24 settembre 2025

Alastair Crooke - "Prima di tutto lo stato sionista". Ecco quale genio è uscito dalla lampada


Traduzione da Strategic Culture, 22 settembre 2025.

"Gaza è in fiamme; lo Stato ebraico non cederà", proclama entusiasta il Ministro della Difesa Katz: "Le forze armate dello stato sionista stanno colpendo con il pugno di ferro le infrastrutture terroristiche". In realtà, nelle ultime settimane lo stato sionista ha colpito "infrastrutture" in Cisgiordania, Iran, Siria, Libano, Yemen e Tunisia, oltre che a Gaza.
Il progetto che chiamavano di "ordine basato sulle regole" (ammesso che sia mai esistito davvero, al di là della narrativa) è diventato carta straccia ed è stato sostituito da un sionismo violento: genocidio, attacchi proditori intanto che si fa finta di intraprendere negoziati di pace, assassinii e decapitazione delle leadership politiche. È una guerra senza limiti, senza regole, senza legge e in completo disprezzo della Carta delle Nazioni Unite. I limiti imposti dall'etica, in particolare, vengono liquidati come mero "relativismo morale".
La politica estera dello stato sionista sta subendo una profonda trasformazione. Una trasformazione che deve essere intesa come una virata di centoottanta gradi nei confronti dell'essenza stessa del pensiero sionista. Una rotta che da Ben Gurion porta a Kahane, come ha scritto Yossi Klein.
La strategia dello stato sionista negli ultimi decenni si è sempre basata sulla speranza di arrivare a una vera e propria "deradicalizzazione" sia dei palestinesi che della regione in generale. Una chimera, che nelle intenzioni dovrebbe rendere "sicuro" lo stato sionista. Fin dai tempi della fondazione, il sacro obiettivo dei sionisti è sempre stato questo.
Il ministro degli Affari strategici Ron Dermer sostiene che a un mutamento così radicale nella coscienza collettiva si potrà arrivare solo bombardando gli oppositori fino alla loro totale sottomissione, lezione che egli trae dalla Seconda guerra mondiale. Per lo meno questo aspetto, nella politica estera dello stato sionista, è chiaro: in guerra, si segue la legge della giungla.
Ma c'è un altro aspetto, forse più preoccupante: le norme e i principi etici che lo stato sionista cerca apertamente di distruggere sono, in ultima analisi, norme e principi proclamati dagli Stati Uniti. Solo che quando c'è di mezzo lo stato sionista gli USA mettono da parte la loro etica tradizionale in una maniera stupefacente. Invece di criticare il ricorso dello stato sionista a iniziative militari contrarie ad ogni etica o di mettervi un freno, l'amministrazione Trump le imita: attacchi proditori intanto che finge di intavolare negoziati, tentativi di decapitazione e attacchi missilistici contro navi sconosciute al largo del Venezuela che vaporizzano gli equipaggi.
Gli Stati Uniti si stanno comportando apertamente in questo modo, e come lo stato sionista ignorano il diritto e le convenzioni internazionali.
Sembra che le personalità fondamentali dello establishment statunitense mostrino una sempre maggiore predilezione per le strategie militari dello stato sionista e che stiano addirittura passando dall'etica morale della cosiddetta "guerra giusta" a una più vicina all'etica ebraica di Amalek. Questo significa aggiornare il software morale occidentale all'insegna della "giustizia" alternativa rappresentata dalla guerra senza quartiere.
Lo stato sionista ha un futuro? In questo momento esso sta portando avanti una seconda Nakba a Gaza e in Cisgiordania; la società ebraica resta intrappolata fra repressione e negazione, proprio come nel 1948. Lo storico israeliano Ilan Pappe ha scritto nel 2006, nella sua fondamentale opera sulla Nakba del 1948, che è indispensabile "recuperare [gli eventi del 1948] dall'oblio":
Una volta presa la decisione [il 10 marzo 1948], ci vollero sei mesi per completare la missione. A missione finita più della metà della popolazione autoctona della Palestina, quasi ottocentomila persone, era stata sradicata. Cinquecentotrentuno villaggi... distrutti e undici quartieri urbani svuotati dei loro abitanti. Il piano... e soprattutto la sua sistematica attuazione nei mesi successivi, furono un caso di esplicita operazione di pulizia etnica. Una cosa considerata oggi dal diritto internazionale come un crimine contro l'umanità...
La storia del 1948 non è complicata... È la semplice ma terribile storia della pulizia etnica della Palestina, un crimine contro l'umanità che lo stato sionista ha voluto negare e far dimenticare al mondo. Recuperarlo dall'oblio è un nostro dovere, non solo come atto di ricostruzione storiografica o come dovere professionale, ma anche come iniziativa sul piano morale. È il primo passo che dobbiamo compiere se vogliamo che la riconciliazione abbia una possibilità.
Recentemente ho scritto di come il controverso documentario della regista Neta Shoshani sulla Nakba del 1948 abbia mostrato come nello stato sionista i limiti dettati dall'etica e dalla legge siano stati cancellati in una sanguinosa ridda di stupri. La Shoshani afferma che la perdita assoluta di ogni limite etico -nessuno è stato chiamato a risponderne e non c'è stata alcuna giustizia- ha messo in pericolo la legittimità del progetto di fondazione dello Stato. Se questo venir meno si verificasse di nuovo -come nel caso della guerra attualmente in corso- "potrebbe essere la cosa che porrà fine allo stato sionista".
Le considerazioni della Shoshani alludono al trauma che gli ebrei laici liberali subiscono a fronte delle condotte e dello stile di vita della loro società, in gran parte laica e liberale, che vengono stravolte dalla svolta verso gli obiettivi militaristici ed escatologici della destra. Il ministro delle Finanze Smotrich ha recentemente dichiarato che il popolo ebraico sta vivendo "il processo della redenzione e del ritorno della presenza divina a Sion, mentre si impegna nella 'conquista della terra'".
Molti ebrei europei erano giunti nel nuovo Stato in cerca di sicurezza e protezione, ma anche per partecipare al progetto sionista in Palestina.
Per ora, Netanyahu afferma di avere da Trump un sostegno "al 100%" e "credito illimitato" per il putiferio scatenato in tutta la regione. Come scrive Ben Caspit, citando un alto diplomatico dello stato sionista:
Il fatto che Rubio sia arrivato qui pochi giorni dopo l'attacco [di Doha] e non abbia espresso quasi nessuna critica –anzi– è un ulteriore avallo per l'operazione dello stato sionista a Gaza... lo stato sionista non ha mai ricevuto un'apertura di credito tanto generosa e tanto lunga, da nessuna amministrazione ameriKKKana.
E Trump sembra allontanarsi dalla nomea di "pacificatore globale" per concentrarsi più specificamente sulla dimostrazione del "grandioso eccezionalismo" ameriKKKano attraverso dazi, sanzioni o operazioni militari. In questo modo dimostra quanto l'AmeriKKKa sia dominatrice, se non propriamente grande.
Eppure ci sono problemi, e sono fin troppo evidenti: negli anni scorsi lo stato sionista era stato in gran parte relegato ai margini della Conferenza Nazionale dei Conservatori degli Stati Uniti. Questa volta invece lo Stato ebraico e le sue guerre non si potevano tralasciare. L'ultima conferenza dei conservatori è scivolata in una serie di schermaglie tra i "realisti" neoconservatori che sostengono lo stato sionista e coloro che chiedono: "Perché dobbiamo infilarci in guerre come queste? Perché gli infiniti problemi dello stato sionista sarebbero una responsabilità degli Stati Uniti? Perché dovremmo accettare [lo stato sionista come parte del] prima l'AmeriKKKa?" Il direttore di The American Conservative è sbottato: "Non dovremmo, c***o!"
La tensione all'interno del Partito Repubblicano è evidente: i sostenitori del MAGA desiderano sostenere Trump, ma i grandi donatori e i commentatori ebrei, come il falco filosionista Max Abrahms, hanno deriso gli "isolazionisti del MAGA" estimatori di Tucker Carlson presenti alla conferenza, raffigurati come degli "invasati" per la loro determinazione a disimpegnarsi dal Medio Oriente.
Trump ha avvertito Netanyahu che il genocidio a Gaza sta indebolendo il sostegno di cui lo stato sionista gode tra i repubblicani, in particolare tra i giovani. Trump non ha modificato la sua linea di incondizionato sostegno allo stato sionista -quale che ne sia il motivo- ma ha preso atto dell'aria che tira nella sua base elettorale.
Se Trump ha davvero notato il cambiamento, a Netanyahu non importa. Come riferisce Amir Tibon su Haaretz:
Se Trump pensa che le sue considerazioni sull'indebolirsi dell'influenza dello stato sionista sul Congresso saranno un campanello d'allarme per Netanyahu, si sbaglia. Nello stato sionista non avevano bisogno di Trump per sapere che il loro Paese sta perdendo la battaglia per il favore dell'opinione pubblica mondiale.
Netanyahu e Ron Dermer... hanno pacificamente preso atto della perdita di sostegno che lo stato sionista sta subendo a livello internazionale, del suo crescente isolamento, delle minacce di sanzioni e dei mandati di arresto per i suoi leader, compreso lo stesso Netanyahu. I due sembrano non curarsene, e il motivo, ironicamente, è dato proprio dallo stesso individuo che lancia l'allarme: Donald Trump.
Dal punto di vista di Netanyahu, finché il sostegno di Trump regge, niente di tutto questo ha importanza.
Ebbene, le guerre dello stato sionista gli hanno alienato una generazione di giovani conservatori statunitensi che non rivedrà più. Quali che siano le circostanze in cui è stato ucciso Charlie Kirk, la sua morte ha liberato nella politica repubblicana un genio dominatore, che è uscito dalla lampada dicendo "lo stato sionista prima di tutto".
Quando darà un'occhiata in giro, Netanyahu scoprirà che lo stato sionista ha perso il sostegno statunitense. E anche quello del resto del mondo.

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