"La prospettiva dominante, che persiste a livello dei mass media di portata globale, ha sempre rafforzato l'idea che esista qualche popolo orientale irrazionale e violento, in questo caso quello iraniano" (dal testo dell'articolo).
Studenti della Mofid University a Qom. La Mofid University è stata fondata nel 1989 col preciso scopo di condurre studi comparativi tra le materie islamiche e quelle umanistiche moderne. Tra gli obiettivi dell'università ci sono lo studio delle scienze umane sulla base dei principi e dei canoni islamici, e lo sviluppo della cooperazione scientifica e della ricerca nel mondo islamico.
Alla parete, i ritratti di Rafsanjani e di Khamenei.
Traduzione da Cultures of Resistance
Foto di Yannis Kontos
Quando i canali televisivi statunitensi o del resto del mondo hanno mostrato immagini delle dimostrazioni in Iran, l'impressione che i mass media ccidentali hanno cercato di suscitare è che si trattasse di scene e di valori incompatibile con qualunque cosa esistesse in Occidente.
In realtà la resistenza contro gli Stati Uniti si rifaceva al colpo di stato del 1953 che fu istigato dalla CIA, ed ai timori di un nuovo tentativo americano di riappropriarsi del paese. Le radici della rivoluzione del 1979 ed i suoi temi ricorrenti sono in gran parte molto simili a quelle di molti casi di resistenza antimperialista, di molvimenti anticolonialisti e di liberazione del XX secolo, e più estesamente anche a quelli del movimento statunitense per i diritti civili e della lotta per i diritti degli afroamericani.
Tra le rivendicazioni della rivoluzione islamica, all'epoca, c'erano anche una critica molto forte del concetto di democrazia liberale, dello strapotere delle multinazionali e del capitalismo in se stesso. Temi tradizionali come la povertà e l'ingiustizia, il despotismo e l'imperialismo, la mercificazione della donna, erano oggetto di critica nel discorso rivoluzionario dell'Imam Khomeini. L'obiettivo era quello di inquadrare la giustizia sociale, la compassione e la libertà all'interno della struttura costituita dalla dialettica islamica. Nonostante la guerra, le sanzioni ed il terrorismo sostenuti dalle grandi potenze e da vicini ostili, che erano per la massima parte reazionari ed erano finanziati dagli americani e dai governi occidentali, fino ad arrivare ai gruppi antigovernativi in Iran, dotati o meno di un braccio armato, l'Iran è riuscito in larga misura a superare ogni prova e ad andare avanti. E' riuscito a mantenere il proprio pluralismo, molta parte del quale si rifà a quella capacità di sopportare i rovesci che deriva dal senso di sacrificio legato al tema dell'Ashura. Alcuni dei successi pratici che l'Iran ha conseguito nel mostrare l'importanza dell'Islam e la sua praticabilità anche nel mondo contemporaneo vengono dal fatto che i cancelli dello ijtihad [l'impegno nell'interpretazione individuale della legge sacra, N.d.T.] sono rimasti aperti. Come scrisse l'Imam Khomeini in una lettera, circostanze, epoche e luoghi diversi possono portare ad applicazioni differenti della legge islamica.
Quello che è significativo, comunque, è il fatto che alcuni aspetti del discorso islamico sono per molti versi simili alla critica di sinistra nei confronti del capitalismo e del neoliberismo. La differenza è che la prospettiva islamica prende le distanze dagli estremismi individualistici, pur sottolineando l'importanza dei diritti individuali. E, ovviamente, dei doveri di ciascuno nei confronti del Creatore. La prospettiva islamica sottolinea l'importanza di valori umani come l'antirazzismo, e l'Iran sostiene e continua a sostenere movimenti che poco o nulla hanno a che fare con l'Islam, ma che comunque lottano per l'equità e la giustizia: il movimento antiapartheid in Sud Africa, lo Sinn Féin in Irlanda, la teologia della Liberazione, i Sandinsti, Morales, Chavez ed altri. Quella iraniana è una prospettiva che tende all'inclusione, non settaria e non nazionalista nel senso negativo del termine. Probabilmente l'Iran è l'unico paese islamico che ha sostenuto la Bosnia in modo attivo e che ha sempre sostenuto il popolo palestinese. Proprio in solidarietà col popolo palestinese molti iraniani portavano la kefiah durante la guerra intrapresa da Saddam Hussein, e molti sono stati martirizzati con la kefiah addosso.
Esistono argomenti e visioni che sono comuni a gran parte dell'umanità. Ma in pratica la prospettiva dominante che persiste a livello dei mass media di portata globale ha sempre rafforzato l'idea che esista qualche popolo orientale irrazionale e violento, in questo caso quello iraniano. Durante la guerra con l'Iraq l'Iran ha subìto una demonizzazione continua, i mass media debordavano di aneddoti destinati a rafforzare l'idea dell'iraniano come essere irrazionale. Nella stampa occidentale c'erano articoli che parlavano di combattenti iraniani -per lo più bambini, si affermava- cui venivano date "chiavi per il paradiso"; vi si leggeva che gli iraniani conducevano contro le truppe irachene attacchi ad ondate. Come individuo che ha combattuto per cinque anni come volontario, posso credibilmente affermare che queste affermazioni sono false.
Ironicamente, questo succedeva all'epoca in cui gli Sati Uniti e l'Arabia Saudita finanziavano Saddam Hussein e le forze che avrebbero sviluppato l'ideologia talebana in Pakistan ed in Afghanistan. Gli Stati Uniti e i loro vassalli hanno sostenuto il settarismo e il razzismo per isolare l'Iran dalle comunità islamiche vicine e lontane, e dal momento che l'Iran non è un'utopia, io credo che il suo fallimento a rapportarsi con l'Occidente e con parti del mondo islamico sia in larga parte dovuto al potere dei mass media occidentali e al modo che essi hanno di presentare l'Iran, oltre al fatto che sono finanziati da governi come quello dell'Arabia Saudita e quello statunitense.
La demonizzazione dell'Iran si associa ad una generale mancanza di conoscenza delle cose del Medio Oriente in generale e di quelle iraniane in particolare, che è diffusa presso molti occidentali, compresi quelli che sono responsabili di decisioni chiave. Nella professione che svolgo, che è quella di accademico, i mei contatti col mondo accademico occidentale mi hanno mostrato che la portata di questa ignoranza è immensa. Tempo fa ho inviato un articolo ad una rivista accademica progressista e rispettata, il Journal of American Studies in cui esprimevo delle critiche alla prospettiva con cui essa raffigurava l'Iran. Nell'articolo confutavo la storia, ampiamente diffusa in "Occidente", delle chiavi per il paradiso e dei bambini mandati in guerra, e portavo a sostegno della mia tesi il fatto che io stesso avessi combattuto in quella guerra. I destinatari mi risposero che "dovevo provare che le chiavi per il paradiso non erano mai esistite": "Devi provare che i bambini non hanno combattuto". In altre parole, mi è stato chiesto di fornire prove in negativo, e non essendo ovviamente io in condizioni di farlo, il mio articolo fu respinto.
Sono molto scettico sulla portata e sull'ampiezza dell'influenza che esiste in Occidente in favore del fatto che questa prospettiva cambi; il tentativo del presidente Khatami di invertire la tendenza attraverso il "dialogo tra le civiltà" da lui proposto è fallito. Eppure, esistono due avvenimenti recenti ed importanti che a mio modo di vedere possono permetterci di unire le strette alleanze di cui siamo protagonisti alla possibilità di sfidare lo status quo e la prospettiva dominante. Il primo è dato da Hezbollah e dalla sua vittoria contro lo stato sionista, che è uno stato di apartheid: qualcosa che ha unito gli arabi, i musulmani ed altre comunità ed ha fornito l'occasione per allargare il dialogo e per ampliare il fronte dei popoli che possono cooperare attorno a temi comuni.
Il secondo è rappresentato dal crescente scontento che esiste in Occidente ed anche altrove. La crisi socioeconomica ed il riscaldamento globale finiranno per rendere la vita sicuramente più difficile e credo che questo possa condurrre ad una situazione che metterà in grado coloro che non si trovano bene nello stato di cose presente a cercare altri interlocutori, altri modi di vedere le cose ed altre forme di attivismo. Fondamentalisti laici come Edward Said non riescono ad accettare una resistenza non laica eppure razionale. Ma se ci baseremo sui valori che ho su ricordato, è probabile che finiremo per trovare grandi potenzialità comuni a tutte le linee di pensiero, senza che per questo nessuna delle parti debba rinunciare ai propri valori fondanti. In certe situazioni invece, per venire incontro a laici non in sintonia con il loro pensiero, alcuni iraniani si sono rivolti al relativismo e sono diventati liberali, un po' come alcuni schierati a sinistra hanno fatto alla fine degli anni Sessanta, quando, dopo la rivolta di Parigi nel 1968, passarono al postmodernismo. Questi pensatori -in Iran questo sicuramente accadde- persero credibilità politica negli ambienti dai quali provenivano.
La realtà è che una prospettiva islamica esiste e continuerà ad esistere, e che molti dei suoi temi sono comuni a tutti gli esseri umani amanti della libertà. Per resistere occorre unirsi, e per unirsi occorre riconoscere che questi temi sono comuni a tutti.
Sayyed Mohamed Marandi è professore associato di letteratura inglese all'Università di Tehran. E' anche opinionista per varie trasmissioni di informazione e di attualità.
Studenti della Mofid University a Qom. La Mofid University è stata fondata nel 1989 col preciso scopo di condurre studi comparativi tra le materie islamiche e quelle umanistiche moderne. Tra gli obiettivi dell'università ci sono lo studio delle scienze umane sulla base dei principi e dei canoni islamici, e lo sviluppo della cooperazione scientifica e della ricerca nel mondo islamico.
Alla parete, i ritratti di Rafsanjani e di Khamenei.
Traduzione da Cultures of Resistance
Foto di Yannis Kontos
Quando i canali televisivi statunitensi o del resto del mondo hanno mostrato immagini delle dimostrazioni in Iran, l'impressione che i mass media ccidentali hanno cercato di suscitare è che si trattasse di scene e di valori incompatibile con qualunque cosa esistesse in Occidente.
In realtà la resistenza contro gli Stati Uniti si rifaceva al colpo di stato del 1953 che fu istigato dalla CIA, ed ai timori di un nuovo tentativo americano di riappropriarsi del paese. Le radici della rivoluzione del 1979 ed i suoi temi ricorrenti sono in gran parte molto simili a quelle di molti casi di resistenza antimperialista, di molvimenti anticolonialisti e di liberazione del XX secolo, e più estesamente anche a quelli del movimento statunitense per i diritti civili e della lotta per i diritti degli afroamericani.
Tra le rivendicazioni della rivoluzione islamica, all'epoca, c'erano anche una critica molto forte del concetto di democrazia liberale, dello strapotere delle multinazionali e del capitalismo in se stesso. Temi tradizionali come la povertà e l'ingiustizia, il despotismo e l'imperialismo, la mercificazione della donna, erano oggetto di critica nel discorso rivoluzionario dell'Imam Khomeini. L'obiettivo era quello di inquadrare la giustizia sociale, la compassione e la libertà all'interno della struttura costituita dalla dialettica islamica. Nonostante la guerra, le sanzioni ed il terrorismo sostenuti dalle grandi potenze e da vicini ostili, che erano per la massima parte reazionari ed erano finanziati dagli americani e dai governi occidentali, fino ad arrivare ai gruppi antigovernativi in Iran, dotati o meno di un braccio armato, l'Iran è riuscito in larga misura a superare ogni prova e ad andare avanti. E' riuscito a mantenere il proprio pluralismo, molta parte del quale si rifà a quella capacità di sopportare i rovesci che deriva dal senso di sacrificio legato al tema dell'Ashura. Alcuni dei successi pratici che l'Iran ha conseguito nel mostrare l'importanza dell'Islam e la sua praticabilità anche nel mondo contemporaneo vengono dal fatto che i cancelli dello ijtihad [l'impegno nell'interpretazione individuale della legge sacra, N.d.T.] sono rimasti aperti. Come scrisse l'Imam Khomeini in una lettera, circostanze, epoche e luoghi diversi possono portare ad applicazioni differenti della legge islamica.
Quello che è significativo, comunque, è il fatto che alcuni aspetti del discorso islamico sono per molti versi simili alla critica di sinistra nei confronti del capitalismo e del neoliberismo. La differenza è che la prospettiva islamica prende le distanze dagli estremismi individualistici, pur sottolineando l'importanza dei diritti individuali. E, ovviamente, dei doveri di ciascuno nei confronti del Creatore. La prospettiva islamica sottolinea l'importanza di valori umani come l'antirazzismo, e l'Iran sostiene e continua a sostenere movimenti che poco o nulla hanno a che fare con l'Islam, ma che comunque lottano per l'equità e la giustizia: il movimento antiapartheid in Sud Africa, lo Sinn Féin in Irlanda, la teologia della Liberazione, i Sandinsti, Morales, Chavez ed altri. Quella iraniana è una prospettiva che tende all'inclusione, non settaria e non nazionalista nel senso negativo del termine. Probabilmente l'Iran è l'unico paese islamico che ha sostenuto la Bosnia in modo attivo e che ha sempre sostenuto il popolo palestinese. Proprio in solidarietà col popolo palestinese molti iraniani portavano la kefiah durante la guerra intrapresa da Saddam Hussein, e molti sono stati martirizzati con la kefiah addosso.
Esistono argomenti e visioni che sono comuni a gran parte dell'umanità. Ma in pratica la prospettiva dominante che persiste a livello dei mass media di portata globale ha sempre rafforzato l'idea che esista qualche popolo orientale irrazionale e violento, in questo caso quello iraniano. Durante la guerra con l'Iraq l'Iran ha subìto una demonizzazione continua, i mass media debordavano di aneddoti destinati a rafforzare l'idea dell'iraniano come essere irrazionale. Nella stampa occidentale c'erano articoli che parlavano di combattenti iraniani -per lo più bambini, si affermava- cui venivano date "chiavi per il paradiso"; vi si leggeva che gli iraniani conducevano contro le truppe irachene attacchi ad ondate. Come individuo che ha combattuto per cinque anni come volontario, posso credibilmente affermare che queste affermazioni sono false.
Ironicamente, questo succedeva all'epoca in cui gli Sati Uniti e l'Arabia Saudita finanziavano Saddam Hussein e le forze che avrebbero sviluppato l'ideologia talebana in Pakistan ed in Afghanistan. Gli Stati Uniti e i loro vassalli hanno sostenuto il settarismo e il razzismo per isolare l'Iran dalle comunità islamiche vicine e lontane, e dal momento che l'Iran non è un'utopia, io credo che il suo fallimento a rapportarsi con l'Occidente e con parti del mondo islamico sia in larga parte dovuto al potere dei mass media occidentali e al modo che essi hanno di presentare l'Iran, oltre al fatto che sono finanziati da governi come quello dell'Arabia Saudita e quello statunitense.
La demonizzazione dell'Iran si associa ad una generale mancanza di conoscenza delle cose del Medio Oriente in generale e di quelle iraniane in particolare, che è diffusa presso molti occidentali, compresi quelli che sono responsabili di decisioni chiave. Nella professione che svolgo, che è quella di accademico, i mei contatti col mondo accademico occidentale mi hanno mostrato che la portata di questa ignoranza è immensa. Tempo fa ho inviato un articolo ad una rivista accademica progressista e rispettata, il Journal of American Studies in cui esprimevo delle critiche alla prospettiva con cui essa raffigurava l'Iran. Nell'articolo confutavo la storia, ampiamente diffusa in "Occidente", delle chiavi per il paradiso e dei bambini mandati in guerra, e portavo a sostegno della mia tesi il fatto che io stesso avessi combattuto in quella guerra. I destinatari mi risposero che "dovevo provare che le chiavi per il paradiso non erano mai esistite": "Devi provare che i bambini non hanno combattuto". In altre parole, mi è stato chiesto di fornire prove in negativo, e non essendo ovviamente io in condizioni di farlo, il mio articolo fu respinto.
Sono molto scettico sulla portata e sull'ampiezza dell'influenza che esiste in Occidente in favore del fatto che questa prospettiva cambi; il tentativo del presidente Khatami di invertire la tendenza attraverso il "dialogo tra le civiltà" da lui proposto è fallito. Eppure, esistono due avvenimenti recenti ed importanti che a mio modo di vedere possono permetterci di unire le strette alleanze di cui siamo protagonisti alla possibilità di sfidare lo status quo e la prospettiva dominante. Il primo è dato da Hezbollah e dalla sua vittoria contro lo stato sionista, che è uno stato di apartheid: qualcosa che ha unito gli arabi, i musulmani ed altre comunità ed ha fornito l'occasione per allargare il dialogo e per ampliare il fronte dei popoli che possono cooperare attorno a temi comuni.
Il secondo è rappresentato dal crescente scontento che esiste in Occidente ed anche altrove. La crisi socioeconomica ed il riscaldamento globale finiranno per rendere la vita sicuramente più difficile e credo che questo possa condurrre ad una situazione che metterà in grado coloro che non si trovano bene nello stato di cose presente a cercare altri interlocutori, altri modi di vedere le cose ed altre forme di attivismo. Fondamentalisti laici come Edward Said non riescono ad accettare una resistenza non laica eppure razionale. Ma se ci baseremo sui valori che ho su ricordato, è probabile che finiremo per trovare grandi potenzialità comuni a tutte le linee di pensiero, senza che per questo nessuna delle parti debba rinunciare ai propri valori fondanti. In certe situazioni invece, per venire incontro a laici non in sintonia con il loro pensiero, alcuni iraniani si sono rivolti al relativismo e sono diventati liberali, un po' come alcuni schierati a sinistra hanno fatto alla fine degli anni Sessanta, quando, dopo la rivolta di Parigi nel 1968, passarono al postmodernismo. Questi pensatori -in Iran questo sicuramente accadde- persero credibilità politica negli ambienti dai quali provenivano.
La realtà è che una prospettiva islamica esiste e continuerà ad esistere, e che molti dei suoi temi sono comuni a tutti gli esseri umani amanti della libertà. Per resistere occorre unirsi, e per unirsi occorre riconoscere che questi temi sono comuni a tutti.
Sayyed Mohamed Marandi è professore associato di letteratura inglese all'Università di Tehran. E' anche opinionista per varie trasmissioni di informazione e di attualità.
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