Maccaruna 'e Napule (fonte: fxcuisine.com). Nonostante i cento e più anni trascorsi l'immagine è quella che a tutt'oggi meglio descrive la retorica "nazionalista" costruita per lo stato che occupa la penisola italiana; un nazionalismo costruito sulle "fettuccine Alfredo" non ha, probabilmente alcun eguale al mondo.
Chi volesse attualizzare l'immagine potrebbe aggiungervi riferimenti ad altri fondamentali "valori occidentali" nel frattempo affermatisi, quali l'utilizzo di stupefacenti, la frequentazione di prostitute, il pallonaio televisivo e non, la pornografia, l'incultura percepita e presentata come motivo di vanto...
Chi volesse attualizzare l'immagine potrebbe aggiungervi riferimenti ad altri fondamentali "valori occidentali" nel frattempo affermatisi, quali l'utilizzo di stupefacenti, la frequentazione di prostitute, il pallonaio televisivo e non, la pornografia, l'incultura percepita e presentata come motivo di vanto...
Il sistema scolastico in essere nello stato che occupa la penisola italiana prevede, alla conclusione di un ciclo di istruzione secondaria, un esame cui è rimasto l'irritante nome di "maturità", correzioni leguleie nonostante.
Financo nella denominazione, l'esame incombente è di solito motivo per sottoporre le scolaresche a tirate pseudopedagogiche e pseudovaloriali che indicano nel comportamento ossequioso verso il potere politico ed economico e tutti i loro rappresentanti, fino ai più infimi, l'unico atteggiamento socialmente accettato ed accettabile sotto pena di marginalizzazione, stigmatizzazione, dropping out immediato e privo di rimedio.
Niente su cui ridire: in un "Occidente" in cui gli unici comportamenti non demonizzati sono quelli di consumo, il cui incoraggiamento è in ogni sede proporzionale alla loro irresponsabilità, il valore adattivo di certe direttive è indiscutibile.
In scuoline, scuolette, Prestigiosi e Selettivi Istituti, famiglie ed altri luoghi deputati alla socializzazione organizzativa, con "maturità" si intende sostanzialmente la supina accettazione dello stato di cose presente e dei "valori" dominanti, con particolare riguardo a quelli graditi ad un potere politico per il quale la riduzione a suddito di qualunque individuo non si riconosca in comportamenti di consumo arrivati da decenni all'ossessione e al vomito è una priorità irrinunciabile.
Con premesse di questo tipo, è ovvio che i casi di immaturità conclamata si susseguano fino ad età poco compatibili con la giovinezza e che il più delle volte si concretizzino in comportamenti economici distruttivi o irresponsabili, rendendo la "maturità" di cui sopra, nella sua residua accezione di "adozione di comportamenti responsabili e consapevoli", ancor più degna di irrisione sarcastica di quanto non lo sia di per sé.
Il problema è che la stessa adesione ai "valori" sostenuti dal potere sta diventando difficile. L'erosione continua del potere d'acquisto sta falciando ormai da decenni -ché non si tratta certo di una crisi passeggera- redditi ed ambizioni dei sudditi. Globalizzazione non significa soltanto che esistono zone di Mumbai dove si vive come a Milano, ma anche e soprattutto che esistono zone di Milano dove si vive come a Mumbai. Questo falcidiamento dei redditi e del potere d'acquisto va per giunta a colpire una generazione che in molti casi ha scientemente considerato formazione, preparazione e competenza come zavorre di cui liberarsi: lo stato che occupa la penisola italiana costituisce per più versi un caso unico al mondo ed uno dei motivi di questo sta nel fatto che il disprezzo per la competenza e per la cultura vi godono di un'approvazione sociale estesa, crescente e coltivata con ogni cura da un potere politico interessatissimo a mantenere con ogni mezzo un clima sociale che impedisca ai sudditi di chiedere conto a politici ed amministratori più o meno eletti del peggioramento sistematico delle condizioni di vita e dell'incredibile affastellarsi di promesse non mantenute.
Il potere politico, nello stato che occupa la penisola italiana, è da decenni espressione stessa del lobbysmo mediatico al punto che gli appartenenti all'uno e all'altro sono intercambiabili o, nel migliore dei casi, legati a doppio filo. Esistono cose in cui la classe politica non si riconosce affatto e che costituiscono un passato ingombrante, oggetto di alcuni ben finanziati tentativi di riscrittura demandati a professionisti o similprofessionisti della storiografia, incaricati di fornire pezze d'appoggio alla vulgata "occidentalista" da passare ai mass media del mainstream.
E' possibile identificare con facilità almeno due filoni in questo tipo di riscritture.
Il primo, di ambiente leghista e sedicente cattolico, punta da qualche lustro ad una profonda revisione del processo che nel XIX secolo portò all'unificazione territoriale della penisola. Le insorgenze antifrancesi ed antigiacobine, le "controrivoluzioni" in cui si vogliono riconoscere analogie a quanto avvenuto in Vandea, il brigantaggio, le monarchie e le repubbliche peninsulari sono oggetto di una riscoperta che copre tutto l'areale compreso tra il serissimo approfondimento accademico e, più spesso, la cialtronata buona per i mangiatori di radicchio della bassa trevigiana. Lo scopo neanche tanto recondito di simili approfondimenti sta nella costruzione di un "mito fondante" alternativo a quello che permea la divulgazione storica nello stato che occupa la penisola italiana, nella prospettiva di una sua completa sostituzione.
Il secondo filone, di ambiente destrorso e scrostato solo negli ultimi anni dai sottoscala cui era relegato da sei decenni almeno ed in cui vivacchiava producendo centoni memorialistici e aneddotici, è dedito ad un ancora più sterile coltivazione di miti piagnucolosi basati sulla presunzione d'innocenza del regime autoritario che per una ventina d'anni blindò le istituzioni dello stato che occupa la penisola italiana, ai tempi retto nientemeno che da una monarchia ereditaria.
Questo secondo filone è quello che più influenza al momento gli ambienti "culturali" ammessi al finanziamento statale e l'istruzione in genere, dovendo il primo contentarsi di qualche produzione cinematografica e di qualche tradizione inventata su misura, perché dagli stessi sottoscala arriva la classe "politica" che ha sciamato ovunque e che non dà alcun segno di rendersi conto dell'autoreferenzialità ebete e della somma cialtroneria di certe riscritture.
Per la "maturità" su disprezzata, chi di dovere ha partorito una serie di "tracce" tra cui, ci dicono, spicca uno Star Treck che non si sa bene cosa sia ma che si vuole abbia a che fare con certa "fantascienza".
E' normale che gli "occidentalisti" spingano la loro abituale protervia oltre i limiti della cecità. Tra essi "occidentalisti" è ancora diffusa l'ammirazione per uno grasso di Predappio che partendo dalla poltroncina di gazzettiere finì alla poltrona di primo ministro con il macchinone e la ganza, in questo corrispondendo alla grande agli ideali di fondo dell'"occidentalismo" contemporaneo che vedono nell'ostentazione di lussi grossolani, nel cacciarlo in corpo alle ragazzine e nell'ingrassare in modo debordante la piena realizzazione delle potenzialità umane. L'epilogo non fu dei migliori: dopo essere riuscito a cacciare la penisola italiana dentro un'evitabilissima tragedia mondiale, fu catturato mentre scappava con addosso una divisa straniera e fu appeso per i piedi, con il cranio sbriciolato a colpi di mitra, a finire di sgrondare il proprio sangue sul selciato di una piazza milanese.
Come gazzettiere prima e come primo ministro poi, quel romagnolo aveva scritto interi faldoni di idiozie giovanilistiche. Eppure, chissà chi non ha trovato di meglio che proporre agli esaminandi la trascrizione di un discorso, menzognero fin nelle virgole, in cui questo signore rivendicava la piena responsabilità "politica, morale, storica" del rapimento di un deputato avversario avvenuto nel 1924 e finito in omicidio essenzialmente grazie alla cialtroneria di chi l'aveva commesso, essendo l'autoritarismo peninsulare mediocre in tutto, anche nel delinquere, e come tale timoroso perfino del ricorso all'assassinio politico in un'epoca in cui esso rappresentava la prassi ordinaria ad ogni latitudine. Un assassinio politico che fu rivendicato e fatto proprio soltanto quando fu dissolto ogni pericolo di dover liberare -con le buone o con le cattive- un po' di poltrone e andare nel migliore dei casi a cercarsi un lavoro qualunque.
E' probabile che la cialtroneria di fondo che caratterizzò -assieme alla bassezza menzognera, all'incompetenza, all'invidia, ad un nazionalismo revanscista e sostanzialmente ridicolo prima e ancora che pericoloso- i vent'anni di autoritarismo che caratterizzarono la prima metà del XX secolo nella penisola italiana abbiano affascinato ambienti politici che in essa cialtroneria a tutt'oggi si riconoscono, così come si riconoscono negli altri demeriti della classe politica di quei tempi.
Il pezzo forte del"P000 - Esami di stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore" è però un "tema di argomento storico" di cui questa è la traccia:
Ai sensi della legge 30 marzo 2004, n. 92, “la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Il candidato delinei la “complessa vicenda del confine orientale”, dal Patto (o Trattato) di Londra (1915) al Trattato di Osimo (1975), soffermandosi, in particolare, sugli eventi degli anni compresi fra il 1943 e il 1954.
"Ai sensi della legge". Facile, farci dell'ironia. Da un incipit come questo pare quasi che il senso della citata "legge" sia quello di imporre a chicchessia lo svolgimento di temi d'argomento storico (sotto pena di chissà quale sanzione) ma andiamo avanti.
La parte interessante della traccia sta nell'esplicita richiesta di centrare lo svolgimento sugli anni compresi tra il 1943 ed il 1954.
La "Giornata del ricordo" è stata oggetto di pesanti e motivate critiche fin dal momento della sua istituzione, centrate sulla miriade di punti deboli di quella che appare essere il risultato di un'operazione propagandistica da imporre ai sudditi più che quello di una ricerca storiografica accurata e motivante. In particolare, la natura propagandistica dell'iniziativa e della connessa "legge" emerge chiaramente perfino dalle righe che riportiamo, in cui si impone a chi svolge il tema una sostanziale scotomizzazione degli eventi di un determinato periodo storico, cosicché ne restino in ombra i presupposti.
Un rimanere in ombra dei presupposti che porta giocoforza acqua al mulino della revisione e della riabilitazione, portando a postulare la malvagità metafisica del Nemico e la bontà, altrettanto metafisica, di coloro che facevano capo allo stato che occupava -e che occupa- la penisola italiana.
L'operazione non ha portato, una volta di più, i frutti sperati, nonostante il battage ed i cospicui investimenti propagandistici che gli "occidentalisti" hanno compiuto sulla questione e che rappresentano il raggio di una ruota che in realtà ne conta numerosi altri, tutti tesi a rendere presentabile un "nazionalismo" ed un "orgoglio nazionale" che presentabili non sono, non saranno mai, e che sono da sempre oggetto di scoperto e giustificatissimo dileggio.
Secondo dati non sapremmo quanto attendibili, il tema delle foibe sarebbe stato scelto dallo 0,6% dei candidati. Circa tremila individui.
I motivi fondamentali di questa disaffezione possono essere rintracciati in molti settori, ma la spiegazione più probabile è anche la più semplice. La storia contemporanea viene, e da decenni, sistematicamente trascurata dall'insegnamento secondario, solitamente adducendo tra i motivi più correnti le poche ore di lezione disponibili in cui vanno stipati programmi pletorici.
Tra i micropolitici "occidentalisti" che spoltronano a Firenze ce ne sono molti che hanno avuto una "carriera" scolastica ed accademica di una lunghezza decisamente sproporzionata rispetto ai titoli conseguiti ed ai meriti riconosciuti; la familiarità con l'ambiente scolastico deve aver comunque messo qualcuno di costoro in condizione di piazzarvi i propri delatori. E si sa che la delazione, in un ambiente di totale ed infera sovversione come quello "occidentalista", viene considerata un comportamento virtuoso cui instradare i sudditi fin dalla prima adolescenza ed è dunque un'arma politica di ordinarissimo utilizzo, specie quando, come in questo caso, ci sono impianti propagandistici da difendere.
Proprio in una delazione andò ad incappare, all'inizio del 2010, una docente di scuola inferiore della fiorentina scuola media Botticelli che ha avuto il torto di rimettere al loro posto i commemoratori scotomizzati. Sostenere che la storia non comincia nel 1943 è un crimen laesae maiestatis perché rischia di restituire ai propagandisti il ruolo di pastapipos che, molto giustamente, li stigmatizza in qualunque realtà del pianeta diversa dalle redazioni del giornalame più servo.
Il punto è che nonostante gli interventi delatori e la visibilità mediatica assegnata alle istanze "occidentaliste" dal gazzettame, a spese di chiunque ne faccia notare la pochezza irritante ed i sottofondi menzogneri ed interessati, la "commemorazione" delle "vittime delle foibe" è ed è rimasta roba da conventicola.
Unico modo per consolarsi, addossare la colpa al temuto giudizio dei "professori rossi", come ha tentato di fare "Il Giornale della Toscana" del 23 giugno 2010, in una di quelle geremiadi per mentecatti per le quali quella gazzetta è giustamente famosa.
Financo nella denominazione, l'esame incombente è di solito motivo per sottoporre le scolaresche a tirate pseudopedagogiche e pseudovaloriali che indicano nel comportamento ossequioso verso il potere politico ed economico e tutti i loro rappresentanti, fino ai più infimi, l'unico atteggiamento socialmente accettato ed accettabile sotto pena di marginalizzazione, stigmatizzazione, dropping out immediato e privo di rimedio.
Niente su cui ridire: in un "Occidente" in cui gli unici comportamenti non demonizzati sono quelli di consumo, il cui incoraggiamento è in ogni sede proporzionale alla loro irresponsabilità, il valore adattivo di certe direttive è indiscutibile.
In scuoline, scuolette, Prestigiosi e Selettivi Istituti, famiglie ed altri luoghi deputati alla socializzazione organizzativa, con "maturità" si intende sostanzialmente la supina accettazione dello stato di cose presente e dei "valori" dominanti, con particolare riguardo a quelli graditi ad un potere politico per il quale la riduzione a suddito di qualunque individuo non si riconosca in comportamenti di consumo arrivati da decenni all'ossessione e al vomito è una priorità irrinunciabile.
Con premesse di questo tipo, è ovvio che i casi di immaturità conclamata si susseguano fino ad età poco compatibili con la giovinezza e che il più delle volte si concretizzino in comportamenti economici distruttivi o irresponsabili, rendendo la "maturità" di cui sopra, nella sua residua accezione di "adozione di comportamenti responsabili e consapevoli", ancor più degna di irrisione sarcastica di quanto non lo sia di per sé.
Il problema è che la stessa adesione ai "valori" sostenuti dal potere sta diventando difficile. L'erosione continua del potere d'acquisto sta falciando ormai da decenni -ché non si tratta certo di una crisi passeggera- redditi ed ambizioni dei sudditi. Globalizzazione non significa soltanto che esistono zone di Mumbai dove si vive come a Milano, ma anche e soprattutto che esistono zone di Milano dove si vive come a Mumbai. Questo falcidiamento dei redditi e del potere d'acquisto va per giunta a colpire una generazione che in molti casi ha scientemente considerato formazione, preparazione e competenza come zavorre di cui liberarsi: lo stato che occupa la penisola italiana costituisce per più versi un caso unico al mondo ed uno dei motivi di questo sta nel fatto che il disprezzo per la competenza e per la cultura vi godono di un'approvazione sociale estesa, crescente e coltivata con ogni cura da un potere politico interessatissimo a mantenere con ogni mezzo un clima sociale che impedisca ai sudditi di chiedere conto a politici ed amministratori più o meno eletti del peggioramento sistematico delle condizioni di vita e dell'incredibile affastellarsi di promesse non mantenute.
Il potere politico, nello stato che occupa la penisola italiana, è da decenni espressione stessa del lobbysmo mediatico al punto che gli appartenenti all'uno e all'altro sono intercambiabili o, nel migliore dei casi, legati a doppio filo. Esistono cose in cui la classe politica non si riconosce affatto e che costituiscono un passato ingombrante, oggetto di alcuni ben finanziati tentativi di riscrittura demandati a professionisti o similprofessionisti della storiografia, incaricati di fornire pezze d'appoggio alla vulgata "occidentalista" da passare ai mass media del mainstream.
E' possibile identificare con facilità almeno due filoni in questo tipo di riscritture.
Il primo, di ambiente leghista e sedicente cattolico, punta da qualche lustro ad una profonda revisione del processo che nel XIX secolo portò all'unificazione territoriale della penisola. Le insorgenze antifrancesi ed antigiacobine, le "controrivoluzioni" in cui si vogliono riconoscere analogie a quanto avvenuto in Vandea, il brigantaggio, le monarchie e le repubbliche peninsulari sono oggetto di una riscoperta che copre tutto l'areale compreso tra il serissimo approfondimento accademico e, più spesso, la cialtronata buona per i mangiatori di radicchio della bassa trevigiana. Lo scopo neanche tanto recondito di simili approfondimenti sta nella costruzione di un "mito fondante" alternativo a quello che permea la divulgazione storica nello stato che occupa la penisola italiana, nella prospettiva di una sua completa sostituzione.
Il secondo filone, di ambiente destrorso e scrostato solo negli ultimi anni dai sottoscala cui era relegato da sei decenni almeno ed in cui vivacchiava producendo centoni memorialistici e aneddotici, è dedito ad un ancora più sterile coltivazione di miti piagnucolosi basati sulla presunzione d'innocenza del regime autoritario che per una ventina d'anni blindò le istituzioni dello stato che occupa la penisola italiana, ai tempi retto nientemeno che da una monarchia ereditaria.
Questo secondo filone è quello che più influenza al momento gli ambienti "culturali" ammessi al finanziamento statale e l'istruzione in genere, dovendo il primo contentarsi di qualche produzione cinematografica e di qualche tradizione inventata su misura, perché dagli stessi sottoscala arriva la classe "politica" che ha sciamato ovunque e che non dà alcun segno di rendersi conto dell'autoreferenzialità ebete e della somma cialtroneria di certe riscritture.
Per la "maturità" su disprezzata, chi di dovere ha partorito una serie di "tracce" tra cui, ci dicono, spicca uno Star Treck che non si sa bene cosa sia ma che si vuole abbia a che fare con certa "fantascienza".
E' normale che gli "occidentalisti" spingano la loro abituale protervia oltre i limiti della cecità. Tra essi "occidentalisti" è ancora diffusa l'ammirazione per uno grasso di Predappio che partendo dalla poltroncina di gazzettiere finì alla poltrona di primo ministro con il macchinone e la ganza, in questo corrispondendo alla grande agli ideali di fondo dell'"occidentalismo" contemporaneo che vedono nell'ostentazione di lussi grossolani, nel cacciarlo in corpo alle ragazzine e nell'ingrassare in modo debordante la piena realizzazione delle potenzialità umane. L'epilogo non fu dei migliori: dopo essere riuscito a cacciare la penisola italiana dentro un'evitabilissima tragedia mondiale, fu catturato mentre scappava con addosso una divisa straniera e fu appeso per i piedi, con il cranio sbriciolato a colpi di mitra, a finire di sgrondare il proprio sangue sul selciato di una piazza milanese.
Come gazzettiere prima e come primo ministro poi, quel romagnolo aveva scritto interi faldoni di idiozie giovanilistiche. Eppure, chissà chi non ha trovato di meglio che proporre agli esaminandi la trascrizione di un discorso, menzognero fin nelle virgole, in cui questo signore rivendicava la piena responsabilità "politica, morale, storica" del rapimento di un deputato avversario avvenuto nel 1924 e finito in omicidio essenzialmente grazie alla cialtroneria di chi l'aveva commesso, essendo l'autoritarismo peninsulare mediocre in tutto, anche nel delinquere, e come tale timoroso perfino del ricorso all'assassinio politico in un'epoca in cui esso rappresentava la prassi ordinaria ad ogni latitudine. Un assassinio politico che fu rivendicato e fatto proprio soltanto quando fu dissolto ogni pericolo di dover liberare -con le buone o con le cattive- un po' di poltrone e andare nel migliore dei casi a cercarsi un lavoro qualunque.
E' probabile che la cialtroneria di fondo che caratterizzò -assieme alla bassezza menzognera, all'incompetenza, all'invidia, ad un nazionalismo revanscista e sostanzialmente ridicolo prima e ancora che pericoloso- i vent'anni di autoritarismo che caratterizzarono la prima metà del XX secolo nella penisola italiana abbiano affascinato ambienti politici che in essa cialtroneria a tutt'oggi si riconoscono, così come si riconoscono negli altri demeriti della classe politica di quei tempi.
Il pezzo forte del"P000 - Esami di stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore" è però un "tema di argomento storico" di cui questa è la traccia:
Ai sensi della legge 30 marzo 2004, n. 92, “la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Il candidato delinei la “complessa vicenda del confine orientale”, dal Patto (o Trattato) di Londra (1915) al Trattato di Osimo (1975), soffermandosi, in particolare, sugli eventi degli anni compresi fra il 1943 e il 1954.
"Ai sensi della legge". Facile, farci dell'ironia. Da un incipit come questo pare quasi che il senso della citata "legge" sia quello di imporre a chicchessia lo svolgimento di temi d'argomento storico (sotto pena di chissà quale sanzione) ma andiamo avanti.
La parte interessante della traccia sta nell'esplicita richiesta di centrare lo svolgimento sugli anni compresi tra il 1943 ed il 1954.
La "Giornata del ricordo" è stata oggetto di pesanti e motivate critiche fin dal momento della sua istituzione, centrate sulla miriade di punti deboli di quella che appare essere il risultato di un'operazione propagandistica da imporre ai sudditi più che quello di una ricerca storiografica accurata e motivante. In particolare, la natura propagandistica dell'iniziativa e della connessa "legge" emerge chiaramente perfino dalle righe che riportiamo, in cui si impone a chi svolge il tema una sostanziale scotomizzazione degli eventi di un determinato periodo storico, cosicché ne restino in ombra i presupposti.
Un rimanere in ombra dei presupposti che porta giocoforza acqua al mulino della revisione e della riabilitazione, portando a postulare la malvagità metafisica del Nemico e la bontà, altrettanto metafisica, di coloro che facevano capo allo stato che occupava -e che occupa- la penisola italiana.
L'operazione non ha portato, una volta di più, i frutti sperati, nonostante il battage ed i cospicui investimenti propagandistici che gli "occidentalisti" hanno compiuto sulla questione e che rappresentano il raggio di una ruota che in realtà ne conta numerosi altri, tutti tesi a rendere presentabile un "nazionalismo" ed un "orgoglio nazionale" che presentabili non sono, non saranno mai, e che sono da sempre oggetto di scoperto e giustificatissimo dileggio.
Secondo dati non sapremmo quanto attendibili, il tema delle foibe sarebbe stato scelto dallo 0,6% dei candidati. Circa tremila individui.
I motivi fondamentali di questa disaffezione possono essere rintracciati in molti settori, ma la spiegazione più probabile è anche la più semplice. La storia contemporanea viene, e da decenni, sistematicamente trascurata dall'insegnamento secondario, solitamente adducendo tra i motivi più correnti le poche ore di lezione disponibili in cui vanno stipati programmi pletorici.
Tra i micropolitici "occidentalisti" che spoltronano a Firenze ce ne sono molti che hanno avuto una "carriera" scolastica ed accademica di una lunghezza decisamente sproporzionata rispetto ai titoli conseguiti ed ai meriti riconosciuti; la familiarità con l'ambiente scolastico deve aver comunque messo qualcuno di costoro in condizione di piazzarvi i propri delatori. E si sa che la delazione, in un ambiente di totale ed infera sovversione come quello "occidentalista", viene considerata un comportamento virtuoso cui instradare i sudditi fin dalla prima adolescenza ed è dunque un'arma politica di ordinarissimo utilizzo, specie quando, come in questo caso, ci sono impianti propagandistici da difendere.
Proprio in una delazione andò ad incappare, all'inizio del 2010, una docente di scuola inferiore della fiorentina scuola media Botticelli che ha avuto il torto di rimettere al loro posto i commemoratori scotomizzati. Sostenere che la storia non comincia nel 1943 è un crimen laesae maiestatis perché rischia di restituire ai propagandisti il ruolo di pastapipos che, molto giustamente, li stigmatizza in qualunque realtà del pianeta diversa dalle redazioni del giornalame più servo.
Il punto è che nonostante gli interventi delatori e la visibilità mediatica assegnata alle istanze "occidentaliste" dal gazzettame, a spese di chiunque ne faccia notare la pochezza irritante ed i sottofondi menzogneri ed interessati, la "commemorazione" delle "vittime delle foibe" è ed è rimasta roba da conventicola.
Unico modo per consolarsi, addossare la colpa al temuto giudizio dei "professori rossi", come ha tentato di fare "Il Giornale della Toscana" del 23 giugno 2010, in una di quelle geremiadi per mentecatti per le quali quella gazzetta è giustamente famosa.
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