Le forze politiche "occidentaliste" hanno vinto per un migliaio di voti le scorse elezioni amministrative per il Comune di Prato; i mass media hanno fatto della città una sorta di passerella mediatica per tutte le alzate d'ingegno dell'"occidentalismo" toscano in previsione del successivo giro di ruota, dalla sistematica denigrazione del sistema sanitario toscano alla perorazione della causa di un costruendo lager, finendo per l'elogio dei rastrellamenti da Panzerdivision Totenkopf tra i mustad'afin delle zone manifatturiere.
Uno dei contenuti propagandistici più veicolati, in cui si è specializzata soprattutto la Lega Nord, è rappresentato dalla difesa di presunte "radici cristiane" la cui identificazione come guida del comportamento corrente dei sudditi peninsulari sarebbe per lo meno problematica, e che deve quindi intendersi come ostentazione incompetente di un identitarismo velleitario e cialtrone, buono al massimo per il consolidamento di quella che può essere definita come una comunità escludente.
Abbiamo fornito ripetute prove fotografiche dei più vistosi successi di questa operazione di difesa e recupero, così costruttiva ed utile.
Di seguito si riportano invece le ultime pagine di "L'età dell'oro", un romanzo uscito pochi anni fa. L'autore del libro si chiama Edoardo Nesi, è nato e vive a Prato ed è passato dal mestiere di industriale tessile a quello di traduttore, scrittore e cineasta. Il brano che riportiamo fa riferimento a quello che parrebbe essere un delirio indotto da morfina. L'ego narrante è Ivo Barrocciai, ex industriale un tempo ricchissimo, settantenne malato terminale.
L'autore ha affermato più volte, anche in una successiva opera intitolata "Storia della mia gente", di aver avuto molte attestazioni di stima da concittadini che si sono riconosciuti in questo personaggio, il che fa pensare che esso esprima una weltanschauung ampiamente condivisa in ambienti cittadini non certo marginali.
Quelle che seguono sono le ultime pagine del volume, ma il loro spirito pervade larghe parti dell'opera. Abbiamo riportato in neretto alcune espressioni significative, in grado di esaltare lo spirito profondamente cristiano del contenuto onirico esposto, caratterizzato dal permanere di una visione del mondo che accompagna Ivo Barrocciai fino ai suoi ultimi istanti.
...Se la morfina è così, allora è una cosa fantastica, da prendere di certo, e volo sopra le onde immense della Viareggio-Bastia-Viareggio nello strepito dei motori mentre urlo di paura e di gioia perché forse sto per morire ma forse no, e il cazzo mi si galvanizza e inspiro a pieni polmoni l'odore meraviglioso e assassino della benzina e il cielo è immobile sopra di me [...] e sono appena arrivato a Parigi, al George V, un venerdì sera, ceniamo a ostriche e champagne, io e la Rosa, mentre Brunero pensa che è a Lourdes con la Misericordia, e lei è di una bellezza che fa male, e siccome mentre passavamo il pomeriggio chiusi in camera a fare l’amore le avevo detto che ero stato diverse volte al Crazy Horse e lo spettacolo era bellissimo, lei mi aveva chiesto se ce la portavo, al Crazy Horse, perché ne aveva sentito tanto parlare e poi voleva vedere se quelle donne erano davvero più belle di lei, e così dopo cena si esce dall’albergo, si fa due passi al fresco dell’Avenue George V e si entra al Crazy Horse, e insomma il mondo è mio, mi faccio accompagnare a un bel tavolo centrale davanti al palco e Rosa mi chiede subito un sacco di cose sullo spettacolo, le ragazze da dove entrano, cosa cantano, le spiego tutto e ci divertiamo a leggere i nomi fantasmagorici delle ragazze, Lobby Metaphor, Maia Matamorosa, Bora Sterling, Nora Parabellum, Charlie Commando, Rita Xenon. Poi comincia Copacabana e le racconto la storia della canzone [...] e dico a Rosa che anche se tutte le cose della vita finiscono per essere tristi, a lungo andare, però vanno sempre raccontate con allegria e con entusiasmo, e così quando il cameriere viene a prendere l’ordinazione sono distratto e comunque gli dico, Champagne, anche perché il francese non lo so e non l’ho mai voluto imparare, e dopo tre minuti lui torna con un gran viso di culo, porta due coppette di champagne e mi dice, Cent francs, s’il vous plait, perché vuole che paghi subito, come i poveracci, come quelli che non si vogliono nei locali e allora vanno subito scoraggiati, mandati via, perché son bastardi, i francesi, son teste di cazzo, e Rosa mi guarda con gli occhi sbarrati perché da quello che le avevo detto si aspettava che fossi una specie di habitué, che venisse il padrone del locale a salutarmi e magari notasse la sua bellezza e le proponesse su due piedi di diventare una delle ragazze del Crazy Horse, e lei potesse schemirsi e rifiutare e tenere questo complimento come il più caro di tutta la sua vita, il punto più alto raggiunto dalla sua bellezza, una cosa da raccontare da vecchia a una nipotina se ne avesse avuta una molto intelligente e molto sveglia. Poteva essere una donna semplice, la Rosa, ma era bellissima davvero, e anche se l’avevano fatta studiare ragioneria e andare a messa ogni domenica e votare democristiano tutta la vita e non era mai uscita da Prato se non per andare a Viareggio d’estate, ecco, lo sapeva che la vita vera era molto diversa dalla sua, che si era sposata a ventidue anni con il ragazzo con cui era sempre stata fidanzata e che aveva scelto praticamente a caso a una festa, a quindici anni, per fare una ripicca a me che mi ero messo a ballare un lento con la sua migliore amica, e insomma questo cameriere francese del cazzo rimane lì in piedi a guardarmi e ad aspettare che paghi, e allora mi infurio dentro, ma riesco a contenermi e gli faccio, in inglese, One bottle of Dom Perignon, e senza avere il coraggio di guardare Rosa tengo lo sguardo fisso su di lui che va al bar e torna, e quando mi porta scodinzolante la bottiglia di Dom Perignon nel secchiello del ghiaccio, la stappa e fa per versarla in due flute che ha portato capovolti nel ghiaccio, io gli dico di no e gli faccio segno di versare tutto lo champagne nel secchiello, lui non capisce e fa una di quelle smorfie imbecilli da mimo dei francesi e allora chiedo alla Rosa di dire a quel cretino di versare tutto il Dom Perignon nel secchiello. Lei mi guarda un po’ impaurita da quell’azzardo, ma fissandomi negli occhi dice al cameriere di versare tutto il Dom Perignon nel secchiello, subito, e il cameriere allora mi lancia uno sguardo molto diverso, abbassa gli occhi e versa tutto lo champagne nel secchiello, poi quando ha finito gli dico, Another bottle of Dom Perignon, e lui fa una sorta di inchino, dice Oui, monsieur, e va a prenderla strascicando i piedi, e a questo punto lei mi guarda con uno sguardo nuovo e luminoso e quando mi dice, Bravo Ivo, hai fatto bene, mi sento riboffire perché, ma come, uno porta la sua ragazza in un locale e perché ti sentono parlare italiano ti trattano da pellaio? E poi, a me? Cos’ho io che non va? Sono vestito benissimo e Rosa è una bomba, vestita di nero è una vera bomba, capelli mori lunghi lisci, bella come il sole, e te che sei un cameriere francese del cazzo mi tratti di merda? Perché noi pratesi non siamo mai garbati a nessuno, non ci hanno mai voluti, cazzo, nemmeno a Firenze, e a Milano non ne parliamo nemmeno, e insomma ero un miliardario eppure mi discriminavano come i negri in America negli anni Sessanta quando non potevano entrare in certi locali, come Rubin Carter, e mi sento pieno di un giusto furore democratico e quando l’idiota porta la seconda bottiglia gli dico che anche quella può versarla tutta nel secchiello del ghiaccio che intanto era già bello pieno di schiuma, anzi, no, gli faccio portare un altro secchiello vuoto, gli dico di versare lì tutta la seconda boccia e ne chiedo una terza, la terza bottiglia di Dom Perignon, e mentre si inchina e si a!lontana per andare a prenderla allora finalmente mi distendo un po’, e anche Rosa, e le strizzo l’occhio perché ormai è passata: il cameriere stronzo, il Crazy Horse, Parigi e tutta la Francia del cazzo ormai li ho messi a posto, mi è costato un occhio della testa ma li ho messi a posto, vaffanculo, va tutto bene, il mondo è di nuovo mio e sto cominciando a rilassarmi quando dal tavolo accanto al mio Jean-Paul Belmondo, che doveva essere arrivato da poco perché non l’avevo visto, alza il calice verso di me, dice, Pazzo italiano, e beve alla mia salute, e accanto a lui c’è Ilie Nastase che alza il calice anche lui, e Carlos Monzon con una giacca bianca, abbracciato alla moglie di Delon, e la Rosa sgrana gli occhi e dice, Ivo, conosci Belmondo?, e io allora non resisto, le sorrido e le faccio, No, io non lo conosco, ma si vede che lui conosce me!, e poi al tavolo arriva il direttore del Crazy Horse con la terza bottiglia di Dom, e in un italiano perfetto mi dice, Mi perdoni, cavalier Barrocciai, ma questa, come le altre, vorrei offrirgliela io, ed è una persona gentile, sorride, capisce, e io gli dico che lo perdono, ma a una condizione, che faccia cantare Copacabana per me e la mia regina dalla più bella delle sue ragazze, e lui batte le mani, dice due o tre cose ed ecco che entra sul palcoscenico questa ragazza fenomenale che canta Copacabana, la primadonna, Lobby Metaphor, e la Rosa mi dice, Sono più bella io, ed è vero, e da quel momento in poi la serata andò alla grande, ecco.
Si finì tutti a fare casino nel castello di un amico nobile di Belmondo che provò a trombare la Rosa ma non ci riuscì, e anzi ci mancò un amen che nella baraonda io non trombassi la sua fidanzata che era una fica spaziale, mi pare svedese, ma avrei dovuto lasciare la Rosa sola con lui e non mi fidai, e mentre si tornava a Parigi nella Rolls di qualcuno, all’alba, sugli Champs-Elysées, avvolti da un impossibile profumo di rose e gardenie e benzina e, sì, albicocche, la Rosa mi disse che mi amava perdutamente, mi aveva sempre amato e mi avrebbe amato in eterno. Qualsiasi cosa succedesse.
Uno dei contenuti propagandistici più veicolati, in cui si è specializzata soprattutto la Lega Nord, è rappresentato dalla difesa di presunte "radici cristiane" la cui identificazione come guida del comportamento corrente dei sudditi peninsulari sarebbe per lo meno problematica, e che deve quindi intendersi come ostentazione incompetente di un identitarismo velleitario e cialtrone, buono al massimo per il consolidamento di quella che può essere definita come una comunità escludente.
Abbiamo fornito ripetute prove fotografiche dei più vistosi successi di questa operazione di difesa e recupero, così costruttiva ed utile.
Di seguito si riportano invece le ultime pagine di "L'età dell'oro", un romanzo uscito pochi anni fa. L'autore del libro si chiama Edoardo Nesi, è nato e vive a Prato ed è passato dal mestiere di industriale tessile a quello di traduttore, scrittore e cineasta. Il brano che riportiamo fa riferimento a quello che parrebbe essere un delirio indotto da morfina. L'ego narrante è Ivo Barrocciai, ex industriale un tempo ricchissimo, settantenne malato terminale.
L'autore ha affermato più volte, anche in una successiva opera intitolata "Storia della mia gente", di aver avuto molte attestazioni di stima da concittadini che si sono riconosciuti in questo personaggio, il che fa pensare che esso esprima una weltanschauung ampiamente condivisa in ambienti cittadini non certo marginali.
Quelle che seguono sono le ultime pagine del volume, ma il loro spirito pervade larghe parti dell'opera. Abbiamo riportato in neretto alcune espressioni significative, in grado di esaltare lo spirito profondamente cristiano del contenuto onirico esposto, caratterizzato dal permanere di una visione del mondo che accompagna Ivo Barrocciai fino ai suoi ultimi istanti.
...Se la morfina è così, allora è una cosa fantastica, da prendere di certo, e volo sopra le onde immense della Viareggio-Bastia-Viareggio nello strepito dei motori mentre urlo di paura e di gioia perché forse sto per morire ma forse no, e il cazzo mi si galvanizza e inspiro a pieni polmoni l'odore meraviglioso e assassino della benzina e il cielo è immobile sopra di me [...] e sono appena arrivato a Parigi, al George V, un venerdì sera, ceniamo a ostriche e champagne, io e la Rosa, mentre Brunero pensa che è a Lourdes con la Misericordia, e lei è di una bellezza che fa male, e siccome mentre passavamo il pomeriggio chiusi in camera a fare l’amore le avevo detto che ero stato diverse volte al Crazy Horse e lo spettacolo era bellissimo, lei mi aveva chiesto se ce la portavo, al Crazy Horse, perché ne aveva sentito tanto parlare e poi voleva vedere se quelle donne erano davvero più belle di lei, e così dopo cena si esce dall’albergo, si fa due passi al fresco dell’Avenue George V e si entra al Crazy Horse, e insomma il mondo è mio, mi faccio accompagnare a un bel tavolo centrale davanti al palco e Rosa mi chiede subito un sacco di cose sullo spettacolo, le ragazze da dove entrano, cosa cantano, le spiego tutto e ci divertiamo a leggere i nomi fantasmagorici delle ragazze, Lobby Metaphor, Maia Matamorosa, Bora Sterling, Nora Parabellum, Charlie Commando, Rita Xenon. Poi comincia Copacabana e le racconto la storia della canzone [...] e dico a Rosa che anche se tutte le cose della vita finiscono per essere tristi, a lungo andare, però vanno sempre raccontate con allegria e con entusiasmo, e così quando il cameriere viene a prendere l’ordinazione sono distratto e comunque gli dico, Champagne, anche perché il francese non lo so e non l’ho mai voluto imparare, e dopo tre minuti lui torna con un gran viso di culo, porta due coppette di champagne e mi dice, Cent francs, s’il vous plait, perché vuole che paghi subito, come i poveracci, come quelli che non si vogliono nei locali e allora vanno subito scoraggiati, mandati via, perché son bastardi, i francesi, son teste di cazzo, e Rosa mi guarda con gli occhi sbarrati perché da quello che le avevo detto si aspettava che fossi una specie di habitué, che venisse il padrone del locale a salutarmi e magari notasse la sua bellezza e le proponesse su due piedi di diventare una delle ragazze del Crazy Horse, e lei potesse schemirsi e rifiutare e tenere questo complimento come il più caro di tutta la sua vita, il punto più alto raggiunto dalla sua bellezza, una cosa da raccontare da vecchia a una nipotina se ne avesse avuta una molto intelligente e molto sveglia. Poteva essere una donna semplice, la Rosa, ma era bellissima davvero, e anche se l’avevano fatta studiare ragioneria e andare a messa ogni domenica e votare democristiano tutta la vita e non era mai uscita da Prato se non per andare a Viareggio d’estate, ecco, lo sapeva che la vita vera era molto diversa dalla sua, che si era sposata a ventidue anni con il ragazzo con cui era sempre stata fidanzata e che aveva scelto praticamente a caso a una festa, a quindici anni, per fare una ripicca a me che mi ero messo a ballare un lento con la sua migliore amica, e insomma questo cameriere francese del cazzo rimane lì in piedi a guardarmi e ad aspettare che paghi, e allora mi infurio dentro, ma riesco a contenermi e gli faccio, in inglese, One bottle of Dom Perignon, e senza avere il coraggio di guardare Rosa tengo lo sguardo fisso su di lui che va al bar e torna, e quando mi porta scodinzolante la bottiglia di Dom Perignon nel secchiello del ghiaccio, la stappa e fa per versarla in due flute che ha portato capovolti nel ghiaccio, io gli dico di no e gli faccio segno di versare tutto lo champagne nel secchiello, lui non capisce e fa una di quelle smorfie imbecilli da mimo dei francesi e allora chiedo alla Rosa di dire a quel cretino di versare tutto il Dom Perignon nel secchiello. Lei mi guarda un po’ impaurita da quell’azzardo, ma fissandomi negli occhi dice al cameriere di versare tutto il Dom Perignon nel secchiello, subito, e il cameriere allora mi lancia uno sguardo molto diverso, abbassa gli occhi e versa tutto lo champagne nel secchiello, poi quando ha finito gli dico, Another bottle of Dom Perignon, e lui fa una sorta di inchino, dice Oui, monsieur, e va a prenderla strascicando i piedi, e a questo punto lei mi guarda con uno sguardo nuovo e luminoso e quando mi dice, Bravo Ivo, hai fatto bene, mi sento riboffire perché, ma come, uno porta la sua ragazza in un locale e perché ti sentono parlare italiano ti trattano da pellaio? E poi, a me? Cos’ho io che non va? Sono vestito benissimo e Rosa è una bomba, vestita di nero è una vera bomba, capelli mori lunghi lisci, bella come il sole, e te che sei un cameriere francese del cazzo mi tratti di merda? Perché noi pratesi non siamo mai garbati a nessuno, non ci hanno mai voluti, cazzo, nemmeno a Firenze, e a Milano non ne parliamo nemmeno, e insomma ero un miliardario eppure mi discriminavano come i negri in America negli anni Sessanta quando non potevano entrare in certi locali, come Rubin Carter, e mi sento pieno di un giusto furore democratico e quando l’idiota porta la seconda bottiglia gli dico che anche quella può versarla tutta nel secchiello del ghiaccio che intanto era già bello pieno di schiuma, anzi, no, gli faccio portare un altro secchiello vuoto, gli dico di versare lì tutta la seconda boccia e ne chiedo una terza, la terza bottiglia di Dom Perignon, e mentre si inchina e si a!lontana per andare a prenderla allora finalmente mi distendo un po’, e anche Rosa, e le strizzo l’occhio perché ormai è passata: il cameriere stronzo, il Crazy Horse, Parigi e tutta la Francia del cazzo ormai li ho messi a posto, mi è costato un occhio della testa ma li ho messi a posto, vaffanculo, va tutto bene, il mondo è di nuovo mio e sto cominciando a rilassarmi quando dal tavolo accanto al mio Jean-Paul Belmondo, che doveva essere arrivato da poco perché non l’avevo visto, alza il calice verso di me, dice, Pazzo italiano, e beve alla mia salute, e accanto a lui c’è Ilie Nastase che alza il calice anche lui, e Carlos Monzon con una giacca bianca, abbracciato alla moglie di Delon, e la Rosa sgrana gli occhi e dice, Ivo, conosci Belmondo?, e io allora non resisto, le sorrido e le faccio, No, io non lo conosco, ma si vede che lui conosce me!, e poi al tavolo arriva il direttore del Crazy Horse con la terza bottiglia di Dom, e in un italiano perfetto mi dice, Mi perdoni, cavalier Barrocciai, ma questa, come le altre, vorrei offrirgliela io, ed è una persona gentile, sorride, capisce, e io gli dico che lo perdono, ma a una condizione, che faccia cantare Copacabana per me e la mia regina dalla più bella delle sue ragazze, e lui batte le mani, dice due o tre cose ed ecco che entra sul palcoscenico questa ragazza fenomenale che canta Copacabana, la primadonna, Lobby Metaphor, e la Rosa mi dice, Sono più bella io, ed è vero, e da quel momento in poi la serata andò alla grande, ecco.
Si finì tutti a fare casino nel castello di un amico nobile di Belmondo che provò a trombare la Rosa ma non ci riuscì, e anzi ci mancò un amen che nella baraonda io non trombassi la sua fidanzata che era una fica spaziale, mi pare svedese, ma avrei dovuto lasciare la Rosa sola con lui e non mi fidai, e mentre si tornava a Parigi nella Rolls di qualcuno, all’alba, sugli Champs-Elysées, avvolti da un impossibile profumo di rose e gardenie e benzina e, sì, albicocche, la Rosa mi disse che mi amava perdutamente, mi aveva sempre amato e mi avrebbe amato in eterno. Qualsiasi cosa succedesse.
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