Traduzione da Conflicts Forum.
L'abbattimento -o l'imboscata- dell'aereo russo da attacco al suolo impegnato in operazioni controterrorismo in territorio siriano compiuto dalla Turchia contribuisce senz'altro a complicare una situazione già ingarbugliata per conto proprio. Il gesto, com'era prevedibile, ha inasprito le relazioni tra Turchia e Russia, forse ad un tal punto che i turchi avrebbero anche di che preoccuparsi a giudicare dai toni che il Ministro degli Esteri Lavrov ha usato al telefono nel rampognare il collega turco di fresca nomina. Nell'invocare la protezione della NATO la Turchia ha introdotto (con ogni probabilità di proposito) una contrapposizione tra NATO e Russia nella già confusa situazione siriana, e così facendo ha reso ancor più problematico per i russi sperare che un'ampia coalizione si coaguli attorno ad una linea consensuale sui mezzi militari e politici da utilizzare per risolvere la crisi del paese.
Nell'immediato, il gesto non ha fatto che rafforzare la determinazione dei russi. E degli iraniani.
Gli aerei da attacco russi continuano le loro operazioni a ridosso della frontiera turca, solo che adesso sono sotto la copertura di intercettori, secondo un modo di agire che non era ancora entrato nell'uso quando è stato raggiunto l'accordo con gli USA per coordinare le varie sortite. La Russia non avrà alcuna considerazione per le "zone di sicurezza" turche in Siria, e soprattutto per i turkmeni, per i convogli di rifornimento turchi o per "moderati" come quelli che hanno ucciso il pilota russo mentre scendeva a terra senza alcun aiuto, vulnerabile con il suo paracadute. La Russia rafforzerà probabilmente i legami con lo YPG curdo e lo aiuterà a chiudere quegli ottanta o novanta chilometri di frontiera tra Siria e Turchia attraverso i quali passano ancora i rifornimenti che i turchi inviano ai loro protetti in Siria.
Il Presidente Putin può pensare anche ad altre ritorsioni, ma su questo è presto per fare ipotesi. Sotto questo punto di vista, la presidenza russa metterà in chiaro che non ha alcuna intezione di subire provocazioni simili senza resistere, senza perdere di vista il fatto che le operazioni militari intraprese possono essere efficaci solo nel contesto di una soluzione politica per la Siria, cosa che ha risvolti sul piano interno quanto su quello estero. L'abbattimento del Sukhoi 24 in che modo ha influito sulla prospettiva di una soluzione politica? I turchi sono riusciti a polarizzare le posizioni politiche, che era il loro principale obiettivo, e ad impelagare nella guerra il Presidente Putin molto più di quanto egli stesso desiderasse?
Anche prima che l'aereo russo venisse abbattuto era chiaro che a dispetto dell'entusiasmo mostrato da John Kerry verso un'iniziativa politica congiunta russi e ameriKKKani erano lungi da trovarsi d'accordo; adesso è possibile che le rispettive posizioni siano ancora più distanti. Sotto questo aspetto è probabile che l'iniziativa dei turchi sia riuscita ad alimentare il divario tra i due. Gli USA sostengono che le azioni militari russe "non siano di nessun aiuto", mentre è probabile che l'abbattimento del loro aereo renderà i russi ancor più determinati dal punto di vista militare, piuttosto che il contrario. A differenza di Kerry, il Presidente Obama è rimasto fedele all'idea che alla fine, con la Russia sottoposta a pressioni di vario genere, Putin finirà per scendere a patti. Un funzionario statunitense ha messo le mani avanti, dicendo che a Vienna Kerry stava andando quasi alla ventura, senza che la Casa Bianca gli fornisse chissà quale sostegno. Le considerazioni espresse ultimamente da Obama a Kuala Lumpur, inoltre, non fanno pensare a cambiamenti di alcun genere nella linea strategica fin qui seguita dagli USA, nonostante esista una qualche cooperazione a livello tattico. L'ex ambasciatore e commentatore politico MK Bhadrakumar specifica:
Le considerazioni che Obama ha espresso nel corso di una conferenza stampa a Kuala Lumpur il 22 novembre sono molto significative. Obama rilancia la palla nel campo di Putin con la spiazzante affermazione che la distruzione dello Stato Islamico "non è soltanto un obiettivo realistico, ma qualcosa che noi (la coalizione guidata dagli USA) stiamo portando a compimento" anche se "sarà utile" che Mosca sposti l'obiettivo del proprio intento dalla salvaguardia del governo siriano alla lotta contro lo Stato Islamico. Obama ha insistito sul fatto che se Putin vorrà compiere il necessario "aggiustamento strategico" anche la Russia potrebbe essere ammesssa alla coalizione a guida statunitense che sta combattendo lo Stato Islamico.Obama ha affermato categoricamente che "non è praticamente concepibile che il signor Assad possa nuovamente ottenere legittimità in un paese in cui una larga maggioranza lo disprezza, e non cesserà di combattere fino a quando rimarrà al potere".Obama ha attribuito il successo dei colloqui di Vienna al fatto che "hanno preso atto del fatto che occorre un nuovo governo" in Siria. Ha aggiunto che "la Russia non si è ufficialmente impegnata a favore di una transizione che preveda l'abbandono del potere da parte di Assad, ma è d'accordo sul fatto che è necessario un processo di transizione di tipo politico. Io penso che nelle prossime settimane riusciremo a capire se sarà o meno possibile condurre i russi a cambiare prospettiva".Certo, quello che Obama non ha detto è che si aspetterebbe che Putin ammorbidisse i leader iraniani durante la sua "visita di lavoro" del 23 novembre a Tehran. Ha invece dichiarato che su questo argomento Hollande la pensa come lui: in questo modo, Obama ha messo un'ipoteca sulla conversazione che Hollande avrà giovedi prossimo con Putin al Cremlino.
Insomma, si torna alle solite con la reaganite: l'Occidente mette la Russia sotto pressione politica per mezzo delle sanzioni che le impone e per il basso prezzo del greggio; per uscire da questa situazione, Putin deve chinare la testa al volere di Washington, alle direttive dello "Washington Consensus" e alla leadership mondiale statunitense. Questa tesi di fondo ha trovato nuova vitalità grazie alla capacità dell'AmeriKKKa di fare pressione su Putin tramite l'Ucraina -si considerino il blackout e l'assedio attualmente in corso in Crimea- e di sfruttare l'"errore" commesso da Putin intervenendo militarmente in Siria. Tony Blinken, vicesegretario di Stato, ha detto il 19 novembre che la Russia "si è mossa così male nel suo intervento in Siria che può ritrovarsi con poche alternative all'assecondare una composizione del conflitto". Una concezione dei fatti sofferente di reaganite: così come a detta di Zbig Brzezinski l'aver cacciato l'URSS nel pantano afghano ha significato causarne la rovina, così l'intervento di Putin in Siria si rivelerà una sorta di rovina autoprovocata.
In questo momento sono in molti in Occidente a dar l'idea di condividere la presunzione che l'intervento russo in Siria sarà la rovina di Putin. E' forse questo il motivo per cui Obama ha assunto una posizione tanto flemmatica ("La Turchia ha diritto di difendersi") in merito all'abbattimento dell'aereo russo da parte dei turchi? L'accaduto può impelagare ancora di più la Russia nella trappola siriana, così come il sostegno della CIA agli jihadisti impelagò l'URSS nella trappola afghana nel 1978? In ogni caso, è qualcosa che fa crescere la pressione su Putin, possono aver concluso quelli dell'Amministrazione.
Difficile capire in che modo la Turchia possa considerare quanto successo con il caccia russo come un precedente su cui basare proprie velleità espansionistiche -le pretese sugli antichi vilayet di Aleppo e di Mossul, le pretese di protezione sui turkmeni di Siria- rese presentabili col nome di "zona di sicurezza". In quella zona della Siria il controllo russo sullo spazio aereo è assoluto, e qualunque incursione militare turca verrebbe molto probabilmente fronteggiata da una pari escalation sul terreno da parte dell'Iran. L'esercito turco dovrebbe dunque affrontare una superiorità aerea russa assoluta da una parte, e le forze armate della Siria e dell'Iran dall'altra, ma questa è Una prospettiva improbabile. Che la Turchia stia solo cercando di cacciare ancor di più la Russia nella palude del conflitto siriano?
Secondo Stati Uniti e Gran Bretagna, almeno per quanto scrive il Financial Times citando diplomatici occidentali che hanno avuto contatti con i russi, si può parlare di "crescente [speranza] che si possa ad arrivare ad un accordo politico sul futuro della Siria". Il loro ottimismo "è stato rafforzato dai recenti segni di collaborazione che arrivano dalla Russia, oltre che dalla convinzione che l'intervento militare di Mosca in Siria stia perdendo mordente (il corsivo è di Conflicts Forum). In altre parole, USA e Regno Unito sono convinti che la Russia sia sul punto di dirsi d'accordo sull'estromissione di Assad, nonostante Putin abbia detto chiaramente che nessun comprimario ha il diritto di imporre qualcosa di simile al popolo siriano.
Il Financial Times cita anche un "funzionario di alto grado dei servizi segreti di un paese europeo" che pensa che "il Cremlino abbia valutato male le conseguenze che il suo intervento militare in Siria potrebbe avere". Questo funzionario ha detto anche "i russi hanno dato una guardata sotto gli orpelli e si sono accorti che l'Esercito Arabo Siriano e le milizie che lo affiancano non erano in grado di vincere la guerra in Siria". (Nota: quasi sicuramente questo funzionario è britannico, a giudicare dall'espressione utilizzata). Detto altrimenti, secondo il funzionario citato i russi avrebbero già interrotto la loro iniziativa militare.
La cosa non sembra credibile. Possibile che i leader politici occidentali credano alle loro stesse ciance? Purtroppo è possibile che lo facciano davvero: a tanto arriva il potere del "pensiero di gruppo". Janes' Defence Weekly passa per essere una pubblicazione autorevole: a metà novembre ha affermato che l'Esercito Arabo Siriano e i suoi alleati avrebbero recuperato solo lo 0,4% del territorio agendo sotto il comando russo. Difficile capire come Janes' possa arrivare ad una conclusione così drastica in un momento in cui le forze dei "quattro più uno" stanno compiendo progressi in ogni piano del conflitto. L'ufficiale superiore britannico è stato molto frettoloso nel concludere che le operazioni militari russe sono fallite: sono passate appena cinque settimane.
E' possibile pensare che molti occidentali abbiano creduto che lo scopo della visita di Putin alla Guida Suprema avvenuta a Tehran il 23 novembre avesse lo scopo di costringerlo a smettere di appoggiare i politici siriani e lo stato siriano, e di abbracciare invece la linea di Washington? Ma con quali russi hanno conversato, questi diplomatici? Sia chiaro invece che la visita di Putin a Tehran serviva ad affermare la partecipazione della Russia ad una alleanza strategica con l'Iran, e a riaffermare la loro posizione comune sulla Siria. Se mai, l'abbattimento dell'aereo russo ha rafforzato la risolutezza che accomuna Russia ed Iran sulla questione siriana e sul fatto che occorre dare a Washington una risposta condivisa. Davvero credevano di essere sul punto di dividere Russia e Iran sulla Siria? Si direbbe di sì, perché la loro linea politica è chiaramente quella: esasperare i punti di divisione tra Russia ed Iran: scalzare la Russia dall'Iran, come si direbbe nel loro diplomatico linguaggio.
Sembra che i retaggi della Guerra Fredda e la lunga storia di rapporti ostili con l'Iran renda difficile ai funzionari occidentali concepire la Russia, o l'Iran, in un'ottica che non sia quella di queste vecchie lenti paradigmatiche. In realtà il dibattito sulla Siria in corso a Washington è caratterizzato da una varietà di posizioni. Esistono funzionari, funzionari di grado elevato, che effettivamente riconoscono i meriti di una cooperazione con la Russia e della necessità di arrivare ad una soluzione politica che lasci da parte la questione della partecipazione del Presidente Assad a future elezioni, invece che anteporre alle questioni politiche il risultato voluto, vale a dire la destituzione di Assad.
Sembra tuttavia che al momento Obama non intenda scostarsi dalle sicurezze rappresentate dai consueti ambienti di riferimento, e dai think tank che ritengono cie gtli "atlantisti" russi siano ancora in grado di capitalizzare su un qualche errore di Putin e di rientrare nella stanza dei bottoni, in modo da indirizzare la Russia verso un ordine mondiale a guida statunitense. Forse anche il Presidente si è reso conto di avere comunque in carniere un risultato importante, che è l'accordo dei "cinque più uno" sul nucleare iraniano e si accontenta di restare, per il poco che rimane del suo mandato, entro i limiti sicuri ammessi dall'ortodossia.
D'altro canto è anche possibile che Obama sia scettico nei confronti del pensiero affetto da reaganite, così come era scettico verso la difesa della strategia basata sull'aizzare i "moderati" siriani operata da certi membri del suo governo. Se Obama coltiva simili dubbi, il discorso di Kuala Lumpur non li ha certo fatti emergere, anzi. In quella circostanza Obama è stato chiaro: lasciamo che le prossime settimane [in cui la Russia rimarrà a candire nel ginepraio siriano] indichino se vi sarà o meno qualche "ripensamento strategico" da parte di Putin; l'AmeriKKKa intanto se ne rimarrà a guardare da bordo campo dimostrando di essere lei e non la Russia a guidare qualsiasi coalizione che combatta lo Stato Islamico. Una simile atmosfera non è propizia a decisi mutamenti di una linea politica, tutt'altro.
Sembra anche che Putin non abbia mai avuto l'intenzione di fidarsi di una sola strategia, basata sulla collaborazione con gli USA, e abbia anzi previsto di far sì che a parlare siano i fatti compiuti, sia sul piano militare che sul piano politico. Questo significa che si potrebbe essere sulla strada di una soluzione politica sì, ma portata sulla punta delle baionette: nel caso l'intervento russo avesse successo, contriariamente alle aspettative occidentali, vi sarebbe un accordo politico a cose fatte, e non in parallelo con le azioni militari.
A quel punto gli europei sarebbero sotto tiro. La politica statunitense sembra intenzionata a mettere una pezza sul problema siriano per mezzo di attacchi condotti dalla coalizione a guida USA sia per arrivare ad assumere il ruolo predominante, sia per ridurre l'importanza della presenza russa. Questa linea non farà che esasperare le tensioni tra Russia e Stati Uniti, e andrà a finire che in uno spazio aereo sovraffollato presto o tardi capiterà qualche incidente.
Gli europei vogliono più di ogni altra cosa un accordo politico che possa fermare il flusso di profughi diretto in Europa. Gli europei possono anche accorgersi del fatto che la Russia ha migliori possibilità di garantire questo risultato per mezzo di libere elezioni in Siria, e temere invece che la linea degli ameriKKKani che vogliono che per prima cosa Assad lasci il potere possa tradursi in una situazione di caos che non farebbe che far salire vertiginosamente il numero dei profughi. In Europa dovranno scegliere quale linea appoggiare.
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