venerdì 29 aprile 2011

Firenze: Casaggì, cialtroni e vario spicciolame stupido e cattivo


A metà 2011 l'"occidentalismo" da spaghetteria in azione nella città di Firenze, che si è sempre mosso in un contesto esplicitamente e logicamente ostile, sta passando un momento peggiore del consueto.
L'unificazione di due formazioni preesistenti in un unico partito "occidentalista" ha comportato non tanto la fusione, quanto la completa scomparsa dal panorama cittadino di qualunque tipo di attività politica giovanile che avesse quell'area politica come riferimento, con la sola eccezione di un gruppo che compendia la propria attività nel lordamento di ogni cantonata con propaganda abietta , e che si è dato il nome di Casaggì. Si tratta di un aggregato ininfluente, in tutto considerabile come attendibile espressione di un "partito" così fedelmente rappresentativo dei sudditi ,che schiera ad ogni livello gente incapace perfino di presentare nella maniera corretta il materiale richiesto per partecipare ad una consultazione elettorale dalla portata ridicola.
Negli ultimi sei mesi, confinata in un sottoscala cittadino, Casaggì ha tagliato i traguardi che seguono, elencati senza pretesa di esaustività e sorvolando su aneddotiche, comunicazioni personali e voci di corridoio che contribuiscono in misura anche maggiore ad un ritratto già pessimo per conto proprio.
- Bacchettate istituzionali, impartite con atteggiamenti compresi tra la sufficienza e la presa in giro.
- Mezza risma di sanzioni amministrative per aver sconciato Firenze intera con colla e manifesti[*].
- Rassegna della servitù governativa, alla presenza di una che nello stato che occupa la penisola italiana figurerebbe come "ministro della gioventù".
Il "ministro" su ricordato è noto esclusivamente per la satira di cui è oggetto e per il pressappochismo con le còtiche che ne domina incontrastato ed incontrastabile qualunque inziativa.
Casaggì si è trovata costretta a prendere atto di una realtà semplicissima: visibilità mediatica ed approvazione sociale non sempre coincidono.
Nel caso di Casaggì, anzi, non potrebbero essere più distanti perché la ricerca di una visibilità mediatica ad ogni costo ed intesa come mezzo e fine al tempo stesso, ha risultati addirittura controproducenti, come andremo ad illustrare.
Il risultato complessivo dello sfruttamento quotidiano di agganci poltronistici e di entrature gazzettiere ha fatto sì che da moltissimo tempo anche i commentatori più aperti e disponibili, al di fuori del gazzettame obbligato a fare altrimenti dalla natura servile del proprio operato, abbiano classificato Casaggi come un'esperienza politica meritevole di poca o punta considerazione.
Nel caso specifico, il gruppetto di sguatteri fiorentini direttamente ammanicato al principale partito "occidentalista" della penisola italiana ha rilasciato un comunicato stampa che fa letteralmente a pugni con il registro trionfalistico cui è monocordemente improntata la sua comunicazione politica, lasciando pensare a lettori ed elettori che, come sempre, la realtà deve essere una cosa con cui l'"occidentalismo" ha un rapporto piuttosto labile.
Dell'operazione si sono incaricati uno grasso di Scandicci, che è di Scandicci ed è grasso, e Francesco Torselli. Si è scomodato anche un certo Scatarzi, e non c'è motivo di non ricordare il significato che, in greco moderno, il vocabolo σκάτα possiede.
Al resto ha pensato il gazzettaio di cui sopra, ed in modo particolare il negletto "Giornale della Toscana" che abbiamo l'impressione di essere praticamente gli unici ad utilizzare come fonte, sia pure ai fini di irriderne e disprezzarne tutto quanto vi sia di risibile e di disprezzabile.
Il tutto ha peggiorato ulteriormente le cose, mostrando una compagine "occidentalista" letteralmente con le spalle al muro.
Parrebbe di capire che nonostante le migliaia di simpatizzanti elencate sul Libro dei Ceffi, all'atto pratico sia impossibile per i giovani "occidentalisti" il puro e semplice uscire di casa senza essere fatti oggetto di atti di disprezzo di ogni genere; la "presenza territoriale" a colpi di colla murale, vanto principale di quegli indossatori di berretti con la visiera sulla nuca, non ha impedito che qualcun altro facesse loro il verso andando tranquillamente a spargere colla e manifesti dirimpetto al loro sottoscala. Ed irridendo per giunta la vittima di un'aggressione di trentacinque anni fa sulla cui vicenda si basano le produzioni editoriali di un paio di case editrici come minimo.
Quello grasso di Scandicci, che dei tre frequentatori di uffici stampa sarebbe il più alto in poltrona ed in retribuzione, non ha certo mancato l'occasione per dare prova della propria assoluta incompetenza:
“Se nella città che ha conosciuto da vicino la follia omicida delle BR addirittura contro un suo Sindaco, vi sono ancora delle sacche di militanza politica che si fregiano di slogan e simboli appartenenti a quell’esperienza terroristica e credono di poter agire indisturbate nel minacciare ed aggredire giovani che scelgono di militare nelle organizzazioni giovanili vicine al PdL, occorre lo sforzo di tutti per isolare questi elementi e chiudere i luoghi dove essi si ritrovano”.
Chiunque conosca anche per sommi capi l'argomento sa bene che l'inafferrabilità e l'efficienza delle organizzazioni combattenti si giova proprio di operazioni repressive di questo genere. Le "esperienze" paventate dal grasso di Scandicci (cui le precedenti disavventure non hanno insegnato ovviamente alcunché) e dal sostenitore di Codreanu hanno avuto maggiore efficacia quando pianificavano le loro azioni chiacchierando tranquillamente nelle piazze o in locali pubblici di ogni genere, virtualmente impattugliabili per qualunque gendarmeria.
Se si scende di scala gerarchica -e gli "occidentalisti" per la gerarchia hanno una passione che viene meno solo quando intervengono quelle per la furbata, lo sgambetto, la raccomandazione e la vendetta spicciola e meschina- scendono ovviamente anche le competenze e la cognizione di causa. E qui entra in scena Marco Scatarzi, che in un contesto di rapporti numerici peggio che scoraggianti non trova di meglio, per arginare in qualche modo la violenta impopolarità di cui si vena a tratti l'indifferenza che circonda abitualmente la propaganda politica escreta dalla sua organizzazione, di aggiungere del proprio a dichiarazioni già controproducenti per loro conto.
Non potendo fare nomi e cognomi di persone singole e non potendo citare organizzazioni senza fare la figura del mangiatore di maccheroni (o senza rischiare, perché no, di completare la collezione di verbali su citata con qualche querela per diffamazione) lo Scatarzi statuisce trattarsi di "giovani di estrazione borghese che giocano alla rivoluzione proletaria e che la notte rincasano nelle ville di Settignano tra maggiordomi e piscine", secondo uno script che è sempre lo stesso da almeno tre decenni.
Se ne deve concludere che è fuori questione, per un "occidentalista" interiorizzare il fatto puro e semplice che nella vita reale esiste un numero crescente di contesti e di persone, che supera di molto la trascurabile quota di individui consuetamente dediti all'attivismo politico, in cui lo schifo, il disprezzo, l'indignazione e l'insofferenza hanno superato il limite che divide l'intenzione dall'azione.
E lo schifo, il disprezzo, l'indignazione e l'insofferenza hanno come esplicito bersaglio la propaganda diffusa dai pilastri umani su cui si reggono i tagli scolastici della Gelmini, la TAV, i grandi ed inutili lavori, la CIA che fa quel che diavolo le pare, la nullità di Franco Frattini, le notti in discoteca di Ignazio Benito Maria La Russa e le sue gite turistiche in Afghanistan, l'aggressione all'Iraq, l'aggressione alla Grande Jamahiria Araba di Libia Popolare e Socialista con cui si è trescato fino all'altro ieri, la pretesa-barzelletta del disarmo di Hizbollah, il controllo unificato di mezzi d'informazione che fanno in blocco rimpiangere l'obiettività e la concretezza della Pravda, i campi di concentramento travestiti da CIE, l'appoggio incondizionato a furbacchioni travestiti da imprenditori ed azionisti, gli scudi fiscali per i furbacchioni travestiti da furbacchioni, i rastrellamenti da SS nel distretto tessile pratese, le pacche sulle spalle tra sionisti veccchi e nuovi mentre a Gaza si muore sotto il fosforo, i terremoti-passerella, le carceri infernali, gli sciali miliardari per le festicciole tra potenti, la militarizzazione della vita sociale, il clima artefatto e demenziale di terrore quotidiano, la gigantesca fogna di favori sessuali ed elettorali che costituisce per intero l'arena politica, ed i gendarmi che prendono a calci i ragazzini sotto l'occhio compiaciuto della spazzatura umana che impesta le redazioni amiche.
Le differenze che corrono tra i mangiaspaghetti da sottoscala e la loro più consistente controparte, quella capace di distinguere tra vita concreta e Libro dei Ceffi, possono essere riassunte da due immagini che rappresentano due modi diversi di intendere l'esistenza. Dovrebbero, tra l'altro, essere state pubblicate dagli originali in date molto vicine tra loro.


Gli "occidentalisti", morti già da vivi, lungo la via di un cimitero.


I loro avversari, vivi anche da morti, in mezzo ad una piazza.

I cimiteri da una parte, le piazze dall'altra.
Tanto dovrebbe bastare.

[*] I blog ed i siti riconducibili a quel gruppo di giovani buongustai si presentano letteralmente infarciti di quelli che sono evidenti esercizi di autodelazione. Negli ambienti "occidentalisti" la delazione è un'arma "politica" insegnata e praticata fin dall'adolescenza, quindi la cosa non deve provocare troppa meraviglia.

martedì 26 aprile 2011

Sami Youszafai e Ron Moreau - Evasione in massa dei talebani a Kandahar: due evasi raccontano


(Traduzione da The Daily Beast).

In una clamorosa evasione di massa, circa cinquecento talebani sono fuggiti lunedì da un carcere afghano attraverso un tunnel sotterraneo. Ron Moreau e Sami Yousafzai dialogano in esclusiva con due degli evasi sul modo in cui sono riusciti a fuggire, su quali saranno le loro prossime mosse, e del perché l'accaduto rappresenti un grave rovescio per lo sforzo bellico statunitense.

Mullah Asadullah Akhund aveva intuito che stava per succedere qualche cosa, ma non sapeva bene che cosa. Ricorda che negli ultimi mesi uno dei comandanti talebani di più alto grado, incarcerato con lui nel braccio del carcere di Kandahar destinato ai prigionieri politici, pareva sorridere con gli occhi.

Un poliziotto afghano guarda dentro l'ingresso della galleria nel carcere principale di Kandahar, in Afghanistan, attraverso il quale i prigionieri sono fuggiti il 25 aprile 2011
(Foto: Allauddin Khan / AP Photo)

Lunedì mattina ha finalmente saputo quale segreto custodisse il comandante. Verso le due di notte, mentre stava dormendo sul duro pavimento di cemento della sua cella, è stato svegliato da qualcuno che lo tirava per l'alluce destro, ha raccontato in esclusiva al Daily Beast Akhund, raggiunto con una chiamata al telefono cellulare. Era il comandante, che gli sussurrò di alzarsi in silenzio e di andare in una cella vicina, dove qualcuno gli avrebbe indicato la strada per la libertà. Ancora senza credere alle proprie orecchie, obbedì in fretta e finì per trovarsi in una galleria sotterranea con una fila di altri prigionieri talebani che stavano evadendo.
Dice che aveva appena cominciato a strisciare attraverso lo stretto passaggio, quando un altro comandante talebano che teneva una torcia elettrica per illuminare il percorso davanti a lui gli disse di stare tranquillo, e che altri talebani stavano attendendo alla fine del tunnel per occuparsi di loro. "Era l'evasione più grandiosa della mia vita", dice, "era come un sogno".
Akhund è un comandante talebano sui trent'anni ed è stato arrestato a Marjah lo scorso anno; era stato condannato a dieci anni di carcere ed era uno dei circa cinquecento combattenti e comandanti talebani che hanno partecipato, prima dell'alba di lunedì nel carcere di massima sicurezza di Kandahar, ad un'evasione degna di finire in un libro di storia. Secondo il racconto di questo talebano, gli insorti e i loro fiancheggiatori avevano lavorato come formiche per più di cinque mesi per scavare la galleria, che partiva dall'abitazione di un simpatizzante, rimuovendo segretamente il terreno un po' alla volta con i pickup, con i cassoni dei trattori ed anche con carretti trainati da asini. La galleria partiva dalla casa, passava sotto la strada principale per Herat e sboccava in una sezione centrale del braccio del penitenziario destinato ai detenuti politici.
L'evasione non è solo un'importante vittoria per gli insorti sul piano psicologico, specie in un momento in cui vengono tallonati dai rinforzi statunitensi nelle province di Kandahar e di Helmand, ma contribuisce anche a rimpolpare i ranghi dei talebani con aluni dei loro comandanti più ricchi di esperienza, più rispettati e più competenti.
"Tra noi ci sono alcuni dei più forti comandanti di Kandahar e dintorni", dice un comandante ventottenne di Kandahar appena evaso, che ha chiesto di rimanere anonimo, parlando al cellulare con The Daily Beast.
Si tratta certamente di uno scacco non da poco per lo sforzo bellico statunitense nel sud del paese, fino ad oggi orgoglioso di quanti comandanti talebani erano stati uccisi o catturati negli ultimi mesi, e di come queste perdite sembravano aver invertito la tendenza delle sorti favorevoli di cui gli insorti avevano goduto fino ad allora nella regione in cui i talebani del mullah Mohammed Omar erano nati. L'evasione di massa rimette in discussione, ancora una volta, l'effettiva capacità del governo di Kabul e delle sue forze di sicurezza di mantenere il controllo delle aree del paese non direttamente controllate dalle truppe americane.
"Per la seconda volta la fede ha superato e sconfitto la tecnologia", si esaltava lunedì un sito web talebano, facendo riferimento ad un'altra ardimentosa ma violenta evasione di massa avvenuta nel giugno del 2008, quando uomini bomba suicidi e fucilieri talebani fecero irruzione attraverso le mura dello stesso carcere, uccidendo una quindicina di guardie carcerarie e liberando qualcosa come milleduecento prigionieri, oltre trecentocinquanta dei quali erano talebani. "Non siamo ricchi di tecnologia, ma con l'aiuto di Allah Onnipotente abbiamo causato al nemico una sconfitta imbarazzante, nonostante tutta la sua tecnologia e tutte le sue armi", dice il comandante di Kandahar che era stato catturato tre anni fa e condannato a quindici anni di carcere, mentre si gode il primo giorno di libertà sorseggiando tè verde in un rifugio sicuro talebano della città, insieme con i propri amici. "Dedichiamo al mullah Omar questa vittoria".
Gli evasi sembrano più convinti che mai a riprendere le armi. "L'esser fuori di galera non vuol dire che abbandonerò il jihad", dice Akhund. "Sono ancora più deciso a cacciare gli stranieri e i loro burattini fuori dall'Afghanistan". "Adesso combatteremo il jihad con più determinazione ed intelligenza", aggiunge il comandante di Kandahar. "Ma la cosa peggiore è il linguaggio ingiurioso che essi usano contro il nostro capo, il mullah Omar. Adesso io odio più che mai gli americani, l'esercito [afghano, N.d.A.] e la polizia".
Entrambi gli intervistati, e probabilmente anche i loro compagni d'armi freschi di liberazione, sottolineano la loro gratitudine per l'organizzazione talebana, che spesso viene presentata come frammentata, se non del tutto caotica, che non si è mai dimenticata di loro ed ha lavorato con tanto impegno alla loro liberazione. "Sono contento che i nostri mujahedin non ci abbiano dimenticato e si siano occupati di noi", afferma il comandante di Kandahar. "Onore a questi mujaheddin, che hanno realizzato un'azione a lungo termine e tanto a lungo sono stati capaci di mantenere il segreto".
Nel raccontare la loro fuga, i due comandanti liberati si stupiscono per la segretezza e la capacità organizzativa che hanno reso possibile il successo del piano.
Ad un certo punto, mentre strisciava lungo il tunnel, Akhud ha temuto che sarebbe crollato. Dicce di aver sentito una sorta di rimbombo e dei detriti che cadevano dalla volta, mentre un camion passava sulla strada soprastante. Dice che all'uscita della galleria c'erano cinque o sei uomini bomba talebani, con i giubbetti esplosivi ed armi pesanti, che man mano che gli uomini uscivano dal buco nel pavimento della casa li conducevano ai pickup, agli autobus ed alle moto che li avrebbero portati altrove. Akhud è stato condotto via con un pickup (che viaggiava a fari spenti) con altri dieci evasi, in un percorso che ha richiesto una ventina di minuti fino ad un rifugio talebano in città. Il pickup poi tornò indietro per riprendere degli altri evasi. Da lì, lui ed altri due prigionieri liberati hanno noleggiato un camion in paese che li ha condotti fino alla città di Geresk, appena oltre i confini della provincia di Helmand, dove adesso sta festeggiando la sua liberazione insieme agli amici. "Mai avevo pensato che sarei riuscito a sfuggire alle mura dei miei nemici, così alte e solide", dice.
Il comandante di Kandahar dice che dall'interno del carcere l'operazione è stata coordinata da tre comandanti esperti. Anche lui è stato svegliato poco dopo mezzanotte da uno dei tre, che aveva confiscato a ciascuno il cellulare introdotto clandestinamente in modo che nessuno riferisse per telefono la bella notizia, svelando il piano proprio mentre la fuga era in corso. Per passare per la galleria, che era forse ampia due metri ed alta due e mezzo, gli ci sarebbero voluti da cinque a dieci minuti. Dice anche che alla fine c'erano diversi combattenti suicidi con i gubbotti esplosivi. E' stato portato, in un grosso camion insieme ad altra cinquanta evasi, in un luogo più sicuro immediatamente dopo essere uscito dal buco.
Il comandante dice che il piano originale prevedeva che i combattenti suicidi entrassero nel carcere attraverso il tunnel dopo la fuga dell'ultimo detenuto, ed attendessero che le guardie e gli ufficiali si accorgessero del fatto che l'ala riservata ai detenuti politici era vuota. A quel punto si sarebbero fatti esplodere, uccidendo tutti. Il piano è stato cancellato all'ultimo istante. Secondo i talebani, il personale carcerario ha scoperto l'evasione di massa, ed il fatto che l'ala dei detenuti politici era vuota, soltanto alle sette del mattino, varie ore dopo che i prigionieri si erano già dispersi per Kandahar e per le cittadine ed i villaggi circostanti. Dopo un breve riposo, dicono, cominceranno a progettare la propria rivalsa.

Sami Yousafzai è corrispondente per Newsweek dal Pakistan e dall'Afghanistan, dove si occupa di questioni militari, di Al Qaeda e di talebani per contro della rivista fin dall'undici settembre 2001. E' nato in Afghanistan e si è trasferito in Pakistan con la famiglia dopo l'invasione russa del 1979. Ha iniziato la carriera come giornalista sportivo, passando poi dal 1997 a fare il corrispondente di guerra.

Ron Moreau è corrispondente per Newsweek dal Pakistan e dall'Afghanistan, regione di cui si occupa da dieci anni. Da quando ha iniziato a lavorare per Newsweek ai tempi della guerra del Vietnam, si è occupato con assiduità dell'Asia, del Medio Oriente e dell'America Latina.

sabato 23 aprile 2011

"Il Giornale della Toscana": quando la realtà è un nemico da sconfiggere


Che gli "occidentalisti" abbiano con la realtà un rapporto compreso tra il distorto e l'inesistente è cosa risaputa. Parimenti risaputo è che un rapporto con la realtà impostato su simili basi possa essere sfruttato a fini elettorali e a fini economici. In concreto, questo si traduce in produzioni mediatiche ed in propaganda politica che implicano una malafede assoluta da parte della committenza, recepita passivamente da valletti, camerazzi ed altro servitorame, ed ammannita finalmente ai sudditi, con particolare attenzione al bacino elettorale percepito come target.
Il risultato è che la produzione continua e quotidiana di menzogne demenziali, da parte di gazzettame e televisioncine che non si fanno alcun problema a presentare come verità incontrovertibili contenuti che in contesti normali vengono considerati produzioni deliranti a sfondo persecutorio (eventuali confutazioni sono sistematicamente derubricate a terrorismo) è la massima responsabile del lercio e putrefatto clima sociale in cui si trovano a vivere anche coloro che non accettano di vegetare come sudditi ossequienti al cospetto di un potere obeso e ben vestito.
"...Viviamo in una situazione che somiglia per alcuni versi a quella della Germania degli anni Trenta. Certo, per arrivare al genocidio di massa dovrebbe cambiare radicalmente una situazione economica ancora relativamente tranquilla; ma le premesse psicologiche di xenofobia ci sono tutte, [...]
La colpa di questa situazione, per il 30 percento, è dei normali problemi che sorgono ovunque tra comunità dalla diversa storia. Per il 70 percento, è dei media.
Una volta, il razzismo dichiarato era il patrimonio di un ristretto e relativamente innocuo gruppo di individui tatuati e ruttanti.
Nel 2001, il razzismo e la xenofobia sono stati resi rispettabili da Ferruccio de Bortoli, allora direttore del Corriere della Sera, che ha approfittato del triste caso umano di Oriana Fallaci, nella maniera che ben conosciamo. [...]
Sul principale quotidiano d'Italia, Oriana Fallaci può vantarsi di aver avuto intenzione di bruciare vivi alcuni somali rei di aver manifestato in una piazza di Firenze.
Un pacifico insegnante no global di Roma si trova citato, con tanto di nome e cognome, come autore della frase "Hitler non aveva tutti i torti". Una frase inventata di sana pianta, sparata così a centinaia di migliaia di lettori.
Il sottoscritto, traduttore di manuali tecnici, si trova accusato di voler devastare gli Uffizi di Firenze e di voler decapitare il David di Donatello.
Un ragazzo viene fermato per strada dalla polizia, che gli trova nella macchina una borsa piena di spiccioli, il frutto di una colletta fatta nella moschea per i poveri. Il fatto viene presentato come prova che le "moschee finanziano il terrorismo".
Una donna Rom chiede l'elemosina per strada a Lecco a una madre italiana con un bambino. Non tocca il bambino, ma viene processata e condannata per sottrazione di minore, perché - spiega l'avvocato d'ufficio - con il clima che hanno creato i media, non è possibile oggi far assolvere una zingara, e quindi ha dovuto patteggiare la pena.
Un'antropologa viene intervistata, con evidente approvazione del giornalista, mentre spiega che la legge dovrebbe vietare agli stranieri di comprare casa in Italia.
E così via, moltiplicato per mille, una pioggia incessante di odio. Esiste gente [...] che ha fatto di tutto per creare le premesse di un immenso pogrom. Possiamo solo sperare che l'economia tenga, e che le masse non abbiano bisogno di un capro espiatorio, perché il capro è già pronto."
(Miguel Guillermo Martinez Ball, 2005).
Tuttavia va constatato che alla servitù è richiesta, oltre ad un po' di professionalità, anche una certa dose di discernimento e di vera e propria fortuna. Altrimenti chiunque può spingere le proprie confutazioni fino a far cadere in un ridicolo auspicabilmente il più vasto possibile le produzioni mediatiche che la committenza è bene o male costretta a pagare, e a prezzi più o meno di mercato.
E proprio una confutazione a mani basse, di quelle che richiedono solo un po' di calma ed una passeggiata poco lontano da casa, è quella che si va in queste righe ad esporre. La vittima è una gazzettina chiamata "Il Giornale della Toscana", che ci siamo più volti concessi con piacere di additare al disprezzo ed allo scherno dei nostri lettori.
La foto in alto ritrae Piazza Santa Croce, a Firenze. E' stata scattata alle 21.20 del 23 aprile 2011.
Il file originale è disponibile qui, per chi volesse verificare gli EXIF tags. Non vi si nota alcuna traccia d'insihurezzeddegràdo, e la superficie di pietra della pavimentazione è letteralmente tirata a specchio.
"Il Giornale della Toscana" si trova da tempo in condizioni di dover riempire in qualche modo sei uscite settimanali sminuendo quello che sminuibile non è, ossia l'abiezione di cui l'area politica cui appartiene la committenza dà da troppo tempo quotidiano spettacolo. L'obiettivo è della massima importanza: fare a pugni con l'evidenza, a confronto, appare come una trascurabile inezia. Nella pratica, si devono battere a tappeto le poche aree della città che fanno da fòmite al bacino elettorale di riferimento, e fare di tutto per ricondurre ogni evento allo script propagandistico che vede insihurezzeddegràdo ai massimi vertici ovunque viga un'amministrazione politicamente invisa. Nel far questo, si ripete, la realtà non viene tenuta in alcun conto, e pace se si va a tirare nel mezzo l'iniziativa di un televisionaio anglosassone che è tra i principali colpevoli della "occidentalizzazione" del mondo, e che se svolta sotto gli auspici di politicanti non inquadrabili come bersagli avrebbe ricevuto recensioni monocordemente positive.

Il risultato è che nell'edizione del giorno seguente, 24 aprile 2011, quella gazzettina pubblica la foto che qui si riporta. Di rincalzo pontificano un certo Mario Tenerani, che di solito scribacchia di pallonerie, pallonate, pallonieri ed altra roba di fondamentale importanza per i destini della specie umana, ed altri due mangiaspaghetti di seconda fila.
Per riempire mezzo issue di piagnistei ("S. Croce: spente le luci di Mtv, torna terra di bivacchi - Ubriachi e spacciatori la fanno da padroni. Tappeto di bottiglie sul sagrato della basilica") hanno dovuto mettersi in tre.
Allora, quando chiude, questa sedicente "voce fuori dal coro"?

venerdì 22 aprile 2011

Firenze: un giorno di aprile n'i'ddegràdo, senza sihurézza e con molta colla da manifesti


Nella primavera del 2011 lo stato che occupa la penisola italiana continuerebbe ad essere "governato" da una compagine i cui appartenenti rischiano, a qualunque livello "politico" o "amministrativo" appartengano, di essere fatti oggetto di aggressioni fisiche ogni volta che compaiono in pubblico.
Chi semina vento raccoglie tempesta, ed è difficile pensare che le perentorie attestazioni di disistima in cui rischiano di incorrere individui come Vittorio Aliprandi siano sempre frutto di regìe vittimistiche e di menzogne montate ad arte, con l'aiuto di comparse più o meno retribuite o di individui dal comportamento disturbato presentati come potenziali assassini. Gli "occidentalisti" ricorrono da anni abitualmente a questi éscamotages, ma l'impressione è che l'imperversare pubblico e mediatico di questi benvestiti sia concretamente meno impunito di quanto fosse anche solo pochi mesi fa.
A Firenze le ultime iniziative della politicanza "occidentalista" sono ridotte a tetre e reiterate arrampicate sugli specchi ed in pratica si compendiano, nel culmine della primavera, di commemorazioni funebri. Una tendenza rappresentativa del carattere mortifero dell'"occidentalismo".
Davanti alla relativa perdita di credibilità del battage mediatico, usurato all'inverosimile ed accolto ormai dall'indifferenza -se non dal disprezzo- di crescenti fasce di pubblico, l'"occidentalismo" fiorentino sta cercando altre strade. Alle armi della menzogna, della delazione e dell'affissione abusiva pare si sia aggiunto l'uso di reagire al minimo pretesto fomentando l'indignazione di claque formate da autentici appestati, da mandare a destinazione prima a mezzo stampa e poi a mezzo roba legale di cui nulla sappiamo e ancora meno ci interessa di sapere.
L'ultimissimo caso a cui si sono attaccati, al momento in cui scriviamo, è dato da una specie di concertone per ragazzini, peraltro organizzato da una televisione che da decenni porta ovunque le peggiori abiezioni dell'"occidentalismo", che ha riempito una piazza di Firenze con migliaia di persone. Il gazzettame "occidentalista" di Firenze ha grattato il fondo dei barili più riposti, pur di mettere i bastoni tra le ruote ad un'amministrazione invisa; e pazienza se a rimetterci sarebbe stato, se mai, un coso televisivo che riceve ogni benedizione ogni volta che allaga dar al'Islam di femmine con pochi vestiti addosso.
Ora, Firenze continua ad essere una città tutta particolare, nel senso che anche le più abiette inziative "occidentaliste" costano ai loro promotori soltanto qualche insulto. Ce n'è di che finire vittime dello sfinimento prima e ancora che dell'improponibile idiozia e completa demenzialità delle proprie proposte politiche.
Tuttavia, qualche crepa deve essersi verificata anche nei contesti più tetragoni.
Abbiamo visto come nel corso dell'ultima tempesta in un bicchiere d'acqua, rappresentata dalle elezioni universitarie, l'emanazione giovanile del principale partito "occidentalista" della penisola italiana non abbia raccolto solo reazioni comprese tra l'indifferente e lo scostante, ma anche e soprattutto un certo fastello di sanzioni, che deve aver costretto i committenti ad imporre uno stop alla pratica della colla e della carta.
All'ingresso da nord ovest in città, laddove finisce un'autostrada, campeggiano (minuscola novità) piastrate di manifesti di una formazione politica irrilevante, proprio in una collocazione fino a ieri patrimonio indiscusso del più grande partito "occidentalista" della penisola.

Cambiano le sigle, ma resta intatta una cialtroneria spinta fino all'autolesionismo.
Sul contenuto delle affissioni non vale la pena di soffermarsi perché a questa weltanschauung da frequentatori di spaghetterie di provincia fanno eco, senza alcun freno e da almeno quindici anni, formazioni politiche di ben altra numerosità e di ben altro budget.
Vale invece la pena soffermarsi sul fatto che i manifesti riportano il numero di telefono 3467638894. Un caso di autodenuncia che segue anch'esso uno script abituale.
Pare che più in là proprio non ci vadano; quello che non sorprende è che esistano quote di elettorato capaci di mettere sul serio in conto a gente simile responsabilità maggiori della ramazzatura pavimenti in un maccheronificio a fine turno.

L'immagine sopra è stata ripresa il 21 aprile.
Passando il giorno successivo, abbiamo trovato una situazione differente, ritratta qui sotto.

Gli autonominati titolari dello spazio devono aver mandato qualcuno nottetempo a dare una sistemata alle cose: per terra ci sono ancora i resti accartocciati delle affissioni altrui, strappate con una certa stizza.
Pochi e mal d'accordo: lo spettacolo continua.

sabato 16 aprile 2011

E' guerra aperta a Potenza: Nello Rega risponde con le diffide ai missili di Hezbollah


Il leader di Hezbollah spiega ad Assad e ad Ahmadinejad dove si trovi la Basilicata.

Il blog kelebek presente in link ha diverse caratteristiche costruttive che prescindono anche i contenuti specifici. In particolare, vi si legge:
Per contatti, scrivere a muqawama@gmail.com. Eventuali minacce, legali e non, saranno esposte al pubblico ludibrio su questo sito.
Non si tratta di parole a vuoto e nel corso degli anni l'hanno imparato a proprie spese diverse persone.
Un esempio su tutti. Un certo Aldo Torchiaro, fogliettista convintissimo di avere sempre e comunque a che fare con degli sprovveduti da fare a pezzi a colpi di corsivi, è da sei anni indicato come giornalista pollo sui motori di ricerca per motivi che il link spiega esaustivamente. In breve, fu oggetto di una beffa, alla quale deve una fama non è dato sapere quanto desiderata.

La vicenda di Nello Rega è nota a tutti i nostri lettori e a quelli di Kelebek. Nessuno dubita di quanto egli va denunciando con insistenza, ossia di aver suscitato le ire di Hezbollah al punto tale che un'organizzazione politica e sociale dotata di braccio armato, nota per le eccezionali competenze dei suoi leader in fatto di prudenza e di diplomazia, avrebbe deciso di fare apposta per lui un'eccezione e di portare per la prima volta in un paese europeo le proprie iniziative militari.
Come molti "occidentalisti", sembra che Nello Rega tenda a sostituire le querele alle argomentazioni.
Sull'efficacia delle sue iniziative giudichino i lettori: si riporta testualmente quanto riferito su Kelebek, scusandoci per l'utilizzo di vocaboli denotanti lo stato che occupa la penisola italiana presenti nell'originale.


Caso Nello Rega: un messaggio misterioso

Come è stato già raccontato qui in vari post, il signor Nello Rega, giornalista di Potenza e autore di un libretto in cui racconta di come sia stato piantato da una fidanzata libanese, è attualmente l’unico nemico contro cui il movimento politico libanese Hezbollah conduca azioni militari.
Almeno secondo lo stesso Nello Rega, e noi gli crediamo.

Abbiamo posto ai nostri lettori anche un piccolo dubbio che ci era sorto, riguardo al lavoro effettivamente svolto da Nello Rega. Che in un’intervista dichiara di essere docente di Diritti dell’Uomo presso la Facoltà di Giurisprudenza di Urbino; mentre il coordinatore didattico della stessa facoltà ha dichiarato di non sapere chi sia Nello Rega. Noi a Nello Rega ci crediamo più che a un semplice coordinatore didattico, ma speravamo di ricevere qualche chiarimento da Nello Rega.

L’altro giorno, un nostro amico che abita in un paese molto lontano ha ricevuto uno strano messaggio, a quanto pare proveniente dallo studio legale di Carmina Malaspina, Elisa Artusio ed Elena Fornatto di Piossasco. Su Internet, il falso e la truffa sono sempre in agguato, ed è quantomeno improbabile che uno studio di Piossasco (nel profondo settentrione) rappresenti un signore di Potenza.[1]

Il testo è in lingua inglese, ma il nostro amico che abita in un paese lontano non è riuscito a capirne il senso; e quindi l’ha girato a noi.

Per la comodità dei nostri lettori, vi presentiamo sia l’originale (in fondo al post), sia un nostro tentativo di traduzione verso l’italiano, nella speranza che qualche lettore possa aiutarci a capire cosa vogliano i suoi autori. Sempre che non si tratti del prodotto di un generatore automatico di spam.

Ecco la nostra fedele traduzione dall’inglese:

“Vi scrivo per conto del dott. Nello Rega.

Per pochi giorni in apparenza, sul sito VS, articoli molto diffamatori che contengono espressioni intese a far ammalare il mio cliente, in quanto il decoro, la dignità, la moralità, la personalità dell’argomento che risultano nell’esonerarli dal non aver alcun diritto di criticare.

Infatti il suddetto dott. Rega ha già fatto ammalare le competenti autorità presentando un avviso di cessazione di causa legale.

Solo per contenere il danno, vi invito a essere diffidenti e volendo rimuovere immediatamente gli oggetti dal sito in questione, il venir meno del mio cliente proteggerà i diritti del sito in qualunque tribunale competente senza preavviso e pagherà cariche aggiuntive verso la vostra prestazione.

Cordiali saluti

Avvocato Carmina Malaspina”

Non abbiamo contatti con alcun sito VS: da una ricerca veloce su Google, troviamo che VS è normalmente la sigla di Vojska Srbije, l’esercito serbo,che in effetti ha un sito.

Chiediamo scusa a Nello Rega se in un primo momento, vedendo quella che sembrava la lettera di un avvocato, avevamo pensato a qualche minaccia di censura.

L’idea ci è subito passata, però, leggendo il testo, ma soprattutto ricordando che Nello Rega non può censurare nessuno: è stato infatti premiato più volte come campione della libertà di espressione in Italia.

Sentite le bellissime parole con cui Alberto Spampinato, direttore di Ossigeno per l’informazione e consigliere della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana), elogia proprio Nello Rega, su Narcomafie. Riferendosi alle minacce di censura contro Nello Rega per ciò che lui ha scritto, Spampinato dice:

“Queste cose accadono sotto i nostri occhi, ma non riusciamo a credere che accadano e tantomeno a trarne delle conseguenze. Dovremmo accettare una semplice verità: le parole sono pietre, come ci ha insegnato Carlo Levi, e perciò rischia molto chiunque scagli parole, tanto più se acuminate, contro fanatici, criminali, prepotenti. Essi reagiscono con tanta violenza perché sanno meglio di noi che le parole di verità, la forza dei fatti, sono potenti, penetrano il muro di falsità e di ipocrisia che protegge i loro inconffessabili interessi. Le parole di verità possono abbattere quel muro. Cerchiamo di ricordarlo, e non lasciamo solo chi lancia parole così potenti. L’intifada delle parole-pietre merita di essere incoraggiata da tutti noi.”

Cogliamo l’occasione per ricordare a Nello Rega che lui è il benvenuto tra i commentatori di questo blog. Un suo intervento sarebbe prezioso per sciogliere quei piccoli dubbi riguardanti l’Università di Urbino.

Per concludere, ecco il testo originale del misterioso messaggio che ci è pervenuto:

Piossasco, 12 april 2011

Spettabile
Kelebeklerblog
C/o RespectMyPrivacy, LLC
PO BOX 484
COCOA
FL, 32923-0484
US

Nello Rega/Kelebeklerblog

I am writing on behalf of Dr. Nello Rega. A few days appearing on V.s. site highly defamatory articles that contain expressions for affecting my client since the decorum, dignity, morality, personality of the subject resulting in exonerating them of having no right to criticize.

For the foregoing Dr. Rega has already affected the competent judicial authority by filing notice of termination lawsuit. Only to contain the damage, I invite you to distrust and Wanting to immediately remove items from the site in question, failing my client will protect its rights on any competent court without further notice and pay additional charges at your load.

Yours sincerely

Lawyer Carmina Malaspina

Nota:

[1] E’ vero però che Nello Rega ha presentato il proprio libro, Diversi e divisi, persino a Piossasco, il 7 novembre del 2010, come testimonia questa foto.


Nello Rega incontra la popolazione indigena di Piossasco

domenica 10 aprile 2011

Paracadutisti di Hezbollah cercano Nello Rega nelle campagne di Potenza


Su Kelebeklerblog prosegue la ricerca su Nello Rega, uno sconosciuto giornalista di Potenza che afferma di essere perseguitato da Hezbollah per avere pubblicato privatamente un libro in cui racconta di come sia stato piantato da una ragazza libanese.
Nello Rega è riuscito a coinvolgere dalla sua una schiera impressionante di sostenitori, che evidentemente non si sono mai posti alcune, semplici domande.

sabato 9 aprile 2011

Ervand Abrahamian - Perché la Repubblica Islamica dell'Iran è sopravvissuta



Traduzione da Monthly Review, 16 marzo 2009.


I necrologi per la Repubblica Islamica dell'Iran hanno cominciato ad apparire prima ancora che essa nascesse. Nei frenetici mesi del 1979, prima che la Repubblica Islamica venisse ufficialmente dichiarata, molti docenti universitari e giornalisti, partecipanti e osservatori, conservatori e rivoluzionari iraniani o stranieri che fossero, avevano predetto con sicurezza la sua imminente fine.
Prendendo in considerazione ogni protesta di strada, ogni sciopero, ogni scontro in provincia come presagio sicuro della sua inevitabile caduta, concessero al nuovo regime pochi mesi, nel miglior caso pochi anni di vita.

Queste previsioni erano comprensibili: dopo tutto l'Iran -per tacere dell'intera storia mondiale- di teocrazie vere e proprie ne aveva prodotte poche. Anche forme di governo spesso considerate delle teocrazie si rivelano, ad un più ravvicinato esame, esser state qualcosa d'altro. L'Inghilterra di Cromwell era controllata dai generali e dai proprietari terrieri e furono più i principi che i predicatori a governare i regni protestanti. Anche la Ginevra di Calvino, uno dei primi esempi di stato totalitario, era gestita più da giurisperiti laici che da seminaristi. Inoltre, pochi nel 1979 potevano considerare la possibilità che dei religiosi formati in scuole religiose potessero amministrare un paese che aveva attraversato oltre cinquant'anni di moderno sviluppo e che era la patria di centinaia di migliaia di ingegneri, di medici, di scienziati, di funzionari pubblici, insegnanti e lavoratori nel settore industriale. Come potevano, dei "mullah" venuti su a scritti esoterici medievali affrontare i formidabili problemi del ventesimo secolo? Non c'era bisogno di essere dei trozkisti, nel 1979, per pensare che la caduta dello Shah avrebbe inevitabilmente e velocemente aperto la strada ad una più profonda rivoluzione permanente.

Nonostante le cattive previsioni, la Repubblica Islamica non soltanto è sopravvissuta per tre interi decenni, ma negli ultimi anni ha acquisito fama di grande potenza mediorientale, che minaccia tanto i suoi vicini quanto l'unica superpotenza mondiale. Negli Stati Uniti viene ritratta spesso come una via di mezzo tra l'Impero Sassanide ed il terzo Reich, tra il califfato dei primi anni e l'Unione Sovietica. A parte le ragioni geopolitiche per cui la minacciosità di uno stato del terzo mondo con un esercito di quart'ordine viene gonfiata in questo modo, quello che ci si deve chiedere è: cos'è che ha fatto sì che la Repubblica Islamica sopravvivesse per trent'anni?

Vengono rapide in mente quattro risposte, nessuna delle quali tuttavia implica un esame attento. La prima è che il regime dei religiosi abbia scatenato un regno del terrore. E' vero che la Repubblica Islamica ha a volte usato la vioplenza: nel 1979, immediatamente dopo la rivoluzione, quando mise al muro 757 persone molte dfelle quali avevano partecipato al regime dello Shah; nel periodo compreso tra il 1981 ed il 1985, quando soffocò una insurrezione dei Mojahedin-e Khalq, vicini alle posizioni marxiste, uccidendone 12500, e nel 1988, immediatamente dopo la guerra lunga otto anni con l'Iraq, quando impiccò altri duemila prigionieri, anche questi quasi tutti dei Mojahedin. Ma questo bagno di sangue, pur granguignolesco com'è, impallidisce a confronto delle violenze che hanno caratterizzato le altre grandi rivoluzioni, soprattutto quele inglesi, francese, messicana, russa e cinese. Impallidisce anche a confronto con i massacri delle controrivoluzioni di destra come quella indonesiana, quelle in America centrale ed anche quelle francesi del 1848 e del 1870. E la violenza pretese un pedaggio anche dal governo. Tra il 1981 ed il 1982 i Mojahedin uccisero circa duemila appartenenti all'apparato governativo, compreso un presidente, un primo ministro e l'ayatollah Mohammed Beheshti, l'eminenza grigia della leadership religiosa, così come un certo numero di ministri, deputati, giudici, guide della preghiera del Venerdì, dirigenti e funzionari dei Pasdaran. La violenza, nel complesso, ha più contribuito ad indebolire che a rafforzare la Repubblica Islamica.

Il secondo motivo spesso addotto come ragione per la sopravvivenza della Repubblica Islamica è la guerra con l'Iraq (1980-1988). E' vero che l'iniziale invasione irachena contribuì a far sì che la nazione serrasse i ranghi dietro al proprio governo. Ma la prosecuzione dei combattimenti al di là della frontiera irachena nel maggio 1982, sotto le parole d'ordine di "guerra, guerra fino alla vittoria" e "la strada per Gerusalemme passa per Baghdad" ha fatto molto per danneggiare la Repubblica Islamica. La maggior parte dei danni subìti dall'Iran in termini di vite umane, distruzioni e depauperamento econoico si è verificata negli ultimi cinque anni di combattimenti, e nel 1988 l'Ayatollah Ruhollah Khomeini dovette accettare condizioni che gli erano state proposte già nel maggio 1983. Adesso la chiamano la guerra imposta, ma la guerra è stata imposta all'Iran in più modi, non soltanto in uno.

In terzo luogo, si fa comunemente riferimento alle entrate petrolifere. E' vero che il denaro che viene dal petrolio unge molte ruote nella macchina governativa iranaiana, esattamente come succede nei rentier states vicini. Ma le entrate petrolifere non sono né una maledizione assoluta, né il deus ex machina che si nasconde per forza dietro l'ascesa e la caduta di tutte le forme di governo e via di questo passo. In fin dei conti, il petrolio non ha garantito la sopravvivenza dello Shah. E dal 1979 la Repubblica Islamica ha patito per le accentuate fluttuazioni del prezzo internazionale del greggio. Dopo aver raggiunto i trentanove dollari a barile nel 1981, il prezzo del petrolio è crollato ad un minimo di nove dollari nel 1986, è rimasto sotto i venti dollari per la maggior parte degli anni ultimi anni Ottanta, è arrivato a trentadue nel 1991 ed è caduto di nuovo sotto i dieci nel 1999. Il prezzo del petrolio non si è impennato nuovamente fino all'invasione statunitense dell'Iraq nel 2003. Gli ultimi trent'anni sono dunque stati in pari misura di carestia e di abbondanza.

L'Islam sciita rappresenta la quarta ragione cui si fa riferimento per spiegare sia la Rivoluzione Islamica sia la durata nel tempo della Repubblica Islamica. Vero è che non si possono analizzare le manifestazioni di massa del 1978 senza prendere in considerazione la religione: lo testimonia il potente slogan "Fate di ogni luogo una Karbala, di ogni mese un muharram, di ogni giorno un ashura". Ma se davvero la motivazione principale risiede nell'Islam sciita, ci troviamo davanti ad un'altra questione, ovvero il perché l'Iran, che è a maggioranza sciita fin dal 1500, non è arrivato alla Rivoluzione Islamica prima del 1979. Per la maggior parte dei quattrocentosettant'anni precedenti l'Islam sciita è stato considerato, nel migliore dei casi, apolitico e quietista e nel peggiore dei casi conservatore e reazionario. Non esiste storico che poss far propria la spiegazione ufficiale secondo la quale l'imperialismo, l'assetto monarchico dello stato ed il sionismo avevano per secoli distorto l'Islam sciita e che il mondo doveva attendere l'arrivo di Khomeini che svelasse la natura autenticamente rivoluzionaria dell'Islam. L'idea che la repubblica sia sopravvissuta perché repubblica islamica è una tautologia.

Se questo fastello di spiegazioni non è abbastanza, dove altro cercare? La risposta autentica non sta nella religione, ma nel populismo economico e sociale. Dall'inizio degli anni Settanta l'Iran aveva cominciato a produrre una generazione di intellettuali radicalli che erano rivoluzionari non solo dal punto di vista politico, perché volevano sostituire la monarchia con una repubblica, ma anche nelle loro prospettive economiche e sociali. Volevano trasformare da capo a piedi l'assetto della società. Il loro pioniere fu un giovane intellettuale di nome Ali Shariati, che non visse abbastanza per vedere la rivoluzione ma che nutrì dei suoi insegnamenti il movimento rivoluzionario. Ispirato dagli algerini, da Che Guevara e da Ho Chi Minh, Shariati trascorse la sua breve vita reinterpretando l'Islam sciita come ideologia rivoluzionaria, e facendone una sintesi con il marxismo. Approdò a quella che può essere definita una versione sciita della teologia della liberazione prodotta dagli ambienti cattolici. I suoi insegnamenti toccarono non soltanto gli studenti delle università e delle scuole superiori, ma anche i più giovani studenti delle scuole religiose. Questi teologi in erba potevano accettare senza difficoltà i suoi insegnamenti, fatto salvo un loro sporadico anticlericalismo. Uno di questi studenti di teologia si spinse al punto di descrivere l'imam Hussein come un Che Guevara ante litteram, e Karbala come la Sierra Madre. La maggior parte di coloro che hanno organizzato manifestazioni e scontri nelle strade e nei bazar durante i turbolenti mesi del 1978 erano studenti universitari e delle scuole superiori ispirati soprattutto da Shariati. I suoi slogan, che avevano più in comune con il populismo terzomondista che non con l'Islam sciita comunemente inteso, si trasformarono, a volte passando per Khomeini, in slogan e striscioni che pavesarono tutta la rivoluzione. Esempi classici erano:

I nostri nemici si chiamano imperialismo, capitalismo e feudalesimo!
L'Islam appartiene agli oppressi, non agli oppressori!
Oppressi di tutto il mondo unitevi!
L'Islam non è l'oppio dei popoli!
L'Islam è per l'uguaglianza e per la giustizia sociale!
L'Islam rappresenta quelli che abitano nei ghetti, non quelli che abitano nei palazzi!
L'Islam eliminerà le differenze di classe!
L'Islam promana dalle masse, non dai ricchi!
L'Islam sradicherà la povertà!
Noi siamo per l'Islam, non per il capitalismo e per il feudalesimo!
L'Islam libererà gli affamati dalla stretta dei ricchi!
I poveri hanno combattuto a fianco del Profeta, i ricchi hanno combattuto contro di lui!
I poveri muoiono per la rivoluzione, i ricchi complottano contro di essa!
Indipendenza, libertà, Repubblica Islamica!
Libertà, uguaglianza, Repubblica Islamica!

Questo populismo contribuisce a spiegare non solo il successo della rivoluzione, ma anche il fatto che la Repubblica islamica continui a sopravvivere. La Costituzione della Repubblica -in 175 articoli- ha trasformato queste aspirazioni generiche in propositi scritti nero su bianco. Si è impegnata ad eliminare la povertà, l'analfabetismo, le baraccopoli e la disoccupazione. Ha inoltre promesso di fornire alla popolazione un'istruzione gratuita, cure mediche accessibili, alloggi decorosi, pensioni, sussidi di invalidità ed assicurazione contro la disoccupazione. "Il governo", si legge nella Costituzione "è obbligato per legge a fornire i servizi su menzionati ad ogni individuo del paese." In breve, la Repubblica Islamica ha promesso di realizzare un vero e proprio stato sociale, nel senso proprio del termine che l'espressione ha in Europa, non in quello dispregiativo che essa assume in America.

Nei tre decenni successivi alla rivoluzione, la Repubblica Islamica -nonostante la sua pessima immagine all'estero- ha compiuto passi significativi verso la realizzazione di queste promesse. Lo ha fatto dando la priorità ai servizi sociali piuttosto che alle spese militari e, quindi, ampliando significativamente i Ministeri della Pubblica Istruzione, della Sanità, dell'Agricoltura, del Lavoro, degli Alloggi, dell'Assistenza e della Previdenza sociale. Le forze armate assorbivano fino al 18 per cento del prodotto interno lordo negli ultimi anni dello Shah. Ora assorbono meno del 4 per cento. Il Ministero delle Industrie è cresciuto, in gran parte anche perché nel 1979-1980 lo Stato ha acquisito numerose grandi fabbriche i cui proprietari sono fuggiti all'estero. L'alternativa sarebbe stata quella di chiuderle e di creare una disoccupazione di massa. Poiché la maggior parte di queste fabbriche avevano lavorato soltanto grazie ai sussidi elargiti dal vecchio governo, il nuovo non ha avuto altra scelta che continuare a sovvenzionarle.

In tre decenni, lo stato è arrivato ad un passo dallo sradicare l'analfabetismo tra le generazioni post-rivoluzionarie, riducendone il tasso globale dal 53 per cento al 15 per cento [1]. Il tasso tra le donne è sceso dal 65 per cento al 20 per cento. Lo Stato ha aumentato il numero degli studenti iscritti nelle scuole elementari da 4.768.000 a 5.700.000, quello degli studenti iscritti nelle scuole secondarie da 2,1 milioni a oltre 7,6 milioni, quello degli iscritti negli istituti tecnici da 201.000 a 509.000, e quello degli studenti universitari da 154.000 a oltre un milione e mezzo. La percentuale di donne nella popolazione studentesca universitaria è salita dal 30 per cento al 62 per cento. Grazie ai miglioramenti nel sistema sanitario, l'aspettativa di vita alla nascita è passata da 56 a 70 anni, e la mortalità infantile è scesa dal 104 al 25 per mille. Sempre grazie ai miglioramenti del sistema sanitario, i tasso di natalità è sceso da un massimo storico di 3,2 a 2,1 mentre il tasso di fertilità -il numero medio di figli per donna- da sette a tre. Si prevede un ulteriore calo a due entro il 2012, il che significa che l'Iran nel prossimo futuro arriverà praticamente ad essere un paese a crescita zero.

La Repubblica islamica ha colmato il divario tra la vita urbana e vita rurale in parte facendo aumentare il prezzo delle derrate agricole in proporzione a quello degli altri prodotti ed in parte realizzando scuole, presidi medici, strade, elettrodotti e canalizzazioni nelle campagne. Per la prima volta chi vive in campagna può permettersi beni di consumo, anche moto e furgoni pickup. Secondo un economista che, nel complesso, è critico nei confronti della Repubblica Islamica, l'80 per cento delle famiglie che vivono in campagna possiede un frigorifero, il 77 per cento un televisore ed il 76 per cento una cucina a gas [2]. Circa 220.000 famiglie di contadini, inoltre, hanno ricevuto 850.000 ettari di terreni confiscati alla vecchia élite. Essi, insieme con le circa 660.000 famiglie che avevano ottenuto terra ai tempi della precedente Rivoluzione Bianca, formano una solida classe contadina che ha beneficiato non solo di questi nuovi servizi sociali, ma anche di cooperative sovvenzionate dallo Stato e barriere doganali di protezione. E' questa classe a fornire al governo una base sociale rurale.

La Repubblica Islamica si è fatta carico anche dei problemi della povertà urbana. Ha sostituito le baraccopoli con case popolari, abbellito i quartieri che si trovavano nelle peggiori condizioni e portato elettricità, acqua e fognature ai quartieri operai. Un giornalista americano molto critico nei confronti delle politiche economiche portate avanti dalla Repubblica Islamica ammette che "l'Iran è diventato un paese moderno, con pochi segni visibili di squallore." [3] Inoltre, cosa più importante, ha integrato il reddito del sottoproletariato -sia nelle aree rurali che nelle città- fornendo generosi sussidi sottoforma di pane, benzina, gas, calore, elettricità, medicine e mezzi di trasporto pubblico. La Repubblica Islamica può non aver eliminato la povertà, può non aver ridotto in misura apprezzabile il divario che esiste tra ricchi e poveri, ma ha fornito al sottoproletariato una rete di servizi sociali. Secondo quanto afferma lo stesso economista dalla mentalità sgombra, "La povertà è scesa ad un livello invidiabile, per quello che è un paese in via di sviluppo a reddito medio." [4]

Oltre alla forte espansione dei ministeri centrali, la Repubblica islamica ha anche istituito numerose fondazioni semi-indipendenti, come quella dei Mustad'afin (gli oppressi), quella dei Martiri, quella per le Abitazioni, ed anche le fondazioni assistenziali Alavi ed Imam Khomeini. Presieduta da religiosi o da altre persone nominate dalla Guida Suprema e ad essa fedeli, queste fondazioni insieme rappresentano ben il 15 per cento dell'economia nazionale ed hanno entrate che ammontano alla metà del bilancio statale. Gran parte della loro attività deriva da aziende confiscate alla ex élite. La più grande di ese, la Fondazione dei Mustad'afin, amministra 140 stabilimenti industriali, 120 miniere, 470 industrie agro-alimentari, 100 imprese di costruzioni e innumerevoli cooperative rurali. Possiede anche i due più importanti quotidiani del paese, Ettelaat e Keyhan. Secondo il Guardian, nel 1993 la Fondazione impiegava 65.000 persone ed ogni anno aveva entrate per oltre dieci milardi di dollari.[5] Alcune di queste fondazioni esecitano anche un'azione lobbyistica per proteggere le quote di iscritti all'università destinate ai veterani di guerra, e tutte insieme forniscono salari e benefits, come pensioni, abitazioni ed assicurazioni sanitarie, a centinaia di migliaia di persone. In altre parole, le fondazioni funzionano come stati sociali a sé stanti, all'interno di uno stato sociale più ampio.

Il ruolo importante che lo stato sociale riveste fa sì che le spese ad esso associate costituiscano una sorta di terzo binario per la politica iraniana. Pochi politici -conservatori o liberali, riformisti o fondamentalisti, radicali o moderati, pro-business o pro-lavoro- sono tanto sconsiderati da farsi consigliare da economisti della scuola di Chicago che, all'interno e all'esterno del paese, denunciano il "pericolo morale" di uno stato ingombrante e invece incensano estatici le "virtù" del libero mercato come le privatizzazioni, le macchine governative snelle, la competizione tra le imprese, il rapporto costo-beneficio, l'efficienza, l'imprenditorialità, la globalizzazione e l'ingresso nel WTO. In realtà, la maggior parte dei politici dopo la rivoluzione ha aderito, in misura più o meno ampia, al populismo economico. Alcuni, come gli ex presidenti Ali Akbar Hashemi-Rafsanjani e Mohammad Khatami, hanno messo sì la sordina al populismo, ma non hanno certo toccato le realizzazioni dello stato sociale. Altri, come il presidente Mahmoud Ahmadinejad, si sono comportati da populisti tutti d'un pezzo, promettendo di "portare le rendite petrolifere sui tavoli da pranzo di tutto il popolo" e di ampliare ulteriormente i programmi sociali. Nessuno, dotato di realismo, opererebbe tagli drastici alla rete della sicurezza sociale, anche se esistono in ogni modo dei limiti anche al populismo: Ahmadinejad, per esempio, ha messo dei limiti alle quantità di carburante ammesse ai sussidi.

I prossimi decenni metteranno alla prova la capacità del'assetto statale vigente di destreggiarsi tra le esigenze dei programmi populisti, che contrastano con quelle della classe media istruita -in particolare con quelle dell'esercito in continua espansione di laureati prodotti, ironia della sorte, da una delle principali conquiste della rivoluzione. Questa nuovo strato ha bisogno non solo di posti di lavoro e di un livello di vita decoroso, ma anche di una maggiore mobilità sociale, di accesso al mondo esterno -con tutti i pericoli che questo comporta, soprattutto per le ben protette industrie nazionali- e, al tempo stesso, della creazione di una società civile vera e propria. La Repubblica Islamica può essere in grado di soddisfare queste richieste formidabili se trova nuove fonti di reddito sottoforma di petrolio e di gas, ma per farlo avrà bisogno di migliorare notevolmente le sue relazioni con Washington, in modo che le sanzioni economiche possano essere revocate. Senza la revoca delle sanzioni, l'Iran non potrà accedere alla tecnologia e ai capitali necessari a sviluppare le sue grandi riserve di gas. Se non si concretizzeranno nuove entrate, le politiche classiste potrebbero alzare nuovamente la testa. Per trent'anni il populismo è riuscito a smussare l'impatto delle politiche classiste: potrebbe non poterlo fare in futuro.



Note.

1. La maggior parte di queste statistiche provengono da relazioni governative. Per una sintesi aggiornata di queste relazioni, vedere Middle East Institute, The Iranian Revolution at 30 (Washington, DC, 2009).
2. Djavad Salehi-Isfahani, "Poverty and Inequality Since the Revolution," The Iranian Revolution at 30 (Washington, DC: Middle East Institute, 2009), p. 107.
3. Laura Secor, "The Rationalist," New Yorker, February 2, 2009.
4. Salehi-Isfahani, p. 105.
5. Guardian, July 9, 1993.



Ervand Abrahamian è Professore Emerito presso il dipartimento di storia della Central University of New York, al Baruch College ed al Graduate Center della City University di New York. E' autore di A History of Modern Iran (Cambridge, 2008). Questo articolo è stato pubblicato da Middle East Report 250 (primavera 2009), è qui riprodotto per scopi didattici.

giovedì 7 aprile 2011

Greve in Chianti "schiaffeggia" Oriana Fallaci? Ha fatto bene.


Nell'aprile 2011, dopo tempi neppure troppo lunghi dal primo sollevarsi della questione, l'amministrazione di Greve in Chianti annuncia la stipula di una convenzione con i credenti che risiedono nei pressi della cittadina. A suo tempo trattammo i professionisti dell'"occidentalismo" con le còtiche, comparse meno che mediocri nel coro linciatorio ed ebefrenico che impera da oltre dieci anni, con molta più generosità di quanta ne avrebbero meritata. Sono passati diversi mesi: tempo che non è servito a questi mangiaspaghetti per migliorare le proprie competenze in fatto di orientalistica, ma che è servito invece a trovare la maniera di consentire ai credenti di accedere ad una sala polivalente utilizzabile per la preghiera. I nostri lettori conoscono Greve perché cittadina di origine della "scrittrice" Oriana Fallaci: l'aneddotica deteriore che infittisce le testimonianze delle sue permanenze nella zona ha dato da scrivere a diversa gente. Secondo Camilla Cederna
Nella sua bellissima tenuta valutata un bel numero di miliardi dove produce vino e olio e ha molte cascine, ha litigato con tutti i contadini, e resistendo a uno di loro che non voleva che sconfinasse nel suo territorio (o qualcosa di simile) si prese un ceffone che la mandò all'ospedale.
Lo stesso episodio lo riferisce Massimo Fini:
Un giorno -correva la fine degli anni Sessanta- la Fallaci arrivò in redazione all'Europeo con una guancia vistosamente fasciata, come per un enorme mal di denti, e un braccio rotto. Ai colleghi che, incuriositi, le chiedevano cosa fosse successo, rispose che era stato un banale incidente casalingo. Ma poi venne fuori la verità. A Greve in Chianti, dove abitava ed ha tuttora una casa, aveva un vicino, un contadino, che era la sua vittima predestinata. Non c'era cortesia, favore, servizio, aiuto che Oriana non gli chiedesse. E quello, paziente, eseguiva. Un giorno che lui doveva andare a Firenze lei gli appioppò, come tante altre volte, un mucchio di incombenze e di acquisti dandogli disposizioni minuziosissime: la tal cosa e la talaltra dovevano essere fatte proprio in un certo modo, non si sbagliasse. Al ritorno del contadino risultò che uno degli acquisti non corrispondeva esattamente ai desideri di Oriana che, a berci e urli, gli fece una scenataccia. Il contadino girò il culo e non sifece più vedere. Sembrava essersi smaterializzato, quando Oriana lo cercava non lo trovava. Ricomparve d'improvviso molte settimane dopo, dietro una siepe, mentre Oriana passeggiava per i campi e la riempì di botte, vendicando d'un sol colpo i redattori dell'Europeo, che si abbandonarono, quando lo seppero, a scene di giubilo e tutti quelli, infiniti, che della Fallaci avevano subito le prepotenze e le violenze.
Non si capisce quindi quali pretese di rispetto potesse avanzare un elemento del genere da vivo.
Figurarsi da morto.
Tanto dovrebbe bastare alla pattuglia di "occidentalisti" che ormai da diversi anni sta perorando la causa privata del proprio tornaconto come se fosse quella del bene comune, per evitare di indignarsi troppo. Ma questa è una pretesa che si può avanzare soltanto nei confronti di chi possieda almeno un barlume di buona fede, il che fa sì che pretendere tanto da simili soggetti ed in simili circostanze pecchi grossolanamente di poco realismo.
L'unica gazzetta ad insistere sulla non notizia -perdendo tra l'altro l'occasione di piombare per prima su di essa- è stata, come al solito, "Il Giornale della Toscana", che ha mandato uno Scaffardi a sentire il parere dei due o tre "occidentalisti" di cui sopra, impegnati da tempo in un servizio tanto permanente ed effettivo quanto stigmatizzante, umiliante, pedestre, incompetente e spregevole. Il tutto è rendicontato in un lungo articolo del 7 aprile 2011.
La cosa interessante è che questo Scaffardi, e le forbiciate redazionali insieme a lui, neanche si rendono conto della pochezza delle argomentazioni cui dànno voce, che le rendono ai limiti del controproducente. Avrebbero fatto meglio ad occuparsi di pallone e di maccheroni, con qualche incursione nel territorio della pornografia: gli unici terreni su cui loro, i loro lettori ed i loro consudditi si dimostrino versati ed attendibili.
Si ricorderà come Marco Cordone, antiislamico da dopolavoro e micropolitico "occidentalista", a suo tempo avesse fatto fuoco e fiamme, vantando allora come oggi un'oceanica levata di scudi "antimoschea" fatta con le solite firme. Insomma, sembra che in tutto questo tempo non abbia trovato una mezz'ora per consegnare le firme raccolte agli amministratori locali, cosa educatamente ricordata all'intervistatore da un certo Alberto Bencistà.
Non contento, Cordone replica paragonando la presenza dei credenti a Greve con l'assalto alla sede dell'ONU di Mazar I Sharif.
Purtroppo per lui, l'"Occidente" non è fatto soltanto di mangiatori di spaghetti capaci soltanto di cianciare di pallone e di sfogliare riviste pornografiche; esistono anche, sia pure su quote ampiamente minoritarie, individui che gradirebbero sulla questione un po' di completezza in più. Perché Mazar I Sharif è stato, come sempre, il risultato voluto e cercato dalla sicumera da bambini viziati con cui l'"Occidente" è abituato a misurarsi con il resto del mondo. In questo caso, è dovuto in primo luogo all'indiscutibile successo di un episodio densissimo di esibizionismo da tornaconto, in cui si è prodotto un incosciente ed insignificante grassone della Florida che si fregia, non è dato sapere per quali competenze, del titolo di "pastore". Tutto questo però Marco Cordone si è dimenticato di ricordarlo.

domenica 3 aprile 2011

Wayne Sapp ed i comportamenti abituali nella democrazia da esportazione


Esistono contesti in cui la profonda abiezione "occidentalista" riempie di sé ogni aspetto della vita sociale, assieme ai suoi abituali corollari di incoscienza, incompetenza, meschinità, tornaconto e crudeltà gratuita.
Uno di questi contesti è rappresentato dall'intreccio politico e mediatico yankee di cui gazzettine locali e network perennemente ciancianti sono al tempo stesso organi costitutivi e portavoce; un mondo intero di comunicazione che ha informato di sé ogni altro contesto, dilagando su scala planetaria. Da qualche anno in qua la diffusione delle reti telematiche permette di ricostruire anche i più laidi tentativi messi in opera dai soggetti più insulsi per arrivare ad un quarto d'ora di mainstream, senza doversi disturbare a frequentare emeroteche.
Se così non fosse, il nome di Wayne Sapp sarebbe rimasto, molto giustamente, oscuro a quanti non avessero avuto modo di frequentare la minuscola e demenziale conventicola della Florida in cui costui eserciterebbe un ministero di culto. Su realtà ed organizzazioni come questa, sulla loro sostanziale venalità lobbystica e sulla loro importanza per la diffusione della mentalità e della cultura "occidentaliste" sono stati scritte intere biblioteche. Dalla tutt'altro che elogiativa pagina di Wikipedia che tratta di questo "Outreach Center" si deducono varie cose, tra l'altro che la formazione dei "religiosi" che operano in questi contesti richiederebbe poco impegno ed ancora meno tempo. Un paragone con realtà normali quali le scuole teologiche sciite o gli stessi corsi di teologia necessari alla formazione di base di un sacerdote cattolico sono al di là del proponibile; realtà come questa non sono altro che il caso particolare di un sistema formativo, in via di implementazione anche nello stato che occupa la penisola italiana, in cui chi prende bene a calci un pallone può esimersi dallo studio della trigonometria.
Al suo arrivo a Buna Monowitz Primo Levi fu accolto da un personaggio misterioso ed inquietante, che lo introdusse alla realtà che lo attendeva rivelandogli che chi tirava bene di boxe poteva diventare cuoco. Il che significa che perfino la macchina da sterminio del nazionalsocialismo valutava professionalità e competenze con maggiore appropriatezza.
Nella primavera del 2011 questo Wayne Sapp vede premiati gli insistenti tentativi con cui da tempo andava cercando visibilità, sicuramente sotto il pretesto del troop supporting. Uno di questi era consistito, nel 2009, nel mandare in giro ragazzini che indossavano magliette come quelle nella foto. Bucato da un pezzo il mainstream, questo individuo insignificante avrebbe bruciato una copia del Libro, con ogni probabilità a garantito beneficio del proprio portafoglio. Il circuito mediatico ha portato la "notizia" ai quattro angoli del mondo: stranamente la marmaglia "occidentalista" che vegeta nello stato che occupa la penisola italiana non è ancora riuscita, nonostante l'indubbio impegno profuso, a conseguire un successo di tale portata.
Uno degli angoli del mondo in cui la "notizia" sarebbe giunta è rappresentato dalla città afghana di Mazar I Sharif. Mazar I Sharif è occupata da dieci anni da forze militari straniere a cui una plètora di Sapp ha fornito pezze d'appoggio e materiale propagandistico, in una istruttiva e rivelatrice gara di cialtroneria retribuita esimersi dalla quale significava farsi dare di terrorista anche dall'ultimo cameriere della cianciante feccia con la cravatta che in "Occidente" prende l'appropriato nome di "classe politica".
E' verosimile pensare che in Afghanistan l'evento sia stato veicolato, in un modo o nell'altro, in lingua inglese. Non sappiamo quanti yankee conoscano il pashtun (please note: pashtun is a language, not a new kind of hamburger; this means it is in most cases something a yankee can't cope with), ma sicuramente ci sono afghani capaci di intendere l'inglese quel tanto che basta per capire cosa pensano di loro e della loro cultura i democratizzatori da esportazione. E magari da tradurlo e farlo sapere in giro.
L'oziosa maniera scelta da quell'inutile obeso per fare giornata e fare cassetta (invece di pensare a dimagrire) si è tradotta in una nutrita serie di manifestazioni di piazza.
Soltanto nel corso di una di esse un gruppo di individui armati ha attaccato una rappresentanza dell'ONU facendo strage dei gurkhas che la presidiavano. A seconda delle fonti, dai dieci ai venti morti. Di quelli che non finiscono neanche nelle statistiche perché il numero di clienti sottratto ai fast food ed alle funeral homes di provincia da parte di dieci anni di una quotidianità di questo genere viene tranquillamente giudicato tollerabile.
E Wayne Sapp?
Come vederlo. Seduto al tavolo di plastica, mentre immerge le dita unte nel solito mezzo chilo di french freedom fries.

venerdì 1 aprile 2011

Nello Rega - Nello Rega - Nello Rega - Nello Rega


Raffaele Gerardi e Nello Rega

Si segnalano, a beneficio della notorietà dell'interessato e di quanti abbiano ragione di temere le conseguenze devastanti che una dichiarazione di guerra da parte di Hezbollah potrebbe avere per l'intera zona del Cilento e del materano, due lunghi post di Miguel Guillermo Martinez Ball, ricchi di interessanti spunti di discussione sul Medio Oriente contemporaneo, sullo stato che occupa la penisola italiana e soprattutto sulle competenze di Nello Rega in materia di orientalistica in generale e di islamistica in particolare.

Il primo post è del gennaio 2011 ed è intitolato Quando Hezbollah dichiarò guerra alla Basilicata. In cui incontriamo Nello Rega, il Dirupo d’Oro, vari proiettili e numerosi militari, nonché pratiche erotiche lucane, e scopriamo anche la colpevole.

Il secondo è dell'aprile dello stesso anno. I pericoli che denuncia, vista la situazione internazionale, sono ancora più incombenti e temibili. Hezbollah contro Nello Rega, la grande minaccia chimica incombe sulla Lucania.

Si tratta di materiale corposo e documentato: ecco l'incipit del primo articolo, come invito alla lettura.
Hezbollah è un noto movimento politico libanese, attualmente impegnato in un conflitto con quattro potenti avversari:

* Gli Stati Uniti d’America
* Israele
* l’Arabia Saudita
* Nello Rega, giornalista di Potenza.

Al momento, l’unico fronte su cui si registrano attività militari è il quarto. I combattenti che hanno tenuto testa per 40 giorni alle armate di terra, di aria e di mare d’Israele, hanno però registrato finora un fallimento clamoroso nello scontro con Nello Rega.
Ma procediamo con ordine...