sabato 30 dicembre 2017

Elijah J. Magnier - In Siria la Russia impone allo stato sionista e agli USA nuove regole di ingaggio



Traduzione da Elijah J M, 30 dicembre 2017.

La Russia impone sia allo stato sionista che agli USA nuove regole di ingaggio in Siria. Un segno di come essa tuteli i propri interessi nazionali nel Levante e anche al di fuori del teatro mediorientale, specie in Ucraina, alle cui autorità gli USA hanno deciso di fornire armamenti letali intanto che cercano di convincere Kiev a entrare nella NATO: una mossa che Mosca considera ostile.
La reazione di Mosca è stata definita con chiarezza dal capo di stato maggiore russo Valery Gerasimov, che ha detto che "I consiglieri, gli istruttori, i funzionari dei servizi, il personale di artiglieria e tutte le varie unità militari russe sono state integrate in ogni corpo combattente siriano, in tutte le brigate, in tutte le unità, e persino nei singoli battaglioni." Gerasimov ha sottolineato che "tutti i piani militari e di combattimento vengono decisi di concerto con l'esercito siriano. Siamo presenti sul terreno e lavoriamo insieme per definire obiettivi strategici comuni e un piano comune." Insomma, l'attore politico-militare russo sa come far arrivare certi messaggi in tutto il fronte sud della Siria ogni volta che gli USA in altre parti del mondo si muovono in maniera contraria agli interessi di Mosca.
Per bocca del proprio capo di stato maggiore, la Russia ammette il fatto che le operazioni militari siriane non sono frutto di decisioni prese unilateralmente dalla Siria circa le proprie forze sul campo e quelle alleate come l'Iran, Hezbollah, l'Iraq e altri, ma derivano anche dalla valutazione e dalla pianificazione russa. La liberazione di Beit Jinn, ultima piazzaforte degli insorti nel Ghouta occidentale ai piedi del limite meridionale dello Jabal al Sheikh (il monte Hermon) e a ridosso delle posizioni dello stato sionista è stata una decisione anche russa.
La liberazione di Beit Jinn da al Qaeda e dai suoi alleati siriani sostenuti, equipaggiati e finanziati dallo stato sionista fin dal 2015 ha aiutato l'esercito siriano a mandare in pezzi la "zona cuscinetto" immaginata dallo stato sionista, che era intenzionato a impedire che Hezbollah e l'Iran raggiungessero l'area per evitare di entrarvi direttamente in contatto. Dopo la decisione del presidente statunitense Donald Trump di fornire all'Ucraina missili anticarro a guida laser, che implica un atteggiamento più aggressivo nei confronti della Russia, Mosca ha deciso di muovere anche sul fronte siriano, ampliando il divario che la separa dagli USA.
L'esercito siriano, insieme alle forze speciali Ridwan di Hezbollah, ha sferrato un attacco terrestre contro Beit Jinn ed è riuscito a riconquistare le colline circostanti e la stessa città dopo che al Qaeda, che contava su circa trecento combattenti, ha rassegnato la resa e ha evacuato la zona. Questo, prima dell'assalto finale alla città settentrionale di Idlib e ad altre località della stessa regione, e alla città meridionale di Daraa. Il coordinamento tra forze russe, iraniane, siriane e di Hezbollah sulla linea di frontiera fra Siria e stato sionista punta ad impedire qualsiasi intervento militare da parte dello stato sionista in difesa delle formazioni da esso protette, al Qaeda e i suoi alleati sul fronte sud di Ittihad Qu'wat Jabal al Sheikh. Allo stato sionista la Russia sta imponendo regole di ingaggio nuove: qualunque attacco da parte sua può mettere in pericolo il personale russo impegnato fianco a fianco con l'esercito siriano, come rivelato dal capo di stato maggiore Valery Gerasimov. Lo stato sionista non potrà ignorare l'aut aut russo: se colpisce gli attaccanti, rischia di mettere Tel Aviv in conflitto con la superpotenza russa, e di attirarla nelle ostilità fra Hezbollah e l'Iran da una parte e lo stato sionista dall'altra.
L'attacco condotto da russi, iraniani e siriani si è verificato proprio mentre lo stato sionista stava fornendo artiglieria e sostegno di intelligence ad al Qaeda e ai suoi alleati a Beit Jinn. Riconquistando la zona e le alture circostanti la Russia ha assestato il primo manrovescio allo stato sionista, principale alleato degli USA in Medio Oriente. Lo stato sionista teme da tempo la presenza dell'Iran e di Hezbollah alle frontiere, e ha fatto di tutto per impedire all'esercito siriano di arrivare alle fattorie di Shebaa da esso occupate. Cosa che si è verificata adesso, con la liberazione di Beit Jinn. Continuano comunque a esistere zone sotto indiretta influenza dello stato sionista nel sud della Siria ancora occupato da al Qaeda e dai suoi alleati, come Quneitra e i paesi circostanti (Tarangah, Jab’bat al Khashab, Ain al Baydah).
Il presidente degli USA ha di nuovo puntato la bussola dell'Asse della Resistenza in direzione di Gerusalemme, dopo anni di trascuratezza nel corso dei quali la causa ha subìto danni ad opera delle organizzazioni takfire dello Stato Islamico e di al Qaeda, che hanno colpito musulmani e non musulmani in Siria, in Iraq, in Libano e in altre parti del mondo islamico. Quando Trump ha "riconosciuto" Gerusalemme come capitale dello stato sionista, ha fatto crescere la coesione e la determinazione dei gruppi di vario orientamento organizzati dai Guardiani della Rivoluzione Iraniana in Siria, organizzazione composta da siriani, a ridosso della frontiera con lo stato sionista e in tutti i territori occupati della Siria e della Palestina.
La guerra in Siria ha fallito nel rovesciare il governo siriano e ha fatto nascere gruppi che hanno tratto vantaggio dall'addestramento e dall'ideologia provenienti dall'Iran, oltre che dalla straordinaria esperienza di combattimento che lo Hezbollah libanese ha accumulato dal 1982 ad oggi. Questi gruppi, per citarne soltanto alcuni, sono  Hezbollah Siria, le forze al Redha, la Brigata al Mukhtar al Thaqafi, la Brigata Imam al Baqir, Qamar Bani Hashem (Al-Abbas bin Ali), la Forza di Resistenza Islamica 313, la Brigata Zeyn El Abidine, Saraya al Waad, la Brigata Raad al Mahdi, la Brigata al Hussein, al Ghalabun, e altri gruppi simili, presenti in tutto il paese.
Per l'Iran, il più importante risultato della vittoriosa campagna militare in Siria è rappresentato dalla nuova dottrina militare siriana. Da esercito regolare classico, quello siriano è diventato una forza a fondamento ideologico, destinata a proteggere il paese dal ritorno dei takfiri nel Levante e a costituire un baluardo contro lo stato sionista. Le forze armate siriane combatteranno anche per riconquistare tutti i territori occupati dalla Turchia e dagli USA nel nord del paese, nel caso turchi e statunitensi decidessero di restare nonostante Damasco abbia ingiunto loro di abbandonare il campo.
In Siria la musica è cambiata. Le regole del gioco continueranno a svilupparsi per venire incontro a interessi mutevoli, ai cambiamenti sul piano interno e su quello regionale e ai vari sviluppi. Per qualcuno questi sei lunghi anni di guerra hanno fatto nascere una nuova resistenza, pronta a combattere per i propri obiettivi e per quelli della Siria, dell'Iran e della Russia.

venerdì 8 dicembre 2017

Casaggì Firenze: «Salva Firenze, respingi l’immigrazione, combatti lo spaccio, compra fiorentino».


Ecco la colazione di oggi, scelta con una certa cura.

Tè dalla Repubblica Islamica dell'Iran.
Datteri dalla Repubblica Tunisina.
Kefiah per lo sfondo dalla Repubblica Araba di Siria.


venerdì 1 dicembre 2017

Alastair Crooke - Va in fumo il piano di Trump per l'Arabia Saudita



Traduzione da Consortium News, 17 novembre 2017.

Aaron Miller e Richard Sokolsky, in un articolo su Foreign Policy, insinuano che "l'aver corteggiato e irretito il Presidente Donald Trump e suo genero Jared Kushner può a buon diritto essere considerato il più notevole successo di Mohammed bin Salman in politica estera." Insomma, è possibile che questo "successo" si riveli anche l'unico.
"Non c'è voluto gran che per convincerli," scrivono Miller e Sokolski; "soprattutto, la nuova brigata è il riflesso di un opportuno coincidere di imperativi strategici."
Trump, come al solito, non voleva altro che distinguersi dal Presidente Obama e da tutto il suo operato; i sauditi erano al tempo stesso decisi a sfruttare la viscerale antipatia di Trump per l'Iran, per rovesciare la serqua di sconfitte recentemente sofferte dal regno.
La posta in gioco che Mohammed bin Salman è sembrato promettere, vale a dire il prendere tre piccioni con una fava (colpire l'Iran, "normalizzare" lo stato sionista nel mondo arabo e un accordo con i palestinesi) è parsa così allettante che il Presidente degli Stati Uniti ha trattato la cosa nei dettagli solo con i canali di famiglia. Insomma, Trump stava facendo uno sgarbo deliberato all'establishment della politica estera e della difesa lasciando i tramiti ufficiali all'oscuro e in preda al dubbio. Trump ha puntato forte su Mohammed bin Salman, e lo stesso ha fatto Jared Kushner in qualità di suo intermediario. Tuttavia, il grandioso piano di Mohammed bin Salman è fallito al primo ostacolo: il tentativo di levare una provocazione contro Hezbollah in Libano, provocazione che avrebbe suscitato una risposta smodata fornendo così allo stato sionista e all'"alleanza sunnita" il sospirato pretesto per passare a vie di fatto contro Hezbollah e contro l'Iran.
Questa prima fase è diventata una telenovela, con lo strampalato rapimento del Primo Ministro libanese Saad Hariri ad opera di Mohammed bin Salman che è servito solo a unire i libanesi invece che a dividerli in fazioni ostili tra loro come si sperava di fare.
Ora, la disfatta in Libano ha una portata che va al di là di quella di una telenovela mal diretta. Il fatto davvero importante che il pasticcio combinato da bin Salman ha fatto emeregere è che non soltanto nessuno si è minimamente scomposto, ma che meno che mai hanno intenzione di agitarsi i sionisti. Stando alle parole del navigato corrispondente sionista Ben Caspit, non intendono assumere il ruolo "del randello agitato dai leader sunniti contro gli sciiti loro nemici mortali... Insomma, nessuno nello stato sionista, e meno che mai il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, ha fretta di infiammare il fronte settentrionale. Farlo significherebbe essere risucchiati in una situazione infernale." [Corsivo dell'A.]


La sconfitta in Siria

Tanto per essere chiari, la cosiddetta "alleanza sunnita" formata essenzialmente da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, con un Egitto che sta già tirandosi indietro, ha appena rimediato una secca sconfitta in Siria. Non ha la capacità di arginare l'Iran, Hezbollah o le Forze di Mobilitazione Popolare irachene -una milizia sciita- in alcun modo che non sia l'agitare il randello rappresentato dallo stato sionista. Lo stato sionista può anche condividere gli interessi strategici dell'alleanza sunnita, ma come sottolinea Caspit, "i sauditi hanno interesse a far sì che lo stato sionista faccia il lavoro sporco al loro posto. Ma è chiaro che non tutti nello stato sionista fanno salti di gioia a questa prospettiva."
Caspit definisce la prospettiva di uno scontro fra l'alleanza sunnita e lo schieramento capeggiato dall'Iran "una vera guerra di Armageddon." Parole che indicano implicitamente le riserve nutrite dallo stato sionista.
Questo rifiuto di agitarsi, come il cane che non abbaiò di notte nel famoso racconto di Sherlock Holmes scritto da Conan Doyle, inficia in qualche modo tutto il piano generale di Kushner: se lo stato sionista se ne chiama fuori, il discorso è chiuso. Lo stato sionista era il randello anche nel piano di Trump. Niente randello, niente azione di arginamento dell'Iran da parte dell'alleanza sunnita, niente progressi sulla normalizzazione dei rapporti fra sauditi e stato sionista, niente inziativa di sionisti e palestinesi. La maldestraggine di Mohammed bin Salman ("sconsideratezza", l'ha definita un funzionario statunitense) ha mandato a pallino la politica statunitense in Medio Oriente.
Perché Trump ha scommesso tanto sull'inesperto Kushner e sull'impulsivo bin Salman? Ovviamente, se un simile piano avesse funzionato si sarebbe rivelato un ottimo colpo in politica estera alla faccia dei professionisti della materia e dei quadri della difesa che ne sono stati esclusi. Nel caso, Trump si sarebbe sentito più libero di mettersi al di sopra delle pastoie degli apparati: i suoi "ispiratori" gli avrebbero permesso di alzare il livello della sua indipendenza e della sua libertà. Sarebbe giunto al risultato tramite i propri canali familiari invece che tramite i consiglieri ufficiali.
Se invece la cosa assume toni farseschi e Mohammed bin Salman comincia a essere considerato negli ambienti statunitensi più un cane sciolto che un Machiavelli, gli apparati che Trump ha calpestato si vendicheranno: le opinioni del presidente verranno considerate poca cosa e avranno ancor più bisogno di giustificazioni e di "ispirazione."
Mohammed bin Salman (e Kushner) possono aver colpito il Presidente Trump in modo anche più grave: aver scommesso sull'inesperto bin Salman e avere perso può ripercuotersi anche in altri campi: come conseguenza, gli alleati degli USA potrebbero mettere apertamente in discussione la correttezza delle opinioni di Trump in merito alla Corea del Nord. Insomma, sarà la credibilità del Presidente degli Stati Uniti a pagare lo scotto dell'infatuazione per bin Salman.


Pii desideri

Il meno che si possa dire è che nell'atteggiamento occidentale nei confronti dell'Arabia Saudita ci sono molti aspetti curiosi, per non dire adulatori; Trump non è l'unico che pende dalle labbra dei sauditi. La stessa idea di un'Arabia Saudita che diventa una potenza regionale assertiva e "moderna" in grado di rimettere l'Iran al suo posto è di per sé poco realistica, eppure è presa per buona da molti commentatori statunitensi. Certo, il regno non ha grandi alternative al trasformarsi dal momento che le rendite petrolifere si avvicinano alla fine, cosa che in teoria potrebbe senz'altro indirizzare il paese verso un nuovo corso.
Solo che indicare con precisione in che modo il regno possa reinventarsi senza andare in pezzi è probabilmente molto più complicato che non invocare un qualche superficiale accoglimento di una "modernità occidentale" o di combattere "la corruzione". Questi sono specchietti per le allodole; la famiglia regnante è essa stessa lo stato, e lo stato -ricchezze petrolifere comprese- appartiene alla famiglia regnante. Gli appartenenti alla famiglia regnante godono di privilegi e di prerogative per nascita a seconda della vicinanza o della lontananza dal trono. Queste prerogative vengono accordate o riconosciute soltanto nella misura in cui servono al monarca per puntellare il proprio assolutismo. In questo sistema merito ed equità non esistono nemmeno a livello di intenzione.
Cosa significa allora corruzione in un sistema come questo? L'Arabia Saudita non fa neanche finta di essere un terreno in pari, in cui si gioca secondo determinate regole. La legge e le regole le enuncia o le firma il re, giorno per giorno.
Ai tempi in cui l'Europa mostrava apprezzamento per un tale sistema assolutista, il vocabolo "corruzione" aveva un significato abbastanza chiaro: mettere i bastoni tra le ruote al re. "Corruzione" non significava altro. Se il mondo pensa che Mohammed bin Salman stia portando l'Arabia Saudita verso la modernità occidentale, deve tenere presente anche che bin Salman sta preparandosi a buttare a mare la famiglia, con i suoi quindicimila principi di sangue reale, o che sta andando verso un assetto da monarchia costituzionale e verso un modello di società basata sullo stato di diritto; una società di cittadini, non di sudditi.
Di tutto quello che bin Salman sta facendo, nulla fa pensare che si stia muovendo in questo senso. Anzi, il suo operato indica che intende recuperare e restaurare l'aspetto assolutista della monarchia. E la modernità che sta cercando è del tipo che si può comprare praticamente pronta per l'uso, quella che basta tirarla fuori dalla scatola e montarla. Insomma, la sua idea è quella di comprarsi una base industriale pronta in kit di montaggio, e rimediare all'inaridirsi delle rendite petrolifere.
Secondo il piano Vision 2030 questa base industriale ben confezionata e altamente tecnologica dovrebbe portare mille miliardi di dollari di profitti all'anno... se tutto va bene. L'industrializzazione è intesa come fonte sostitutiva di reddito a sostegno della famiglia reale, non per privarla delle sue prerogative. Non si tratta dunque di un qualche cosa di "riformista" secondo il concetto occidentale di modernità intesa come uguaglianza davanti alla legge e come tutela dei diritti.


Speranze fallaci

Questo modo di fare industrializzazione, non calato nel contesto e implementato rapidamente, non è facile da conciliare con la società. A meno che non ci si chiami Stalin. E' costoso e, come la storia insegna, è deleterio sul piano sociale e su quello culturale. Costerà molto di più degli ottocento miliardi di dollari che Mohammed bin Salman spera di "recuperare" da quelli che ha fatto arrestare, ricorrendo alla coercizione fisica: già diciassette di essi sono finiti in ospedale per i maltrattamenti sofferti in detenzione.
Se non si tratta di occidentalizzare l'economia, perché tanti appartenenti di prima importanza alla famiglia reale devono "togliersi di mezzo"? Questo aspetto del piano ha forse a che fare con il motivo per cui bin Salman ha tanto desiderato sedurre e irretire il Presidente Trump, per dirla con Solkosky. Su questo, bin Salman dice la verità: a Trump ha confidato che intende ripristinare l'antica grandezza del regno, tornare ad essere il leader del mondo sunnita e il custode dell'Islam. Per questo motivo l'Iran per primo e la riscossa sunnita devono essere ricacciati in uno stato di subordinazione alla supremazia saudita.
Il problema è che qualcuno, nella famiglia reale, si sarebbe opposto a un simile avventurismo nei confronti dell'Iran. Bin Salman sembra stia comportandosi secondo una linea simile a quella dei neoconservatori statunitensi: come sostiene Kristol, una "egemonia benevola" è come una frittata che non si può fare (o rifare) senza rompere qualche uovo. Come hanno notato Miller e Sokolsky, a convincere Trump "non ci è voluto molto": la visione di Mohammed bin Salman combacia con le sue stesse priorità, e l'avversione verso l'Iran è la stessa. Puntuale, Trump ha espresso su Twitter il suo appoggio al giro di vite contro la "corruzione" in Arabia Saudita.
Ed ecco il terzo pilastro del piano: lo stato sionista sarebbe il "randello" dell'alleanza di Arabia Saudita, Emirati e USA contro l'Iran; l'esca per farlo entrare in azione doveva essere Hezbollah. In cambio l'Arabia Saudita si sarebbe attivata per il riconoscimento dello stato sionista, che a sua volta avrebbe concesso "qualcosa" ai palestinesi: un "qualcosa" che si potrebbe anche definire uno stato anche se di fatto era assai meno. Gli USA e l'Arabia Saudita avrebbero di comune accordo fatto pressione sui palestinesi per far loro accettare la proposta statunitense di arrivare ad un "accordo".
Perché è andata così male? Le aspettative su quello che ciascuna parte poteva mettere davvero in atto sono state esagerate. Ciascuno ha creduto all'altrui retorica. C'è stata l'infatuazione ameriKKKana per la regalità saudita, ci sono stati i legami familiari tra Kushner e Netanyahu. Ci sono stati i pii desideri di Kushner e di Trump, che avevano visto in Mohammed bin Salman lo strumento per la restaurazione del regno saudita come "poliziotto" degli USA nel mondo islamico, e persino dell'ordine ameriKKKano in Medio Oriente.
Forse Jared Kushner ha creduto a Bibi Netanyahu quando ha fatto intendere che la normalizzazione dei rapporti fra Arabia Saudita e stato sinista sarebbe stata contraccambiata con concessioni ai palestinesi; di fatto, il consiglio di sicurezza dello stato sionista ha già messo il veto alle concessioni di cui si discuteva a questo proposito, peraltro ben lontane dall'essere uno stato vero e proprio.
Forse Jared ha creduto a Mohammed bin Salman quando ha asserito di poter mobilitare il mondo sunnita contro l'Iran, se l'AmeriKKKa e lo stato sionista lo avessero sostenuto... in un momento in cui persino l'Egitto si è opposto alla destabilizzazione del Libano.
Forse Mohammed bin Salman ha creduto che Trump parlasse in nome dell'AmeriKKKa quando gli ha offerto il proprio sostegno, mentre in realtà parlava solo in nome della Casa Bianca.
Forse Mohammed bin Salman ha pensato che Trump avrebbe esortato l'Europa a muoversi contro Hezbollah in Libano e gli europei invece hanno messo al primo posto la stabilità libanese.
Infine, è possibile che Mohammed bin Salman e Kushner abbiano pensato che Netanyahu parlasse a nome dello stato sionista quando ha promesso di partecipare al blocco contro Hezbollah e contro l'Iran. Era questo il grandioso piano su cui hanno concordato Netanyahu e Trump il giorno prima che Trump a settembre lanciasse dall'ONU le sue bordate contro l'Iran? Un qualsiasi Primo Ministro dello stato sionista può combattere contro i palestinesi a mani relativamente libere, ma questo non è vero in quei casi in cui lo stesso stato sionista viene ad essere messo a repentaglio. Nessun Primo Ministro dello stato sionista può impegnarsi in un conflitto potenzialmente minaccioso per l'esistenza dello stato senza avere un ampio sostegno da parte del mondo politico e militare del paese. E questi sono ambienti che prevedono la guerra solo quando chiaramente confacente agli interessi dello stato sionista, non quando c'è da compiacere un bin Salman o il signor Trump.
Ben Caspit e altri editorialisti sionisti confermano che lo establishment dello stato sionista non pensa che una guerra contro Hezbollah e il rischio che il conflitto si allarghi facciano l'interesse del paese.
Le ricadute di quanto successo sono molto significative. E' emerso che al momento attuale lo stato sionista si guarda bene dal prendere in considerazione una guerra in Medio Oriente, come illustrato da Caspit. L'accaduto ha sottolineato anche l'inconsistenza delle ambizioni di Mohammed bin Salman su un'alleanza sunnita da contrapporre all'Iran, e ha tagliato le gambe alla politica di contenimento dell'Iran del Presidente Trump. Almeno per adesso ci si deve attendere che Iran e Russia rafforzeranno lo stato in Siria, e stabilizzeranno il quadrante nord. La "guerra di Armageddon" di Caspit magari arriverà anche, ma forse non adesso.