni, ci hanno deliberatamente ingannato facendoci credere che loro [l'Occidente] volessero risolvere le cose in modo pacifico nonostante il loro tentativo, secondo ogni apparenza di segno opposto, di forzare la situazione "verso la pace" ricorrendo alle armi. Poi ci hanno ingannato durante il processo negoziale", ha proseguito Putin, "dal momento che avevano deciso segretamente a priori di battere la Russia sul campo di battaglia e quindi di infliggerle una sconfitta strategica. Questa costante escalation può portare a gravi conseguenze (Putin si riferisce probabilmente a uno scambio di salve di missili di crescente intensità che potrebbe portare addirittura all'uso di armi nucleari). Se queste gravi conseguenze si verificano in Europa, come si comporteranno gli Stati Uniti in considerazione del fatto che siamo alla pari quanto ad armamenti strategici? Vogliono un conflitto globale? È difficile dirlo... Vediamo cosa succederà", ha concluso. [Questa è una parafrasi di quella che è stata una lunga e dettagliata serie di domande e risposte].
Naturalmente, alcuni in Occidente diranno che questa è solo la versione russa e che l'Occidente ha sempre agito in modo razionale in risposta alle iniziative di Mosca.
Pensiero razionale e ragionevolezza vengono pretestuosamente considerati qualità che definiscono l'Occidente; un retaggio di Platone e di Aristotele. Tuttavia, tentare di rifarsi al solo razionalismo laico come strumento analitico predominante per comprendere gli eventi geopolitici può essere un errore. Uno strumento tanto limitato, infatti, costringe a tralasciare grossolanamente le dinamiche più profonde della storia e del contesto, e questo rischia di portare ad analisi distorte e risposte politiche sbagliate.
Per essere chiari: cosa ha ottenuto questa diplomazia fallace? Ha portato Mosca alla totale sfiducia nei confronti dei leader europei, con cui non vorrebbe avere più nulla a che fare. È "razionale" lasciare che protagonisti di primo piano come Putin si chiedano se la Russia si trovi davvero di fronte a un Occidente determinato a "infliggerle una sconfitta strategica", o se Washington voglia solo costruire una “narrazione vincente” in vista delle elezioni di novembre?
Putin ha sottolineato (durante la conferenza stampa) che le armi di alta precisione a lungo raggio basate in Ucraina (come l'ATACMS) sono approntate sulla base di "informazioni e ricognizioni spaziali", che vengono poi tradotte automaticamente nelle impostazioni del missile alla volta del bersaglio designato; gli operatori forse non capiscono nemmeno quali coordinate stanno inserendo come obiettivo. Preparare un missile ad alta precisione è un compito complesso che non viene svolto da militari ucraini, ma da rappresentanti di Paesi della NATO, ha sottolineato Putin.
Putin sta dicendo: "Voi europei, che fornite e gestite queste armi, in guerra con la Russia lo siete già". Cercare di barcamenarsi fra due pesi e due misure in questo caso non funzionerà; non è che si può sostenere che, una volta recapitate, le munizioni che si forniscono diventano ucraine come per magia, e raccontare dall'altra parte che la NATO, con i suoi mezzi di sorveglianza, i suoi tecnici ISR e i suoi esperti di missili non significano guerra con la Russia.
Nelle sue risposte esplicite, Putin ha dato all'Occidente un chiaro avvertimento: i rappresentanti dei Paesi della NATO, soprattutto in Europa e soprattutto nei piccoli paesi, dovrebbero essere consapevoli di cosa stanno stuzzicando.
Eppure, in Europa l'idea di colpire in profondità la Russia viene presentata come del tutto razionale, pur sapendo che tali attacchi in Russia non cambieranno il corso della guerra. In parole povere, Putin sta dicendo che la Russia può solo interpretare le dichiarazioni e le azioni occidentali come deliberatamente rivolte ad ampliare il conflitto.
La stessa narrativa all'insegna dei due pesi e delle due misure si può dire che valga anche per lo stato sionista. Netanyahu e il suo governo sono presentati come un'entità messianica che persegue fini ultimi di ispirazione biblica. L'Occidente sostiene invece di perseguire semplicemente la propria comprensione razionale di ciò che è nel vero interesse dello stato sionista, ossia la soluzione dei due Stati.
Può essere scomodo dirlo, ma lo Zeitgeist non laico e non razionalista di Netanyahu riflette probabilmente una pluralità di opinioni esistenti oggi nello stato sionista. In altre parole che piaccia o meno -e a quasi tutto il mondo non piace- è qualcosa di comunque autentico. È quello che è, e quindi non ha molto senso elaborare politiche strettamente laiche che si limitino a ignorare questa realtà. A meno che non ci sia la volontà di cambiare radicalmente questo stato di cose, e cioè di imporre uno Stato palestinese con la forza.
La realtà è che in Medio Oriente si sta preparando una resa dei conti. E sulla sua scia, col sopraggiunto sfinimento di una o dell'altra parte, una corrente politica o un cambiamento di mentalità qualora lo stato sionista riconsiderasse l'atteggiamento per cui un gruppo deve godere di prerogative speciali rispetto a un altro con cui vive in una terra condivisa, potrebbero inaugurare un percorso più produttivo verso una soluzione, in un modo o nell'altro.
Ancora una volta, insistere su un'ottica laica e materialista invita a una lettura errata del terreno e può peggiorare le cose mettendo lo stato sionista all'angolo, adesso che ci troviamo sull'orlo di una massiccia escalation.
Quando Gantz -che viene considerato una possibile e più ragionevole alternativa a Netanyahu- chiede elezioni anticipate, le chiede, scrive Roger Alpher su Haaretz,
per rinnovare il contratto tra il popolo e il governo e per mobilitarsi per una seconda guerra di indipendenza. Secondo questa nuova visione lo stato sionista si trova all'inizio di una lunga e sanguinosa guerra per la sopravvivenza.
Gantz non è una persona laica; la sua è una mentalità religiosa... Quando accusa Netanyahu di portare secondi fini come le questioni della difesa in quello che egli definisce "santo dei santi", Gantz sta esprimendo la sua religiosa fiducia nella fede della nazione. Lo Stato è sacro, lo Stato prima di ogni altra cosa.
Le sue divergenze di opinione con Netanyahu stanno mettendo in secondo piano l'esistenza di un ampio consenso che comprende Yair Golan, Bezalel Smotrich, Yair Lapid, Avigdor Lieberman, Naftali Bennett, Yossi Cohen e il partito Likud con o senza Netanyahu e che insiste sul fatto che la guerra è la cosa essenziale. Il pubblico dello stato sionista è un eroe grazie alla guerra. Dà le sue migliori prove durante le guerre: una nazione non può toccare punti spiritualmente pià elevati che non l'amore per il sacrificio nel “portare la barella”, come si dice nello stato sionista.
In parole povere Gantz -come Netanyahu- non appartiene al campo laico dell'Occidente liberale.
Ed è qui che entra in gioco l'idea dei due pesi e delle due misure di cui ha scritto Josep Borrell: L'Europa o gli Stati Uniti possono continuare a tollerare una weltanschauung sionista così irrazionale, con tutte le implicazioni negative che comporta per un'egemonia statunitense sempre più instabile?
Ebbene, c'è una certa "razionalità" nella visione di Netanyahu, ma non è radicata nella nostra ontologia meccanicistica.
Forse anche i riferimenti biblici di Netanyahu ad Amalek, il popolo che Re Saul aveva ordinato di annientare, toccano i nervi scoperti dell'Occidente: l'Illuminismo scientifico non avrebbe dovuto porre fine a ontologie di questo genere? Forse essa ricorda forse all'Occidente i propri peccati coloniali?
Il professor Michael Vlahos, che ha insegnato studi strategici alla Johns Hopkins University e all'U.S. Naval War College ed è stato direttore del Centro Studi Esteri del Dipartimento di Stato, sostiene che anche l'AmeriKKKa è caratterizzata da un credo religioso logorato dal perenne ricorrere di un destino escatologico, e che la guerra è il suo rituale di purificazione":
I Padri Fondatori -coloro che hanno creato il nostro paese- avevano immaginato qualcosa di più di una nazione... Avevano anche abbozzato l'arco narrativo di un viaggio divinamente eroico, mettendo gli Stati Uniti al centro della Storia come vetta da raggiungere. Questa è la narrazione sacra dell'AmeriKKKa. Fin dalla fondazione, gli Stati Uniti si sono sentiti investiti con ardente fervore religioso da una chiamata di ordine superiore a redimere l'umanità, punire i malvagi e dare il via a un'età dell'oro sulla terra.
Mentre Francia, Gran Bretagna, Germania e Russia si aggiravano per il mondo alla ricerca di nuove colonie e conquiste, l'AmeriKKKa si è costantemente attenuta alla peculiare visione di avere una missione divina in qualità di "Nuovo Israele di Dio".
Così, tra tutte le rivoluzioni scatenate dalla modernità, gli Stati Uniti si dichiarano nei loro stessi fondamenti il pioniere e l'apripista dell'umanità. L'AmeriKKKa è la nazione eccezionale: unica, pura di cuore, salvatrice e redentrice di tutti i popoli disprezzati e oppressi: L'"ultima, migliore speranza della terra".
Il Presidente Biden ha così pontificato proprio a West Point il 25 maggio 2024: "Grazie alle Forze Armate statunitensi, stiamo facendo ciò che solo l'AmeriKKKa può fare come nazione indispensabile... come unica superpotenza mondiale e principale democrazia del mondo. Gli Stati Uniti si oppongono ai tiranni in tutto il mondo e proteggono la libertà contro ogni angustia. Stiamo affrontando un uomo [Putin] che conosco bene da molti anni, un tiranno brutale. Non possiamo tirarci indietro, e non ci tireremo indietro".
Questo è il catechismo della "religione civile ameriKKKana", spiega il professor Vlahos:
Agli occhi del mondo tutto questo può sembrare un rituale di vanità egoistica, eppure questa religione civile è l'articolo di fede nazionale degli ameriKKKani. È la Sacra Scrittura, che prende forma retorica attraverso quella che gli americani considerano la Storia.
La religione civile ameriKKKana è inestricabilmente legata alla Riforma, al cristianesimo calvinista e alla sanguinosa storia del protestantesimo, con la sacrale narrazione dell'AmeriKKKa plasmata e consacrata tramite il primo e il secondo dei Grandi Risvegli del Paese. Nell'era del progresso il suo rifarsi alle sacre scritture ha preso un'impronta laica, ma la religione ameriKKKana è rimasta legata alle sue radici fondanti. Infatti, anche la Chiesa del Woke a noi contemporanea non è in grado di rifuggire dalle sue origini cristiane calviniste.
Dal 2014, come una setta nuova e in rapida crescita, la "Chiesa del Woke" ha cercato di trasformare e informare pienamente di sé la religione civile ameriKKKana, per succedervi come fede sovrana.
Ironicamente, il fervore del suo evangelismo incanala il post-millenarismo del Primo Grande Risveglio, il cui messianismo è stato codificato nel Novus Ordo Saeculorum.
Qual è il punto fondamentale? Hubert Védrine, ex ministro degli Esteri francese e segretario generale della presidenza francese sotto il presidente Mitterrand, afferma che l'Occidente -Europa compresa- in quanto "discendente della cristianità [latina]" è "imbevuto dello spirito del proselitismo".
L'esortazione per San Paolo, "andate e fate discepoli tutti i popoli" è diventato "andate e diffondete i diritti umani in tutto il mondo"... Questo proselitismo è profondamente radicato nel nostro DNA: "Anche i meno religiosi, i totalmente atei - hanno ancora questa mentalità, [anche se] non sanno da dove viene".
È questo il nervo scoperto? "Gli Stati Uniti come nuovo Israele" -secondo il professor Vlahos- che non può essere guardato direttamente negli occhi? Se ci guardiamo allo specchio, è questo che vediamo? "Questa è di gran lunga la questione più profonda e importante che l'Occidente deve affrontare", afferma Védrine.
"L'Occidente è in grado di accettare l'alterità? Può vivere con gli altri e accettarli per quello che sono... un Occidente che non fa proselitismo e non è interventista?", si chiede.
La sua risposta? "Non c'è scelta". Assolutamente no.
Non diventeremo i padroni del mondo che verrà. Quindi siamo costretti a pensare oltre; siamo costretti a immaginare un nuovo rapporto per il futuro tra il mondo occidentale e il famoso Sud globale.
Cosa succede se non riusciamo ad accettarlo? Continueremo a essere emarginati, a essere tagliati fuori sempre più dal resto del mondo, e saremo sempre più disprezzati per il nostro mal riposto senso di superiorità.

Novus Ordo Saeculorum, "un nuovo ordine dei tempi" in latino, è una delle due frasi che figurano sul retro del sigillo ufficiale degli Stati Uniti. L'altra frase, "Annuit coeptis" si traduce come "Egli acconsente alle nostre imprese".