lunedì 30 aprile 2012

Radio Studio 54, il Libro dei Ceffi e la perseveratio diabolica di Casaggì Firenze



La primavera 2012 per il microcosmo del gazzettismo fiorentino non presenta issues particolarmente appetibili. Il gazzettaio si è trovato costretto ad intraprendere una campagna di stagione riproponendo temi di rifugio come l'insihurézza e i'ddegràdo. Strano che vi sia ancora materiale in abbondanza cui attingere ogni giorno, in un contesto dove, garantiscono le medesime gazzette, è sufficiente scrivere su un muro o arrampicarsi su una statua per tirarsi addosso una squadra della gendarmeria; il sospetto è che molti piagnistei gazzettieri facciano parte del materiale buono a tutti gli usi e vengano ciclicamente riproposti per mantenere i sudditi in quella condizione di perenne allarme sociale che fa dei veri miracoli quanto a mantenimento del consenso.
A creare un minimo di scompiglio, colpendo gli interessi dei gazzettisti e della loro committenza politica, la decisione della pubblica accusa di far interrompere le trasmissioni di un'emittente radiofonica di provincia chiamata Radio Studio 54.
Le gazzette contigue all'areale "politico" della radio hanno degnato di qualche attenzione le rimostranze del Guido Gheri cui essa fa capo, come abbiamo già visto; in attesa di sviluppi significativi sul piano reale, la questione si è spostata sul Libro dei Ceffi ed in altre sedi, in cui viene trattata con amplissimo utilizzo di quei "discorsi quasi da bar" che Guido Gheri trova tanto meritevoli di divulgazione ma che è, al momento, costretto a coltivare in chissà quale quasi bar.
Invece di fare logout dai loro pc e di procurarsi un biglietto per Kandahar in modo da godere -sperabilmente a tempo indeterminato- dei benefici di quella democrazia da esportazione per la quale si sono tanto adoperati, i gazzettisti del "Corriere Fiorentino" perdono tempo a giornate proprio sulla fenomenale sentina di mediocri costituita dal Libro dei Ceffi. Possono così edurre i loro lettori sul fatto che nel Libro dei Ceffi sarebbe in corso una pedestre campagna denigratoria contro il magistrato della pubblica accusa che ha costretto Guido Gheri a trovare un modo meno ciarlante per trascorrere le proprie giornate. In questo non ci sarebbe molto di biasimevole, dal momento che le esibizioni di mediocrità, le invettive, gli insulti e le menzogne costituiscono una rilevantissima parte dei contenuti di internet e la quasi totalità dei contenuti delle gazzette. Qualcosa -anzi, molto- da ridire c'è invece quando si scopre che a lamentarsi dell'azione della gendarmeria e della pubblica accusa ci sarebbe un gruppo di micropolitici "occidentalisti".
Proprio loro, quelli dei giridivite e delle tolleranzezzèro.
Secondo la gazzettina, sul Libro dei Ceffi compaiono queste considerazioni, il cui autore ha "Francesco Torselli" come nome utente. Lo scritto sostiene che la rappresentante della pubblica accusa su ricordata è
la stessa che ha rinviato a giudizio un ragazzo di Casaggì che mentre usciva di casa si prese un bel pugno in faccia da tre "compagni coraggiosi" e che, siccome non volle dire al pronto soccorso di essere stato aggredito, temendo di perdere il proprio posto di lavoro, è stato accusato di essersi inventato tutto... Insomma un magistrato le cui idee politiche non sono per niente dichiarate... Evviva la democrazia!!!
Per prima cosa veniamo a sapere -e dal Libro dei Ceffi- che nello stato che occupa la penisola italiana è possibile rischiare il licenziamento anche denunciando un'aggressione. La "flessibilità" richiesta alla mano d'opera, per la quale gli "occidentalisti" si sono tanto adoperati, prende davvero le strade più astruse.
La seconda cosa interessante riguarda il rapporto conflittuale che gli "occidentalisti" hanno con la realtà, perché all'epoca dei fatti un lamentoso comunicato stampa a firma "occidentalista" usava tutt'altra ricostruzione dei fatti, destando il nostro sincero interesse. All'epoca avemmo la sensazione di trovarci al cospetto di un tentativo di ottenere visibilità mediatica iniziato maldestramente e finito in maniera ridicola.
Se le considerazioni che compaiono sul Libro dei Ceffi firmate dal nome utente "Francesco Torselli" sono state pubblicate dal Francesco Torselli realmente esistente, dobbiamo prendere atto di un fenomeno invariante e tutto sommato atteso: i micropolitici dell'"occidentalismo" fiorentino, nonostante il fitto calendario di insegnamenti in materia cui sono stati sottoposti dalle circostanze, non hanno ancora imparato che un buon metodo per evitare di essere considerati dei cialtroni consiste essenzialmente nel non comportarsi da cialtroni.
Nulla da condannare: i sudditi che bivaccano nella penisola italiana ostentando in guisa di alti meriti i propri esclusivi interessi per i maccheroni, il pallonaio e la pornografia non hanno mai avuto rappresentanti più degni.

sabato 28 aprile 2012

Elezioni amministrative: tornano gli "occidentalisti" consapevoli dei propri limiti



Una galleria fotografica pubblicata da una gazzetta presenta la foto di materiale propagandistico diffuso da un certo Amerigo Gubinelli, un candidato "occidentalista" alle elezioni amministrative di un borgo vicino a Roma.
Il sito di Amerigo Gubinelli è ricco di materiale pittoresco, al quale rimandiamo chi fosse interessato. Il corredo iconografico dell'"occidentalista" militante vi compare nella solita interezza non mancando né le giovani donne poco vestite né le esibizioni di autoflagellazione sicuramente destinate ad attrarre le simpatie dei settori dell'elettorato cattolico rimasti più affezionati a certe pratiche devozionali dai connotati estremi.
Qui la propaganda di Gubinelli interessa per un motivo in particolare: Amerigo Gubinelli si considera "il rottweiler della politica" ed accosta la propria immagine a quella di un cane.
A Firenze, nel 2009, fu l'"occidentalista" Bianca Maria Giocoli a fare la stessa cosa.



Nella propaganda elettorale degli "occidentalisti" l'accostamento tra cani e candidati ricorre piuttosto spesso. Da parte nostra lo troviamo un paragone oltremodo appropriato: non abbiamo mai avuto alcun dubbio sul fatto che l'elettorato "occidentalista", passivo o attivo, sia costituito per lo più da cani.

venerdì 27 aprile 2012

Firenze: Radio Studio 54 sequestrata dalla gendarmeria


Abbiamo già utilizzato questa foto in uno scritto in cui trattavamo delle competenze storiografiche di Achille Totaro.
Achille Totaro è di Scandicci, è grasso, ed è al centro della foto.
Sempre al centro della foto c'è anche Guido Gheri, che è anche lui di Scandicci: però si riconosce perché non è grasso.
Si apprezzino l'austerità ed il sobrio rigore, l'ambientazione claustrale,
il piglio dimesso e modesto di questi autentici difensori delle "radici cristiane" dell'"Occidente".


Se dovessimo prestar fede a quanto riferito da qualche fonte "occidentalista" il 26 aprile 2012 a Firenze sarebbe stato inferto un colpo durissimo alla libertà d'informazione, perché un'emittente radiofonica locale denominata Radio Studio 54 è stata chiusa dalla gendarmeria.
Su questo, il minuscolo ed autoreferenziale circolo fatto di committenti politici e di esecutori gazzettieri concorda senza mostrare incrinature, nonostante Radio Studio 54 sia nota da molti anni per la splendida incompetenza ciarliera e per la risibilità argomentativa che costituiscono i tratti essenziali dei contenuti che veicola. Contenuti che a volte si rivelano difficili da condividere persino per la schiuma da pallonaio che costituisce la maggioranza del target delle trasmissioni. In mezzo all'imperversar cianciante del padrone della radio Guido Gheri -che si fa chiamare Gheri Guido, come si fa con i bambini delle scuole primarie- un'accusa di diffamazione o di istigazione all'odio razziale costituiscono più dei preventivabilissimi incidenti di percorso che non dei fulmini a ciel sereno.
Per facilitare il lavoro alla pubblica accusa e alla gendarmeria, questo Gheri avrebbe proceduto ad arricchire con contenuti dello stesso tenore anche la propria autoschedatura sul Libro dei Ceffi; le scorribande di Guido Gheri -un individuo che ci si accontenterà di definire aristofanesco (in internet raccoglie di solito molti epiteti assai meno ricercati)- assumono a volte una tale portata da fruttargli smentite via telefono persino da parte dei suoi stessi ascoltatori.
Sui meriti di questo perdigiorno si è espresso con documentata attenzione anche Riccardo Venturi, col suo Skanditschentum und Rassenhasse: beiträge zur Theorie der wissenschaftlichen Gherikunde al quale rimandiamo quanti volessero approfondire. Da parte nostra abbiamo già avuto occasione di indicare Guido Gheri al disprezzo dei nostri lettori mettendone in evidenza la contiguità all'"occidentalismo" più obeso ed incompetente, cosa di cui Gheri non fa mistero alcuno, come non fa mistero alcuno della propria familiarità con l'ambiente del pallone travestito. Dal momento che la materia invoglia ad infierire, è bene ricordare anche che Guido Gheri ha curato la "musica" di molte iniziative elettorali dell'"occidentalismo" fiorentino.
E' possibile che lo stupore degli "occidentalisti" poggi comunque sui fondamenti della consuetudine, e che sia da questo punto di vista comprensibile.
La "libera informazione" viene difesa con toni molto accesi dalla politica "occidentalista" che non potrebbe fare a meno dei suoi servigi. Come ripetiamo instancabilmente in questa sede, nel corso degli anni è diventata ben identificabile una correlazione significativa tra il deterioramento della qualità dell'informazione mainstream più fruibile nello stato che occupa la penisola italiana e l'avanzata elettorale e politica dell'"occidentalismo". L'aneddotica ed i casi concreti riferibili alla questione basterebbero da soli per riempire una biblioteca molto capiente: basterà qui ricordare che l'approccio "occidentalista" all'informazione prevede, puramente e semplicemente, il ripristino e l'adozione di tutte le armi della propaganda totalitaria tipica di quelle forme di governo che l'"occidentalismo" asserisce di aborrire.
La propaganda "occidentalista" ha da molti anni imposto ai mass media il proprio agenda setting ed il proprio stile. Come i nostri lettori sanno bene, ad iniziare in concreto l'operazione rendendo accettabile la pubblicazione di qualunque secrezione possa tornare utile alla committenza (e soprattutto a riempire un po' di quel vuoto che sta tra un'inserzione pubblicitaria e l'altra) sono stati padri sedicenti nobili come il "Corriere della Sera", dove ha imperversato una Oriana Fallaci padrona di vantarsi dell'intenzione di bruciare vivi alcuni somali colpevoli di non piacerle.
La macchina della propaganda "occidentalista" ha funzionato per anni a regimi tanto alti da indurre i quattro quinti almeno dell'offerta mediatica ad adeguarsi ad essa. Tutto questo ha contribuito, e molto, a tirar su una leva di gazzettisti poco o punto abituati al contraddittorio: d'altronde è la linea editoriale delle gazzettine che li invoglia a considerare un terrorista chiunque osi controbattere.
In linea di principio il gazzettaio ha operato e continua ad operare in una situazione di impunità quasi completa, perché il più delle volte i capri espiatori della propaganda (muratori clandestini, zingari che vivono in campi precari, operai con scarsa conoscenza della lingua) non hanno la minima idea di come difendersi e soprattutto hanno altro a cui pensare, per esempio a come tirare avanti alla giornata.
Questa impunità è lenita solo dal prospettato fallimento di tanti foglietti che si ostinano a seguire una linea editoriale cui il pubblico, morso a sangue dalla crisi economica e sempre più incline a identificarsi nei capri espiatori su ricordati piuttosto che nella marmaglia con la cravatta che glieli addita, è diventato meno sensibile.
In ogni caso, la normalità è rappresentata a tutt'oggi da gazzettisti abituati a pensare che la legge -e l'ordine, e la tolleranzazzèro, e i giridivite- valgano solo per mustad'afin ed Übermenschen, quindi l'idea che qualcuno tra i capri espiatori possa farvi ricorso è per loro semplicemente inconcepibile. Invece non è ancora stato varato alcun provvedimento legislativo che impedisca ai mustad'afin di far valere i propri diritti: si tratta di una mancanza di eccezionale gravità perché è incredibile che in tutti questi anni i governi "occidentalisti" non siano riusciti a trasformare in legge uno dei punti cardine della loro visione del mondo.
Per colpa di questa trascuratezza, nella penisola italiana si trovano oggi potenziali elettori delle formazioni "occidentaliste" che, per fare un solo esempio, possono avere delle difficoltà se affermano che le donne musulmane dovrebbero essere fatte abortire a calci in pancia: qualcosa di inconcepibile per gli "occidentalisti" e per la concezione di "libertà" cui hanno informato ogni àmbito della vita sociale.

Post scriptum. Il giorno successivo al sequestro "Il Giornale della Toscana" ha pubblicato una serie di considerazioni su quanto avvenuto, espresse da Guido Gheri e da Achille Totaro. L'articolo è corredato da una fotografia molto meno che mediocre, il che, in un'epoca in cui non si va avanti a dagherrotipi ma a macchine fotografiche digitali e a fotoritocchi, la dice molto lunga sulle "professionalità" che infarciscono i ranghi di certe gazzette "occidentali".
Nell'articolo Guido Gheri ed Achille Totaro spiegano come il fòmite dell'"occidentalismo" radiofonico della periferia di Firenze sia stato silenziato d'autorità per

...Frasi messe agli atti senza considerare il contesto. Sono parole di uso comune, quasi da bar, che molti cittadini pensano quando sono esasperati da alcune situazioni. A questo punto, per gli stessi motivi andrebbe chiusa anche Radio Padania ed una serie di altre emittenti
in tutto il territorio dello stato che occupa la penisola italiana.
Al momento in cui scriviamo il "partito" Lega Nord, cui Radio Padania fa riferimento, sta attraversando uno dei peggiori momenti della propria storia e non è da escludere che i mass media che vi afferiscono, radio o gazzette che siano, non conoscano una fine anche più ingloriosa e repentina.
Forse è utile spiegare ai lettori che i bar, nella penisola italiana ed altrove, sono locali pubblici in cui si servono bevande alcoliche. Si potrà immaginare dunque quale competenza e quale cognizione di causa vengono profuse nelle discussioni che vi si svolgono.
La sovversione "occidentalista" è colpevole tra le altre cose di presentare ogni problema, ogni questione, ogni situazione complessa come affrontabile con "parole quasi da bar", perché una delle caratteristiche fondamentali dell'"occidentalismo" è rappresentata da un disprezzo costante nei confronti della competenza, del dubbio e della ponderazione.
Detto altrimenti, l'"occidentalismo" ha nel pallonaio e nella marmaglia sbavante che vi celebra i propri riti di sangue dividendosi in due fazioni disponibilissime a scannarsi a vicenda un modello interpretativo adattabile a qualsiasi situazione a prescindere dalla sua complessità.
La natura satanica e sovvertitrice dell'"occidentalismo" sta anche in questo.
Con Radio Studio 54 ridotta al silenzio Guido Gheri e Achille Totaro dovranno trovare per qualche tempo un palco oscenico diverso per le loro "parole quasi da bar".
Chi ne sentisse la mancanza dovrà dunque andare a cercarli in un quasi bar.

Post scriptum. Un mese dopo un più che discutibile "decreto di restituzione degli impianti" firmato dalla pubblica accusa ha permesso a Radio Studio 54 di continuare a trasmettere, sia pure solo "musica".
 

giovedì 26 aprile 2012

Firenze: con la bella stagione tornano il degrado e l'insicurezza

...Almeno secondo le gazzettine, negli ultimi giorni di aprile 2012 impegnate in blocco a lamentare l'eccessivo smercio di alcolici nei locali del centro cittadino invocando giridivite e tolleranzezzèro. L'inventariamento di cartacce sui marciapiedi con annessa intervista a qualche fannullone scelto per sapiente caso, nei periodi di campagna elettorale è un qualcosa che viene fatto avanzare nell'agenda setting fino ad occupare le prime pagine e i titoli di testa delle gazzettine più putride: costa poco, riempie spazi altrimenti desolatamente vuoti e soprattutto produce, almeno nelle intenzioni, dividendi elettorali degni della massima considerazione. 
Una strategia mediatica e politica spinta oltre ogni ragionevole limite per moltissimi anni; peccato soltanto che una volta riposte le gazzette e messo piede fuori di casa, si trovino invece scritte sui muri come quella che qui si riporta e che proviene dalla zona di San Frediano.
Terrorista è chi ogni giorno con giornali e tv istiga alla paura del diverso in nome della "sicurezza".
Non che occorrano molti sforzi per trovarsi dalla parte dei diversi, ovvero dei terroristi: è sufficiente esibire una propensione ai comportamenti di consumo meno intensa di quanto la committenza delle gazzette reputi desiderabile.
Firenze è una città di sicuro interesse per innumerevoli motivi. Uno di questi è rappresentato dalla sobria lucidità di analisi che dimostrano molti di coloro che la frequentano.
Muri puliti, popoli muti.

sabato 21 aprile 2012

Peter Lee - La maldestra politica estera della Turchia


Il primo ministro della Repubblica di Turchia Recep Tayyip Erdoğan
durante una visita di stato nella Repubblica Popolare Cinese (Foto AA).

Traduzione da Asia Times.

Con una visita di alto profilo in Cina il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan ha continuato la propria campagna per accrescere il prestigio del suo paese sul piano della geopolitica.
La Turchia spera molto di emergere -o di riemergere, se si ricordano i tempi dell'apogeo dell'Impero Ottomano- come qualcosa di più che il punto di giunzione geografico ed economico dell'Eurasia. Erdoğan spera di poter valorizzare questa posizione centrale trasformando la Turchia in una potenza rgionale, in un paese in grado di dire la sua sulle priorità in agenda per tutti e due i continenti.
Se dobbiamo fidarci di quanto è emerso dal viaggio di Erdoğan in Cina, la Turchia ha ancora molta strada da fare. Hurriyet, che è il principale quotidiano turco in lingua inglese, ha confuso il nome ed il cognome del premier cinese Wen Jiabao, ed ha riferito della visita intitolando "Erdoğan incontra Jiabao nel corso di un importante visita di stato in Cina". [1]
Dal punto di vista geopolitico i due paesi non hanno comunanza di vedute su una questione fondamentale: la Siria. La Turchia ha voltato le spalle al presidente Bashar al Assad; la Repubblica Popolare Cinese è invece parte attiva nel processo di pace siriano.
Nonostante questo, il 10 aprile all'aeroporto di Pechino Erdoğan ha riferito ai giornalisti presenti che "la Cina non ha più l'atteggiamento che aveva prima", ovvero che non forniva più un completo appoggio al governo di Assad. Si potrebbe pensare che abbia fatto questa dichiarazione all'aeroporto al momento di lasciare il paese in modo da potersi esprimere senza il timore di venir contraddetto in modo imbarazzante dai suoi ospiti.
Un accademico turco aveva fornito la debita imbeccata ottimistica all'edizione domenicale del quotidiano turco Zaman:
Penso che entrambi [la Russia e la Cina] riconsiderereanno il loro atteggiamento e prenderanno posozioni molto vicine a quelle turche... Russia e Cina non rischieranno un confronto con la Turchia e con l'Occidente continuando a sostenere il governo di Assad. [2]
Da Pechino non è arrivata alcuna risposta alle considerazioni di Erdoğan, almeno non direttamente. Si può invece pensare che l'iniziativa cinese per la pace in Siria sia la mossa geopolitica più importante compiuta negli ultimi dieci anni. Se Cina e Russia avevano qualche dubbio sulla capacità di Assad di rimanere al potere, non sono certo andate a condividere le loro preoccupazioni con Erdoğan.
Il 12 aprile il ministro per gli affari esteri cinese ha rilasciato una dichiarazione sul cessate il fuoco siriano:
Per alleviare le tensioni e incoraggiare un processo di accordo politico, la Cina ha interpellato di propria iniziativa il goveno siriano e le altri parti politiche in Siria... La Cina ha anche preso contatto con le altri parti interessate come i paesi della regione, la Lega Araba e la Russia, in merito ad una soluzione politica per la questione siriana. Quello che la Cina ha fatto è muoversi in modo concreto. Come prossima mossa, la Cina si adopererà con altri attori che intendano continuare a sostenere attivamente la mediazione di Annan perché si giunga ad una soluzione politica della questione siriana, e continuerà ad agire per manternere la comunicazione ed il coordinamento tra le parti interessate nell'intento di ricoprire un ruolo costruttivo perché si giunga in breve tempo al raggiungimento di una libera, pacifica ed adeguata ricomposizione della questione siriana. [3]
In modo ancora più eloquente, poco dopo la partenza di Erdoğan la Cina ha riservato un'accoglienza di riguardo al ministro degli esteri siriano Walid Moallem, ed ha appoggiato senza mezzi termini la missione di Kofi Annan come mediatore per la pace.
Se dobbiamo vedere un messaggio per la Turchia in tutto questo, il messaggio è che la Cina è direttamente coinvolta nella questione e che non ha alcuna intenzione di riconoscere alla Turchia alcun genere di ruolo guida. Il fatto è che la Turchia occupa in materia una posizione molto marginale, e a questo punto può anche ringraziare perché la comunità internazionale non l'ha del tutto tagliata fuori dalla questione siriana.
Verso la fine del 2011 Erdoğan considerava secondo ogni evidenza la Siria come una seconda Libia. La Turchia aveva scaricato Gheddafi quando la NATO, la Lega Araba ed il Consiglio di cooperazione del Golfo avevano fatto fronte comune contro di lui ed Erdoğan aveva potuto reclamare a sé il merito, se di merito si può parlare, che i bombardamenti fossero stati condotti sotto l'egida della NATO invece che sotto gli auspici di Francia ed Inghilterra. Col continuare delle manifestazioni contro Assad e contro il suo governo nel corso dell'estate e dell'autunno del 2011, è parso che la Turchia potesse iniziare a vagheggiare un nuovo governo demoratico, forse con una forte componente sunnita, anelante la protezione e l'assistenza turca e situato alla propria frontiera meridionale. Erdoğan ha abbandonato la sua politica di coinvolgimento nei confronti di Assad e si è unito al coro di quanti auspicavano che venisse spodestato.
In Siria, tuttavia, non ha preso concretezza alcun intervento straniero al di là delle dichiarazioni indignate degli occidentali e del Consiglio di Cooperazione; a Damasco c'è ancora Assad e la Turchia, invece di potersi godere il successo di un'altra di quelle manovre da Primavera Araba che ti fanno ritrovare "dalla parte giusta della storia" è ora ingabbiata in un'agenda fitta di confronti con un vicino spinto alla disperazione e piuttosto ricco di risorse.
La Turchia non ha nemmeno tentato di limitare i danni esplorando le possibilità di ricucire lo strappo con il governo siriano; invece, si è presentata come lo sponsor degli inetti (il Consiglio Nazionale Siriano), degli avventati (il Libero Esercito Siriano) e degli opportunisti (gli Amici della Siria).
Erdoğan pare sia intento a scavare coi denti la fossa in cui rischia di finire la Turchia, perché sta continuando a parlare degli orrori di Assad in una maniera tale che una riconciliazione politica con quest'ultimo risulterà impossibile per lui.
Al momento di lasciare la Cina ha dichiarato che avrebbe invocato gli obblighi cui l'Alleanza Atlantica è chiamata dall'Articolo 5 del proprio statuto (quello sulla protezione di uno stato membro) in risposta ad una scaramuccia di frontiera di nessun conto e che potrebbe in verità esser stata provocata da alcuni combattenti del Libero Esercito Siriano intenti a cercare rifugio in un campo profughi situato in territorio turco, in seguito ad uno scontro armato messo in piedi da loro stessi.
Sul piano diplomatico le considerazioni di Erdoğan sulla Siria hanno avuto anche altre ripercussioni.
L'Iran, che considera da sempre la Turchia come un proprio sostenitore nella tenace lotta con l'Occidente sulla questione del programma nucleare, ha chiesto che si cambi sede per i colloqui del cosiddetto "Iran six" (detto anche P cinque più uno, gli Stati Uniti, la Cina, il Regno Unito, la Francia, la Russia ed infine la Germania) originariamente fissati ad Istanbul, in risposta all'irremovibile atteggiamento filooccidentale che la Turchia ha assunto sulla Siria, ed in risposta alla decisione di Erdoğan di fornire completo sostegno alla difesa missilistica della NATO.
Erdoğan ha perentoriamente fatto terra bruciata attorno a Tehran, rispondendo che "A causa della sua mancanza di onestà, l'Iran non fa che perdere continuamente prestigio a livello internazionale". [4]
La prima tornata di colloqui si è effettivamente tenuta ad Istanbul, ma la prossima si svolgerà a Baghdad. Erdoğan è riuscito a guastare i rapporti della Turchia con la Siria, con la russia e con l'Iran. Non è una cosa di poco conto, se si pensa che la maggior parte del bisogno energetico turco viene soddisfatto dalla Russia e dall'Iran. Se la Turchia intende prendere altre posizioni sull'agenda della libertà occidentale, può contare anche sulla freddezza dei cinesi.
E non è una buona notizia per Erdoğan, perché la sua forza politica si basa sulla crescita economica, non sui problemi diplomatici.
La cosa più importante, nel viaggio compiuto da Erdoğan nell'aprile del 2012, erano gli affari: rafforzare i legami economici tra la Repubblica Popolare Cinese e la Turchia. I commerci sono in un momento di forte incremento, ma è la Cina a trarne i maggiori utili. Per questo Erdoğan si era fatto seguire da trecento uomini d'affari, ha chiesto ai cinesi di aumentare i loro investimenti in Turchia e si è lasciato andare a molte disquisizioni sulla "Nuova via della seta", una ferrovia che attraversa ventotto paesi e che unisce la Cina alla Turchia.
Allo stesso tempo, Erdoğan era ansioso di dimostare la levatura della Turchia (e la sua accresciuta importanza a livello mondiale) visitando lo Xinjang, patria di dieci milioni di uigguri che hanno legami culturali e linguistici con le popolazioni turche dell'Asia.
Gli imperativi della politica turca, e la posizione geopolitica che la Turchia considera propria, hanno trasformato la questione degli uiguri e dell'incessante repressione politica e culturale di cui essi soffrono ad opera del governo cinese in un altra questione critica per Erdoğan.
Nel 2009, ai tempi degli scontri tra cinesi han e uiguri nello Xinjang, Erdoğan fece infuriare Pechino definendo "una specie di genocidio" [5] l'azione repressiva del governo cinese.
Affermò anche la propria intenzione di concedere un visto a Rebiya Kaderr, il capo del Congresso Mondiale degli Uiguri e perenne spina nel fianco del governo di Pechino. (Pare che Kadeer non abbia poi fatto richiesta di questo visto, probabilmente con considerevole sollievo per il governo turco).
Nel corso della sua visita in cina, la prima effettuata da un primo ministro turco da ventisette anni a questa parte, Erdoğan ha dovuto comportarsi in modo da non peggiorare le cose. La sua visita a Urumqi è stata, dal punto di vista politico, un buon colpo -in effetti si è trattato della prima località cinese in cui ha fatto sosta prima di dirigersi verso Pechino- ma Erdoğan non ha esasperato l'animo dei suoi ospiti atteggiandosi a protettore degli uiguri dello Xinjang.
Come acidamente notato dal redattore di estera del quotidiano turco Hurriyet Emre Kizilkaya, Erdgoan aveva promesso ai cinesi che non si sarebbe "recato [nello Xinjang] per esacerbare il problema".
L'atto più rimarchevole compiuto da Erdoğan ad Urumqi, a quanto risulta, è stato il lasciarsi fotografare mentre, abbigliato in uno sgargiante costume uiguro, brandiva un agnello arrosto sotto lo sguardo premuroso di alcuni funzionari locali.
Kizilkaya pensa che Erdoğan abbia usato la visita ufficiale in Cina per affrontare la questione della Siria anziché per soccorrere i confratelli Uiguri:
Certo: la Cina è una potenza mondiale, ma perché sei andato fino nello Xinjang se poi non avevi intenzione di far parola sull'inumana repressione di cui gli Uiguri sono stati vittime? [6]
Non importa quanto forte il nazionalismo -l'eredità che Kemal Ataturk ha lasciato al suo paese tramite un'intensiva campagna di indottrinamento attuata nelle scuole e dai mass media- influisca sull'atteggiamento turco, e costituisca un limite agli sforzi che la Turchia compie per avere un proprio ruolo sulla ribalta mondiale.
Kizilkaya fa tuoni e fulmini sull'oppressione sofferta da una popolazione turca che vive in Cina, a migliaia di chilometri di distanza nello stesso momento in cui il suo paese deve affrontare un problema curdo, in patria, di cui non si intravede soluzione e che è esacerbato dal fatto che i curdi, che non sono turchi, sono considerati dalla pratica politica essenzialmente come un corpo estraneo.
A questa considerazione va aggiunto anche il fatto che nel 2009 Erdoğan non si fece nessun problema ad utilizzare lo scottante vocabolo "genocidio" per definire l'operazione di ripristino dell'ordine pubblico portata a termine dai cinesi nello Xinjang, neppure mentre il suo governo è impegnato in una serrata battaglia a colpi di pubbliche relazioni per negare che lo stesso vocabolo possa essere riferito alla nazione turca per quello che riguarda la morte di oltre un milione di armeni di religione cristiana ai tempi delle esecuzioni, dei massacri e delle marce della morte nel 1915.
Tutto questo, sopra ogni altra cosa, contribuisce al ritratto di un paese il cui ruolo sul piano internazionale, almeno in tutto quanto attiene i contesti non turchi, soffre della limitazione che deriva da un profondo ed istituzionalizzato sciovinismo etnico.
Gli alleati naturali della Turchia si trovano negli stan di lingua turca dell'Asia centrale: in Medio Oriente, la Turchia è sola. E quando la Turchia alza la voce, molti degli altri paesi della regione reagiscono con un misto di biasimo e di sufficienza.
La Turchia è giunta ad avere cattivi rapporti con tutti i propri vicini, ad eccezioe della Georgia e della Bulgaria; Grecia, Siria, Iran ed Armenia hanno antichi o recenti motivi di risentimento nei confronti di Ankara. Alla lista possiamo aggiungere anche l'Iraq a guida sciita, perché la Turchia ha di recente deciso di offire asilo al vicepresidente sunnita dell'Iraq Tariq al Hashemi.
L'odio dei curdi per la perenne opera repressiva su vasta scala portata avanti dal governo turco contro i separatisti, gli attivisti ed i giornalisti curdi, pressoché ignorata dalla stampa occidentale, spiega bene per quale motivo i curdi che vivono in territorio siriano si sono guardati bene dall'unirsi alla rivolta contro Assad. Anche se Erdoğan ha compiuto un viaggio fuori programma in Arabia Saudita direttamente rientrando da Pechino, probabilmente per confermare al Consiglio di Cooperazione l'intenzione di mettere Assad con le spalle al muro, difficilmente troverà amicizie sincere nelle autocrazie del Golfo.
Gli sclerotici paesi arabi esportatori di greggio e gli stati del golfo a base teocratica e conservatrice difficilmente accoglieranno bene l'intenzione della Turchia di rivestire un ruolo egemone nella regione sulla base della democrazia, del libero mercato, di un equilibro tra il potere religioso e quello laico, e sulla fede riposta nella validità delle insurrezioni della Primavera Araba contro autocrati inamovibili.
Il nazionalismo turco in Europa deve invece fare i conti con un razzismo ed un'ostilità palesi e mal celati. Uno dei molti motivi per cui il percorso della candidatura della Turchia all'ingresso nell'Unione Europea si trova oggi ad un punto morto è l'idea che la Turchia sia troppo "non europea" per integrarsi nell'Unione [7] si è sparsa come una gramigna in tutta Europa, partendo da Papa Benedetto per arrivare fino ai partiti sciovinisti di estrema destra.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, la Turchia si è rivelata un pilastro fondamentale.
Essa rappresenta il tanto agognato "stato islamico moderato" (soprattutto adesso che l'Egitto sta pencolando tra istanze populiste ed istanze radicali) in grado di fare da interlocutore regionale con israele, e l'appoggio compiacente in grado di erodere il monopolio russo nella fornitura di gas naturale all'Europa acconsentendo alla costruzione del gasdotto Nabucco o di una sua qualsiasi variante attraverso il proprio territorio.
E' difficile tuttavia dimenticare le parole piene di sufficienza pronunciate da un appartenente all'amministrazione americana rimasto anonimo nel 2003, quando Erdoğan cercò senza successo di negoziare venticinque miliardi di dollari in cambio del permesso per quarantamila soldati americani di schierarsi in Iraq passando dal territorio turco:
Sembra che i turchi pensino che terremo il bazar aperto tutta la notte. [8]
Sembra proprio che gli Stati Uniti stiano traendo diletto dal trattare con scherno la Turchia a causa della brutta piega presa dalla questione Assad, perché l'eco e la rabbia dell'indignazione turca aiutano ad oscurare la realtà; e la realtà è rappresentata dalla inanità della politica occidentale sul conto della Siria.
Erdoğan, da parte sua, sembra sia rimasto intrappolato in un confronto a viso aperto con la Siria senza avere un autentico sostegno geopolitico, e sembra non avere idea di come togliere il suo paese da questa situazione senza rimetterci la faccia, o senza dare il via ad una guerra che ridurrebbe in briciole tutta la regione.
Invece di adoperarsi per allentare la tensione, Ankara la sta esacerbando; invece di agire come sperimentato mediatore nei contrasti regionali, la Turchia sta diventando il cane da guardia degli interessi occidentali.
Il The Economist, che riesce a cogliere le ambizioni imperiali riposte nella politica di Erdoğan, ha scritto:
"Quello che ha reso la Turchia un attore efficace è sempre stata la sua abilità nel parlare a tutti i contendenti", dice Nikolaos Van Dam, ex ambasciatore olandese in Turchia. Ma adesso, essa "ha deciso da quale parte schierarsi". [9]
Commentando in modo stringato e malinconico la situazione politica mediorientale si può dire che negli ultimi dodici mesi la Turchia ha abbandonato il proprio ruolo di pilastro diplomatico della regione, la sua condizione di "mediatore imparziale", e che tra tutti gli altri paesi è stata la Cina, in virtù dei suoi stretti legami economici sia con l'Arabia Saudita che con l'Iran, ad adoperarsi per cercare di prenderne il posto.


1. Erdogan meets Jiabao on milestone China trip, Hurriyet, Apr 10, 2012.
2. Change of heart in Moscow and Beijing will unlock Syrian crisis, Today's Zaman, Apr 15, 2012.
3. Foreign Ministry Spokesperson Liu Weimin's Remarks, Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese, Apr 12, 2012.
4. Turkey's Role in Iran Nuclear Talks Could Diminish, VOA, Apr 16, 2012.
5. Turkey attacks China 'genocide', BBC, Jul 10, 2009.
6. Erdogan's China Trip Raise New Questions About Turkey's Foreign Policy, The Istanbulian, Apr 9, 2012.
7. Pope Benedict and the Buddhism/Masturbation Controversy, China Matters, Sep 20, 2006.
8. Statement of Gene Rossides, American Hellenic Institute general counsel, AHI, Apr 23, 2003.
9. Growing less mild, The Economist, Apr 14, 2012.


Peter Lee tratta di questioni mediorientali e sud asiatiche e dei loro rapporti con la politica estera statunitense.

venerdì 20 aprile 2012

ידיעות אחרונות‎: L'Iran non ha mai dichiarato di "voler spazzare via Israele dalla carta geografica"


23 gennaio 2011: il Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran Mahmoud Ahmadinejad
in visita nella città di Rasht (fonte: CS Monitor).

Da Ynet News.

Meridor: l'Iran non ha mai dichiarato di voler spazzare via Israele.
In un'intervista ad Al Jazeera il vice Primo Ministro ammette che Ahmadinejad non è stato citato correttamente e che non ha mai detto che Israele deve essere cancellato dalla carta geografica. Gli Stati Uniti: l'Iran sta cedendo sotto sanzioni che lo paralizzano.

Dudi Cohen, 17 aprile 2012.

Il ministro per la sicurezza dello stato e per l'energia atomica Dan Meridor ha detto ad Al Jazeera che l'Iran non ha mai dichiarato di voler "spazzar via Israele dalla carta geografica", come ripetutamente affermato dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu.
Parlando al canale televisivo arabo Meridor, che riveste anche la carica di vice Primo Ministro, ha detto che i politici iraniani "condividono più o meno tutti, dal punto di vista ideologico e religioso, l'assunto secondo il quale Israele è un qualcosa che va contro natura, e che non è destinato a sopravvivere". Ha aggiunto poi che "Essi non dicono 'Noi lo spazzeremo via' ma (piuttosto) 'Israele non sopravviverà, è come una formazione cancerosa che deve essere rimossa'. Essi hanno ripetutamente affermato 'Israele non ha alcuna legittimazione, non dovrebbe esistere'.
Nel 2005 al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad fu attribuita l'affermazione secondo la quale israele avrebbe dovuto "essee spazzato via dalla carta geografica", ma in seguito emerse che la traduzione delle sue considerazioni, publicata dalle agenzie di stampa in tutto il mondo, non era corretta. In realtà Ahmadinejad stava citando la guida della rivoluzione islamica del 1979: "L'Imam ha detto che il regime che occupa Gerusalemme deve svanire dalla pagina del tempo".
Interrogato da Al Jazeera in merito alla possibilità di un attacco sugli impianti nucleari iraniani e sull'esplodere di una guerra in Medio oriente, Meridor ha detto che Israele non vuole la guerra, ma ha aggiunto anche che l'Iran deve abbandonare le proprie ambizioni nucleari.
Intanto gli Stati Uniti hanno respinto lunedi la richiesta iraniana per un alleviamento delle sanzioni, affermando che la Repubblica Islamica deve prima rispondere in modo "concreto" alle preoccupazioni sollevate dal suo programma nucleare.
Il portavoce del Dipartimento di Stato Mark Toner ha definito la recente tornata di colloqui svoltisi ad Istanbul tra l'Iran e le maggiori potenze mondiali "un primo passo positivo". I colloqui hanno posto fine a quindici mesi di stallo nei negoziati sullo sviluppo del nucleare iraniano.
Toner ha affermato che i colloqui hanno rappresentato un primo passo nella direzione giusta, e che resta molto lavoro da fare. "Nessuno sta prendendo in considerazione l'alleviamento o la cancellazione di alcuna delle sanzioni in vigore", ha detto.
Rispondendo all'asserzione di Netanyahu secondo la quale l'Iran ha adesso cinque settimane in più per continuare ad arricchire uranio senza limitazione alcuna, Toner ha detto che "Abbiamo messo in piedi contro l'Iran le più forti sanzioni della storia, e prima dell'estate esse conosceranno un ulteriore inasprimento".
"L'Iran sta cedendo sotto sanzioni che lo paralizzano, ed ha per questo un incentivo in più per presentarsi al tavolo dei negoziati con qualche proposta pratica", ha aggiunto.
Toner ha detto che gli Stati uniti, sulla scia di un'intento espresso dal ministro per la politica estera della UE Catherine Ashton, stanno pensando a contraccambiare eventuali aperture da parte dell'Iran.
"Vogliamo che l'Iran compia qualche passo avanti con proposte concrete; se questo avverrà cercheremo -così affermava grosso modo la Ashton- di contraccambiare", ha affermato Toner.
Lunedi il Primo Ministro iraniano Ali Akbar Salehi avev adetto che tutta la questione potrebbe arrivare a soluzione velocemente se l'Occidente compisse un gesto di buona volontà allentando le sanzioni. Salehi ha anche suggerito che l'Iran potrebbe fare delle concessioni sulla questione dell'arricchimento ad alto livello dell'uranio, una delle questioni che più preoccupano le potenze occidentali.
Intanto il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha detto durante un incontro con il consigliere per la sicurezza nazionale Yaakov Amidror che ulteriori giri di vite a spese dell'Iran dopo l'iniziale tornata di colloqui con le potenze mondiali sulla questione nucleare sarebbero "pericolosi".

All'articolo ha contribuito Yitzhak Benhorin

giovedì 19 aprile 2012

Firenze: continuano le ciance islamofobe di una gazzetta agonizzante



Dal novembre 2011 lo stato che occupa la penisola italiana sarebbe "governato" da un esecutivo tecnico. Nel panorama mediatico ed in particolare in quello della comunicazione politica, la cosa ha portato a mutamenti sostanziali ed immediatamente percepibili, in primo luogo togliendo molta visibilità alla ciurma di sfaticati in cui l'"occidentalismo" incarna il meglio delle proprie istanze.
I temi cari all'"occidentalismo" sono stati tante volte qui irrisi e disprezzati al pari dei loro propugnatori, in un'opera di confutazione intrisa di dileggio che non si ha la minima intenzione di interrompere dato il pochissimo impegno che richiede. Dalla sihurézza a i'ddegràdo, dai ristoranti ai parassiti immobiliari, dalla "difesa dell'Occidente" alle autoattribuite "radici cristiane" cui fanno trasandata guardia manigoldi capaci solo di ingrassare e di frequentare femmine pubbliche, dalla criminalizzazione del dissenso alla carcerizzazione integrale della vita sociale passando per le "rivoluzioni" fatte con quelle autoschedature per mediocri che prendono il nome di Cinguettatore e di Libro dei Ceffi. Tutte cose che restano validissime in una prospettiva di ampio respiro, perché le "agenzie di stampa" non hanno certo smesso di secernere accurati ed economicissimi servizi foto e video che mostrano la bella vita delle giovani di Beirut e la cattiveria dei carnefici di Tabriz, ma nel più corto respiro della realtà peninsulare hanno quasi smesso, e per di più nel giro di poche settimane, di colare le loro secrezioni sull'agenda setting.
Venti anni di dominio mediatico "occidentalista" hanno contribuito in misura determinante a sporcare in modo irrimediabile ogni aspetto della vita pubblica nello stato che occupa la penisola italiana. Vent'anni di dominio politico "occidentalista" hanno prodotto come unico risultato lo riempimento delle galere, che -tocca concludere- non esistono solo a Tehran per quanto i gazzettieri si affannino a sostenere il contrario.
In tempi in cui la situazione conservava qualche parvenza di normalità e la sovversione non era giunta al punto di chiamare in modo sistematico libertà la schiavitù più umiliante, un vecchissimo Indro Montanelli fu tra i primi a sperimentare i metodi con cui la marmaglia "occidentalista" stava consolidando un dominio privo di seri contrasti in entrambi i campi, e la gratificò del troppo benevolo titolo di "feccia che risale il pozzo".
Adesso, tutto d'un tratto, pare che nella penisola italiana la propaganda "occidentalista" non la voglia più nessuno e che insistere su certi temi conduca le gazzette diritte al fallimento, per di più in tempi in cui affrontare a viso aperto la mano neanche tanto invisibile del "libero mercato" non piace troppo neppure ai suoi più convinti e documentati difensori.
Questo ha lasciato quasi afasici molti ben vestiti, la cui attività "politica" essenziale consiste nella produzione di "comunicati stampa" e che sono costretti a ripiegare nel migliore dei casi sulle gazzettine a diffusione locale.
Una di queste gazzettine, sedicente e piccata "voce fuori dal coro", è quel "Giornale della Toscana" la cui linea editoriale è da sempre tanto impermeabile alle critiche (per tacere del puro e semplice buon senso, del realismo, di un minimo di pudore, di una infinitesima quantità di residua buona fede) quanto degna di qualsiasi atteggiamento sia compreso tra l'indifferenza più gelida e la repulsione più ostentata: se quelli che vi "lavorano" (venticinque persone per otto pagine) non percepiscono stipendio da mesi è probabile che ci siano dei validi motivi.
Non è da escludere che la ripetizione ecoica, quotidiana e puntuale delle istanze care all'"occidentalismo" più ebefrenico non occupi una posizione di primo piano tra le cause del prevedibile, previsto e -speriamo- incombente disastro: nel contesto sociale della città di Firenze le istanze suddette sono state tradotte a livello operazionale in un miscuglio in cui l'insihurèzza e i'ddegrado si alternano e mischiano ad Oriana Fallaci, a linciaggi spiccioli, a queruli "chi paga" e ad un tipo di islamofobia in cui non si capisce più se mai vi sia stato un confine a separare la malafede premeditata dall'incultura pura e semplice.
Il 19 aprile "Il Giornale della Toscana" spreca una delle poche pagine a disposizione perché un paio di "occidentalisti" della committenza tovano mal spesi i settantacinquemila euro erogati ad un'organizzazione specializzata in ricerca sociale, incaricata di costruire un "percorso partecipativo" sull'erigenda moschea fiorentina. Tommaso Villa tuona -tuona, nientemeno- sostanzialmente preoccupato del fatto che l'imam di Firenze Izzedin Elzir approfitti della vicenda per "acquistare visibilità".
La realtà, ovviamente, è sempre opposta a come gli "occidentalisti" la raffigurano. Ad uno degli incontri del percorso partecipativo, al quale abbiamo partecipato di persona, Izzedin Elzir si limitò a presentare l'iniziativa abbandonando poi la sala. Non è un atteggiamento da persona in cerca di visibilità, il che significa che anche in questo caso gli "occidentalisti" attribuiscono a quanti intendono presentare come loro nemici delle caratteristiche che appartengono, invece, a loro stessi.
Esistono cose imperdonabili, ad occhi "occidentalisti": una di queste è il comportarsi da persone competenti. Un'altra, lo smascherare le loro macchinazioni. In Izzedin Elzir, che ha osato ignorare la barzellettistica "consulta sull'Islam" messa in piedi dagli "occidentalisti" per conferire patenti di "democrazia occidentale", le cose si assommano.
Qualcosa di inaudito. Se poi ci si mette anche uno dei "ministri tecnici" in carica, a considerare le iniziative "occidentaliste" per quello che sono, ce n'è veramente di che uscire di senno per l'indignazione.
Parte delle lamentele escrete da questo Tommaso Villa è centrata sull'entità della cifra. Peccato che settantacinquemila euro rappresentino una cifra ridicola a fronte delle spese pretese da una propaganda "occidentalista" che ha spinto la ricerca di visibilità fino a sfruttare a questo scopo tragedie trasformate in passerelle di potenti o a fronte della partecipazione quotidiana alle guerre volute dal presenzialismo "occidentalista". Uno dei più complessi sistemi d'arma in dotazione alle forze armate dello stato che occupa la penisola italiana, il Cavour, costa settantacinquemila euro ogni diciotto ore. Ogni diciotto ore di permanenza in porto, non ogni diciotto ore di effettivo impiego.
Un altro frequentatore di ristoranti, tale Stefano Alessandri, allunga misericorde lo scrittarello di una Giulia Ghizzani che, vista la situazione dei vari foglietti per cui "lavora", siamo soddisfatti di poter immaginare ormai giunta ai limiti dell'indigenza.

Sul Libro dei Ceffi esiste una schedatura a nome Giulia Ghizzani che presenta contenuti come questo.

Un'occhiata al Libro dei Ceffi e alla sua miserabile rassegna umana, dando per buona quella che pare davvero la corrispondenza tra il contenuto della schedatura e la Giulia Ghizzani realmente esistente, permetterebbe di concludere che Giulia Ghizzani trova il tempo di posare sul Libro dei Ceffi con pochi vestiti addosso, ma non trova il tempo di aggiungere ai propri scritti una considerazione semplice ed essenziale.
A questa omissione poniamo rimedio noi.
Se organizzazioni politiche ben determinate, ben note e ben identificabili non avessero per oltre dieci anni fatto dell'islamofobia una delle principali armi del proprio arsenale propagandistico, traendo da essa la legittimazione ed i suffragi poi utilizzati in modo tanto lodevole e tanto costruttivo per il pubblico interesse, non ci sarebbe stata alcuna necessità di "percorsi partecipati" per arrivare alla realizzazione di un luogo di culto che è un diritto puro e semplice. E i settantacinquemila euro avrebbero potuto trovare impieghi meno "occidentalisticamente" eccepibili. I capitoli di spesa sui quali gli "occidentalisti" difficilmente emettono critiche sono noti a tutti, e non è il caso di riportarne i dettagli in una sede che non intende per sua natura ospitare scritti pornografici.
Il nostro auspicio è noto. La moschea a Firenze deve essere costruita; deve essere costruita con denaro pubblico esplicitamente distolto dalle spese militari e da quelle per la sihurézza e la lottaiddegràdo, deve risultare un edificio degno della città di Firenze come lo fu a suo tempo la sinagoga di via Farini, deve essere costruita in pieno centro. La sede da noi proposta è il lato orientale di piazza Ghiberti, previa la demolizione degli stabili che vi sorgono oggi, e nei quali si svolge da troppi anni un'attività responsabile di un degrado sociale autentico e palpabile.

sabato 14 aprile 2012

Per la "libera informazione occidentale" i cristiani di Siria devono lasciarsi massacrare?


Aprile 2011. Il Presidente della Repubblica Araba di Siria Bashar Assad
interviene ad una celebrazione religiosa cristiana. (Foto ANSA)


Negli anni successivi al primo atto di una spregiudicata operazione urbanistica che ebbe luogo l'undici settembre del 2001, la parte più solerte del gazzettaio "occidentale" utilizzò in modo ricorrente l'espressione "radici cristiane": la marmaglia politica di ogni orientamento prese a trascorrere presso i vertici del cattolicesimo romano tutto il tempo che non trascorreva nelle taverne, ed in pratica si considerò scontato per il pubblico che l'"Occidente", e segnatamente le sue "radici cristiane", fossero minacciati di estinzione ad opera dell'Islàmme.
In altre parole, si servì ai sudditi una versione ad hoc, spettacolosamente impoverita e adattata ad un "pubblico" di sfaticati in canottiera che con capiscono altro che i maccheroni c'a'pummarola, dello "scontro di civiltà" teorizzato da Samuel Huntington.
Questa visione del mondo pare non valere per la Repubblica Araba di Siria, in cui opera un sedicente "Libero Esercito Siriano" che in "Occidente" gode in blocco dell'appoggio dell'intera classe politica, e soprattutto di ogni gazzettificio degno di questo nome.
Tocca ancora una volta far finta di stupirsi per un'ovvietà, ovvero per il fatto che la "libera informazione" non ha la minima cognizione di causa in merito agli argomenti trattati, sempre che se ne accetti la buona fede.
Nella cronaca di viaggio di William Dalrymple, pubblicata nel 1995, si trova una descrizione sufficientemente accurata della società siriana della quale abbiamo già avuto modo di occuparci lo scorso anno, quando emerse il cumulo di abiezione che reggeva la sedicente denuncia di una sedicente lesbica sedicente damascena: da allora l'opera di disinformacija sulla situazione nella Repubblica Araba di Siria ha proseguito come se nulla fosse nell'entusiasmo dei gazzettieri. La propaganda contro il governo siriano ha assunto ritmi talmente forsennati da prendere per buono qualunque materiale si presti minimamente alla bisogna; secondo Syrian Free Press la farsa è arrivata al punto che circolava, come prova del passaggio agli insorti di un elicottero da combattimento, un video contenente le immagini di un Mil 24 riprese in un museo ucraino.
"L'Avvenire" è una gazzetta di orientamento cattolico a volte invisa agli "occidentalisti", che nel 2009 arrivarono tramite uno dei loro foglietti più "autorevoli" a saturare i mass media con una campagna di denigrazione volta contro chi la dirigeva. Accadimenti come questo sarebbero già sufficienti per considerarla una fonte di informazioni degna di qualche attenzione.
Il politicame europeo crede -o fa finta di credere- alla propaganda messa in moto per il piano di "regime change" finito da qualche mese in fondo ad un cassetto, mentre l'ira funesta dell'artiglieria pesante si abbatte sui combattenti irregolari rimasti col cerino in mano. E questi combattenti sembra siano male armati, mal sostenuti e persino odiati dalla stessa gente che asseriscono di voler liberare.
In queste condizioni, dalla Repubblica Araba di Siria arrivano anche testimonianze come quella che riportiamo e che ci azzardiamo a considerare attendibile.
L'impressione che si trae da denunce come questa è che i cristiani di Siria, colpevoli di trovarsi dalla parte sbagliata, siano sostanzialmente tenuti ad arrangiarsi. Le mire "occidentali" presentate come "liberazione" del popolo siriano devono a tutt'oggi considerarsi fallite, soprattutto perché non si ha notizia di sfilate di moda in quel di Damasco (sicura spia di una "liberazione" avvenuta); la popolazione generale, assai meno vendibile gazzettisticamente di qualche ragazza poco vestita, è chiamata invece a pagare il prezzo del gioco tentato sulla sua pelle stando ben lontana dalla visibilità mediatica.


«I ribelli ci uccidono. L’esercito deve restare»

Viviamo in Siria da più di sette anni, amiamo questo Paese e il suo popolo. Ci sentiamo indignati e impotenti di fronte al tipo di informazioni che circolano in Europa e fanno opinione, sostenendo le sanzioni internazionali, una delle armi più inique che l’Occidente usa per tenersi le mani pulite e dirigere comunque la storia di altri popoli. Pulite fino a un certo punto: si moltiplicano le segnalazioni della presenza di personale militare inglese, francese (e di altri Paesi) a fianco degli insorti per organizzare le azioni di guerriglia, grave violazione internazionale che passa sotto silenzio.
Sono state raccolte firme e fondi per aiutare la “primavera” del popolo siriano.
Ma chi ha dato – in perfetta buona fede – offerte e sostegno della “liberazione” della Siria deve sapere che ha finanziato assassini inumani, procurando loro armi, contribuito alla manipolazione dell’informazione, fomentato una instabilità civile che richiederà anni per essere risolta. Sconvolgendo l’equilibrio in un Paese dove la convivenza era pane quotidiano. Perché intervenendo senza conoscere la realtà non siamo più liberi, ma funzionali ad altri interessi che ci manipolano.
Non è nostro compito fornire una lettura socio-politica globale della vicenda siriana, altri lo stanno facendo meglio di noi. E chi lo vuole davvero può trovare informazioni alternative. Noi ci limitiamo a raccontare solo ciò che i nostri occhi vedono, qui nel piccolo villaggio di campagna dove viviamo. E dove, quasi ogni notte, i soldati presenti nella piccola guarnigione che lo presidia sono attaccati. Sia dagli insorti presenti nella zona, sia da bande mercenarie che passano il confine siriano nel tentativo di sopraffare l’esercito e aprire un varco per il flusso di armi e combattenti. I militari rispondono? Certo, e la gente ne è contenta perché di armi e mercenari il Paese è già pieno.
Sta per scadere l’ultimatum per il ritiro dell’esercito, che qui nessuno – nel senso letterale del termine – vuole. La gente si sente sicura solo quando i militari sono presenti. Ormai le violenze compiute dai cosiddetti liberatori nelle città, nei villaggi, sulle strade, sono tante e così brutali che la gente desidera solo vederli sconfitti. Gli abusi sono continui: uccisioni, case e beni requisiti o incendiati, persone, bambini usati come scudi umani. Sono i ribelli bloccare le strade, a sparare sulle auto dei civili, a stuprare, a massacrare e rapire per estorcere denaro alle vittime? Invenzioni? La notte del Venerdì Santo, non lontano da dove abitiamo, hanno ucciso un ragazzo e ne hanno feriti altri due: tornavano alle loro case per celebrare la Pasqua. Il ragazzo morto aveva 30 anni ed era del nostro villaggio. Non sono i primi tra la nostra gente a pagare di persona. Ormai prima di spostarsi a fare la spesa o anche solo per andare a lavorare ci si assicura che l’esercito controlli la zona. Anche a noi è capitato di trovarci bloccati dalle sparatorie per tre ore in un tratto di autostrada e siamo riusciti a ripartire solo quando si è formato un corridoio di carri armati che proteggevano gli automobilisti in transito dai tiri dei rivoltosi.
Perché di tutto questo non si parla? Perché non si parla dei tanti militari assassinati in vari agguati, gli ultimi ieri ad Aleppo? Sono tanti i drammatici esempi che potremmo citare. Il fratello di un nostro operaio, tenuto prigioniero a Homs dai ribelli insieme ad altri civili, è ormai considerato morto, due padri di famiglia del nostro villaggio sono stati sempre a Homs dai rivoltosi perché compravano e distribuivano pane a chi era rimasto isolato. La questione che qui, però, ci preme sottolineare e per la quale invitiamo tutti a mobilitarsi è quella delle sanzioni internazionali. Chi sta pagando e pagherà ancora di più fra poco, è la gente povera.
Non c’è lavoro, non ci sono le materie prime e le esportazioni di prodotti locali, come bestiame e uova, sono ferme. Quel poco che c’è, poi, si vende a prezzi esorbitanti.
Tra le principali urgenze c’è quella del latte per i bambini. I prezzi dei cartoni sono raddoppiati, passando da 250 lire siriane a 500 (la paga giornaliera di un operaio è di 7-800 lire). Scarseggia il mangime per il bestiame: le poche confezioni disponibili sono passate da 650 a 1850 lire. Mancano i medicinali specialistici, scarseggia l’elettricità perché i ribelli hanno fatto saltare più volte le centrali e le linee di conduzione. Non c’è gasolio (e l’inverno è stato molto freddo quest’anno), perché la Siria non può più esportare il suo greggio in cambio di petrolio raffinato. I trattori quindi sono fermi e non si può lavorare la terra. Sono bloccati perfino i camion che prelevano la spazzatura. Ci sono problemi con l’acqua perché le pompe funzionano col gasolio. Il nostro villaggio e quello vicino – che condividono lo stesso pozzo – hanno acqua un unico giorno alla settimana e solo per 3-4 ore. Si rischia una vera carestia per l’avvenire: presto mancherà il grano e quindi anche il pane, il solo alimento che, per ora, il governo riesce a distribuire a un prezzo calmierato, anche ai più poveri. E poi si protesta perché la Croce Rossa non può portare aiuti. È possibile arrivare a sanzionare addirittura l’importazione di pannolini per i lattanti?
Tutto questo è profondamente ingiusto. Non si è riusciti a rovesciare il governo con le armi, lo si vuole fare esasperando la gente. Certo, è proprio questa la logica delle sanzioni. Quando, però, una grande maggioranza della popolazione – che piaccia o meno – non vuole un cambiamento violento della situazione, tale sistema diventa una vera sopraffazione. Chiediamo con forza a chi può fare qualcosa di sospendere le sanzioni e di intervenire. Che la nostra tanto osannata democrazia si dimostri capace di servire il vero bene del popolo.

Un gruppo di italiani che vive in Siria
(Testo raccolto da Giorgio Paolucci)

Fonte: L'Avvenire.

mercoledì 11 aprile 2012

L'Iran vuole sterminare gli ebrei a colpi di bombe nucleari (risate in sottofondo)


Il Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran Mahmoud Ahmadinejad incontra esponenti dell'organizzazione ebraica Neturei Karta. New York, agosto 2008. (Fonte: Ynetnews)

Una delle invarianze della produzione mediatica "occidentalista" è rappresentata dalla pressoché completa esclusione di qualsivoglia competenza di qualsivoglia genere dai contenuti presentati. Nel caso in esame questo modo di procedere permette di conferire inattaccabilità all'assunto secondo il quale la Repubblica Islamica dell'Iran sta preparando neanche tanto in segreto un arsenale nucleare da rovesciare sullo stato sionista per "cancellarlo dalla carta geografica".
Voci di questo genere occupano le gazzette da un bel numero di anni: gli Stati Uniti d'AmeriKKKa, ai tempi in cui gli armamenti atomici erano in una fase pionieristica, impiegarono circa sei anni per svilupparne. Ora, in tutt'altra epoca e con tutt'altri mezzi a disposizione, tocca interiorizzare il fatto che è almeno dall'inizio degli anni Novanta che la "atomica iraniana" viene data per imminente da torme di gazzettisti che ne collocano la disponibilità nel tempo a tre o a cinque anni di distanza dalla data dell'issue che pubblica la non-notizia del decennio.
Non si erano mai visti tempi tanto lunghi per l'approntamento delle armi necessarie ad una guerra d'aggressione.
Tra le altre cose che vale la pena notare nel cianciare gazzettiero, il fatto che il responsabile di tutta la questione viene di solito indicato in Ahmadinejad in persona, secondo la ridicola prassi che portò qualche anno fa le stesse gazzettine a parlare de "gli Stati Uniti di Obama" facendo di intere compagini statali la proprietà privata del presidente eletto. Un vezzo che spiega molte cose sull'atteggiamento che moltissimi gazzettieri e soprattutto la committenza del gazzettaio peninsulare -in cui abbondano frequentatori di minorenni ed altri individui di pari levatura morale peraltro perfettamente rappresentativi dei loro sudditi- hanno nei confronti della cosiddetta res publica.
Le persone competenti non ciarlano sulle gazzette e le considerano giusto un qualche cosa buono tutt'al più a fornire in ogni campo materiale per qualche confutazione o, nei casi più frequenti, per trascorrere qualche ora di sana allegria.
Da persona competente, commentando uno scribacchiamento gazzettiero secreto da qualcun altro che competente non è, Miguel Martinez di Kelebeklerblog ha riportato i passi che seguono.
Giusto una precisazione tecnica: l’Iran non ha mai minacciato di cancellare Israele dalla mappa:
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2006/jun/14/post155
Ahmedinejad citò la previsione dell’Ayatollah Khomeini, secondo cui “il regime che occupa Gerusalemme sarebbe scomparso dal palcoscenico del tempo” come era accaduto già al regime dello Shah in Iran.
امام عزيز ما فرمودند كه اين رژيم اشغالگر قدس بايد از صفحه روزگار محو شود
Questo è un fatto, poi ognuno può attribuire a tale affermazione il senso che vuole.
Il testo citato pone un curioso problema grafico: la versione diffusa ai media del discorso di Ahmadinejad sembra che differisse per una parola da quella del discorso originale di Khomeini:
صحنه nel discorso di Khomeini (che un dizionario online mi dà come “scene, stage, theatre, sphere of operations, arena, ring, rink”)
صفحه nel discorso di Ahmadinejad (che lo stesso dizionario mi dà come “page, sheet, plate, disc, surface, expanse, area, (of the moon) phase, (chess) chessboard, (gramophone) record, layer, stratum”).
Quindi nel primo caso, il regime occupante scomparirebbe dal palcoscenico del tempo, nel secondo caso dalla pagina del tempo.
La differenza potrebbe essere dovuta sia a un errore di memoria di Ahmadinejad, se parlava a braccio, sia a un errore di trascrizione successiva. Per chi si diverte a cercare una dichiarazione di guerra in una citazione fatta sei anni fa di un discorso fatto almeno vent’anni prima, comunque, il verbo محو شدن ha più o meno qualunque significato gli si voglia dare. Lo stesso dizionario http://www.dictionary-farsi.com offre:

to be effaced or obliterated
to fade (away)
to disappear
to be elimiated
to be fascinated
to become giddy.

L’ambiguità risiede nel verbo shodan che – come certe costruzioni turche e germaniche – ha sia senso passivo, sia senso medio: potrebbe essere tanto “venire cancellati” quando “cancellarsi”.


lunedì 9 aprile 2012

Dopo Günter Grass, il "Was gesagt werden muss" di tutti i giorni per le gazzettine "occidentali"


Il 4 aprile 2012 alcune gazzette pubblicano un componimento poetico del premio Nobel per la letteratura Günter Grass.
Lo abbiamo ripreso e tradotto; il fatto che esso avanzasse critiche allo stato sionista e ai correi della sua politica è ovviamente bastato perché Grass venisse ascritto all'istante ai nostalgici delle camere a gas.
Tra i primi a darsi da fare in questo senso nelle ore successive una Fiamma Nirenstein più spassosa del solito, secondo cui Grass, da "simbolo degli antisemiti chic", rappresenta "la vera faccia dell’Europa, quella degli intellettuali da salotto che danno una mano a far fuori gli ebrei". Alla luce di considerazioni come queste (non esiste frequentatore di pallonaio che non sappia discorrere di geopolitica mediorientale con maggiore competenza) si ricordi come già nel 2004 questa donna sia stata proposta in tutta serietà dalle sentine più mandolinesche dell'"occidentalismo" fiorentino, in una di quelle laide competizioni interne fatte di consultazioni al ristorante e colpetti bassi di vario ordine e genere, come candidata alla massima carica amministrativa della città.
Nei giorni seguenti la "libera informazione" non ha certo potuto eludere il dovere di rimettere ogni cosa al suo posto. Ecco le edizioni in rete di alcune gazzette tra le più diffuse nello stato che occupa la penisola italiana, il 9 aprile 2012.


Un certo Mario Monti -che attualmente figura come primo ministro nel governo dello stato che occupa la penisola italiana- per fortuna si è recato in visita ufficiale nello stato sionista (più convenevoli per l'Autorità Nazionale Palestinese), permettendo a quelli de Il Messaggero la bella prima pagina qui sopra.

"La Repubblica" non è seconda a nessuno quanto a sionismo di complemento; tra i fogliettisti che vi allignano ci sono veri specialisti del settore.
Solo che la contingenza impone al momento di occuparsi d'altro, sicché la faccenda Grass viene derubricata dopo qualche ora. A compiti istituzionali comunque svolti.



A fare del suo meglio, come succede praticamente sempre in casi come questo, il "Corriere della Sera", quello degli scritti di Oriana Fallaci che ha apertamente sostenuto ogni intromissione "occidentale" in Medio Oriente ed ogni guerra d'aggressione "occidentalista".
Una riformulazione più obiettiva dei titoli del Corriere -si noti la foto dei "manifestanti" che reggono cartelli in lingua inglese, un dettaglio non secondario che testimonia a pro di quale pubblico siano organizzate certe "manifestazioni"- sarebbe "Non riusciamo a far fuori Assad - L'esercito regolare sta facendo a pezzi i gruppi armati infiltrati dalla Repubblica di Turchia nella Repubblica Araba di Siria"...

giovedì 5 aprile 2012

Günter Grass - Was gesagt werden muss, Quello che va detto


Alla fine del marzo 2012 lo stato sionista e la Repubblica Federale Tedesca stringono un accordo che prevede la consegna di un sottomarino -il sesto- alla IDF.
La notizia ha colpito negativamente lo scrittore tedesco premio Nobel per la letteratura Günter Grass, che ha ottantaquattro anni. Il 4 aprile 2012 la Süddeutsche Zeitung ha pubblicato un suo testo poetico in cui si espongono alcuni dati di fatto -più che alcune considerazioni- sui rapporti tra lo stato sionista e la Repubblica Islamica dell'Iran. Negli ambienti della autopostulata "libera informazione" la cosa ha suscitato il prevedibile sgomento: il comportamentismo prima maniera non avrebbe avuto difficoltà a trattare, nel contesto del condizionamento classico, delle reazioni gazzettistiche a quella che viene presentata come l'esternazione antisemita del giorno.
L'esternazione antisemita del giorno stavolta non è fatta di presunte liste di presunti ebrei in rete da anni, che una volta ogni tre mesi qualche gazzettinista fa finta di vedere per la prima volta, ma di una serie di realistiche ipotesi su quello che lo stato sionista potrebbe fare con le armi fornitegli dalla Repubblica Federale Tedesca.
Grass sostiene semplicemente che l’arsenale atomico sionista realmente esistente rappresenta una minaccia più seria della ipotizzata atomica iraniana. Questo è bastato perché il testo venisse rifiutato da un'altra gazzetta, il Die Zeit. Oltre alla Süddeutsche Zeitung il componimento di Grass è finito, col debito accompagnamento di piagnistei e di prese di distanza, su altre gazzette europee come “La Repubblica” ed “El Pais”. Lo si riporta qui con l'intento preciso di ispirare in chi lo legge considerazioni del tutto opposte a quelle auspicate dalla "libera informazione" di cui sopra.


Was gesagt werden muss

Warum schweige ich, verschweige zu lange,
was offensichtlich ist und in Planspielen
geübt wurde, an deren Ende als Überlebende
wir allenfalls Fußnoten sind.

Es ist das behauptete Recht auf den Erstschlag,
der das von einem Maulhelden unterjochte
und zum organisierten Jubel gelenkte
iranische Volk auslöschen könnte,
weil in dessen Machtbereich der Bau
einer Atombombe vermutet wird.

Doch warum untersage ich mir,
jenes andere Land beim Namen zu nennen,
in dem seit Jahren - wenn auch geheimgehalten -
ein wachsend nukleares Potential verfügbar
aber außer Kontrolle, weil keiner Prüfung
zugänglich ist?

Das allgemeine Verschweigen dieses Tatbestandes,
dem sich mein Schweigen untergeordnet hat,
empfinde ich als belastende Lüge
und Zwang, der Strafe in Aussicht stellt,
sobald er mißachtet wird;
das Verdikt "Antisemitismus" ist geläufig.

Jetzt aber, weil aus meinem Land,
das von ureigenen Verbrechen,
die ohne Vergleich sind,
Mal um Mal eingeholt und zur Rede gestellt wird,
wiederum und rein geschäftsmäßig, wenn auch
mit flinker Lippe als Wiedergutmachung deklariert,
ein weiteres U-Boot nach Israel
geliefert werden soll, dessen Spezialität
darin besteht, allesvernichtende Sprengköpfe
dorthin lenken zu können, wo die Existenz
einer einzigen Atombombe unbewiesen ist,
doch als Befürchtung von Beweiskraft sein will,
sage ich, was gesagt werden muß.

Warum aber schwieg ich bislang?
Weil ich meinte, meine Herkunft,
die von nie zu tilgendem Makel behaftet ist,
verbiete, diese Tatsache als ausgesprochene Wahrheit
dem Land Israel, dem ich verbunden bin
und bleiben will, zuzumuten.

Warum sage ich jetzt erst,
gealtert und mit letzter Tinte:
Die Atommacht Israel gefährdet
den ohnehin brüchigen Weltfrieden?
Weil gesagt werden muß,
was schon morgen zu spät sein könnte;
auch weil wir - als Deutsche belastet genug -
Zulieferer eines Verbrechens werden könnten,
das voraussehbar ist, weshalb unsere Mitschuld
durch keine der üblichen Ausreden
zu tilgen wäre.

Und zugegeben: ich schweige nicht mehr,
weil ich der Heuchelei des Westens
überdrüssig bin; zudem ist zu hoffen,
es mögen sich viele vom Schweigen befreien,
den Verursacher der erkennbaren Gefahr
zum Verzicht auf Gewalt auffordern und
gleichfalls darauf bestehen,
daß eine unbehinderte und permanente Kontrolle
des israelischen atomaren Potentials
und der iranischen Atomanlagen
durch eine internationale Instanz
von den Regierungen beider Länder zugelassen wird.

Nur so ist allen, den Israelis und Palästinensern,
mehr noch, allen Menschen, die in dieser
vom Wahn okkupierten Region
dicht bei dicht verfeindet leben
und letztlich auch uns zu helfen.

Fonte: Süddeutsche Zeitung


Quello che va detto

Perché taccio e passo sotto silenzio troppo a lungo
una cosa che è evidente e si è messa in pratica in giochi di guerra
alla fine dei quali, da sopravvissuti,
noi siamo al massimo delle note a piè di pagina.

Il diritto affermato ad un decisivo attacco preventivo
che potrebbe cancellare il popolo iraniano,
soggiogato da un fanfarone
e spinto alla gioia organizzata,
perché nella sfera di quanto gli è possibile realizzare
si sospetta la costruzione di una bomba atomica.

E allora perché proibisco a me stesso
di chiamare per nome l’altro paese,
in cui da anni — anche se si tratta di un segreto —
si dispone di crescenti capacità nucleari,
che rimangono fuori dal controllo perché mantenute
inaccessibili?

Un fatto tenuto genericamente nascosto:
a questo nascondere sottostà il mio silenzio.
Mi sento oppresso dal peso della menzogna
e costretto a sottostarvi, avendo ben presente la pena in cui si incorre
quando la si ignora:
il verdetto di "antisemitismo" è di uso normale.

Ora però, poiché da parte del mio paese,
un paese che di volta in volta ha l'esclusiva di certi crimini
che non hanno paragone, e di volta in volta è costretto a giustificarsi,
dovrebbe essere consegnato a Israele
un altro sommergibile
-di nuovo per puri scopi commerciali, anche se
con lingua svelta si parla di «riparazione»-
in grado di dirigere testate devastanti laddove
non è provata l’esistenza di una sola bomba atomica,
una forza probatoria che funziona da spauracchio,
dico quello che deve essere detto.

Ma perché ho taciuto fino ad ora?
Perché pensavo che le mie origini,
stigmatizzate da una macchia indelebile,
impedissero di aspettarsi questo dato di fatto
come una verità dichiarata dallo Stato d’Israele;
Stato d'Israele al quale sono e voglio restare legato.

Perché dico solo adesso,
da vecchio e col mio ultimo inchiostro,
che le armi nucleari di Israele minacciano
una pace mondiale già fragile?
Perché deve essere detto
quello che domani potrebbe essere troppo tardi per dire;
anche perché noi — come tedeschi già con sufficienti colpe a carico —
potremmo diventare quelli che hanno fornito i mezzi necessari ad un crimine
prevedibile, e nessuna delle solite scuse
varrebbe a cancellare questo.

E lo ammetto: non taccio più
perché sono stanco
dell’ipocrisia dell’Occidente
; perché è auspicabile
che molti vogliano uscire dal silenzio,
che esortino alla rinuncia il promotore
del pericolo che si va prospettando
ed insistano anche perché
un controllo libero e senza limiti di tempo
del potenziale atomico israeliano
e delle installazioni nucleari iraniane
esercitato da un'organizzazione internazionale
sia consentito dai governi di entrambi i paesi.

Solo in questo modo per tutti, israeliani e palestinesi,
e più ancora per tutti gli uomini che vivono
da nemici confinanti in quella regione
occupata dalla follia
ci sarà una via d’uscita,
e alla fine anche per noi.