martedì 28 dicembre 2010

La condizione dei cristiani nella Repubblica Islamica dell'Iran


Traduzione di un articolo comparso su Les Indigènes de la république. Conferma in pieno la nostra esperienza circa le condizioni della presenza cristiana nella Repubblica Islamica dell'Iran.

In un articolo intitolato "SOS cristiani" e pubblicato su Le Point e La Libre Belgique, il filosofo francese Bernard-Henri Lévy accusa l'Iran di essere un in cui "agli ultimi cattolici rimasti, nonostante le smentite dal regime (...) è sostanzialmente vietata la pratica del culto".
In primo luogo è chiaro che l'intento del signor Levy, che fa riferimento ai recenti attacchi che hanno preso di mira i cristiani in Medio Oriente, è quello di screditare l'Islam; in secondo luogo è altrettanto chiaro che tutte le sue "informazioni" riguardo l'Iran sono completamente errate, dal momento che le comunità cristiane in questo paese godono di una completa libertà di culto, come abbiamo potuto constatare durante la nostra presenza in Iran lo scorso luglio.
Coloro che diffondono "informazioni" contrarie o non conoscono la realtà delle cose e non sanno di cosa stanno parlando, oppure stanno deliberatamente disinformando l'opinione pubblica diffondendo bugie senza ritegno. In entrambi i casi, essi partecipano a quella demonizzazione dell'Iran ben nota nel contesto internazionale, che è il leitmotiv del momento e che è il risaputo frutto di manipolazioni ai limiti dell'azione propagandistica.

"Guardatevi dai falsi profeti, che si travestono da ribelli partecipi per convincerci ad accettare il mondo così com'è".

Nel corso di vari anni e più che mai negli ultimi mesi, le aggressioni contro le comunità cristiane sono aumentate in molti paesi del mondo arabo-musulmano, e alcuni non esitano a parlare di una vera e propria persecuzione organizzata.
Certo, diversi attacchi hanno colpito i cristiani del Maghreb. Tuttavia, si è sempre trattato di atti isolati perpetrati da fazioni fondamentaliste radicali, senza che i governi degli Stati interessati fossero stati a loro volta coinvolti; al contrario, essi hanno aumentato le risorse per lotta contro il terrorismo islamista, che ha minacciato sia la loro sovranità chee lo stesso Stato di diritto.
Le cose vanno in modo del tutto diverso nel Vicino e nel Medio Oriente, in particolare in Egitto, in Arabia Saudita ed in Iraq; eppure tutti e tre sono paesi dichiaratamente alleati dell'Occidente, ed i loro governi tutelano più gli interessi di quest'ultimo che i propri.
In Egitto il governo di Hosni Mubarak, per mantenersi al potere, dal 1981 ha fatto numerose concessioni ai gruppi fondamentalisti, in particolare nel corso dell'ultimo decennio. La società si è trasformata; l'alcool, per esempio, non è più liberamente in vendita ed il velo è divenuto di uso generale. In questo contesto le comunità cristiane, tra cui quella copta, sono diventate il bersaglio di numerosi abusi, senza ricevere quella protezione che dallo Stato hanno diritto di aspettarsi.
In Arabia Saudita, che è uno stato islamico intransigente, nessuna pratica religiosa è consentita con la sola eccezione dell'Islam. Il culto cristiano è severamente proibito (non esiste alcuna chiesa), importare nel paese testi cristiani od oggetti per il culto, così come la detenzione di vino, sono severamente puniti ed un esplicito divieto impedisce a qualunque cristiano di avvicinarsi ai luoghi santi della Mecca e di Medina.
Infine in Iraq, dopo la caduta del governo di Saddam Hussein, baathista laico che aveva mantenuto lo status quo tra le diverse confessioni e garantiva la libertà di culto, attacchi su larga scala hanno provocato la morte di molti cristiani, senza che sia stato possibile identificarne con precisione i responsabili, né definirne con chiarezza gli obiettivi. Poco tempo fa una cinquantina di cristiani siriaci cattolici sono stati massacrati nella loro cattedrale, a Baghdad.
Tra i paesi musulmani, l'Iran costituisce se mai un'eccezione.
Anche se è una repubblica islamica, l'Iran non persegue alcuna politica ostile contro i cristiani e vi si possono trovarre comunità cristiane anche numerose: poco più di 250 mila cristiani, per la maggior parte Armeni cattolici vivono in condizioni di sicurezza e praticano apertamente la loro religione, all'unica condizione di non fare proselitismo. Questo è quello che abbiamo potuto constatare, qualche mese fa, tramite i contatti che abbiamo acquisito percorrendo l'Iran per parecchie settimane.
Con l'occasione abbiamo potuto visitare diverse comunità cristiane, partecipare a cerimonie religiose ed incontrare molti cristiani in varie località del paese che vivono senza subire alcun tipo di molestie, da cittadini a pieno titolo. I sacerdoti girano per strada con il colletto rigido e le chiese somigliano alle nostre, sormontate da grandi croci visibili a tutti.
A Tehran, con nostra sorpresa, abbiamo anche visto una ricostruzione della grotta di Lourdes.
A Isfahan, la terza città più grande dell'Iran, la comunità armena cattolica ha non meno di dodici chiese che si affacciano sulla strada, la più antica delle quali è la cattedrale di Vank, del XVI secolo. La cattedrale è affiancata da un grande museo dedicato alla comunità armena, in cui la memoria religiosa occupa un posto significativo.
La viticoltura e la produzione di vino sono entrambe permesse ai cristiani: non solo per il culto, ma anche per il loro consumo quotidiano.
Ancora più importante, la Costituzione iraniana garantisce ai cristiani un numero minimo di seggi che garantiscano sistematicamente la loro rappresentanza nel Parlamento iraniano, perché la loro dispersione nelle circoscrizioni elettorali non permetterebbe loro di ottenere neppure un deputato.
L'Iran sciita rispetta alla lettera le prescrizioni del Corano, che richiede ad ogni musulmano di proteggere i "Popoli del Libro", cristiani ed ebrei. Questi ultimi, che sono circa venticinquemila, godono in Iran degli stessi diritti dei cristiani.
In breve per quanto riguarda la libertà di culto e la tutela delle minoranze religiose in Medio Oriente la terra degli ayatollah, per quanto regolarmente denigrata, potrebbe dare lezione a molti grandi alleati dell'Occidente.

Pierre Piccinin, professore di Storia e Scienze Politiche.
Sito web: http://pierre.piccinin-publications.over-blog.com

domenica 26 dicembre 2010

Di Hina Saleem e di "valori occidentali"


Hina Saleem era una ragazza di origine pakistana.
Il suo assassinio servì a buona parte della marmaglia "occidentalista" che sporca la vita pubblica della penisola italiana per produrre una lunga serie di invettive forcaiole, nelle quali cattiveria spicciola, legalitarismo d'accatto, argomentazioni buone nemmeno per il pallonaio e malafede pura e semplice venivano profuse a piene mani: naturalmente ci facemmo fin da subito un piacere di additare la cosa allo scherno ed al disprezzo dei nostri lettori.
Secondo il gazzettaio e secondo gli "occidentalisti" che ci scribacchiano, la ragazza sarebbe stata uccisa perché avrebbe violato le ferree leggi religiose della comunità, ostinandosi a condurre una vita "troppo occidentale", o addirittura "troppo cristiana". Il punto di non ritorno sarebbe stato raggiunto quando Hina si sarebbe scelta un partner originario della penisola italiana, non musulmano e quindi portatore di "valori" incompatibili con la tradizione di famiglia.

Da una galleria fotografica di "Repubblica": ...la rabbia di Giuseppe Tempini, fidanzato di Hina Saleem. Carpentiere di 33 anni, provato dal dolore per la tragica fine della ragazza, l'uomo oggi pomeriggio ha dato in escandescenze nei confronti di alcuni immigrati davanti a un bar di via Milano a Brescia. Il locale si trova nei pressi dell'esercizio in cui lavorava la ragazza pachistana, che conviveva con lui e che anche per questo è stata uccisa. Il giovane, completamente sconvolto, si è messo a inveire contro immigrati stranieri che passavano per strada ed è stato bloccato.

A giudicare dalle immagini che ritraggono costui, verrebbe dunque da concludere che sigarette ed occhiali da sole siano incompatibili con le tradizioni familiari pakistane. E che un "occidentale" degno di questo nome possa inveire contro gli astanti e pretendere di apparire temibile anche con un pacchettino di spaccapolmoni in mano e con gli occhiali fuori posto, ma andiamo pure avanti: non è certo il primo "campione d'Occidente" che delude le aspettative.
Al "fidanzato di Hina" furono concesse le solite briciole di visibilità mediatica. La costruzione e la permanenza del clima di insicurezza indotta e di diffidenza per questo o quel gruppo sociale da cui la porcilaia "occidentalista" trae redditi e suffragi si alimentarono per un giorno delle sue dichiarazioni.
Dichiarazioni che non delusero la committenza perché il "fidanzato di Hina" si distinse per esplicite esternazioni xenofobe in qualità di vedovo inconsolabile, affermando di essere "diventato molto più duro nei confronti degli immigrati".
Una durezza di tipo tutto particolare, visto che non aveva impedito a costui di reperire compagnia proprio in un gruppo sociale oggetto di continue denigrazioni.
Una durezza di tipo tanto particolare dal dissolversi a contatto con mucose femminili, potremmo azzardare.

Ci furono poi i processi. Le motivazioni della sentenza definitiva scontentarono non poco gli "occidentalisti" perché precisarono che il movente del delitto non sarebbe stato affatto religioso, ma originato da un malinteso concetto di possessività patriarcale all'interno della famiglia che può manifestarsi indipendentemente dall'appartenenza religiosa o culturale. La cosa è puntualmente riscontrabile perfino rifacendosi alle gazzette "occidentaliste" più involute, che ogni anno sciorinano decine di casi del genere badando bene a specificare l'origine dei protagonisti solo se utilizzabile per i consueti fini. Questo significa semplicemente che nessuno si sogna di ipotizzare correlazioni tra la detenzione di immagini di Padre Pio e la propensione all'uxoricidio.
Gli "occidentalisti" hanno le loro ragioni di protestare. Una sentenza del genere, logicamente e giustamente, ignora le menzogne della loro propaganda in cui campeggava una Hina intenta a conquistarsi libertà sessuale, parità di diritti e rifiuto della violenza domestica (tutta roba ascritta d'ufficio all'"Occidente") grazie alla partnership con un sincero e coraggioso campione dei "valori occidentali", difensore delle "radici cristiane" della sua "civiltà".
Se è vero quello che riferiscono le gazzette, il primo tra i "valori occidentali" al quale costui ha pubblicamente fornito prova di attaccamento è costituito proprio dal principale di essi: il denaro.
Al processo si era costituito parte civile, secondo la moda corrente.
Il 26 dicembre 2010 il sincero e coraggioso campione dei "valori occidentali" ha ottenuto un altro po' di visibilità gazzettiera: veniamo così a sapere che se la sua adesione ad alcuni "valori occidentali" è certamente indiscutibile, dal punto di vista delle "radici cristiane" deve scricchiolare un po', a cominciare da certe questioni non secondarie tipo l'indissolubilità del matrimonio.
Quanto alle feste comandate, quella del 25 dicembre l'avrebbe cristianamente rispettata facendosi portar via a viva forza dai gendarmi, dopo molto tempo trascorso, e non era neppure la prima volta, a minacciare di morte la ex moglie barricatasi in casa.

Repubblica Islamica dell'Iran.
Una non campionessa di "valori occidentali" poco minacciabile di morte.

venerdì 24 dicembre 2010

Saverio Tommasi, Casaggì, Terza Posizione e un certo manifesto


Firenze. Nel dicembre 2010 Casaggì rappresenta i sempre più evanescenti resti di un lungo (e costosissimo) tentativo di raccogliere una sorta di "base giovanile" in grado di attirare qualche voto verso un "occidentalismo" politico di cui Firenze continua a non voler sentir parlare.
I motivi di questo fallimento, conclamato ed evidente, sono noti e per intero ascrivibili non soltanto alla tetra repellenza che l"occidentalismo" politico deve ispirare a chiunque conservi un minimo residuo di cognizione di causa e di rispetto per se stesso, ma anche e soprattutto ai livelli, assai meno che mediocri in ogni campo, che sono tipici da generazioni del politicame "occidentalista" prodotto dalla società fiorentina.
L'elettorato passivo "occidentalista" è, a Firenze più che altrove, costituito pressoché per intero da mangiatori di spaghetti, scarti di anticamera, buoni a nulla coi vestiti che costano tanto, sfogliatori di riviste pornografiche ed antologizzatori di ciarle da bar. Non competenza o cognizione di causa sono ad esso richieste, ma faccia tosta, propensione alla delazione, ubbidienza servile, coltivazione paziente dei concetti base della propaganda e mutuo rapporto con gli imbrattacarte del gazzettaio, in modo che le menzogne del politicame e quelle del giornalettisti si sostengano e conferiscano credibilità a vicenda.
I risultati non sono gran che. Nonostante sia in funzione da anni ed anni questa kombinacija non ha aumentato di un pelo la rappresentatività e l'autorevolezza "occidentalista" nei pubblici consessi ed ha visto naufragare nell'indifferenza generale molti dei mass media cui gli "occidentalisti" si appoggiano, e nei quali vegetano personaggi da avanspettacolo che riescono ad apparire inaffidabili anche quando "ragionano" di pallone, pallonamenti, pallonaggi e palloneria.
Un macchinario dal funzionamento più che collaudato entra in azione ogni volta che -per puro caso- nell'elettorato passivo riesca a spiccare qualche individuo che non corrisponda ai tratti qui riassunti, e che pure viene reclutato in occasione delle scadenze elettorali confidando in una presentabilità ed in una "civicità" che riescano, per qualche magico motivo, ad estendersi anche al resto della compagine.
Per rimanere stritolati dalla conventicola di delatori incompetenti che fa finta di reggere le sorti dell'"occidentalismo" fiorentino non occorre neppure pestare i calli a qualche collega di truogolo: è sufficiente esulare dalla palloneria. Il pallonaio fornisce all'"occidentalismo" il linguaggio e le metafore dicotomiche con cui esso interpreta -ed alle quali riduce- tutto il resto del reale: qualunque altra concezione del mondo, cui necessitino per forza di cose un minimo di curiosità o di competenza, viene abitualmente derubricata a terrorismo.
L'"occidentalismo" fiorentino fornisce rappresentatività all'elettorato attivo più integrato nei "valori" da esso propugnati tramite una veicolazione quotidiana e capillare di una pratica politica così strutturata. Questo elettorato attivo finisce ovviamente per coincidere coi settori più immondi, incompetenti, impresentabili e schifosi del corpo sociale nel suo complesso. Quelli che in "Occidente" vengono definiti "maggioranza silenziosa" e che silenziosa non è affatto dal momento che sporca il mondo intero con le proprie ciarle da quindicenni viziate.
Yankee onorari, putridi anche moralmente.
Le recenti vicissitudini della principale formazione politica "occidentalista" della penisola hanno prodotto anche in città edificanti esempi di piccinerie, vendettucce ed altre sincere testimonianze di quali siano gli interessi ed i valori dell'"occidentalismo" contemporaneo; qualcuno si è curato anche di pubblicare una fotografia che attesta un esempio macroscopico del caso. In alte sfere si ricorre a femmine poco vestite, linciaggi mediatici e maneggi di denaro; a livelli più bassi ci si accontenta di minacciare qualche coltellata, come d'uso corrente negli scambi di cortesie tra razzumaglia palloniera.

Nel dicembre 2010 uno dei blog riferibili a Casaggì ha avuto l'idea di pubblicare "un manifesto" sul "solstizio d'inverno".
La cosa si inserisce alla perfezione nel filone delle produzioni propagandistiche di casaggì, molto giustamente derubricate in blocco a presa in giro anche dagli osservatori meno propensi ad infierire.
Un "manifesto" è qualcosa che si attacca, possibilmente a superfici verticali visibili. La propensione "occidentalista" all'affissione abusiva è risaputa e documentata, ma di questo "manifesto" non siamo riusciti a vedere in giro una sola copia: un motivo in più per considerare finalmente evanescenti certe esperienze politiche, fin dal loro abbozzo destinate ad occupare il settore che sta tra il superfluo ed il dannoso.
In secondo luogo, nonostante giuri il contrario, Casaggì è organica ad un partito "occidentalista" (fondato da un anziano frequentatore di minorenni) che asserisce di tenere oltremodo alla tutela delle "radici cristiane" della "civiltà occidentale". Per tenere insieme un fondamento teorico di questo genere ed una pratica politica basata su comportamenti diametralmente opposti a quelli auspicati da qualunque monoteismo non ci si è peritati di inventare barzellette come quella dell'"ateismo devoto", additandone la ridicola pattuglia dei propugnatori come esempi da seguire pena la cacciata da ogni civile consesso. Celebrare una sedicente ricorrenza pagana, peraltro ben attestata nei residuali ambienti del nazionalsocialismo europeo cui certi "occidentalisti" fiorentini non fanno mistero alcuno di ispirarsi, apparirebbe contraddittorio a chiunque fosse fornito di una minore faccia tosta.

La cosa non è piaciuta a Saverio Tommasi, un regista ed interprete di tutt'altro orientamento politico.
Tommasi ha avuto l'idea di dedicare alla questione uno scritto fin troppo educato e composto. Con pochissima fatica ed ancor minore impegno documentale ricorda con esso ai lettori quali siano ispiratori e mèntori dell'"occidentalismo" giovanile di Firenze. Fin qui nulla di nuovo: se vogliamo fare un esempio, da anni è nota la stima ostentata da Casaggì nei confronti di Corneliu Zelea Codreanu. Il fatto che la marmaglia "occidentalista" debba i propri più recenti successi eelettorali ad un'ossessiva campagna di demonizzazione dei "rumeni" nella loro interezza fornisce l'ennesima conferma della costante propensione di questa gente alla malafede abituale ed alla presa in giro sistematica.
La pratica politica "occidentalista" è coessenziale alla menzogna, come tutto ciò che origina dal Lapidato.
Lo scritto di Tommasi ha avuto un effetto costruttivo e prevedibile. Messa per l'ennesima volta davanti all'evidenza dei propri referenti meno presentabili citati per nome e cognome, Casaggì ha pensato bene di peggiorare le cose producendo il raffazzonato giustificativo presentato in screenshot.
Un giustificativo che si inserisce nel consueto filone della presa in giro abituale, e non certo per un solo motivo: i motivi per sghignazzarne sarebbero almeno uno per ogni paragrafo, ed è giocoforza soffermarsi sui più rilevanti.
Nel dicembre 2010 perfino ai livelli più alti della formazione politica "occidentalista" cui Casaggì fa capo è arrivato qualche sentore dell'abisso che separa la classe politicante dai sudditi: per tentare di rimediare e per farla una buona volta finita con un dissenso costante che comincia appena fuori dal giornalame e dalle televisioncine, uno con la cravatta di nome Maurizio Gasparri ha avuto l'idea di auspicare il ricorso all'arresto preventivo. Pare tra l'altro che nel farlo abbia sbagliato la data del precedente cui intendeva riferirsi, riuscendo naturalmente ad apparire cialtrone prima e ancora che forcaiolo, com'è prassi abituale per simili individui.
Casaggì è commensale di un individuo del genere. E non trova minimamente in contrasto con questo particolare non da poco il lamentare la miserrima fine dei propri referenti ideologici colpiti dalla repressione e dalla gendarmeria prima e ancora che dagli avversari politici.
Le dichiarazioni di questo Gasparri non sono affatto un incidente di percorso. Sono l'auspicio deliberato di un'epoca di repressione ancora più sistematica, in cui si riconosce in blocco l'elettorato attivo "occidentalista", per il quale un cranio fracassato ha un valore minore di una vetrina imbrattata. E' interessante notare che in occasione delle quotidiane campagne denigratorie contro la Repubblica Islamica dell'Iran qualche "occidentalista" con la cravatta pronto a denunciare gli orrori della repressione non manca mai: viene da pensare che a monte di questo atteggiamento non vi sia altro che l'invidia.
Casaggì afferma di "non fare apologia della violenza politica"... cosa che non le vieta di esprimere incompetenti e cialtrone simpatie per la lotta armata, puntualmente dileggiate come meritano. Pare di capire che, così come le manifestazioni di piazza sono lodevoli solo quando si svolgono a Tehran, allo stesso modo certi sistemi sono condivisibili purché il loro utilizzo si limiti a Belfast o a Gaza.
La disumanità "occidentalista", al pari della malafede menzognera, non ha molti limiti. A Firenze il corpo di un manifestante a terra con gli intestini strappati via da un proiettile di grosso calibro farebbe al massimo produrre a qualcuno di questi mangioni il solito comunicato stampa su i'ddegrado e la 'nsihurézza, o magari sul cattivo gusto di uno spettacolo che ha rovinato una giornata di shopping nei negozi per corpivendole costose che impestano certe zone del centro storico.
Difficile trattenersi dall'infierire ulteriormente: i servi, sciocchi o volenterosi che siano, fanno di solito questo effetto.
In ultimo, Casaggì lamenta della scarsa considerazione data alle giovani vittime della guerra civile a bassa intensità che ha caratterizzato la penisola italiana durante gli anni Settanta dello scorso secolo, rimasti per lo più senza ricordi toponomastici.
In considerazione di quello che è toccato a Jan Palach, ai "martiri" delle foibe e agli insorti d'Ungheria, non è detto che sia un male.

domenica 19 dicembre 2010

Firenze: il dicembre dei cialtroni tra neve, cene, menzogne e repressione


Dicembre 2010.
Avvamo appena finito di constatare che le proteste studentesche vanno bene solo quando si svolgono a Tehran, quando un mangiatore di orecchiette ha avanzato la proposta di estendere alle "manifestazioni di piazza" la legislazione che hanno usato per il pallonaio.
L'accostamento non deve sorprendere. Gli "occidentalisti" hanno nel pallonaio, in cui bianchi contro neri, gialli contro blu, verdi contro rossi fanno roba inutile per il profitto di qualcuno, l'unica metafora per la categorizzazione del reale nella sua interezza.
Palloni, pallonate, pallonaggi, palloneria. Con il corollario del denaro, senza il quale perfino il palloname perde tutta la sua importanza ed acquista ai loro occhi quella alterità che lo trasforma in qualcosa di estraneo, di ignoto o di semplicemente inconcepibile e dunque di etichettabile come terrorismo.
Intanto che a Bari prima e a Roma poi si tentava di trattare i manifestanti come se fossero quelli del pallonaio, a Firenze nevicava pesante.
Trenta e più centimetri di neve, una cosa che succede ogni vent'anni o roba del genere, con i trasporti paralizzati.
Per il gazzettame "occidentalista" un'occasione quasi unica: come non addossare ai nemici politici anche questa colpa?
In attesa di crepare, "Il Giornale della Toscana" fa quello che può, aggrappandosi agli scribacchiamenti che trova sul Libro dei Ceffi e statuendo con un articoletto che ha l'aria di esser pronto da un bel po' che il principale partito "occidentalista" della penisola avrebbe messo a tavola nientemeno che cinquemila persone.

L'annuncio su Yahoo Notizie della cena "occidentalista" di Firenze.
Si noti, nell'
ultim'ora in occhiello, l'appropriato riferimento al colera.

La comunicazione politica del giorno precedente sciorinava notizie circa "una torta di quattro metri per due", perfetto simbolo dell'abituale e sfacciato spreco cui sono soliti gli "occidentalisti", ed annunciava un numero preciso di partecipanti, appunto cinquemila.
La comunicazione politica del giorno seguente non mostra alcuna immagine dell'evento.
La cosa ha due spiegazioni possibili.
La prima risiede nell'infingardaggine, nella pochezza e nell'incompetenza degli individui cui è delegata la propaganda "occidentalista" a Firenze; infingardaggine, pochezza ed incompetenza più volte evidenziate con la debita cura in questa sede.
La seconda è data dalla constatazione che eventuali foto e filmati avrebbero smentito il numero -statuito e indiscutibile- dei partecipanti.
Questo permette di trarre le solite conclusioni, prima tra tutte quella secondo la quale le stime dei presenti vadano ridimensionate non soltanto di un fattore dieci, come avrebbe avuto già senso fare per una formazione politica che a Firenze conta trecento tesserati, ma probabilmente di un fattore venticinque o trenta.
Poi ci si mette anche il fuoco amico, rappresentato in questo caso da "La Nazione", il famoso giornalino che di motivi per infierire ne fornirebbe almeno sei o sette per ogni articolo pubblicato.
In un articoletto, la gazzettina riferisce che l'"occidentalista" Toccafondi per la cena serale "aveva annunciato una minore dispoccupazione" [sic], "dovuta al maltempo"...


Post scriptum del 21 dicembre 2010.
Siamo venuti a sapere da uno dei presenti che i partecipanti sono stati in tutto un centinaio.
I sedicenti avversari politici degli organizzatori hanno potuto dileggiare l'iniziativa per un'intera giornata, provocando la piccata reazioncina di qualche "occidentalista" di quarta fila.
Il divisore da adottare in questo caso per avere un rapporto corretto tra cifre della propaganda e partecipazione reale è dunque il cinquanta, come avrebbe lasciato prevedere l'affluenza alla ridicola "cocomerata in piazza" che lo scorso luglio servì soltanto a far constatare quanto fosse grasso uno di Scandicci, quanto fosse insultante l'inutilità dell'azione politica di questa gente e quale specie di individui l'"occidentalismo" in generale e quello toscano in particolare considerino propri campioni.
Com'è noto, negli ambienti "occidentalisti" è semplicemente inconcepibile il prendere un'iniziativa senza averne un tornaconto quantificabile in denaro. Se i dati sui mezzi mobilitati corrispondono al vero (al contrario di quelli sui partecipanti) è auspicabile che nelle casse fiorentine del principale partito "occidentalista" della penisola sia stato praticato un buco di dimensioni tanto ragguardevoli da fornire a questa marmaglia di che meditare per un bel po'.

giovedì 16 dicembre 2010

Lettera ai ragazzi del movimento? Stroncatura di Roberto Saviano


Nello stato che occupa la penisola italiana "La Repubblica" è una gazzetta che godrebbe di una certa autorevolezza.
Quanto meritata non sapremmo dire, specie dopo alzate d'ingegno come quella che ci apprestiamo a confutare riga per riga.
Si tratta di un editoriale di un certo Roberto Saviano, intitolato Lettera ai ragazzi del movimento.
Non siamo ancora alla letterina cara ai gazzettieri "occidentalisti", ma la strada è da tempo tracciata.
Lo scritto è stato prodotto (in gran fretta) per Indymedia Toscana. Lo si propone qui con alcune correzioni.


"Chi ha lanciato un sasso alla manifestazione di Roma lo ha lanciato contro i movimenti di donne e uomini che erano in piazza, chi ha assaltato un bancomat lo ha fatto contro coloro che stavano manifestando per dimostrare che vogliono un nuovo paese, una nuova classe politica, nuove idee".

Pare di capire che donne e uomini -l'insopportabile political correctness che rende illeggibili i testi, ma guai farne a meno, si finisce diritti nel ghetto degli impubblicabili- siano scesi in piazza in favore dell'integrità dei bancomat e della legge di gravità che impone ai sassi di rimanersene grosso modo fermi al suolo. Sono questi i primi obiettivi del "nuovo paese" e delle "nuove idee"?

"Ogni gesto violento è stato un voto di fiducia in più dato al governo Berlusconi. I caschi, le mazze, i veicoli bruciati, le sciarpe a coprire i visi: tutto questo non appartiene a chi sta cercando in ogni modo di mostrare un'altra Italia [Il vocabolo è presente nell'originale; ce ne scusiamo con i lettori. N.d.A.]."

E' stato fatto l'impossibile per non lasciare altri strumenti che questi a chi non si riconosce nello stato di cose presenti.
Non si tratta soltanto del risultato finale del lavorìo di tre generazioni almeno di capetti bolscevizzanti la cui massima aspirazione nella vita era capeggiare una scissione; è anche e soprattutto il risultato di dieci e più anni di sistematica demonizzazione del dissenso politico e sociale, derubricato in blocco a terrorismo da un macchinario mediatico che questo Saviano dovrebbe conoscere bene, visto che lo frequenta tanto assiduamente.
In questo stato di fatto è inevitabile che qualcuno non interpreti questa perenne campagna denigratoria avallata da tutti i mangiatori di maccheroni della penisola come un invito a fare per lo meno un po' più sul serio.

"I passamontagna, i sampietrini, le vetrine che vanno in frantumi, sono le solite, vecchie reazioni insopportabili che nulla hanno a che fare con la molteplicità dei movimenti che sfilavano a Roma e in tutta Italia [il vocabolo è nell'originale; ce ne scusiamo con i lettori, N.d.A.] martedì".

Molteplicità è anche questo, piaccia o non piaccia.
I passamontagna, i sampietrini, le vetrine che vanno in frantumi sono stati per trent'anni il leitmotiv del pallonaio domenicale senza che nessuno vi trovasse alcunché di strano. Perché gazzettieri e politichetti non si mettano ad abbaiare è sufficiente non colorire politicamente episodi di questo genere.

"Poliziotti che si accaniscono in manipolo, sfogando su chi è inciampato rabbia, frustrazione e paura: è una scena che non deve più accadere. Poliziotti isolati sbattuti a terra e pestati da manipoli di violenti: è una scena che non deve più accadere. Se tutto si riduce alla solita guerra in strada, questo governo ha vinto ancora una volta".

Si tratta di scene di ordinarissima amministrazione in tre quarti almeno del pianeta, secondo un calcolo ottimistico. Meno di due anni fa perfino i cittadini della Repubblica d'Islanda, miti e scarsi di numero, assaltarono il parlamento esasperati dalla demenziale condotta economica del loro governo. La gendarmeria islandese aveva ricevuto da poco materiale antisommossa di fabbricazione sionista di cui dovette letteralmente leggere di gran carriera le istruzioni. Quella che dovrebbe stupire, data la situazione venutasi a creare nel "paese" dove si mangiano spaghetti, è se mai la ridotta portata degli scontri.

"Ridurre tutto a scontro vuol dire permettere che la complessità di quelle manifestazioni e così le idee, le scelte, i progetti che ci sono dietro vengano raccontate ancora una volta con manganelli, fiamme, pietre e lacrimogeni. Bisognerà organizzarsi, e non permettere mai più che poche centinaia di idioti egemonizzino un corteo di migliaia e migliaia di persone. Pregiudicandolo, rovinandolo."

Benissimo: Roberto Saviano esca dalle comodità mediatiche e guidi una manifestazione. Trovi fuori dalla gendarmeria il personale per i cordoni, trovi fuori dalla politica istituzionale qualcuno che sia disposto a dargli ulteriore credito, e provi pure ad organizzarne una. Vediamo chi se la cava peggio.

"Scrivo questa lettera ai ragazzi, molti sono miei coetanei, che stanno occupando le università, che stanno manifestando nelle strade d'Italia [il vocabolo è nell'originale; ce ne scusiamo con i lettori, N.d.A.]. Alle persone che hanno in questi giorni fatto cortei pieni di vita, pacifici, democratici, pieni di vita. Mi si dirà: e la rabbia dove la metti? La rabbia di tutti i giorni dei precari, la rabbia di chi non arriva a fine mese e aspetta da vent'anni che qualcosa nella propria vita cambi, la rabbia di chi non vede un futuro. Beh quella rabbia, quella vera, è una caldaia piena che ti fa andare avanti, che ti tiene desto, che non ti fa fare stupidaggini ma ti spinge a fare cose serie, scelte importanti. Quei cinquanta o cento imbecilli che si sono tirati indietro altrettanti ingenui sfogando su un camioncino o con una sassaiola la loro rabbia, disperdono questa carica. La riducono a un calcio, al gioco per alcuni divertente di poter distruggere la città coperti da una sciarpa che li rende irriconoscibili e piagnucolando quando vengono fermati, implorando di chiamare a casa la madre e chiedendo subito scusa."

Il paragrafo qui sopra evidenzia in quale gran conto Roberto Saviano tenga i manifestanti e gli attivisti politici, molti dei quali con dieci o venti anni di militanza responsabile e costruttiva alle spalle. O si producono in manifestazioni mediaticamente rivendibili -l'ideale sono quelle ragazze ucraine che trovano il modo di andare in giro svestite anche in pieno febbraio, pare di capire- o c'è pronto il ridicolo della macchietta piagnucolosa, presentata da questa o quella voce gazzettiera per coprire tutti di ridicolo davanti a seicentomila o settecentomila lettori.
In "occidente" la metafora delle caldaie piene è ben nota: le loro valvole di sfogo si chiamano pornografia, consumi demenziali, comportamenti idioti, assunzioni di stupefacenti in ambienti più o meno controllati. I limiti precisi allo sfogo sono dati dalla sfruttabilità commerciale dello stesso, al di fuori della quale nulla è lecito e porta al linciaggio mediatico prima e ancora che in tribunale.

"Così inizia la nuova strategia della tensione, che è sempre la stessa: com'è possibile non riconoscerla? Com'è possibile non riconoscerne le premesse, sempre uguali? Quegli incappucciati sono i primi nemici da isolare. Il "blocco nero" o come diavolo vengono chiamati questi ultrà del caos è il pompiere del movimento. Calzano il passamontagna, si sentono tanto il Subcomandante Marcos, terrorizzano gli altri studenti, che in piazza Venezia urlavano di smetterla, di fermarsi, e trasformano in uno scontro tra manganelli quello che invece è uno scontro tra idee, forze sociali, progetti le cui scintille non devono incendiare macchine ma coscienze, molto più pericolose di una torre di fumo che un estintore spegne in qualche secondo."

Negli ultimi mesi Roberto Saviano è stato accusato di aver fatto sfoggio di quel sionismo d'accatto la cui professione pubblica è indispensabile per chiunque voglia, nella penisola italiana, ambìre all'elettorato passivo.
Non sappiamo quanto ci sia di vero.
Sappiamo però che in questo caso Saviano fa propria l'asserzione "occidentalista" secondo la quale che qualcuno metta in atto comportamenti distruttivi senza secondi fini più remunerati che recònditi è semplicemente inconcepibile. Quello che sta accadendo è che la totale delegittimazione del dissenso, cui è di fatto chiuso ogni canale istituzionale e mediatico grazie al continuo operato di scarti con la cravatta inchiavardati alle poltrone delle redazioni e dei consessi istituzionali, si sta prevedibilmente traducendo in quegli atti di violenza cieca tipici della banlieue.
O questa marmaglia ben vestita la smette di legittimare solo ciò che può produrre utili per qualcuno -e Saviano di portare acqua al suo mulino- o la cosa si ripeterà, prevedibilmente moltiplicata per cento.

"Questo governo in difficoltà cercherà con ogni mezzo di delegittimare chi scende in strada, cercherà di terrorizzare gli adolescenti e le loro famiglie col messaggio chiaro: mandateli in piazza e vi torneranno pesti di sangue e violenti. Ma agli imbecilli col casco e le mazze tutto questo non importa. Finito il videogame a casa, continuano a giocarci per strada. Ma non è affatto difficile bruciare una camionetta che poliziotti, carabinieri e finanzieri lasciano come esca su cui far sfogare chi si mostra duro e violento in strada, e delatore debole in caserma dove dopo dieci minuti svela i nomi di tutti i suoi compari. Gli infiltrati ci sono sempre, da quando il primo operaio ha deciso di sfilare. E da sempre possono avere gioco solo se hanno seguito. E' su questo che vorrei dare l'allarme. Non deve mai più accadere."

Roberto Saviano mostra una strana -ed eloquente- propensione alla previsione facile, che ci guardiamo bene dal condividere e dall'approvare.

"Adesso parte la caccia alle streghe; ci sarà la volontà di mostrare che chi sfila è violento. Ci sarà la precisa strategia di evitare che ci si possa riunire ed esprimere liberamente delle opinioni. E tutto sarà peggiore per un po', per poi tornare a com'era, a come è sempre stato."

C'è da chiedersi dove abbia vissuto Roberto Saviano nel corso degli ultimi dieci anni, in cui questo clima è stato più che abituale e pane quotidiano per centinaia di attivisti politici per i quali la militanza si traduce nei fatti in un doppio lavoro non retribuito.
Chi scrive conosce, peraltro a livelli davvero minimi, soltanto la realtà fiorentina, e riporterà solo un paio di casi che costituiscono un campione minimo delle strategie di coping e di denigrazione messe in atto da rappresentanze istituzionali e da gazzettieri di ogni livello.
Gli unici limiti all'incessante denigrazione del dissenso sono stati rappresentati, almeno dal 2001 in poi, dalla fantasia dei denigratori.
Un mangiaspaghetti pratese, competente e meritocratico al punto da non essere stato capace di laurearsi neppure in quindici anni, ha potuto sostenere impunemente in una pubblica assemblea che a Firenze c'era gente intenta a brigare per avvelenare l'acquedotto.
Una microgazzettiera fiorentina trovò modo, altrettanto impunemente, di indicare nelle stesse persone degli incendiari di automobili.
Dieci anni almeno, di una pioggia incessante di odio.
Dov'era Roberto Saviano, a vedere una partita di pallone?
A mangiarsi un casatiello?
A una recita di Pulcinella?
Sulla luna?

"L'idea di un'Italia [il vocabolo è nell'originale; ce ne scusiamo nuovamente con i lettori, N.d.A.] diversa, invece, ci appartiene e ci unisce. C'era allegria nei ragazzi che avevano avuto l'idea dei Book Block, i libri come difesa, che vogliono dire crescita, presa di coscienza. Vogliono dire che le parole sono lì a difenderci, che tutto parte dai libri, dalla scuola, dall'istruzione. I ragazzi delle università, le nuove generazioni di precari, nulla hanno a che vedere con i codardi incappucciati che credono che sfasciare un bancomat sia affrontare il capitalismo."

Torna il refrain della "contestazione come moda", unito all'intoccabilità dei servizi bancari. Se Saviano riuscisse a conferir loro una sorta di alone sacrale non ci sarebbe da stupirsi.
La moda del momento sarebbero questi Book Block di cui nessuno ha mai sentito parlare.
Non è certo da oggi che tutto parte dai libri.
Sono esistiti, e vivono tutt'ora nel ricordo dei loro seguaci e celebrati dalla loro rivoluzione trionfante, individui che alla causa dello studio, del proprio miglioramento e della rivoluzione hanno dedicato per intero la loro vita, e che sapevano benissimo che crescita e presa di coscienza e parole di difesa potevano essere tratte proprio da un Libro.
Il Libro il cui archetipo risiederebbe immutabile nei cieli.
Figuriamoci se è un elzevirista da gazzetta a poter dare lezioni in questo campo.

"Anche dalle istituzioni di polizia in piazza bisogna pretendere che non accadano mai più tragedie come a Genova. Ogni spezzone di corteo caricato senza motivazione genera simpatia verso chi con casco e mazze è lì per sfondare vetrine. Bisogna fare in modo che in piazza ci siamo uomini fidati che abbiano autorità sui gruppetti di poliziotti, che spesso in queste situazioni fanno le loro battaglie personali, sfogano frustrazioni e rabbia repressa. Cercare in tutti i modi di non innescare il gioco terribile e per troppi divertente della guerriglia urbana, delle due fazioni contrapposte, del ne resterà in piedi uno solo."

Su quale dei due resterà in piedi non ci sono troppe illusioni da farsi, in considerazione che una delle due parti ha in dotazione armi, equipaggiamenti, preparazione fisica, reti di collegamento ed avallo istituzionale e l'altra no.
Se sono vere certe testimonianze, c'è se mai da considerare che il numero di esecuzioni extragiudiziali compiute nella penisola italiana resta sicuramente entro i limiti dell'accettabile.
Questo tipo di discorsi conduce verso l'"occidentalismo" che meglio rispecchia la weltanschauung degli indossatori di canottiere che bivaccano nella penisola italiana, secondo i quali una vetrina infranta vale molto di più di un cranio fracassato. Bravo Saviano, avanti tutta così.
Possiamo approfittare delle asserzioni qui sopra per aggiungere un'ulteriore e perfida considerazione. Nello stato che occupa la penisola italiana esistono quattro o cinque corpi armati con funzione di ordine pubblico. E l'ordine pubblico viene tutelato mandando in piazza individui dotati di armi da fuoco, con tutto quello che ne consegue.
Reza Pahlavi non si poneva il problema. Le manifestazioni, che nel 1978 avevano assunto una frequenza quotidiana, le fece reprimere da militari armatissimi ma privi di equipaggiamenti e di esperienza nel campo dell'ordine pubblico, e facendo sparare con le mitragliatrici anticarro dagli elicotteri che passavano d'infilata per le vie di Tehran.
Uno spettacolo sicuramente galvanizzante, per i buoni a nulla capaci soltanto di ingrassare davanti alla televisione e di consultare riviste pornografiche. Una categoria maggioritaria che è l'unica rappresentata dai mangiamaccheroni in cravatta delle istituzioni statali.
Come vederli, mentre fanno il tifo davanti al ventiquattro pollici cianciante, come se fossero al pallonaio; d'altronde chi vegeta nel "paese" dove si mangiano fettuccine, più in là non ci va.
La Repubblica Islamica dell'Iran, nata dalla violentissima repressione di quegli anni, l'ordine pubblico lo fa tutelare ogni volta che è possibile da personale privo di armi da fuoco, potendo anche in questo impartire lezioni agli "esportatori di democrazia".

"Noi, e mi ci metto anche io fosse solo per età e per - Dio solo sa la voglia di poter tornare a manifestare un giorno contro tutto quello che sta accadendo - abbiamo i nostri corpi, le nostre parole, i colori, le bandiere. Nuove: non i vecchi slogan, non i soliti camion con i vecchi militanti che urlano vecchi slogan, vecchie canzoni, vecchie direttive che ancora chiamano "parole d'ordine".

Miguel Guillermo Martinez Ball spiega con buoni argomenti come i sudditi che vanno al pallonaio abbiano "il compito di urlare in coro cose caste e politicamente corrette, di non rompere niente, di fare da sfondo colorato in televisione" e come "per fare questo noioso lavoro da comparse" debbano anche pagare.
Arrivati a questo punto dello scritto c'è da pensare che Roberto Saviano intenda ridurre anche i residui aspetti non ritualizzati delle manifestazioni di piazza a qualche cosa di simile, possibilmente altrettanto remunerativo.
Se esistono, per fortuna, "vecchi slogan, vecchie canzoni, vecchie direttive", probabilmente ci sono dei motivi.
Uno di questi motivi, a nostro avviso, è la loro perdurante attualità; è una fortuna che il concetto continui a sfuggire ai saviano: con "alleati" del genere l'attivismo politico potrebbe fare a meno dei nemici.

"Questa era la storia sconfitta degli autonomi, una storia passata per fortuna. Non bisogna più cadere in trappola. Bisognerà organizzarsi, allontanare i violenti. Bisognerebbe smettere di indossare caschi. La testa serve per pensare, non per fare l'ariete. I book block mi sembrano una risposta meravigliosa a chi in tuta nera si dice anarchico senza sapere cos'è l'anarchismo neanche lontanamente. Non copritevi, lasciatelo fare agli altri: sfilate con la luce in faccia e la schiena dritta. Si nasconde chi ha vergogna di quello che sta facendo, chi non è in grado di vedere il proprio futuro e non difende il proprio diritto allo studio, alla ricerca, al lavoro. Ma chi manifesta non si vergogna e non si nasconde, anzi fa l'esatto contrario."

La semplificazione gazzettiera e mandolinesca che Roberto Saviano fa della storia recente è al di là del qualificabile. Viene anche da chiedersi dove prenda certe asserzioni sull'ambiente anarchico, nel quale si annidano i più accaniti lettori di cui abbiamo mai avuto contezza.
Che una sciarpa sia sufficiente a celare la propria identità, nell'epoca delle telecamere digitali e delle fibre ottiche, è cosa che possono bersi soltanto gli sprovveduti o i lettori di "Repubblica". Sarebbe anche interessante sapere in che modo studio, cultura e scontri di piazza dovrebbero essere considerati antitetici. Al di là degli scontri di piazza, la storia recente presenta esempi misconosciuti e coerenti di eruditi poliglotti che si sono assunti la responsabilità di centinaia di uomini in prima linea e che non hanno mai trovato la propria erudizione incompatibile col lavoro di vanghetta per allargare una trincea.

"E se le camionette bloccano la strada prima del Parlamento? Ci si ferma lì, perché le parole stanno arrivando in tutto il mondo, perché si manifesta per mostrare al Paese, a chi magari è a casa, ai balconi, dietro le persiane che ci sono diritti da difendere, che c'è chi li difende anche per loro, che c'è chi garantisce che tutto si svolgerà in maniera civile, pacifica e democratica perché è questa l'Italia [rinnoviamo le nostre scuse, e confidiamo nella tolleranza di chi legge, N.d.A.] che si vuole costruire, perché è per questo che si sta manifestando. Non certo lanciare un uovo sulla porta del Parlamento muta le cose.
Tutto questo è molto più che bruciare una camionetta. Accende luci, luci su tutte le ombre di questo paese. Questa è l'unica battaglia che non possiamo perdere."


Un ultimo misunderstanding. Questo Saviano vorrebbe dare ad intendere che il "Parlamento", qualunque cosa sia, sarebbe "rappresentativo della volontà popolare".
Sul fatto che il "Parlamento", nello stato che occupa la penisola italiana, abbia un qualche residuo di una simile funzione abbiamo pesantissime riserve e non abbiamo alcun motivo per scioglierle.
In altre parole, gli individui di nostra conoscenza che siano orgogliosi di riconoscersi in simili rappresentanti appartengono ad una cerchia isolata, ad un ghetto privo di rapporti interpersonali autentici cui si rivolgono saluto e parola per mera ed elementare educazione, cui è stato insegnato che malafede, incompetenza e cialtroneria sono motivo di giustificazione quando non di vanto.
Chiunque abbia un minimo di rispetto per se stesso ed abbia fatte proprie le istanze presentate come positive da Roberto Saviano -ovviamente senza aver avuto bisogno che arrivasse lui col suo avallo- nel migliore dei casi, trova intollerabile perfino l'idea di essere rappresentato da qualcuno che sieda accanto a quei mangiatori di salumi e a quei bevitori di alcolici. L'"occidentalismo" ha prodotto una radicata disistima verso le istituzioni, riempiendole al contempo dei migliori campioni che un "Occidente" in piena ed irreversibile decadenza riuscisse a produrre, dagli scarti di anticamera alle femmine da trivio.
Roberto Saviano avrebbe potuto utilizzare il fin troppo spazio che "Repubblica" gli ha concesso per spiegare come e qualmente sia possibile, nel contesto di uno scontro di piazza, trasformare in un boomerang propagandistico la pura e semplice presenza dei gendarmi: i casi in cui questo si è verificato fanno parte dell'esperienza recente.
Perfino questo, è riuscito a non dire.

mercoledì 15 dicembre 2010

Firenze. Di gendarmi in trattoria, di due pesi e di due misure


Roma, "capitale" dello stato che occupa la penisola italiana, dicembre 2010.
Facinorosi minoranza professionistidellaviolenza nogglòbal blackblock anarconaziislamocomunisti aggrediscono i Nostri Ragazzi delle fozzedellòddine.

Si riporta da un post di Riccardo Venturi.
Riccardo Venturi sarebbe stato testimone di uno scambio di battute tra gendarmi, avvenuto in una trattoria di Firenze il 15 dicembre 2010: lo riporta facendolo seguire da alcune dediche.
La nostra, di dediche, è a chi ogni giorno si affanna per ore affinché si creda che certe cose succedono sempre, solo ed esclusivamente a Tehran e a Yazd, a Qazvin e a Mashad.
Il 14 dicembre 2010, in una città che figura come capitale dello stato che occupa la penisola italiana, un paio di blindati ed alcune auto private hanno fatto le spese di una serie relativamente nutrita di scontri di piazza.
Errore imperdonabile: certe cose vanno bene solo in Nagqsh-e Jahan o in Azadi.
Sennò la qualifica di terroristi e di compartecipatori psichici degni di un proiettile in fronte non ve la toglie nessuno.
Dice l'hanno detto alla televisione.
Chi ancora ce l'ha e ha anche la dabbenaggine di guardarla.
C'è addirittura in giro gente che crede a quello che esce da quel coso; pensate.

"...Mi cade l'occhio su qualcuno che entra. Mannaggia. Fine. Perdipiù, è un poliziotto; e, come se non bastasse, è seguito da un altro poliziotto, da un altro ancora e da un ultimo. Tre in divisa e uno in borghese [...]

hai visto ieri a Roma?
Io lo saprei come fare, prenderei dieci black bloc, li metterei tutti in fila e gli spaccherei il cranio col fucile.
Hai proprio ragione, ma possibile che noi le dobbiamo sempre prendere? Sparare altezza uomo e via andare!
E il finanziere lo hai visto? La pistola doveva usarla, doveva sparare a tutti quegli stronzetti figli di papà.
Quelli possono ringraziare che era uno scemo di finanziere (risate, ndr), se c'ero io erano già tutti morti.
Vanno ammazzati tutti, tanto si sa come fare. Poi condannano lo Spacca (Spaccarotella, così almeno credo, ndr). Gli andrebbe data una promozione, invece.

La prima [la prima dedica, n.d.r.] a chi ciancia ancora di polizia democratica e roba del genere. Quattro sbirri qualsiasi a tavola che commentano il fatto del giorno nei termini di cui sopra. Quattro sbirri qualsiasi nel 2010, colti nel loro normale conversare. Crani sfasciati, fucili, pistole, spari altezza uomo, la promozione.
La seconda al signor Camilleri Andrea, uomo di sinistra che dichiara di "credere nella polizia" e che destina i proventi di un suo libro alle vittime del dovere. Forse bisognerebbe che scrivesse meno vigàte e che li ascoltasse, i discorsi dei poliziotti; magari potrebbe anche riportarli in un romanzo del suo commissario "ganzo", quello che ha fatto il '68 e che piace a tutti, me compreso.
La terza a chi crede nelle favole. Tipo quella dei "Black Bloc" (che si sono sciolti anni fa), o anche quella degli "infiltrati". Siccome rivoltarsi non è concepibile, chi si scontra con la polizia deve per forza essere un "infiltrato". Così facendo, si riesce ad "essere di sinistra" evitando accuratamente di prendere posizioni troppo scomode, di quelle che esigono le condanne unanimi.
La quarta, infine, alla ragazza della trattoria, che deve aver capito qualcosa. Mentre ascoltavo, mi dev'essere partita qualche occhiata strana, e non certamente a lei. Mi ha applicato uno sconto mostruoso, offerto il doppio caffè e anche la sambuca con la "mosca". Tredici euri in tutto, per una piattata di pasta che avrebbe schiantato voi comuni mortali, due salsicce punta di coltello e un subisso di zucchini. Mezzo litro di vino rosso e l'acqua minerale (anzi no, naturizzata)."

Tehran, Repubblica Islamica dell'Iran, giugno 2009.
Eroici difensori della libertà si ribellano alle inique forze impiccatrici e lapidatrici della dittatura nucleare.

martedì 14 dicembre 2010

Repubblica Islamica dell'Iran e stato che occupa la penisola italiana. Differenze di stile nella classe politica.


Due contrasti palesi, scelti con deliberata perfidia per contrapporre un autonominato esportatore di democrazia ad un eteronominato candidato all'importazione della medesima, magari a mezzo di bombardamento nucleare sionista.

Repubblica Islamica dell'Iran. Parlamentari ascoltano il discorso del presidente Mahmoud Ahmadinejad nel corso della cerimonia di apertura della nuova legislatura a Tehran, 27 maggio 2008 (fonte: wn.com). Nessun comportamento appariscente, nessuna ostentazione di status sociale, contegno conforme a quello che ci si attenderebbe dai componenti di uno dei più importanti consessi del paese. Nella Repubblica Islamica dell'Iran ogni progresso tecnologico viene esibito con giusto orgoglio: ogni postazione ha uno schermo LCD e dispone di spazio necessario a lavorare sul serio.

Stato che occupa la penisola italiana. Mangiaspaghetti ascoltano un discorso del presidente della camera bassa a Roma, 14 dicembre 2010 (fonte: un portale rimasto, per una volta, stranamente a corto di ragazze svestite). Comportamenti degni di un pallonaio domenicale, ostentazioni di mise dal costo astronomico, contegno conforme a quello di una ciurma di pallonieri in gita per andare al pallonaio di un'altra città. Nello stato che occupa la penisola italiana ogni involuzione ottusa viene esibita con giusto orgoglio: Uno con la cravatta agita così un pallottoliere ed ogni postazione dispone dello spazio strettamente sufficente a consultare una rivista pornografica.

Repubblica Islamica dell'Iran. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad durante i lavori della Majilis. La foto viene presentata nel contesto di un articolo sulla crisi del 2009 seguita ai discussi risultati delle elezioni presidenziali. L'immagine evidenzia l'attenzione, la consapevolezza e la composta partecipazione di tutti i presenti ai lavori di una delle massime assemblee del paese.

Stato che occupa la penisola italiana. Uno scaldapoltrone "occidentalista" di nome Nino Strano mangia salumi e beve alcolici durante una seduta parlamentare. La foto risale ad un periodo di crisi politica ed evidenzia, al pari dell'articolo che ne descrive le circostanze, l'attenzione, la consapevolezza e la composta partecipazione alla decisione di questioni fondamentali che sono abituali per individui degnissimi rappresentanti dei loro sudditi.


sabato 11 dicembre 2010

1940, Krishtlindje në Shqipëri



Dicembre 2010. Il principale partito "occidentalista" della penisola italiana ha speso praticamente tutto l'anno in regolamenti di conti che ne hanno coinvolto tutti i livelli: ai più alti si dispone di strumenti collaudati per il linciaggio mediatico, i pesci piccoli si arrangiano come possono, dalle lame ai traditori in giù.
I traditori sono quelli che in questa elegante e costruttiva contesa sono rimasti seguaci di un tizio che a metà degli anni Novanta li tolse dalle fogne, in più di un caso in modo letterale. E non sono molti, avendo la maggior parte dei beneficiati di allora non soltanto deciso di non seguirlo, ma partecipato in prima persona alla massiccia campagna denigratrice che ha saturato mainstream e comunicazione politica in generale.
A séguito di queste vicende nel principale partito "occidentalista" della penisola italiana si è concentrato un numero rilevante di individui impresentabili da più di un punto di vista ed è tornata viva l'ostentazione per slogan, monture e propaganda del governo autoritario che nel XX secolo resse le sorti della penisola italiana per venti anni. Di quale perizia, di quale consapevolezza, di quale maturità e di quali competenze fossero capaci i protagonisti di quel periodo fu prova la reazione di molti di essi al disastro finale, prevedibile, previsto e puntualmente verificatosi, intanto che i responsabili di esso non si capacitavano nemmeno di che cosa potessero aver mai fatto per ritrovarsi in una situazione del genere.
Il governo autoritario, formalmente sottoposto alla forma monarchica assunta all'epoca da quello stato, nacque dopo una guerra che fornì ad esso uomini, giustificativi, miti fondanti e punti di partenza per la propaganda e la costruzione del consenso. Una delle invenzioni dell'autoritarismo peninsulare fu l'istituzione di un corpo armato che prese il nome di Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, noto anche come camicie nere per il colore predominante nelle uniformi. A novant'anni dalla sua fondazione, le iconografie ed i simboli della Milizia sono oggetto di un certo sfruttamento commerciale ed hanno un considerevole potere seduttivo soprattutto nei confronti degli "occidentalisti" più giovani, insieme a tutta la propaganda legata a quel periodo.
La menzogna è coessenziale all'"occidentalismo" e non è certo questo il caso che fa eccezione alla regola. Nel 1940 lo stato che occupa la penisola italiana entrò nel peggiore dei modi in una guerra mondiale. Sulle prove fornite in essa dalla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, nata come emanazione ed incarnazione stessa dell'autoritarismo ed in questo sua fedele rappresentante, lasciamo la parola ad un testimone di una delle più sanguinose, inutili e demenziali iniziative ideate dai vertici politici e militari del tempo. Si tratta di un esempio letterario: uno, tra le migliaia che sarebbe possibile citare.

Sono arrivati i complementi per riempire i vuoti del Vestone e anche un battaglione di camicie nere per rinforzare il nostro settore. Ho l’incarico di accompagnarli sulle posizioni e cammino lento in testa alla colonna seguito da un capitano richiamato e da un seniore della milizia. Procediamo nella pista battuta tra la neve alta; gli alpini, carichi come mai, stanno serrati e silenziosi nella fila. Agli alt posano gli zaini sulla neve, si siedono sopra e guardano senza alcun commento queste montagne cupe. Sono gli ultimi richiamati delle classi anziane [...].
Le camicie nere sono invece seminate lungo tutti i chilometri della mulattiera; malgrado la buona volontà e benché non siano caricati come gli alpini, non riescono a tenere il passo. Il loro comandante è indispettito e li incita con voce tonante; gli faccio osservare che i grecì potrebbero sentirlo e subito ammutolisce guardandomi come un arrabbiato [...].
Questi "spazzacamini" provengono dalla bassa novarese e le montagne le avranno viste da lontano quando il vento portava via la nebbia condensata sopra i loro paesi da rane, o quando andavano a fare le gite con il dopolavoro. Al vederli fanno pena, e la loro montura così irraionale e apparentemente ardita è qui ridicola: il pugnale di traverso dalla parte della milza, la camicia nera, i fasci al bavero, il fez con il fiocco nero, gli stivaletti da marciapiede. I capimanipolo sono sparpagliati tra i piccoli gruppetti che arrancano con fatica; i loro visi sono glabri, tossiscono e hanno il fiato pesante. Mah, vedremo se sono gente da sabato fascista o se si adatteranno a questa vita.
Arriviamo tra i due roccioni del Papallazit dove c'è il comando del Vestone [...]. Il mio compito è finito e ritorno indietro; lungo tutta la pista e sino alle batterie incontro militi sperduti. Ultimo è un caposquadra anziano con tanti nastrini sul petto, tenta di proseguire appoggiandosi a un ramo che gli fa da bastone; mi chiede quanta strada c’è ancora per arrivare al comando del Vestone, se i greci sono vicini e se c’è pericolo che sparino. Gli faccio coraggio e lo tranquillizzo: prima di notte, se si sbriga, ci arriverà e poi, quando è buio, di solito i greci non sparano.
Ma fu il giorno dopo che i greci attaccarono. Era il 22 dicembre 1940; durante la notte il battaglione di camicie nere si era inserito tra il Verona e il Vestone e doveva tenere il tratto di linea che va dal Pupatit allo Shkalles. [...] Il colonnello era calmo ma preoccupato; temeva che in breve tempo si esaurisseto le nostre munizioni e non era certo del settore tenuto dalle camicie nere. [...]
I greci tiravano anche sulla pista immediatamente dietro le posizioni del Verona e che dovevo percorrere per arrivare al Vestone; sentivo le pallottole passarmi sopra la testa, il continuo tiro delle nostre armi automatiche e i colpi da 81 mi cadevano attorno come volessero sbrindellarmi. E io correvo, correvo come un segugio, guardandomi attorno e tendendo le orecchie per individuare l'avvicinatsi delle bombe.
Ero appena passato quando i greci arrivarono sotto le postazioni delle camicie nere, e queste senza sparare un colpo o tirare una bomba a mano, abbandonarono tutto e fuggirono verso il fondo della valle del Verces, e poi giù, lungo il fiume, sino al comando della divisione dove, vedendole in quello stato, quelli delle retrovie caricarono i muli e le carrette per ritirarsi verso Elbasan.
La situazione dopo il cedimento, anzi l'abbandono delle trincee da parte delle camicie nere, si era fatta preoccupante, ma gli alpini tenevano con accanimento [...]. Quando venne sera i greci smisero di attaccare e invece di proseguire per il varco lasciato libero dagli "spazzacamini" si fermarono su quelle trincee e girarono verso il vuoto le armi che questi avevano abbandonato.
Prima dell’alba due plotoni del Vestone e uno del Verona piombarono dall’alto e sorpresero i greci facendoli tutti prigionieri, riprendendo le armi che erano state abbandonate. Sul venire del giorno la situazione era così ristabilita, ma loro ripresero ad attaccare in massa, con insistenza. Smisero nelle prime ore del pomeriggio, quando le nostre munizioni erano ormai esaurite: gli ultimi colpi dei mortai di Baroni e dei 75/13 riaccompagnarono i greci superstiti alle posizioni di partenza.
Ero appena tornato dal comando della 57 di Bracchi, anche dalle altre compagnie avevo portato la situazione delle nostre perdite e delle munizioni; il colonnello stava telefonando alla divisione che l’attacco era stato definitivamente respinto. — Bene, — si senti la voce dall’altra parte, — inseguiteli! Scacciateli, vai al contrattacco!
Il colonnello diventò terreo, bestemmiò in piemontese e con voce sarcastica rispose: — Certo, li inseguo io, con il mio attendente! — e strappò il filo. Fece una smorfia che lo rese più brutto di quello che era, afferrò un bastone, il cappello: — Vieni! — mi disse. E usci. Passammo lungo tutta la nostra linea e camminava nervoso, cattivo, duro più di sempre. Nel bosco, prima di arrivare alle batterie, incontrammo due camicie nere disperse: le bastonò. — Vi faccio fucilare, — diceva sordo tra i denti. E le riaccompagnammo su tra gli alpini. [...]
Il giorno di Natale mangiammo la carne di un mulo che era precipitato in un burrone. La notte del 31 dicembre il Vestone ebbe il cambio: accompagnai in linea il battaglione Val Leogra; tutto di richiamati che venivano dalla mia provincia, gente tranquilla e pacifica, di fondovalle. Il Vestone venne ad accamparsi vicino a noi; le compagnie erano più che dimezzate, l’equipaggiamento era a brandelli, tanti senza scarpe, molti i congelati; e tutti irsuti, sporchi, di pochissime parole e tetri: nauseati di una lercia patria fascista che li faceva combattere tra le tormente balcaniche oltre i duemila metri, senza munizioni, senza viveri, senza indumenti.

Mario Rigoni Stern, prima di stesura di Quota Albania, Einaudi, Torino 1971.

giovedì 9 dicembre 2010

Firenze, Massimo Mattei e l'islamofobia quotidiana ad uso dei cialtroni


Sherif el Sebaie ha seguito e riassunto le vicende di un mustad'af qualsiasi, indicato per giorni come il principale se non l'unico colpevole di un delitto efferato; il gazzettame assicurava che "se ne attendeva solo la confessione".
Due giorni dopo il posatore e piastrellista ventitreenne finito in galera per un errore di traduzione, e dotato di alibi che sono parsi difficilmente contestabili, viene rilasciato.
Non è certo la prima volta che i copioni già scritti rifiutano di girare come desiderabile. Sul più repellente caso di questo genere ci soffermammo molto a lungo a suo tempo, ma il ruolo dei capri espiatori, chiamati quotidianamente per legittimare a contrario lo stato di cose presente, è fondamentale per la costruzione di un consenso acquiescente e pensare che i gazzettieri ne facciano a meno in nome di un minimo di obiettività significa sicuramente pretendere troppo.
Adesso che è venuto fuori che i marrocchini trascorrono le giornate più che altro lavorando come matti invece che ad insidiare il fiore della gioventù "occidentale" (attività in cui farebbero se mai concorrenza agli autoctoni, ma questo sulle gazzette non lo scrivono di certo), i gazzettieri si trovano un po' a mal partito: occorre trovare a tutti i costi qualcosa per mantenere sempre e comunque quel clima demente di allarme sociale tanto redditizio per tutti, e far scivolare rapidamente nel dimenticatoio l'incompetenza cialtrona con cui si affrontano certe questioni. Per una new islamofoba andata a monte, se ne devono dunque costruire almeno altre due. In questo, il giornalame del 9 dicembre 2010 offre un esempio concreto di una prassi trasversale e consolidata.
Il terreno lo prepara un articoletto di un certo Claudio Magris, che sul Corriere della Sera tenta di raccontare che la luna è fatta di formaggio, e che è giusto il bianco perché è nero.
La solita foletta per mentecatti. Chissà quanto l'hanno pagato.
Su Magris e sul contesto del paesucolo lombardo dove si è consumata la vicenda Sherif el Sebaie e Miguel Martinez hanno detto tutto quello che c'era da dire.
Confuse le acque con i Magris si può tirare un sospiro di sollievo e tornare all'attacco come se niente fosse. Si parte quindi con una fumosa notizia in merito a frequenze scolastiche e musica, che su "La Nazione" di Firenze serve a meraviglia per consentire ad ogni islamofobo di condominio di dare testimonianza della propria pochezza. Non commentiamo il contenuto della new perché in dieci casi su nove i contenuti di quel foglietto non sono degni neppure di confutazione. Ci soffermeremo invece su alcuni dei commenti raccolti da essa, che illustrano il solito quadro di strepitosa idiozia che è normale attendersi dal target di quel giornaletto.

N. Casini
Vergognoso il compromesso, ci siamo, ancora una volta, chinati a questa gente. Oramai è palese che questi non hanno alcuna intenzione di integrarsi e una cultura troppo distante dalla nostra per poter convivere nella stessa nazione. Vivono qui, usufruiscono dei nostri servizi e ci disprezzano, ci considerano degli infedeli e attendono il giorno in cui saranno abbastanza per prendere il nostro posto in Italia e in Europa. Per fortuna ma anche purtroppo, ultimamente, nel Vecchio Continente alle elezioni la destra più xenofoba sta avendo molti consensi un pò dappertutto, spero sia il segno del fatto che la gente ha iniziato a capire con chi ha a che fare.

Questo N.Casini rappresenta un caso di islamofobia di quelli da spaghetteria a prezzo fisso.
Complottismo spicciolo, cialtroneria, incompetenza. Coronate da quella cecità che fa da corollario a quell'ignoranza coltivata con amore e dedizione dall'intero manstream "occidentale", ormai talmente pervasiva e condivisa che i sudditi se ne servono come un giustificativo.
Il malcapitato lavoratore marocchino citato all'inizio "nel Vecchio Continente" ci era venuto appunto per lavorare: la telefonata che gli è costata il carcere pare fosse diretta ad un tale che gli doveva del denaro. A detta dei suoi stessi padroni quel ventitreenne dava da anni prova di affidabilità e dedizione al lavoro. Invece di un molestatore di ragazzine, dovremmo trovarci al cospetto di un individuo dal comportamento economicamente responsabile, impostato a quella sobrietà e a quella spartanità che il Libro raccomanda esplicitamente ai credenti. Caratteristiche che lo autorizzano sicuramente a disprezzare una società "occidentale" improntata a criteri opposti, e nella quale, oltre all'ignoranza, anche la dissolutezza è divenuta giustificativo, quando non motivo di vanto.
Il disprezzo altrui gli "occidentalisti" lo cercano e lo meritano.

J
E io pago le tasse per dare le case popolari a questa gente ?? Che pena..

Il caso di J invece è impostato ad uno stringato qualunquismo, che alla sua base ha di solito un po' di legalitarismo d'accatto. Questo non lo escluderebbe certo dal frequentare spaghetterie di terz'ordine: chi volesse immaginarsi N.Casini e J., muniti di canottiera d'ordinanza, shorts e ciabatte intenti a consumare una zuppiera di maccaruna c'a'pummarola, dovrebbe però immaginare il primo intento a consumare la propria parte ascoltando assorto il telegazzettino di tolleranzezzèro, giridivite e altra roba così trasmesso dalla tv all'angolo, ed il secondo invece impegnatissimo a protestare querulo con la cameriera per l'esiguità della porzione ricevuta.
J dovrebbe comunque sentirsi allegro: con le sue tasse lo stato che occupa la penisola italiana strapaga militari, carri armati ed aerei che da anni stanno tentando, con risultati ampiamente discutibili, di esportare la democrazia direttamente a casa di certi signori: per il solo 2010 i costi previsti ammontano ad un miliardo di euro abbondante.
Chissà quante case popolari ci si costruirebbero.

Abbiamo costruito una scena ambientata in una spaghetteria -una di quelle dove si smerciano anche videocassette pornografiche e santini di Padre Pio, la consueta metafora con cui in questa sede si indica lo stato che occupa la penisola italiana- perché la seconda new islamofoba di oggi riguarda un ristorante vero e proprio.
Firenze ha stretto da anni un gemellaggio con Esfahan. Da Esfahan una delegazione in visita ufficiale sarebbe arrivata a Firenze per studiare il funzionamento dei trasporti pubblici cittadini. Una gazzetta tenuta in assai maggior conto de "La Nazione" di cui sopra -per motivi che abbiamo ragione di ritenere sempre meno fondati- ci informa in merito ad un fatto trascurabile verificatosi in una trattoria del centro, che è diventato new solo per la nazionalità di alcuni protagonisti.

"Di fronte alla tavola imbandita per gli ospiti alla trattoria Giannino in San Lorenzo scoppia un caso: gli iraniani rifiutano di sedersi con lo staff di Mattei perché nella truppa italiana ci sono due donne.
La delegazione di Isfahan chiede un altro tavolo, intenzionata a consumare il pasto offerto da Palazzo Vecchio in separata sede. E Mattei va su tutte le furie: "Non intendo proseguire nei convenevoli: o siedono al nostro tavolo o vado via", urla prima di uscire dal ristorante: "Questione di rispetto, non possono andare in barba alle nostre tradizioni", si sfoga all'ingresso della trattoria, trattenuto solo da un assistente.
I persiani dentro confabulano tra di loro per un quarto d'ora e solo dopo un confronto acceso alla fine accettano di sedere al tavolo con gli italiani. Mattei rientra e tiene un discorso sulla cultura dell'accoglienza fiorentina accolto dagli amministratori iraniani con un certo imbarazzo".

I resoconti gazzettieri sulle uscite pubbliche dei rappresentanti istituzionali dello stato che occupa la penisola italiana, a qualunque livello appartengano, sono abitualmente ricchi di dettagli avvilenti e rivelatori.
Questo significa che è più facile trovarvi apprezzamenti sulle giovani donne poco vestite che hanno presenziato ad essi che non sui contenuti di discussioni, decisioni e trattati.
L'adozione abituale di una simile prassi può portare a credere che lo stesso valga anche per i rappresentanti istituzionali provenienti da contesti meno sovvertiti.
Uno di questi contesti è la Repubblica Islamica dell'Iran. E data la minor sovversione del contesto di provenienza, nulla vieta di pensare che una delegazione proveniente da essa non sia davvero venuta a Firenze per prendere informazioni di prima mano sul funzionamento dei trasporti pubblici, anziché per passare le serate al ristorante. Massimo Mattei -autoschedato sul Libro dei Ceffi, come tiene a precisare lui stesso- avrà anche le competenze e i meriti per occuparsi di "Mobilità, manutenzioni e decoro", ma avrebbe fatto meglio a lasciar perdere "rispetto" e "tradizioni", a riflettere su questo dato elementare e a non imbarazzare gli ospiti con fastidiose e forse incomprensibili concioni.
In altre parole, i rappresentanti della Repubblica Islamica dell'Iran sono tenuti ad osservare, dando in questo esempio, una condotta pubblica che rifletta i valori fondanti dello stato rivoluzionario.
Si tratta di un contesto in cui comportamenti improntati a sobrietà, modestia ed austerità sono imprescindibili in pubblico.
Chiunque abbia avuto a che fare con gli ambienti della politica e della diplomazia iraniane sa che in linea di massima i loro rappresentanti non condividono la tavola con donne non rispettose dello hijab, e non siedono laddove siano anche soltanto presenti degli alcolici.
Uno dei motivi per cui vengono seguiti comportamenti tanto rigidi è che di solito le delegazioni all'estero sono composte da individui consapevoli di rappresentare un paese contro il quale da trent'anni esiste un bias mediatico estremamente negativo e continuamente rafforzato con qualsiasi pretesto. Permettere ai presenti di assistere a comportamenti contraddittori, improntati ad irreprensibilità sul territorio nazionale e considerevolmente più rilassati non appena al di fuori di esso, contribuirebbe al rafforzamento di questo bias ed è dunque costruttivo il fare ogni sforzo per evitarlo.
Queste linee comportamentali sono legittimate nell'uso dall'aver avuto un esempio tra i più alti.

Consapevole almeno del fatto che eliminarlo fisicamente avrebbe solo peggiorato le cose, Reza Pahlavi nel 1963 fece esiliare Khomeini in Turchia. Un accordo tra servizi segreti impose alla famiglia dell'ufficiale turco Ali Cetiner di ospitarlo a Bursa per quasi un anno. Appena giunto dai Cetiner Khomeini si rese protagonista di un episodio increscioso. Ma solo all'apparenza.

"La prima sera ci sedemmo per mangiare insieme ai miei due figli maschi, a mia figlia ed al colonnello iraniano. Mia moglie aveva allestito una lunga tavolata, e Khomeini sedeva a capo tavola. Il colonnello iraniano [Afzali, della polizia segreta SAVAK, n.d.r.] ed io gli sedevamo a fianco, uno per parte. Accanto a me c'erano i miei figli Tanju e Tulga, e dopo di loro mia figlia Payan. All'epoca frequentava le medie ed aveva circa dodici anni.
Arrivò da mangare. Khomeini rimase immoto davanti al piatto pieno e non accennò a servirsi. 'Padre', dissi io 'per favore, cominciate a mangiare'. Lui non disse niente. Non alzò neanche lo sguardo. Eravamo un po' imbarazzati: chiesi al colonnello iraniano se per caso il cibo non fosse di suo gradimento. Il colonnello si rivolse a Khomeini e i due iniziarono un breve dialogo. Khomeini era furibondo, e parlava a voce alta. Poi, tutto d'un tratto, alzò il pugno e puntò il dito contro mia figlia come se volesse trapassarla. Aveva gli occhi spalancati per la rabbia. 'Giz!' disse, in turco. Conosceva poche parole in turco: 'kiz', ragazza, era una di esse. Non riusciva a pronunciare 'kiz' nel modo corretto, dunque disse 'giz'. Mia figlia si spaventò, noi eravamo in grave imbarazzo e non sapevamo cosa dire o cosa fare. Khomeini era furente perché mia figlia si era messa a tavola senza coprirsi il capo. La ragazzina sedette impalata al suo posto per un po' con gli occhi spalancati. Poi corse via piangendo in cucina da sua madre. Quella sera non volle farsi vedere nuovamente da Khomeini e non ritornò a tavola. Dopo che mia figlia si fu allontanata, Khomeini sembrò considerevolmente sollevato. Cominciò a mangiare come se nulla fosse accaduto. Non mi dimenticherò mai di quello scontro. Non è così che si trattano i bambini".

Le osservazioni di Ali Cetiner su quanto avvenne quella sera costituiscono un interessante esempio di testimonianza da persona coinvolta nei fatti:

"L'intera vita di Khomeini era basata sull'immagine, e credo che anche un simile comportamento contribuisse ad essa. Faceva parte della sua astuzia. Più tardi notammo che faceva ogni sforzo per preservare una certa immagine e che si comportava in modo da conformarsi ad essa. Se il colonnello iraniano non fosse stato presente, credo che non avrebbe mai trattato mia fglia in quel modo. Infatti, successivamente entrò in familiarità con lei. Mia figlia continuò a vestirsi come aveva sempre fatto, come chiunque altro. Non si coprì il capo e continuò la sua vita di sempre quando si trovava in casa, e Khomeini non ebbe mai alcunché da ridire".

[Tradotto da Baqer Moin, Khomeini: life of the Ayatollah - I.B. Tauris & Co., London 1999]

martedì 7 dicembre 2010

Clarissa Lombardi. Continuano le disavventure di una piccola "occidentalista" pratese.


Nella penisola italiana sono diffusi due rotocalchi, "Panorama" e "L'Espresso", che ci dicono appartenere a sponde politiche teoricamente opposte. Ci sono sempre apparsi identici, nella loro specializzazione in pubblicità di roba inutile ed in ostentazione di genitali femminili, per cui non ci siamo mai curati di approfondire la cosa.
Dal sito di uno di questi cosi arriva la screeenshot qui sopra, che ci permette di infierire ancora un po' sulla micropolitica "occidentalista" Clarissa Lombardi, di Prato.
Il mainstream si è occupato di questa donna nel dicembre 2010, secondo modalità e motivi che abbiamo già esposto. Per qualche ora Clarissa Lombardi è stata al centro della scena e non certo per i propri meriti. Tuttavia dobbiamo spezzare una lancia in suo favore, ed auspicare che la questione non le porti eccessivo detrimento, per i motivi che andremo adesso ad illustrare.
Sia chiaro: Clarissa Lombardi è e rimane un "occidentalista" di quarta fila. Uno di quelli, per intenderci, capaci di sommergere di comunicati stampa lo stesso mainstream che in questo caso gli si è rivoltato contro. Uno di quelli grazie al cui sordido e continuo lavorìo ci troviamo a vivere in un clima sociale in cui è sufficiente disprezzare i centri commerciali e la loro paccottiglia per essere sistematicamente additati come terroristi.
I nostri lettori sanno quale considerazione abbiamo dello stato che occupa la penisola italiana, da noi inteso come l'equivalente geopolitico di una spaghetteria di provincia in cui si smercino anche videocassette pornografiche ed immagini di Padre Pio, intanto che sul retro si affittano camere ad ore a marmaglia in canottiera. In questa situazione una Clarissa Lombardi non rappresenta un'eccezione o un elemento deviante, ma una perfetta rappresentante dei sudditi e dei "valori occidentali" da essi condivisi. Non sarebbe quindi né giusto né proporzionato che spettasse a lei fare le spese di una situazione per giungere alla quale milioni di individui si sono adoperati in piena consapevolezza ed in piena coscienza.
Tentando di rimediare alla mala parata, Clarissa Lombardi ha annaspato, finendo ovviamente col peggiorare le cose. Il Libro dei Ceffi non è un "contesto privato", essendo basato proprio sulla condivisione, ed i suoi profili non hanno alcuna corrispondenza obbligata con individui reali. Da quando autoschedarsi è diventato una specie di obbligo sociale, il numero di persone incappato in disavventure anche peggiori di questa non ha fatto che crescere, e non da oggi c'è chi deve ringraziare il Libro dei Ceffi per avergli permesso di finire nientemeno che in galera, e non esattamente per aver tentato di sovvertire l'ordine costituito.
O meglio, per aver tentato di rimettere le cose al loro posto, essendo l'"Occidente" dominato proprio dalla sovversione.
Le asserzioni della Lombardi non hanno affatto riguardato "un contesto privato" e meno che mai vanno considerati prodotto di un'"onda emotiva". L'esperienza emotiva, come sanno tutti gli studenti di psicologia arrivati al secondo semestre, ha una durata limitata nel tempo. Le asserzioni che insistano negli stessi contenuti da un mese all'altro chiamano in causa qualcosa di ben più stabile e longitudinalmente verificabile, per esempio un atteggiamento. Un atteggiamento che può sperare di contare sul sostegno sociale che deriva da "valori" condivisi.
Ad un certo punto, la Lombardi chiama anche in causa il proprio marito. A nostro parere questo signore avrebbe agito costruttivamente se avesse usato della sua autorevolezza, oltre che per sventare tentativi di furto, anche per impedire alla cofirmataria del suo contratto di matrimonio di utilizzare strumenti telematici in modo tanto autolesionistico.
Su "valori occidentali" come quelli espressi da Clarissa Lombardi la sua formazione politica ha basato per decenni la propria propaganda, che unita alla sistematica criminalizzazione del dissenso ha consentito ad essa di raccogliere un'impressionante quantità di suffragi. Non è dunque giusto che una donna che tanto bene rappresenta sia l'elettorato attivo che quello passivo debba finire vittima delle mutate convenienze politiche dei suoi padroni.
Adesso esaminiamo meglio di quali "valori" si tratti, ammesso e non concesso che i gazzettieri de "L'Espresso" non abbiano aggiunto del proprio agli scritti di questa donna.

"Sono degli stronzi." "Zingari bastardi, ladri e da mandare a casa". "Figli di puttana". "Maledetti ROM del cazzo!". Incipit della faccenda coscienziosamente basato sul sistematico turpiloquio, il registro abituale della comunicazione "occidentalista" in tutti i settori che vanno dall'istituzionale all'interpersonale.
Il tutto, detto da una che sta addentando il gambo di una rosa gialla. Non dimentichiamolo.
"Maledetti Rom e Talebani del cazzo!". Una frasetta rivelatrice, su cui ci si concederà il piacere di tornare.
"Andrea, guarda, ancora non mi sono ripresa e piango come una scema dalla rabbia e dalla puara, e per il danno. che faccio vado a chiedere il rimborso al Carlesi? ma vadano tutti al diavolo, bastardi". Chissà cos'è la puara che fa piangere. Il resto dell'asserzione fa concludere che questo Carlesi sia diretto responsabile delle azioni altrui, secondo il vezzo "occidentalista" di fare degli avversari politici l'oggetto delle attribuzioni causali più disparate. E che questa responsabilità sia ovviamente ed immediatamente quantificabile in denaro, l'unico metro con cui gli "occidentalisti" misurano il reale.
Si tenga presente che tutta la questione verte attorno alla sottrazione di beni materiali. Un individuo consapevole che oltretutto ha superato i quarant'anni dovrebbe aver maturato da essi quel tanto di distacco dal non dover neppure avvertire la necessità di esibirsi in comportamenti come questi, che qualunque verduraia uzbeka troverebbe molto al di là dell'appropriato.
Un distacco che, per gente che ogni giorno ha la sfrontatezza di rifarsi alle "radici cristiane" dell'"Occidente", dovrebbe addirittura costituire l'obiettivo primario dell'esistenza terrena.
"A quei brutti figli di puttana che si sono ciulati la mia borsa e poi hanno tentato di entrarmi in casa... attenti, che ne prendete tante, ma tante e poi tante che vi passa la voglia, ROM DEL CAZZO!". L'ultima cosa che una "occidentalista" può permettersi di fare è avanzare ipotesi denigratorie in merito ai comportamenti sessuali altrui. La frase attribuisce ai medesimi individui il furto di uno dei molti oggetti inutili su cui le donne "occidentali" -e purtroppo non solo loro- basano la costruzione della propria identità, ed un tentativo di effrazione.
Sicuramente probabile, ma tutt'altro che certo.
La formazione "occidentalista" cui la Lombardi appartiene dice di tenere in modo particolare alla "legalità". Peccato che la "legalità", allo stato attuale della legislazione e della giurisprudenza nello stato che occupa la penisola italiana, non consenta il taglione e sanzioni esplicitamente gli eccessi di difesa. Un'altra delle tante circostanze che suffragano la nostra ipotesi secondo la quale il vocabolo "legalità", nella comunicazione politica "occidentalista", indica invece la pura e semplice repressione del dissenso.
Lo slogan in maiuscolo che chiude il periodo riporta questa "occidentalista" ai contesti familiari: il pallonaio, la rissa televisiva, il turpiloquio abituale.
"Voglio vivere alle terme, almeno qui gli zingari non ci sono!". Consumi di lusso, in un contesto di "comunità escludente". L'"occidentalismo" quotidiano in una delle sue espressioni consuete.
"...Sono settimane che dico che i Rom fanno vomitare e non cosnosco il consigliere padovano...". Qualcuno deve aver fatto notare alla Lombardi il costruttivo operato di uno della sua risma, arrivato al mainstream prima di lei. Clarissa Lombardi non lo cosnosce, ma il modo per rivendicare la primogenitura nel campo dell'insulto riesce comunque a trovarlo.

"Maledetti Rom e Talebani del cazzo!"; un'espressione che merita un'analisi approfondita, ad ulteriore danno e dileggio di Clarissa Lombardi.
Accomunare "Rom" e "Talebani" è un'operazione che a nessun titolo può essere estesa al di là del campo dell'insulto. E' tuttavia interessante che il vocabolo "Talebani" sia inteso, dagli "occidentalisti", come fortemente negativo e denigratorio.
Secondo una ricostruzione etimologica data per buona da Wikipedia, il vocabolo apparterebbe alla lingua Dari, طالبان ṭālibān, col significato di "studenti"; sarebbe il plurale di ṭālib, a sua volta un prestito dall'arabo طالب ṭālib , su cui si innesta la desinenza plurale indoiranica -an ان. Il significato del vocabolo arabo è a sua volta quello di "cercatore".
La parola richiama dunque i concetti di ricerca, di studio e sostanzialmente di competenza. In contesti meno dominati dalla sovversione, come l'altopiano del Pamir o le montagne del Tien Shan, si tratta di concetti unanimemente considerati come positivi. Un'altra realtà sistematicamente al centro delle denigrazioni "occidentaliste", come la Repubblica Islamica dell'Iran, fin dalla propria carta costituzionale fa delle competenze e della irreprensibilità del comportamento individuale le condizioni indispensabili per poter accedere all'elettorato passivo: l'esatto opposto di quanto avviene nella sovvertita realtà "occidentale".
Gli "occidentalisti" non nascondono mai il proprio disprezzo per qualunque forma di erudizione o semplicemente di curiosità intellettuale non possa essere immediatamente convertita in un reddito: la visione del mondo "occidentalista" ha elevato i più lerci slogan da feccia palloniera a indiscutibili chiavi per l'interpretazione del reale, e non può permettersi di tollerare nessuno che della complessità dell'esistente abbia anche un barlume di consapevolezza. L'utilizzo denigratorio di un vocabolo che richiama proprio competenze del genere è dunque loro assolutamente coerente.
Ovviamente c'è anche dell'altro: qualunque "occidentalista" da gazzetta indica abitualmente col vocabolo talebani chiunque sia sufficientemente consapevole dei propri mezzi da considerare con l'aperto disprezzo che merita la weltanschauung "occidentalista", specie la sua variante da esportazione a mezzo di aggressione bellica.
Da dieci anni la gente antica e povera degli altipiani afghani sta tenendo testa al più potente e più costoso esercito che sia mai esistito.
E non ha rose gialle tra i denti.

Pakistan. Combattenti taliban nello Waziristan meridionale.