sabato 5 novembre 2011

Ibrahim Al-Amin - Le intromissioni straniere in Siria: sgombriamo il campo dagli equivoci


Soldati dell'esercito siriano portano i feretri dei compagni uccisi nelle recenti sommosse che hanno percorso il paese, durante il corteo funebre all'ospedale militare di Homs. Siria, sabato 1 ottobre 2011 (AP / SANA).
(Fonte:
CTV)

Articolo pubblicato su Al-Akhbar in edizione inglese, 1 novembre 2011

Un amico mi scrive da Damasco.
Mi sono incontrato con alcuni appartenenti alla cosiddetta opposizione, il cui patriottismo non è da discutere.Alcuni erano stati convocati per un "interrogatorio", che poi è risultato essere uno dei modi che il governo ha per tenere un dialogo con loro. Ho chiesto degli ultimi sviluppi della situazione. Si sono lamentati a lungo ed hanno biasimato il governo per aver dato il via a questo stato di cose.
"Il punto non è chi è stato a cominciare. Lamentatevi pure, oppure venitemi a dire che tutto è cominciato con il regno di Mari o anche con Ebla. Resta il fatto che adesso c'è un problema e che c'è da trovare una soluzione"
Uno mi ha detto "E' il governo che sta cercando una soluzione, non noi".
"E questo cercare una soluzione equivale forse ad un atto di accusa? Rifiutare di discutere con il regime di eventuali soluzioni rappresenta il massimo del patriottismo e della saggezza? Ci dobbiamo aspettare che il fatto che il governo cerchi una soluzione venga considerato come un'ulteriore macchia sul suo passato?"
Nessuno ha risposto.
"Confrontarsi col governo lo considerate un tradimento?"
Nessuna risposta.
"Qui la sensazione è che vogliate semplicemente che il governo vi consegni il paese. Se le vostre truppe fossero ai cancelli del palazzo presidenziale, la cosa potrebbe anche sembrare ragionevole. Ma voi non siete neppure lontanamente a questo punto. Lo stato si sta sfaldando, gente. Questo significa una tragedia per tutti: qualcosa che probabilmente porterà ad ridefinire i confini di tutta la regione."
"Non è vero. Noi non crediamo alle cospirazioni! I gruppi non governativi europei e le principali personalità del mondo ci hanno avvertito del fatto che circolano di queste intenzioni, ma noi gli abbiamo detto che la cosa non è in discussione", mi hanno risposto.
"Se Assad dicesse che è pronto a venire a patti con lo stato sionista, come pensate che reagirebbero gli americani?"
"L'America sostiene il governo e il suo presidente", mi hanno detto.
"Ah sì? E in che modo? Imponendo sanzioni economiche, pretendendo le sue dimissioni, presentando al Consiglio di Sicurezza dell'ONU una risoluzione che prevede l'intervento militare? Fatemi lume, spiegate, così magari mi convinco anch'io!"
"Il governo non ha intenzione di muoversi, sulla faccenda del Golan", mi dicono.
"Benissimo: ma voi avete sollevato la questione del Golan o della Palestina in qualcuno dei vostri comunicati? State invocando la liberazione del Golan? State esortando a resistere allo stato sionista? E che ne dite della maniera che i russi hanno usato per risolvere il problema della Cecenia? Di quella che i cinesi usano per risolvere le questioni con la minoranza musulmana? Di come l'India ha affrontato la quesitone del Kashmir? Di come la vostra amica Turchia pensa ai suoi problemi con gli arabi, con i curdi e con gli alawiti?!"
Silenzio.
"Cosa fareste se gli Stati Uniti decidessero di lanciare attacchi aerei sulle postazioni militari siriane senza l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, per far sprofondare il paese nell'anarchia com'è successo in Yugoslavia?"
"Questo non è possibile. L'America vuole che il governo e Assad continuino ad esistere".
"E cosa ve lo fa credere? Gli forniscono aiuti economici o militari? L'America protegge Assad dalla condanna e dall'intervento militare anche davanti al Consiglio di Sicurezza dell'ONU?"
Silenzio.
"Bene, adesso torniamo al problema iniziale. Avete preso in considerazione l'idea di rapportarvi e di cercare una soluzione con il governo, senza tirare in mezzo gli Stati Uniti, la Turchia ed i paesi del Golfo?"
Mi hanno risposto: "E' il governo che sta cercando una soluzione, non noi".
"Povera Siria!" ho detto io.
La Siria sta oggi avvicinandosi ad un nuovo bivio. Dopo che il presidente statunitense Barack Obama ha annunciato che le truppe statunitensi sarebbero state ritirate dall'Iraq entro Natale, e diventato chiaro che si avvicina per il Medio Oriente un autentico terremoto. Nelle prossime settimane potremmo assistere a sostanziali e non graditi sviluppi. Questi timori non vengono da un esame generale della situazione, ma da prove concrete che si rintracciano nelle capitali della regione, in merito a quello che gli Stati Uniti, l'Europa e i loro alleati arabi hanno in mente per la Siria.
Questi paesi stanno agendo, certo, in collaborazione con molti settori dell'opposizione siriana. Tra i gruppi interessati spicca la formazione che oggi è parte e pedina dei piani occidentali e che controlla la maggioranza del Consiglio Nazionale Siriano (SNC). Man mano che i giorni passavano è diventato sempre più chiaro che personalità dissidenti come Burhan Ghalioun, presidente nominale del SNC, rappresentano una pura facciata. Possono tenere tutti i discorsi che vogliono, ma le decisioni che contano vengono prese altrove. Dunque, che Rifaat Assad o Abdel Halim Khaddam entrino o meno nel SNC è diventata una questione irrilevante. E' vero d'altronde che sono le loro idee e i loro slogan che verranno tradotti in un piano operativo il cui concetto base è quello di ripetere in Siria l'esperienza libanese, ovviamente senza mettere minimamente in conto i pericoli o le conseguenze di tutto questo.
Certo, c'è chi si è affrettato a sottolineare che l'Occidente non è interessato ad attaccare la Siria perché in siria non ci sono il petrolio e le ricchezze della Libia. Ma questo significa mettere una benda suglio occhi alla gente, cercando di far credere che gli stessi paesi arabi produttori di petrolio non siano in realtà profondamente coinvolti in tutto il piano. I paesi petroliferi non solo si sono offerti di finanziare la guerra, ma anche di finanziare la ricostruzione. In ogni caso, c'è l'Iraq a confutare la teoria che vuole l'Occidente interessato solo al petrolio. La guerra costa agli Stati Uniti più di quanto essi potrebbero ricavare dalle risorse petrolifere irachene, anche se i loro piani per l'Iraq non fossero stati mandati all'aria dalla resistenza irachena. In termini di politica regionale e sotto altri aspetti ancora, la Siria rappresenta un obiettivo strategico; qualcosa di infinitamente più prezioso di tutte le ricchezze che qualche regno del petrolio e qualche emirato possano mai possedere.
L'andamento ed il passo con cui si sviluppa la situazione siriana impongono di riconsiderare l'intera questione e l'idea che si deve avere a riguardo. Sarà utile definire in maniera stringata alcuni punti fermi.
- Il modello libanese è applicabile alla Siria molto più di quanto non lo siano quello dell'Egitto, della Tunisia, o anche della Libia e dello Yemen. Questo, a causa delle divisioni settarie del paese, delle forze politiche che vi operano e del ruolo che la Siria ha in Medio Oriente, oltre che per la natura degli interessi stranieri che vi sono coinvolti.
- Qualunque intromissione di qualunque genere da parte dell'alleanza occidentale tra Europa e Stati Uniti in combutta con gli stati del Golfo e con la Turchia deve essere recisamente condannata e rifiutata. Questionare sull'argomento significa accettare implicitamente l'intervento straniero. Ogni forma di destabilizzazione promossa da potenze straniere attualmente in corso in Siria (armi, denaro, propaganda per l'insurrezione, eccetera) devono anch'esse trovare ferma opposizione.
- Alcuni attori arabi stanno attivamente cercando di preparare un intervento militare in Siria per conto dell'Occidente. Si tratta del segreto diplomatico peggio tenuto di tutta la regione e rapopresenta qualche cosa che non va più minimizzato né nascosto. Dobbiamo opporci con fermezza all'assedio al quale la Siria è sottoposta, comprese le sanzioni economiche e politiche. Dovremmo anche esercitare maggiore discernimento ed essere consapevoli del fatto che stanno cercando di ingannarci. Questo vale per le storie sulla militarizzazione interna del paese che vengono ripetute dai vari gruppi di opposizione e dai media arabi anti-siriani. Praticamente ogni uomo che avesse un'arma in mano in questi giorni è stato ritratto come un disertore dell'esercito, probabilmente per dare l'impressione che esista una spaccatura nelle forze armate al fine di incoraggiarne una autentica. Allo stesso modo, mentre esistono resoconti che hanno iniziato ad indicare che circa la metà delle persone uccise sono membri dell'esercito o delle forze di sicurezza, i titoloni rimangono gli stessi: "Venti uccisi in Siria": come dire che è stato il governo ad ucciderli tutti e venti.
- I nemici della Siria si sono adoperati instancabilmente a favore dell'applicazione di sanzioni economiche e finanziarie, come se da parte del popolo siriano si fosse levata una precisa richiesta in questo senso, e al tempo stesso hanno ingannato l'opinione pubblica assicurando che le sanzioni avrebbero colpito solo il governo, le istituzioni e le personalità dell'apparato. Eppure basta guardarsi attorno per capire che le sanzioni colpiscono di fatto la popolazione, e soprattutto la classe mercantile, al fine di metterla contro il governo. Tutti sanno che la struttura dell'apparato, ed il sostegno che esso riceve dall'Iran, dall'Iraq e da altri paesi, limiteranno l'effetto che le sanzioni potrebbero avere. Il piano delle sanzioni, che viene continuamente inasprito, non serve a costringere il governo a fare concessioni. Le sanzioni mirano invece a disintegrare lo stato e a far crescere il risentimento generale contro il governo, in modo che i gruppi che appoggiano il governo o che non hanno preso una posizione in merito finiscano per schierarsi contro di esso. Il loro scopo non è quello di costringere il governo a fare concessioni, ma quello di arrivare a rovesciarlo.
- La Turchia ed i paesi del Golfo stanno scopertamente cercando di stabilire solide teste di ponte in Siria, così come hanno fatto in Libia, in modo da poter influenzare il futuro del paese e da poter minare l'influenza che esso ha in tutto il Medio Oriente. Non è una coincidenza il fatto che gli Stati Uniti, l'Europa e i loro alleati arabi vogliono che lo stato sionista mantenga un profilo basso, in modo che il suo coinvolgimento non getti discredito sui nemici del governo. In Libano è successa la stessa cosa dopo l'assassinio dell'ex primo ministro Rafiq Hariri. L'Occidente e gli arabi dicono allo stato sionista di non agitarsi: "Stiamo facendo noi il lavoro che volete venga fatto". Il problema potrebbe ripresentarsi tale e quale. Se l'insieme dell'opposizione e delle pressioni militari, economiche e di sicurezza che arrivano dall'esterno non riescono a rovesciare il governo, il ruolo dello stato sionista subirà una revisione ed esso potrebbe tornare a rivestire i panni che gli sono più congeniali, quelli di paese bellicista. Il motivo, puro e semplice, è che la Siria rappresenta un elemento cardine per il sostegno alla resistenza contro lo stato sionista.
- Nulla di tutto questo può costituire una giustificazione per chi uccide manifestanti o per chi arresta migliaia di cittadini. Condannare comportamenti del genere da parte del governo, dell'esercito e delle forze di sicurezza rappresenta un imperativo politico e morale, non una pura formalità. Il governo deve capire che non si tratta di cose che si possano scusare od ignorare e che non si può neppure far finta che uccisioni, arresti e torture non ci siano mai stati. Una delle prime cose da fare al momento di mettere mano alle riforme sarà di processare i responsabili delle uccisioni, non importa quanto alti di grado.
- Ogni processo di riforma ha bisogno di interlocutori che partecipino alle discussioni e che avanzino proposte concrete. Il punto è che tipo di governo i siriani desiderino, non quali riforme il governo abbia intenzione di introdurre, e tanto meno quali riforme sarebbero viste di buon occhio dalle potenze straniere. L'operato del governo deve essere aperto alle verifiche, e l'opposizione deve essere in grado di dire liberamente la propria. Per questo c'è semplicemente bisogno di mass media che abbiano libertà di azione: occorre fermare ogni tipo di censura che soffochi le discrussioni o le impedisca fin dal loro primo abbozzo.
- Non occorrono molti sforzi per capire che la Siria sta attraversando oggi il momento più difficile della sua storia. Quello che succede in Siria oggi avrà conseguense per tutti in tutti i paesi confinanti. Può anche esserci qualcuno in Siria giunto al limite dell'insofferenza e disposto anche a vendere l'anima al diavolo pur di liberarsi del governo. Noi non possiamo accettare questo, perché sappiamo che cosa significherebbe.

Ibrahim Al-Amin è caporedattoredi Al-Akhbar.
L'articolo in inglese è una traduzione adattata del corrispondente arabo.

2 commenti:

  1. - Nulla di tutto questo può costituire una giustificazione per chi uccide manifestanti o per chi arresta migliaia di cittadini. Condannare comportamenti del genere da parte del governo, dell'esercito e delle forze di sicurezza rappresenta un imperativo politico e morale, non una pura formalità. Il governo deve capire che non si tratta di cose che si possano scusare od ignorare e che non si può neppure far finta che uccisioni, arresti e torture non ci siano mai stati. Una delle prime cose da fare al momento di mettere mano alle riforme sarà di processare i responsabili delle uccisioni, non importa quanto alti di grado.

    Quindi bisogna processare Assad.

    RispondiElimina
  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina