Una stesura più breve di questo testo è stata pubblicata su World Post / Huffington Post con il titolo Perché la Russia considera la Siria come la propria prima linea, Alastair Crooke, 28 ottobre 2015.
In Europa ed in AmeriKKKa si guarda solitamente alla Siria in un'ottica paradigmatica tutta particolare, in cui la prosperità, l'ordine, la sicurezza e l'assenza di conflitti sono funzione diretta della diffusione della "democrazia" intesa nell'accezione economica del concetto, una democrazia che è un ordine mondiale neoliberista, laico, consumista e finanziarizzato capace di creare una classe media, non tanto -per dire- qualcosa che fa capo al settecentesco assunto "il popolo siamo noi".
Opporsi a questa visione dominante, vale a dire sottolineare i meriti e la genuinità dei valori nazionali non occidentali e il rispettivo diritto di ogni paese a vivere a proprio modo, rifiutando in special modo l'egemonia insita in un "ordine liberale" che travalica ogni sovranità, in Occidente viene considerato una minaccia per la pace, per l'ordine e per gli stessi valori cui molti in Occidente pensano che l'intero mondo dovrebbe conformarsi. Ovviamente, il governo siriano è diventato l'incarnazione stessa di tutto quello che c'è di nefando in questa concezione "non occidentale".
Si può concepire la Siria in questo modo, che è il modo prevalente nella maggior parte d'Europa. La Siria in questo modo diventa di per sé un prolungamento della guerra fredda: giusto un altro episodio in un conflitto di civiltà in cui la Russia si mette dalla parte di un sistema illiberale che è una ignobile minaccia per la sicurezza, oltre che la perfetta antitesi al paradigma dell'ordine liberale. A sentire gli occidentali, la Russia sta colpendo i "moderati" siriani invece che lo Stato Islamico: nella visione ispirata all'"ordine liberale", la Russia in Siria sta distruggendo anziché rafforzando le prospettive di un futuro democratico e liberale per il paese.
E questo è un modo di vedere le cose. Si tratta di un modo che in ogni caso di per sé sorvola del tutto sui motivi, che sono del tutto contrastanti e del tutto illiberali, che hanno spinto gli alleati dell'Occidente come l'Arabia Saudita, la Turchia ed il Qatar a distruggere lo stato siriano. Saranno anche alleati dell'Occidente, ma della teoria sull'ordine liberale se ne fregano altamente. Si tratta inoltre di una prospettiva che incita chiaramente gli occidentalisti galvanizzati dalla vittoria ottenuta nella guerra fredda contro l'illiberale Unione Sovietica a puntare il dito contro la Russia. Il rischio che questa visione delle cose finisca per dominare il pensiero ameriKKKano ed europeo è reale, ed implica lo smarrimento della sostanza delle cose che è rappresentata dalla centralità della Siria.
In altre parole la dicotomia tra liberale e illiberale mette in ombra il ruolo centrale che l'esempio siriano ha per il futuro della geopolitica mondiale; non è il caso, qui, di parlare di un "ordine mondiale" che è in continuo mutamento. Un altro punto di vista sull'intervento russo in Siria potrebbe essere quello che lo considera una questione lasciata a metà, una faccenda di vecchi nodi psicologici mai affrontati e mai risolti. In breve, noi occidentali possiamo anche pensare alla Siria in termini di scontro tra ordine liberale e forze illiberali, ma può benissimo darsi che in Russia la questione sia intesa in tutt'altro modo. Il problema, quando si ragiona così in termini di bianco o nero, è che si esclude l'importanza fondamentale di cosa la Siria significa per i russi e per i loro alleati; così facendo si pongono le basi per rischi futuri assai più grandi.
Parlando di "questione lasciata a metà" si intende riferirsi a dolori inveterati e a traumi reconditi che risalgono alle guerre mondiali. La Germania ha traumaticamente person una generazione di uomini, uccisi nel massacro di Stalingrado; la Russia ne perse anche di più, in quella che viene spesso considerata la battaglia più sanguinosa della storia. A Stalingrado la Germania subì una sostanziale sconfitta, e un'altra sconfittà subì più tardi in Normandia. Dopo la sconfitta in Normandia i tedeschi cercarono in modo deliberato di riprendersi psicologicamente legandosi alla Francia, in quella che sarebbe divenuta la pietra angolare dell'Unione Europea. La piaga della sconfitta sofferta a Stalingrado invece non ha potuto essere lenita, né dal punto di vista psicologico né dal punto di vista politico. Essa rimane una ferita aperta nella memoria collettiva della nazione, sia in Germania che in Russia.
La Russia in particolare ha provato la perdita lacerante di innumerevoli vite senza che questo dolore mai lenito avesse neppure un qualche riconoscimento. Anzi, la Russia è stata messa al bando dai suoi ex alleati ed è diventata oggetto del lungo isolamento e del lungo logoramento della Guerra Fredda. Ancora consapevole degli irrisolti nodi di Stalingrado, la Russia accettò che il muro di Berlino cadesse; a questo non seguì alcun abbraccio da parte dell'Europa: la Russia si sentì invece messa all'angolo mentre la NATO proseguiva la sua espansione ad est fino a lambire le sue frontiere. Quando l'Unione Sovietica cercò di fermare l'escalation della Guerra Fredda pensando che sarebbe stata trattata da pari, si accorse che le sue mosse furono grossolanamente mal interpretate. Il suo gesto venne dileggiato e i suoi ex nemici occuparono la scena per intero affermando di aver vinto una battaglia di civiltà.
Probabilmente questo non è il concetto in cui la storia viene tenuta in Occidente, ma forse corrisponde al mondo che i russi hanno di considerarla. Non è una questione di argomentazioni e confutazioni, è una questione psicologica. E qui si deve parlare dell'Ucraina. I leader russi sanno bene che in qualsiasi momento e di punto in bianco una questione irrilevante può essere ingigantita al punto da diventare un casus belli. Esistono ampie prove del fatto che i russi provavano un sincero timore per quello che poteva succedere in Ucraina.
Cosa c'entra tutto questo con la Siria? La Russia sa che deve evadere dall'angolo in cui si trova, fatto da muri che crollano sempre verso l'interno e da una NATO che pezzo a pezzo erode le sue risorse. La Russia deve forzare la mano e pretendere di essere riconosciuta come un partner credibile all'interno dell'ordine internazionale, oppure entrare nell'ordine di idee che è probabile che gli eventi, magari ancora una volta senza alcun preavviso, porteranno alla fine ad una sorta di confronto con gli USA e forse anche con l'Europa.
Con questo, non è che i russi non abbiano interessi in Siria; l'idea che hanno della situazione mediorientale è molto chiara. Putin osserva che gli stati nazionali di tutta l'area si stanno indebolendo ed erodendo: l'Iraq è in pezzi, la Siria in guerra, in Libano non c'è praticamente uno stato, nello Yemen vige l'anarchia, la Libia è in preda al caos, il Nord Africa esposto agli attacchi e l'Arabia Saudita in preda ad ogni sorta di crisi. A meno che lo Stato Islamico e i suoi alleati wahabiti non vengano fermati, e fermati in maniera perentoria, è possibile che tutto il Medio Oriente precipiti ancora di più nel caos. Per i russi, la Siria rappresenta davvero la linea del fronte. I russi hanno bene in mente come, dopo la guerra in Afghanistan, un Islam radicale di orientamento wahabita si diffuse a partire dall'Afghanistan fino in Asia Centrale e ricordano bene anche come la CIA e l'Arabia Saudita hanno innescato l'insurrrezione cecena e l'hanno usata per indebolire la Russia.
Perché dunque l'impegno in Siria? E' per gli interessi che i russi hanno nel paese? No, è perché esistono in Siria un effettivo vertice politico ed un esercito già impegnato nella guerra contro lo wahabismo. La Siria è a tutti gli effetti il perno attorno al quale gireranno le cose, in questa guerra.
Nella stessa misura il Presidente Putin ha fatto propria l'idea di molti mediorientali secondo cui l'AmeriKKKa ed i suoi alleati non hanno alcuna intenzione di sconfiggere lo Stato Islamico. Dopo aver capito che alla fin fine l'Occidente stava per essere indotto dalla Turchia ad instaurare una zona con divieto di sorvolo e che questo avrebbe portato soltanto al più totale caos come già successo in Libia, Putin ha deciso di agire di sorpresa ed è sceso in guerra contro il "terrorismo" bloccando i progetti turchi (si legga qui e sfidando l'Occidente ad unirsi all'impresa.
La porta è ostentatamente aperta anche per gli Stati Uniti, cui Putin ha rivolto ripetuti inviti aspettandosi forse che all'inizio gli USA avrebbero dovuto declinare a causa dei legami che hanbno con i paesi del Golfo.
La strategia di Putin in Siria si basa sull'assunto che non si potrà arrivare ad una soluzione politica del conflitto limitandosi a mettere attorno allo stesso tavolo a Ginevra quelli che sono dei nemici giurati. Cacciare Assad è stata sempre la precondizione statunitense per qualunque colloquio e non ha per nulla incentivato l'opposizione a negoziare sul serio qualunque condivisione del potere, perché gli oppositori dovevano semplicemente limitarsi ad aspettare che gli USA e i loro alleati porgessero loro su un piatto d'argento i vertici statali resisi liberi.
Putin ha considerato invece che si possa arrivare ad un accordo politico solo con le armi. Si deve eliminare la dominante e nociva influenza degli jihadisti prima che quelli che Rumsfeld chiama "parti in grado di riconciliarsi" possano maturare la fiducia necessaria a farsi avanti e a partecipare. In breve, laddove l'Occidente considera la presenza armata russa come negativa nei confronti di qualunque soluzione politica, Putin -ed Assad- affermano che la prevalenza jihadsta scientemente avallata dall'Occidente è l'elemento che impedisce davvero di arrivare ad una soluzione politica del conflitto. La recente visita di Assad a Mosca sembra sia servita a mettere bene in chiaro un paio di cose con l'Occidente: in primo luogo che Assad si impegna in ogni caso ad intraprendere delle riforme politiche, in secondo luogo che nessuno può permettersi di pensare che i russi considerino Assad come un tirapiedi che può essere messo da parte ad ogni momento.
Per adesso, l'amministrazione statunitense pare intenzionata a lasciare che siano i russi a fare il grosso del lavoro in Siria. Gli USA rimarranno in attesa degli eventi, intanto che mettono insieme una coalizione internazionale in grado di far pressione sui russi perché, qualunque sia l'esito politico della vicenda, gli interessi degli USA vengano rispettati. In certi ambienti occidentali, a tutt'oggi, pare non si riersca a capire sufficientemente bene in che modo un utilizzo credibile ed efficace del potenziale aereo insieme ad una forza terrestre numerosa ed esperta attualmente in fase di concentramento potrà cambiare la situazione sul terreno. Si tratta di eventi che a loro volta altereranno profondamente anche gli equilibri politici. E' probabile che gli USA collaboreranno in misura maggiore con i russi, senza troppo chiasso. Per come stanno oggi le cose è probabile che Putin non si attenda di più. Se mai Putin spera che se in Siria le cose vanno a posto, l'accordo con gli occidentali si consoliderà quando sarà il momento di occuparsi della situazione in Iraq.
In tutto questo, il rischio è che l'Occidente si metta invece contro Putin, in un cristallizzarsi delle posizioni nei termini del copione da Guerra Fredda in cui ci si contrappone tra liberali e illiberali.
Se questo dovesse succedere, il significato dell'intervento di Putin in Siria si perderà, e si assisterà ad un crescendo di atti ostili. Putin non sta solo avanzando pesanti dubbi sulla politica occidentale in Siria: sta portando avanti la questione del posto che la Russia deve avere nel mondo di oggi. E la Russia deve liberarsi dal pensiero che è stato paradigmatico dopo la fine della Guerra Fredda e da cui si è fatta intrappolare. In sostanza è in atto una scommessa: se l'iniziativa intrapresa avrà successo, influirà sul Medio Oriente e sulla geopolitica mondiale in modo molto più marcato.
Se il colpo non riesce, l'idea che prevale negli ambienti politici statunitensi parla di un inevitabile confronto tra gli USA da una parte e la Russia -con la Cina- dall'altra. La Russia ha investito troppe risorse sul suo riavvicinamento alla Cina perché si possa pensare di rovesciare facilmente la situazione ricorrendo alla vecchia dottrina della triangolazione di Kissinger, in cui si faceva in modo che cinesi e russi rimanessero ai ferri corti.
In Siria Putin sta forzando la mano, ma sta anche offrendo all'AmeriKKKa una via d'uscita rispetto ad una inevitabile escalation con Russia e Cina, nell'imminenza di una nuova elezione presidenziale in cui un eventuale "uomo forte" potrebbe avere buon gioco.
L'iniziativa di Putin si è rivelata profondamente scioccante per l'establishment militare occidentale. Si pensava che la Russia fosse ben dietro l'Occidente per quanto riguarda armamenti convenzionali e capacità aeree e che le sue forze armate fossero in un certo senso di seconda categoria. Un'altra cosa che emerge dall'intervento di Putin in Siria è anche l'evidenza della rivoluzione che egli ha imposto alle forze armate in termin di organizzazione e di modernizzazione, fin dalla guerra in Georgia nel 2008.
Come ha notato Pepe Escobar,
Il Grande Gioco in corso in Eurasia ha ampliato i propri limiti e i propri confini la scorsa settimana, dopo che i russi hanno lanciato ventisei missili da crociera dal Mar Caspio contro undici bersagli dello Stato Islamico in tutta la Siria, centrandoli tutti. QUesti attacchi con missili navali hanno rappresentato il primo caso di utilizzo oeprativo dei modernissimi missili da crociera SSN 30A Kalibr.Tutto quello che il Pentagono ha potuto fare non è stato altro che dare una guardata di sottecchi al percorso seguito dai Kalibr [che hanno sorvolato l'Iran e l'Iraq mantenendosi a cento metri di altezza] che sono in grado di colpire bersagli lontani millecinquecento chilometri. Insomma, un messaggino semplice, chiaro e conciso da Mosca, destinatari il Pentagono e la NATO: volete crearci dei problemi, ragazzi? Magari con le vostre portaerei belle stipate? ...A quelli del Pentagono è venuto un colpo perché questa dimostrazione della tecnologia russa ha sancito la fine del monopolio statunitense sui missili da crociera a lunga gittata. Al Pentagono pensavano ancora che il raggio di quelle armi non superasse i trecento chilometri.
In altre parole i russi hanno dimostrato che non soltanto non sono rimasti indietro, ma probabilmente hanno superato gli USA nel campo della missilistica e sono anche in grado di disturbare i sistemi di comando, controllo e guida della NATO, anch'essi schierati in Siria. Insomma, se i "quattro più uno" continuano a sostenere la Siria con la Cina a dar loro supporto dietro le quinte, c'è il rischio che tutte le basi militari e le portaerei statunitensi che circondano l'Iran e che stanno lì in previsione di un intervento in Eurasia non solo si rivelino eccessive, ma si trasformino in veri e propri ostaggi. La NATO non può più contare nemmeno su una superiorità aerea data per scontata. Non c'è da meravigliarsi se gli USA hanno ritirato la loro portaerei dal Golfo Persico.
La parte essenziale del messaggio che Putin reca con il suo intervento in Siria va ben oltre la questione se qualche formazione moderata in Siria ha avuto o no perdite a causa sua, sul cooperare o meno con An Nusra (ovvero al Qaeda) e i dettagli su un qualunque governo di transizione in Siria. Questioni del genere riguardano il microcosmo delle iniziative in corso. Il macrocosmo che le sovrasta invece sta nei reiterati inviti di Putin a disinnescare il conflitto con l'Occidente: un'offerta sottolineata prendendo di sorpresa la NATO con una inedita dimostrazione di forza. L'essenziale, cui in gran parte dell'Occidente non si fa caso perché si guardano singole questioni e dettagli vari della situazione siriana, è questo.
Il modo in cui finiranno le cose in Siria avrà influenza in molti campi.
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