Aprile 2011. Il Presidente della Repubblica Araba di Siria Bashar Assad
interviene ad una celebrazione religiosa cristiana. (Foto ANSA)
interviene ad una celebrazione religiosa cristiana. (Foto ANSA)
Negli anni successivi al primo atto di una spregiudicata operazione urbanistica che ebbe luogo l'undici settembre del 2001, la parte più solerte del gazzettaio "occidentale" utilizzò in modo ricorrente l'espressione "radici cristiane": la marmaglia politica di ogni orientamento prese a trascorrere presso i vertici del cattolicesimo romano tutto il tempo che non trascorreva nelle taverne, ed in pratica si considerò scontato per il pubblico che l'"Occidente", e segnatamente le sue "radici cristiane", fossero minacciati di estinzione ad opera dell'Islàmme.
In altre parole, si servì ai sudditi una versione ad hoc, spettacolosamente impoverita e adattata ad un "pubblico" di sfaticati in canottiera che con capiscono altro che i maccheroni c'a'pummarola, dello "scontro di civiltà" teorizzato da Samuel Huntington.
Questa visione del mondo pare non valere per la Repubblica Araba di Siria, in cui opera un sedicente "Libero Esercito Siriano" che in "Occidente" gode in blocco dell'appoggio dell'intera classe politica, e soprattutto di ogni gazzettificio degno di questo nome.
Tocca ancora una volta far finta di stupirsi per un'ovvietà, ovvero per il fatto che la "libera informazione" non ha la minima cognizione di causa in merito agli argomenti trattati, sempre che se ne accetti la buona fede.
Nella cronaca di viaggio di William Dalrymple, pubblicata nel 1995, si trova una descrizione sufficientemente accurata della società siriana della quale abbiamo già avuto modo di occuparci lo scorso anno, quando emerse il cumulo di abiezione che reggeva la sedicente denuncia di una sedicente lesbica sedicente damascena: da allora l'opera di disinformacija sulla situazione nella Repubblica Araba di Siria ha proseguito come se nulla fosse nell'entusiasmo dei gazzettieri. La propaganda contro il governo siriano ha assunto ritmi talmente forsennati da prendere per buono qualunque materiale si presti minimamente alla bisogna; secondo Syrian Free Press la farsa è arrivata al punto che circolava, come prova del passaggio agli insorti di un elicottero da combattimento, un video contenente le immagini di un Mil 24 riprese in un museo ucraino.
"L'Avvenire" è una gazzetta di orientamento cattolico a volte invisa agli "occidentalisti", che nel 2009 arrivarono tramite uno dei loro foglietti più "autorevoli" a saturare i mass media con una campagna di denigrazione volta contro chi la dirigeva. Accadimenti come questo sarebbero già sufficienti per considerarla una fonte di informazioni degna di qualche attenzione.
Il politicame europeo crede -o fa finta di credere- alla propaganda messa in moto per il piano di "regime change" finito da qualche mese in fondo ad un cassetto, mentre l'ira funesta dell'artiglieria pesante si abbatte sui combattenti irregolari rimasti col cerino in mano. E questi combattenti sembra siano male armati, mal sostenuti e persino odiati dalla stessa gente che asseriscono di voler liberare.
In queste condizioni, dalla Repubblica Araba di Siria arrivano anche testimonianze come quella che riportiamo e che ci azzardiamo a considerare attendibile.
L'impressione che si trae da denunce come questa è che i cristiani di Siria, colpevoli di trovarsi dalla parte sbagliata, siano sostanzialmente tenuti ad arrangiarsi. Le mire "occidentali" presentate come "liberazione" del popolo siriano devono a tutt'oggi considerarsi fallite, soprattutto perché non si ha notizia di sfilate di moda in quel di Damasco (sicura spia di una "liberazione" avvenuta); la popolazione generale, assai meno vendibile gazzettisticamente di qualche ragazza poco vestita, è chiamata invece a pagare il prezzo del gioco tentato sulla sua pelle stando ben lontana dalla visibilità mediatica.
«I ribelli ci uccidono. L’esercito deve restare»
Viviamo in Siria da più di sette anni, amiamo questo Paese e il suo popolo. Ci sentiamo indignati e impotenti di fronte al tipo di informazioni che circolano in Europa e fanno opinione, sostenendo le sanzioni internazionali, una delle armi più inique che l’Occidente usa per tenersi le mani pulite e dirigere comunque la storia di altri popoli. Pulite fino a un certo punto: si moltiplicano le segnalazioni della presenza di personale militare inglese, francese (e di altri Paesi) a fianco degli insorti per organizzare le azioni di guerriglia, grave violazione internazionale che passa sotto silenzio.
Sono state raccolte firme e fondi per aiutare la “primavera” del popolo siriano.
Ma chi ha dato – in perfetta buona fede – offerte e sostegno della “liberazione” della Siria deve sapere che ha finanziato assassini inumani, procurando loro armi, contribuito alla manipolazione dell’informazione, fomentato una instabilità civile che richiederà anni per essere risolta. Sconvolgendo l’equilibrio in un Paese dove la convivenza era pane quotidiano. Perché intervenendo senza conoscere la realtà non siamo più liberi, ma funzionali ad altri interessi che ci manipolano.
Non è nostro compito fornire una lettura socio-politica globale della vicenda siriana, altri lo stanno facendo meglio di noi. E chi lo vuole davvero può trovare informazioni alternative. Noi ci limitiamo a raccontare solo ciò che i nostri occhi vedono, qui nel piccolo villaggio di campagna dove viviamo. E dove, quasi ogni notte, i soldati presenti nella piccola guarnigione che lo presidia sono attaccati. Sia dagli insorti presenti nella zona, sia da bande mercenarie che passano il confine siriano nel tentativo di sopraffare l’esercito e aprire un varco per il flusso di armi e combattenti. I militari rispondono? Certo, e la gente ne è contenta perché di armi e mercenari il Paese è già pieno.
Sta per scadere l’ultimatum per il ritiro dell’esercito, che qui nessuno – nel senso letterale del termine – vuole. La gente si sente sicura solo quando i militari sono presenti. Ormai le violenze compiute dai cosiddetti liberatori nelle città, nei villaggi, sulle strade, sono tante e così brutali che la gente desidera solo vederli sconfitti. Gli abusi sono continui: uccisioni, case e beni requisiti o incendiati, persone, bambini usati come scudi umani. Sono i ribelli bloccare le strade, a sparare sulle auto dei civili, a stuprare, a massacrare e rapire per estorcere denaro alle vittime? Invenzioni? La notte del Venerdì Santo, non lontano da dove abitiamo, hanno ucciso un ragazzo e ne hanno feriti altri due: tornavano alle loro case per celebrare la Pasqua. Il ragazzo morto aveva 30 anni ed era del nostro villaggio. Non sono i primi tra la nostra gente a pagare di persona. Ormai prima di spostarsi a fare la spesa o anche solo per andare a lavorare ci si assicura che l’esercito controlli la zona. Anche a noi è capitato di trovarci bloccati dalle sparatorie per tre ore in un tratto di autostrada e siamo riusciti a ripartire solo quando si è formato un corridoio di carri armati che proteggevano gli automobilisti in transito dai tiri dei rivoltosi.
Perché di tutto questo non si parla? Perché non si parla dei tanti militari assassinati in vari agguati, gli ultimi ieri ad Aleppo? Sono tanti i drammatici esempi che potremmo citare. Il fratello di un nostro operaio, tenuto prigioniero a Homs dai ribelli insieme ad altri civili, è ormai considerato morto, due padri di famiglia del nostro villaggio sono stati sempre a Homs dai rivoltosi perché compravano e distribuivano pane a chi era rimasto isolato. La questione che qui, però, ci preme sottolineare e per la quale invitiamo tutti a mobilitarsi è quella delle sanzioni internazionali. Chi sta pagando e pagherà ancora di più fra poco, è la gente povera.
Non c’è lavoro, non ci sono le materie prime e le esportazioni di prodotti locali, come bestiame e uova, sono ferme. Quel poco che c’è, poi, si vende a prezzi esorbitanti.
Tra le principali urgenze c’è quella del latte per i bambini. I prezzi dei cartoni sono raddoppiati, passando da 250 lire siriane a 500 (la paga giornaliera di un operaio è di 7-800 lire). Scarseggia il mangime per il bestiame: le poche confezioni disponibili sono passate da 650 a 1850 lire. Mancano i medicinali specialistici, scarseggia l’elettricità perché i ribelli hanno fatto saltare più volte le centrali e le linee di conduzione. Non c’è gasolio (e l’inverno è stato molto freddo quest’anno), perché la Siria non può più esportare il suo greggio in cambio di petrolio raffinato. I trattori quindi sono fermi e non si può lavorare la terra. Sono bloccati perfino i camion che prelevano la spazzatura. Ci sono problemi con l’acqua perché le pompe funzionano col gasolio. Il nostro villaggio e quello vicino – che condividono lo stesso pozzo – hanno acqua un unico giorno alla settimana e solo per 3-4 ore. Si rischia una vera carestia per l’avvenire: presto mancherà il grano e quindi anche il pane, il solo alimento che, per ora, il governo riesce a distribuire a un prezzo calmierato, anche ai più poveri. E poi si protesta perché la Croce Rossa non può portare aiuti. È possibile arrivare a sanzionare addirittura l’importazione di pannolini per i lattanti?
Tutto questo è profondamente ingiusto. Non si è riusciti a rovesciare il governo con le armi, lo si vuole fare esasperando la gente. Certo, è proprio questa la logica delle sanzioni. Quando, però, una grande maggioranza della popolazione – che piaccia o meno – non vuole un cambiamento violento della situazione, tale sistema diventa una vera sopraffazione. Chiediamo con forza a chi può fare qualcosa di sospendere le sanzioni e di intervenire. Che la nostra tanto osannata democrazia si dimostri capace di servire il vero bene del popolo.
Un gruppo di italiani che vive in Siria
(Testo raccolto da Giorgio Paolucci)
Fonte: L'Avvenire.
In altre parole, si servì ai sudditi una versione ad hoc, spettacolosamente impoverita e adattata ad un "pubblico" di sfaticati in canottiera che con capiscono altro che i maccheroni c'a'pummarola, dello "scontro di civiltà" teorizzato da Samuel Huntington.
Questa visione del mondo pare non valere per la Repubblica Araba di Siria, in cui opera un sedicente "Libero Esercito Siriano" che in "Occidente" gode in blocco dell'appoggio dell'intera classe politica, e soprattutto di ogni gazzettificio degno di questo nome.
Tocca ancora una volta far finta di stupirsi per un'ovvietà, ovvero per il fatto che la "libera informazione" non ha la minima cognizione di causa in merito agli argomenti trattati, sempre che se ne accetti la buona fede.
Nella cronaca di viaggio di William Dalrymple, pubblicata nel 1995, si trova una descrizione sufficientemente accurata della società siriana della quale abbiamo già avuto modo di occuparci lo scorso anno, quando emerse il cumulo di abiezione che reggeva la sedicente denuncia di una sedicente lesbica sedicente damascena: da allora l'opera di disinformacija sulla situazione nella Repubblica Araba di Siria ha proseguito come se nulla fosse nell'entusiasmo dei gazzettieri. La propaganda contro il governo siriano ha assunto ritmi talmente forsennati da prendere per buono qualunque materiale si presti minimamente alla bisogna; secondo Syrian Free Press la farsa è arrivata al punto che circolava, come prova del passaggio agli insorti di un elicottero da combattimento, un video contenente le immagini di un Mil 24 riprese in un museo ucraino.
"L'Avvenire" è una gazzetta di orientamento cattolico a volte invisa agli "occidentalisti", che nel 2009 arrivarono tramite uno dei loro foglietti più "autorevoli" a saturare i mass media con una campagna di denigrazione volta contro chi la dirigeva. Accadimenti come questo sarebbero già sufficienti per considerarla una fonte di informazioni degna di qualche attenzione.
Il politicame europeo crede -o fa finta di credere- alla propaganda messa in moto per il piano di "regime change" finito da qualche mese in fondo ad un cassetto, mentre l'ira funesta dell'artiglieria pesante si abbatte sui combattenti irregolari rimasti col cerino in mano. E questi combattenti sembra siano male armati, mal sostenuti e persino odiati dalla stessa gente che asseriscono di voler liberare.
In queste condizioni, dalla Repubblica Araba di Siria arrivano anche testimonianze come quella che riportiamo e che ci azzardiamo a considerare attendibile.
L'impressione che si trae da denunce come questa è che i cristiani di Siria, colpevoli di trovarsi dalla parte sbagliata, siano sostanzialmente tenuti ad arrangiarsi. Le mire "occidentali" presentate come "liberazione" del popolo siriano devono a tutt'oggi considerarsi fallite, soprattutto perché non si ha notizia di sfilate di moda in quel di Damasco (sicura spia di una "liberazione" avvenuta); la popolazione generale, assai meno vendibile gazzettisticamente di qualche ragazza poco vestita, è chiamata invece a pagare il prezzo del gioco tentato sulla sua pelle stando ben lontana dalla visibilità mediatica.
«I ribelli ci uccidono. L’esercito deve restare»
Viviamo in Siria da più di sette anni, amiamo questo Paese e il suo popolo. Ci sentiamo indignati e impotenti di fronte al tipo di informazioni che circolano in Europa e fanno opinione, sostenendo le sanzioni internazionali, una delle armi più inique che l’Occidente usa per tenersi le mani pulite e dirigere comunque la storia di altri popoli. Pulite fino a un certo punto: si moltiplicano le segnalazioni della presenza di personale militare inglese, francese (e di altri Paesi) a fianco degli insorti per organizzare le azioni di guerriglia, grave violazione internazionale che passa sotto silenzio.
Sono state raccolte firme e fondi per aiutare la “primavera” del popolo siriano.
Ma chi ha dato – in perfetta buona fede – offerte e sostegno della “liberazione” della Siria deve sapere che ha finanziato assassini inumani, procurando loro armi, contribuito alla manipolazione dell’informazione, fomentato una instabilità civile che richiederà anni per essere risolta. Sconvolgendo l’equilibrio in un Paese dove la convivenza era pane quotidiano. Perché intervenendo senza conoscere la realtà non siamo più liberi, ma funzionali ad altri interessi che ci manipolano.
Non è nostro compito fornire una lettura socio-politica globale della vicenda siriana, altri lo stanno facendo meglio di noi. E chi lo vuole davvero può trovare informazioni alternative. Noi ci limitiamo a raccontare solo ciò che i nostri occhi vedono, qui nel piccolo villaggio di campagna dove viviamo. E dove, quasi ogni notte, i soldati presenti nella piccola guarnigione che lo presidia sono attaccati. Sia dagli insorti presenti nella zona, sia da bande mercenarie che passano il confine siriano nel tentativo di sopraffare l’esercito e aprire un varco per il flusso di armi e combattenti. I militari rispondono? Certo, e la gente ne è contenta perché di armi e mercenari il Paese è già pieno.
Sta per scadere l’ultimatum per il ritiro dell’esercito, che qui nessuno – nel senso letterale del termine – vuole. La gente si sente sicura solo quando i militari sono presenti. Ormai le violenze compiute dai cosiddetti liberatori nelle città, nei villaggi, sulle strade, sono tante e così brutali che la gente desidera solo vederli sconfitti. Gli abusi sono continui: uccisioni, case e beni requisiti o incendiati, persone, bambini usati come scudi umani. Sono i ribelli bloccare le strade, a sparare sulle auto dei civili, a stuprare, a massacrare e rapire per estorcere denaro alle vittime? Invenzioni? La notte del Venerdì Santo, non lontano da dove abitiamo, hanno ucciso un ragazzo e ne hanno feriti altri due: tornavano alle loro case per celebrare la Pasqua. Il ragazzo morto aveva 30 anni ed era del nostro villaggio. Non sono i primi tra la nostra gente a pagare di persona. Ormai prima di spostarsi a fare la spesa o anche solo per andare a lavorare ci si assicura che l’esercito controlli la zona. Anche a noi è capitato di trovarci bloccati dalle sparatorie per tre ore in un tratto di autostrada e siamo riusciti a ripartire solo quando si è formato un corridoio di carri armati che proteggevano gli automobilisti in transito dai tiri dei rivoltosi.
Perché di tutto questo non si parla? Perché non si parla dei tanti militari assassinati in vari agguati, gli ultimi ieri ad Aleppo? Sono tanti i drammatici esempi che potremmo citare. Il fratello di un nostro operaio, tenuto prigioniero a Homs dai ribelli insieme ad altri civili, è ormai considerato morto, due padri di famiglia del nostro villaggio sono stati sempre a Homs dai rivoltosi perché compravano e distribuivano pane a chi era rimasto isolato. La questione che qui, però, ci preme sottolineare e per la quale invitiamo tutti a mobilitarsi è quella delle sanzioni internazionali. Chi sta pagando e pagherà ancora di più fra poco, è la gente povera.
Non c’è lavoro, non ci sono le materie prime e le esportazioni di prodotti locali, come bestiame e uova, sono ferme. Quel poco che c’è, poi, si vende a prezzi esorbitanti.
Tra le principali urgenze c’è quella del latte per i bambini. I prezzi dei cartoni sono raddoppiati, passando da 250 lire siriane a 500 (la paga giornaliera di un operaio è di 7-800 lire). Scarseggia il mangime per il bestiame: le poche confezioni disponibili sono passate da 650 a 1850 lire. Mancano i medicinali specialistici, scarseggia l’elettricità perché i ribelli hanno fatto saltare più volte le centrali e le linee di conduzione. Non c’è gasolio (e l’inverno è stato molto freddo quest’anno), perché la Siria non può più esportare il suo greggio in cambio di petrolio raffinato. I trattori quindi sono fermi e non si può lavorare la terra. Sono bloccati perfino i camion che prelevano la spazzatura. Ci sono problemi con l’acqua perché le pompe funzionano col gasolio. Il nostro villaggio e quello vicino – che condividono lo stesso pozzo – hanno acqua un unico giorno alla settimana e solo per 3-4 ore. Si rischia una vera carestia per l’avvenire: presto mancherà il grano e quindi anche il pane, il solo alimento che, per ora, il governo riesce a distribuire a un prezzo calmierato, anche ai più poveri. E poi si protesta perché la Croce Rossa non può portare aiuti. È possibile arrivare a sanzionare addirittura l’importazione di pannolini per i lattanti?
Tutto questo è profondamente ingiusto. Non si è riusciti a rovesciare il governo con le armi, lo si vuole fare esasperando la gente. Certo, è proprio questa la logica delle sanzioni. Quando, però, una grande maggioranza della popolazione – che piaccia o meno – non vuole un cambiamento violento della situazione, tale sistema diventa una vera sopraffazione. Chiediamo con forza a chi può fare qualcosa di sospendere le sanzioni e di intervenire. Che la nostra tanto osannata democrazia si dimostri capace di servire il vero bene del popolo.
Un gruppo di italiani che vive in Siria
(Testo raccolto da Giorgio Paolucci)
Fonte: L'Avvenire.
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