16 luglio 2025

Alastair Crooke - Gli errori commessi dall'arroganza statunitense stanno cambiando la natura del conflitto mondiale



Traduzione da Strategic Culture, 15 luglio 2025.

La grande questione emersa dall'attacco statunitense del 22 giugno contro l'Iran –seconda solo a "che fine farà l'iran?"– è se Trump ritenga di poter imporre l'uso retorico dell'affermazione di aver "annientato" il programma nucleare iraniano per un periodo sufficientemente lungo da impedire allo stato sionista di colpire nuovamente l'Iran, e al tempo stesso di poter continuare a sbandierare il suo slogan ad effetto che è "ABBIAMO VINTO, adesso comando io e tutti faranno quello che dico io".
Queste erano le questioni chiave sul conflitto che dovevano essere discusse con Netanyahu durante la sua visita alla Casa Bianca questa settimana. A Netanyahu interessa essenzialmente continuare con la "guerra vera e propria", quindi ha esigenze diverse dalla strategia generale di Trump che è quella del cessate il fuoco. Ad essere implicito nel suo approccio del tipo "si arriva, si bombarda, ce ne andiamo e poi arriva il cessate il fuoco" nei confronti dell'Iran è che Trump potrebbe figurarsi di essere riuscito a creare lo spazio necessario a riprendere il suo obiettivo primario, quello di istituire per tutto il Medio Oriente un ordine più ampio incentrato sullo stato sionista e basato su accordi commerciali, legami economici, investimenti e connettività, per creare un'Asia occidentale guidata dal business con al centro Tel Aviv e con Trump come suo "presidente" de facto.
Una "super autostrada commerciale" che gli servirebbe a spingersi oltre, con gli Stati del Golfo che penetrano nel cuore dell'Asia meridionale dei BRICS per interromperne la connettività e tagliarne i corridoi.
Le condizioni indispensabili all'avvio di un ipotetico "Accordo di Abramo 2.0" -e Trump lo capisce chiaramente- sono la fine della guerra a Gaza, il ritiro dei militari dello stato sionista dalla Striscia e la sua ricostruzione. Nessuna sembra realisticamente raggiungibile.
Ciò che emerge piuttosto è che Trump continua ad essere ossessionato dall'illusione che la sua visione incentrata sullo stato sionista possa concretizzarsi ponendo semplicemente fine al genocidio a Gaza, mentre il mondo assiste inorridito al proseguimento della violenta campagna militare egemonica dello stato sionista in tutta la regione. Il difetto più evidente della premessa al ragionamento di Trump è che gli attacchi dello stato sionista e degli USA avrebbero in qualche modo punito l'Iran. È successo esattamente il contrario. L'Iran ne è uscito più unito, più risoluto e più ribelle. Lungi dal finire relegato a osservare passivamente da bordo campo, l'Iran ora, sulla scia dei recenti eventi, ha ripreso il suo posto di potenza regionale di primo piano. Un ruolo da cui sta preparando una risposta militare che potrebbe cambiare le carte in tavola in caso di ulteriori attacchi da parte dello stato sionista o degli USA.
A essere ignorato da tutte le millanterie occidentali sul successo dello stato sionista è che lo stato sionista aveva scelto di puntare tutto su un attacco a sorpresa del tipo shock and awe. Un attacco che avrebbe rovesciato la Repubblica Islamica in un colpo solo. Non ha funzionato: l'obiettivo strategico è stato fallito e il risultato è stato quello opposto. Ma la cosa più importante è che le tecniche utilizzate dallo stato sionista, che hanno richiesto mesi -se non anni- di preparazione, non si possono ripetere tali e quali adesso che i loro stratagemmi sono stati completamente smascherati.
L'errata interpretazione della realtà iraniana da parte della Casa Bianca indica che gli uomini di Trump si sono lasciati ingannare dall'insistente arroganza con cui lo stato sionista ha ribadito come l'Iran non fosse che un castello di carte destinato a crollare completamente una volta paralizzato dal primo assaggio della forza dimostrata dallo stato sionista con le decapitazioni a sorpresa del 13 giugno.
Si è trattato di un errore sostanziale, che fa parte di una serie di errori simili: che la Cina avrebbe capitolato appena minacciata dell'imposizione di dazi; che la Russia avrebbe potuto essere costretta a un cessate il fuoco anche contro i propri interessi; e che l'Iran sarebbe stato pronto a firmare un documento di resa incondizionata a fronte alle minacce di Trump dopo il 22 giugno.
Gli Stati Uniti hanno commesso degli errori che dimostrano, oltre a un costante distacco dalla realtà geopolitica, come l'arroganza e la spavalderia altro non siano che l'orpello della debolezza occidentale. Lo establishment statunitense si aggrappa a una supremazia ormai in declino, ma così facendo -per giunta senza nulla ottenere- ha invece accelerato la formazione di una potente alleanza geostrategica intenzionata a sfidare gli Stati Uniti.
La deriva occidentale verso il ricorso a mezzucci, menzogne e inganni è stata un campanello di allarme per gli altri Paesi: L'operazione "Spider Web" contro la flotta di bombardieri strategici russi alla vigilia dei colloqui di Istanbul e l'attacco a sorpresa degli Stati Uniti e dello stato sionista contro l'Iran due giorni prima di un previsto successivo round di colloqui sul nucleare tra Stati Uniti e Iran hanno rafforzato la decisione a resistere della Cina, della Russia e dell'Iran in particolare, ma più in generale in tutto il Sud del mondo.
L'intero quadro delle ostilità in atto per mantenere il primato del dollaro statunitense ne è uscito irreversibilmente alterato.
Tutti sono sul chi vive perché hanno constatato che a fronte della prospettata sconfitta della NATO in Ucraina, l'Occidente sta intensificando la nuova Guerra Fredda su molti fronti: nel Mar Baltico, nel Caucaso, nella periferia dell'Iran (tramite attacchi informatici) e, naturalmente, tramite un'escalation della guerra finanziaria su tutti i fronti. Trump sta nuovamente minacciando di sanzionare l'Iran e qualsiasi Stato che acquisti il suo petrolio. Lunedì 14 luglio Trump ha pubblicato su Truth Social che avrebbe imposto una nuova tariffa del 10% a "qualsiasi paese che si allinei alle politiche antiamericane dei BRICS".
Naturalmente, i vari Paesi si stanno preparando a contrastare questa escalation. La tensione sta aumentando ovunque.
L'Azerbaigian (e persino l'Armenia) vengono utilizzati come armi contro la Russia e l'Iran dalle potenze della NATO e dalla Turchia. L'Azerbaigian è stato utilizzato per facilitare il lancio di droni dello stato sionista contro l'Iran, e il suo spazio aereo è stato utilizzato anche da aerei dello stato sionista per sorvolare il Mar Caspio, in modo che fosse possibile lanciare verso Tehran missili da crociera stand-off dallo spazio aereo azero sul Mar Caspio.
Il Kurdistan iracheno, il Kazakistan e le zone di confine del Belucistan sono stati utilizzati come piattaforme per infiltrare unità di sabotaggio sia in Russia che in Iran, per preposizionare missili, droni e unità di sabotaggio per la guerra asimmetrica.
Sull'altro fronte di questa guerra in pieno dispiegamento Trump si sta affannando per concludere una serie di accordi "commerciali" in tutto il Pacifico, compresi quelli con l'Indonesia, la Thailandia e la Cambogia. L'obiettivo è quello di costruire una “gabbia” di tariffe speciali più elevate per arginare la pratica cinese di ricorrere a triangolazioni, ovvero di esportare merci in altri Paesi che poi le riesportano a loro volta negli USA.
Gli Stati Uniti hanno creato un precedente con il Vietnam, con una tariffa del 40% su queste triangolazioni, che è esattamente il doppio dell'imposta del 20% sui prodotti fabbricati in Vietnam.
Solo che la strategia shock and awe di Trump, che consiste nell'imporre dazi per rilanciare l'attività industriale statunitense e mantenere il resto del mondo soggetto all'egemonia del dollaro, non sta funzionando: Trump è stato costretto ad annunciare una moratoria di novanta giorni sui dazi del Liberation Day nella speranza che nel frattempo venissero conclusi novanta accordi, ma in realtà sono stati raggiunti solo tre "accordi quadro". L'amministrazione è stata quindi costretta a prorogare ancora una volta la moratoria fino al 1° agosto. Bessent, segretario al Tesoro degli Stati Uniti, ha affermato che molti dei novanta Stati originariamente soggetti ai dazi non hanno nemmeno cercato di contattare gli Stati Uniti per raggiungere un accordo.
La facoltà di punire finanziariamente chi non fa quello che gli USA dicono sta venendo meno. L'alternativa alla rete del dollaro esiste. E non si tratta di una "nuova valuta di riserva".
L'alternativa è la soluzione prevista dalla Cina: una fusione delle piattaforme di pagamento al dettaglio Fintech con i sistemi digitali bancari e delle banche centrali, basata sulla blockchain e su altre tecnologie digitali. Gli Stati Uniti non possono replicare questo approccio perché la Silicon Valley e Wall Street sono in contesta tra loro e non collaboreranno.
Come ha osservato ironicamente Will Schryver un paio di anni fa:
La serie apparentemente infinita di errori causati dall'arroganza dell'impero ha rapidamente accelerato la formazione di quella che è senza dubbio la più potente alleanza militare/economica/geostrategica mai vista in tempi moderni: l'asse tripartito di Russia, Cina e Iran...
Pare incredibile, ma gli USA sono riusciti a passare dalla padella di una guerra regionale per procura contro la Russia alla brace di un conflitto globale che tutti e tre i loro avversari, in costante rafforzamento, considerano ormai una lotta per l'esistenza.
A mio avviso, si tratta quasi certamente della serie di errori geopolitici più inspiegabili e inquietanti che la storia ricordi.

10 luglio 2025

Alastair Crooke - Iran. Trump voleva una guerra perfetta e una vittoria sensazionale: il suo è il "Paese delle performance"...



Traduzione da Strategic Culture, 8 luglio 2025.

"A seconda di chi risponde alla domanda, il bombardamento statunitense degli impianti nucleari iraniani a Fordow, Natanz e Isfahan è stato un successo clamoroso che ha gravemente compromesso il programma nucleare di Tehran oppure un vistoso fuoco di paglia i cui risultati sono stati inferiori alle aspettative... Nel quadro generale, tutto questo non è altro che una recita".
Michael Wolff ha scritto quattro libri su Trump; a suo parere la questione principale, seconda solo a cosa succederà in Iran e a come gli iraniani potrebbero reagire, è data da come reagiranno quelli del MAGA.
E penso che [Trump] sia sinceramente preoccupato, [sottolinea Wolff]. Credo proprio che dovrebbe esserlo. Ci sono due temi essenziali agli occhi di questa coalizione: l'immigrazione e la guerra. Tutto il resto non è intoccabile e può essere oggetto di compromesso. Ma non è certo che su questi due temi siano possibili compromessi.
Il segnale lanciato da Hegseth ("non siamo in guerra con il popolo iraniano, ma solo con il suo programma nucleare") riflette chiaramente un messaggio che di fronte alla reazione dei MAGA ha perso ardimento: "Non fateci caso. Non stiamo davvero facendo la guerra"; ecco cosa stava cercando di dire Hegseth.
Quindi cosa succederà? Ci sono fondamentalmente quattro possibilità: la prima è che gli iraniani dicano "Va bene, ci arrendiamo", ma questo non succederà. La seconda è quella di una guerra prolungata tra Iran e stato sionista, con lo stato sionista che continuerà a subire attacchi mai subiti prima d'ora. La terza è il tentativo di rovesciare la Repubblica Islamica, anche se una cosa del genere non è mai successa in seguito ai soli attacchi aerei. Storicamente, iniziative del genere per mano degli statunitensi si sono sempre svolte in un contesto fatto di massacri, periodi di instabilità lunghi molti anni, terrorismo e caos.
Infine, c'è chi avverte che sarebbe in ballo un Armageddon nucleare con l'obiettivo di distruggere l'Iran. Ma sarebbe un caso di autolesionismo, poiché con esso arriverebbe probabilmente anche l'Armageddon di Trump alle elezioni di metà mandato.
“Mi spiego meglio”, dice Wolff:
Ho fatto molte telefonate, quindi credo di avere un'idea del percorso che ha portato Trump al punto in cui siamo [quello degli attacchi all'Iran]. Le telefonate sono uno dei principali metodi con cui cerco di capire cosa sta pensando (uso il termine "pensare" in senso lato).
Parlo con persone con cui Trump ha parlato al telefono. Voglio dire, l'organizzazione cognitiva di Trump è completamente esterna, e si manifesta in una serie continua di telefonate. Ed è piuttosto facile da seguire, perché Trump dice la stessa cosa a tutti. Quindi è un continuo ripetersi...
In sostanza, quando lo stato sionista ha attaccato l'Iran, lui si è eccitato molto e le sue telefonate erano tutte ripetizioni di un unico refrain: "Vinceranno? È una mossa vincente? È finita? Sono così bravi! È davvero uno spettacolo".
Quindi, ancora una volta, siamo nel mondo dello spettacolo. Questo è un palcoscenico e il giorno prima che attaccassimo l'Iran le sue telefonate ripetevano costantemente: Se lo facciamo, deve essere perfetto. Deve essere una vittoria. Deve sembrare perfetto. Nessuno deve morire.
Trump continua a dire ai suoi interlocutori: "Arrivamo, giù bombe e via! Una gran giornata. Una grande giornata, vogliamo. Vogliamo (eccoci, dice Wolff) una guerra perfetta". Poi, all'improvviso, Trump ha annunciato un cessate il fuoco che secondo Wolff "ha segnato la fine della guerra perfetta di Trump".
E così, all'improvviso, con lo stato sionista e l'Iran che sono sembrati proprio collaborare a mettere in scena questo perfetto film di guerra, "Trump si infastidisce, perché proprio perfetto non è".
Wolff continua:
Trump, a quel punto, era già entrato nel ruolo di uno che dice che "questa è la sua guerra". La sua guerra perfetta. Un drammone televisivo della più bell'acqua, una guerra che è servita per tirare fuori un titolo. E il titolo è ABBIAMO VINTO. Ora comando io e tutti faranno quello che gli dico io. Quello che abbiamo visto in seguito è stato il manifestarsi della sua frustrazione per come è andato a finire il drammone con il titolo eccezionale: nessuno sta facendo quello che lui dice.
Quali sono gli sviluppi di più ampia portata di questo episodietto? Beh, Wolff per esempio ritiene improbabile che Trump venga risucchiato in una guerra lunga e complicata. Perché? "Perché Trump, semplicemente, non ha la capacità di attenzione necessaria. È così. Ha già chiuso: arriva, giù bombe e via".
Nelle considerazioni di Wolff si trova un punto fondamentale da afferrare, per coglierne il più ampio significato strategico: Trump è avido di attenzione. Pensa in termini di titoli da generare, ogni giorno, ma non necessariamente alle politiche che derivano da quei titoli. Cerca il dominio quotidiano dei titoli e per questo vuole definirli attraverso un atteggiamento retorico, modellando la "realtà" per darne una sua "interpretazione" spettacolare in linea col suo stile.
I titoli diventano quindi, per così dire, la materia dell'iniziativa politica. Poi possono svilupparsi in politiche vere e proprie, oppure no.
Al contrario di quello che pensa Wolff, per Trump non sarà facile cavarsela togliendo semplicemente l'Iran da sotto i riflettori, nonostante egli sia capace di prove magistrali quando si tratta di trovare nuovi terreni di contesa. Fondamentalmente Trump si è impegnato a rispettare i sottolitoli per cui "L'Iran non avrà mai la bomba". Si noti che Trump non ha definito la questione in termini politici e si è anzi lasciato margini di manovra per una possibile rivendicazione di vittoria in un secondo momento.
Tuttavia c'è un altro punto fondamentale: l'attacco dello stato sionista all'Iran del 13 giugno avrebbe dovuto far crollare la Repubblica Islamica dell'Iran come un castello di carte. Questo si aspettava lo stato sionista, e chiaramente questo era quello che si aspettava anche Trump: "[Le telefonate di Trump alla vigilia dell'attacco a sorpresa dello stato sionista] erano tutte ripetizioni di un unico refrain: "Vinceranno? È una mossa vincente? È finita? Sono così bravi! È davvero uno spettacolo". Insomma, Trump aveva messo in conto il possibile crollo dello Stato iraniano.
Beh... no. Nessuna fine dei giochi. Nello stato sionista si staranno anche abbracciando gli uni con gli altri emozionati per la pièce teatrale del Mossad del 13 giugno, per la "professionalità" delle decapitazioni guidate dal Mossad, per gli omicidi di scienziati, per gli attacchi informatici e per i sabotaggi. Il Mossad è acclamato da molti nello stato sionista, ma si è trattato solo di successi tattici.
L'obiettivo strategico, il fine ultimo, è stato un fallimento: il castello di carte non solo non è crollato, ma ha reagito vigorosamente. Invece di indebolire la Repubblica Islamica dell'Iran, l'attacco è riuscito ad incendiare il sentimento nazionale sciita e iraniano. Ha ridato vigore a un fervore e a una passione nazionale che erano in gran parte sopiti. L'Iran in futuro sarà più risoluto.
Quindi, se l'attacco dello stato sionista del 13 giugno non ha avuto successo, perché mai le cose dovrebbero andare meglio in un secondo tentativo che troverebbe l'Iran prontissimo a reagire? Contro l'Iran Netanyahu potrebbe preferire una lunga guerra di logoramento che contribuisca alla "grande vittoria in cui spera. Ma Netanyahu adesso non può lasciarsi andare a illusioni del genere (né lo stato sionista può sopravvivere a una guerra di logoramento) senza un aiuto sostanziale da parte degli Stati Uniti (che potrebbe anche non arrivare).
Tuttavia, l'atteggiamento vistosamente ansioso (descritto anche dagli interlocutori di Wolff) di Trump nei confronti degli esiti più o meno rapidamente vittoriosi dell'attacco a sopresa sferrato dallo stato sionista è un indice del suo temperamento: "È una mossa vincente? È finita? Deve essere una vittoria: deve sembrare perfetta! Arrivamo, giù bombe e via!".
Questo modo di fare petulante rivolto al suo entourage denota più una mancanza di fiducia in se stesso che la volontà –o la capacità di concentrazione– necessarie a un lungo scontro privo di un ben definito momento in cui si possa dichiarare la fine dei giochi.
Inoltre, Trump sarà preoccupato -e con buoni motivi- degli effetti di una lunga guerra sulla sua base MAGA, così come sui suoi giovani elettori (che stanno già cominciando ad allontanarsi da lui, come suggeriscono i sondaggi centrati su di essi). La maggioranza di Trump in entrambe le Camere è incredibilmente precaria. Trecento milioni di dollari potrebbero ribaltare la situazione, in un senso o nell'altro.
Occorre ricordare anche un secondo dato di fondamentale importanza. Lo stato sionista è stato attaccato in un modo mai visto prima. A tutt'oggi lo stato sionista nasconde l'estensione dei danni inflittigli dai missili iraniani ma anche i suoi esperti in materia di sicurezza, man mano che prendono atto dell'entità dei danni causati al Paese, stanno arrivando all'amara conclusione che distruggere il “programma” iraniano con mezzi militari potrebbe essere impossibile. Sempre che si riesca a farlo, sarà solo tramite accordi diplomatici di qualche tipo.
Anche il rovesciamento della Repubblica Islamica si è rivelato una chimera. L'Iran non è mai stato così unito e risoluto come lo è oggi. Persino la minaccia di uccidere la Guida Suprema ha avuto l'effetto diametralmente opposto. Quattro autorità religiose sciite (Marja'iyya) -tra cui il celebre Grande Ayatollah Sistani in Iraq- hanno emesso sentenze per cui qualsiasi attacco alla Guida Suprema renderebbe valida una fatwa di jihad che obbligherebbe tutta la Ummah (comunità dei credenti) a unirsi alla guerra religiosa contro l'AmeriKKKa e contro lo stato sionista.
I negoziati tra Stati Uniti e Iran sembrano lontani dal raggiungere un accordo. La AIEA si è resa protagonista del problema, invece di contribuire in qualche modo alla soluzione. L'attenzione di Trump per la questione di un cessate il fuoco in Ucraina sembra si stia affievolendo, e anche per l'Iran alla fine il risultato potrebbe essere lo stesso: quello di lunghi negoziati che non portano a nulla, mentre l'Iran riprende silenziosamente il suo programma di arricchimento. E presumibilmente lo stato sionista scaglierà altri attacchi contro l'Iran, provocandone l'inevitabile risposta e una escalation.

08 luglio 2025

Brian McGlinchey - Gli incredibili costi del sostegno statunitense allo stato sionista



Traduzione da Stark Realities, 6 luglio 2025.

Se qualcuno gli chiedesse quanto costa il sostegno governativo allo stato sionista, uno statunitense potrebbe rispondere che si tratta di tre miliardi e ottocento milioni di dollari all'anno. A tanto ammontano gli aiuti militari che gli Stati Uniti si sono impegnati a versare in base all'attuale memorandum di intesa di durata decennale. Questa risposta tuttavia sottovaluta enormemente il vero costo dei rapporti con lo stato sionista, non solo perché non tiene conto delle varie e ingenti spese che ne derivano, ma soprattutto perché quelli che sono davvero i costi più alti non si possono misurare in dollari.
Lo stato sionista è stato di gran lunga il principale destinatario degli aiuti statunitensi fin dalla sua fondazione nel 1948. Se non consideriamo la breve eccezione dovuta alla guerra in Ucraina, lo stato sionista è generalmente il primo della lista ogni anno nonostante sia uno dei paesi più ricchi del mondo, al terzo posto dopo il Regno Unito e al secondo dopo il Giappone in termini di PIL pro capite. A riprova di ciò, anche prendendo in considerazione la cifra largamente sottostimata di tre miliardi e ottocento milioni di dollari per gli stanziamenti statunitensi a favore dello stato sionista, l'AmeriKKKa ha dato allo stato sionista 404 dollari pro capite nell'anno fiscale 2023, contro i soli quindici dollari pro capite elargiti all'Etiopia, uno dei paesi più poveri della Terra e terzo beneficiario dei fondi statunitensi per lo stesso anno (fonte: Council on Foreign Relations).
Dai tempi della seconda guerra mondiale lo stato sionista ha ottenuto quasi il doppio del secondo beneficiario, che è l'Egitto. Quello che la maggior parte degli statunitensi non capisce, tuttavia, è che gran parte delle somme destinate all'Egitto –nel 2023 un miliardo e quattrocento mlioni di dollari– dovrebbero essere considerate come assegnate anche allo stato sionista, dato il perpetuarsi degli oneri che gli accordi di Camp David del 1978 comportarono per gli USA come mediatori per la pace tra Egitto e stato sionista. Lo stesso vale per la Giordania, quarto beneficiario degli Stati Uniti per l'anno fiscale 2023 con un miliardo e settecento milioni di dollari. Gli aiuti statunitensi al Regno sono aumentati dopo la firma del trattato del 1994 con lo stato sionista; una parte degli aiuti alla Giordania serve ad affrontare il problema dei numerosi rifugiati, che comprendono non solo i palestinesi sfollati a seguito della creazione dello stato sionista, ma anche le masse fuggite dalle guerre dirette alla sovversione di questo o quel Paese condotte dagli Stati Uniti per conto dello stato sionista.
Oltre a tutto questo, vanno considerati gli ulteriori fondi diretti allo stato sionista che il Congresso autorizza di quando in quando, in ulteriore aggiunta a quanto previsto dal suddetto memorandum d'intesa. Dal 7 ottobre, data dell'attacco di Hamas contro lo stato sionista, queste cifre supplementari hanno superato di gran lunga l'impegno previsto nel memorandum. Solo nel primo anno della guerra a Gaza il Congresso e il presidente Biden hanno approvato ulteriori quattordici miliardi e cento milioni di dollari in aiuti militari "di emergenza" a favore dello stato sionista, portando il totale per quell'anno a diciassette miliardi e novecento milioni di dollari. Bisogna anche considerare il fatto che, dato che il governo degli Stati Uniti accumula incessantemente deficit che superano ormai di gran lunga i mille miliardi di dollari, ogni spesa marginale, compresi gli aiuti allo stato sionista, viene finanziata ricorrendo al debito. Debito che comporta interessi passivi e che quindi provoca l'aumento del carico fiscale e dell'inflazione per i cittadini statunitensi.
Oltre ai fondi concessi direttamente allo stato sionista, il governo statunitense stanzia ingenti somme in attività destinate a favorire lo stato sionista o legate a sue iniziative. Ad esempio, solo nel primo anno della guerra contro Gaza dopo il 7 ottobre, l'aumento delle operazioni offensive e difensive della Marina statunitense nel teatro mediorientale è costato agli USA circa quattro miliardi e ottocentosessanta milioni di dollari.
Le spese legate alla guerra a Gaza non solo sono continuate, ma sono anche aumentate. Ad esempio all'inizio del 2025 il Pentagono ha intrapreso una serrata campagna contro gli Houthi dello Yemen. In risposta alla sistematica distruzione di Gaza da parte dello stato sionista, gli Houthi hanno preso di mira lo stato sionista e le navi che secondo loro avevano a che vedere con esso. In risposta, l'AmeriKKKa ha scatenato l'Operazione Rough Rider, che ha spesso contemplato il ricorso a missili da due milioni di dollari contro droni Houthi che ne costano diecimila, per una cifra compresa tra uno e due miliardi.
Gli attacchi militari del Presidente Trump contro gli impianti nucleari iraniani -nel contesto di una guerra iniziata dallo stato sionista con pretesti campati in aria- sono costati agli USA ulteriori uno o due miliardi di dollari, secondo le prime stime. Anche prima dell'attacco contro un programma nucleare che la comunità dell'intelligence statunitense continua a ritenere non finalizzato alla produzione di armi, il Pentagono stava già spendendo ancora più soldi dietro allo stato sionista, collaborando alla difesa del Paese contro la risposta dell'Iran alla sua immotivata aggressione. La fase preparatoria degli attacchi statunitensi ha comportato una mobilitazione massiccia e costosa di uomini e mezzi statunitensi nella regione, mentre il Pentagono si preparava a diversi possibili scenari.


Un marine commosso durante una cerimonia commemorativa tenutasi in Iraq nel 2005
in onore di trentun uomini uccisi in un solo giorno (Anja Nedringhaus/AP).

 Naturalmente la più famigerata impresa diretta a sovvertire un Paese è stata l'invasione dell'Iraq guidata dagli Stati Uniti nel 2003. "Se eliminate Saddam, vi garantisco che ci saranno enormi ripercussioni positive sulla regione", assicurò l'attuale Primo Ministro dello stato sionista Benjamin Netanyahu durante un'audizione al Congresso degli Stati Uniti. Facendo la sua parte per aiutare l'amministrazione Bush -dominata da neoconservatori allineati con lo stato sionista e determinati a eliminare uno dei suoi avversari regionali, Netanyahu disse anche che non c'era "alcun dubbio" che Hussein fosse "decisto a sviluppare un'arma nucleare". Il rovesciamento del governo siriano di Assad, alleato dell'Iran, è un altro esempio lampante di sovvertimento a favore dello stato sionista. USA e stato sionista avevano l'intenzione di spezzare la "mezzaluna sciita" che, grazie soprattutto alla cacciata di Saddam, rappresentava un canale diretto per l'influenza iraniana che si estendeva fino ai confini dello stato sionista. Con grande soddisfazione dei governi statunitense e sionista, la Siria è oggi guidata da un ex membro di al Qaeda che, secondo quanto riferito, sarebbe pronto a rinunciare alla rivendicazione di lunga data della Siria sulle alture del Golan, conquistate dallo stato sionista nel 1967.
Secondo il Costs of War Project della Brown University, il costo totale delle operazioni militari statunitensi in Iraq e Siria, comprese le cure mediche e l'assistenza ai veterani per invalidità passate e future, ammonta a duemilanovecento miliardi di dollari. Il bilancio umano è ancora più sconcertante: oltre cinquecentoottantamila vittime fra civili e combattenti. Il numero delle vittime indirette a causa di sfollamenti, malattie e altri fattori è forse due o quattro volte tanto. Più di quattomilaseicento militari statunitensi sono morti in Iraq. I feriti -molti dei quali hanno subito amputazioni e ustioni- sono trentaduemila. Oltre a tanto colossali sofferenze, questi e gli altri interventi intrapresi dagli USA per garantire la supremazia regionale dello stato sionista hanno fomentato un enorme risentimento nei confronti degli Stati Uniti in tutta la regione.
Questo risentimento contribuisce ad alimentare un altro enorme debito che lo stato sionista ha contratto verso gli Stati Uniti: qualsiasi valutazione approfondita dei costi del rapporto tra i due Paesi deve prendere in considerazione il fatto che il sostegno degli Stati Uniti verso lo stato sionista è uno dei principali motori del terrorismo islamico contro gli statunitensi. Non esiste esempio più lampante in proposito dei fatti dell'11 settembre.


 Il soldato Brendan Marrocco ha perso tutti e quattro gli arti in un attentato tramite bomba a bordo strada,
avvenuto in Iraq nel 2009. (Ruth Fremson per il New York Times, tramite 
NBC News).

La rabbia per l'appoggio statunitense verso lo stato sionista è stata una delle principali motivazioni di Al Qaeda, da Osama bin Laden fino ai dirottatori.
Nella sua dichiarazione di guerra contro gli Stati Uniti del 1996, Bin Laden citò il primo massacro di Qana, in cui lo stato sionista uccise 106 civili libanesi che avevano cercato rifugio in un compound delle Nazioni Unite. Egli affermò che i giovani musulmani "ritengono [gli Stati Uniti] responsabili di tutti gli omicidi... commessi dai vostri fratelli sionisti in Libano; voi li avete apertamente riforniti di armi e finanziamenti".
Bin Laden disse che l'idea di colpire i grattacieli negli USA gli era venuta dopo aver assistito alla distruzione di alcuni complessi residenziali in Libano da parte dello stato sionista nel 1982.
La Commissione sull'11 settembre affermò che "l'ostilità verso gli Stati Uniti del mandante Khalid Sheikh Mohammed non derivava dalla sua esperienza di studente in quel Paese, ma piuttosto dal suo violento dissenso nei confronti della politica estera statunitense, favorevole allo stato sionista".
Mohammed Atta, capo dei dirottatori dell'11 settembre, firmò il suo testamento il giorno in cui lo stato sionista iniziò l'operazione "Grapes of Wrath" (Furore) contro il Libano nel 1996. Un amico disse che Atta era furioso e che fece di quel testamento un mezzo per dedicare la sua vita alla causa.
Un conoscente del pilota dirottatore Marwan al-Shehhi gli chiese perché né lui né Atta avessero mai riso. "Come si può ridere quando in Palestina muoiono delle persone?", fu la sua risposta.
Riguardo alle motivazioni dei dirottatori dell'11 settembre, l'agente speciale dell'FBI James Fitzgerald disse alla Commissione sull'11 settembre: "Credo che siano furibondi vereso gli Stati Uniti. Si identificano con il problema palestinese... e credo che tendano a concentrare la loro rabbia sugli Stati Uniti".


Gli attentati dell'11 settembre hanno causato la morte di 2.977 persone, provocato circa cinquanta miliardi di dollari di danni liquidati dalle assicurazioni e dato il via alla guerra globale al terrorismo degli Stati Uniti. Oltre ad essere stato utilizzato come falso pretesto per invadere l'Iraq per conto dello stato sionista, l'11 settembre ha spinto gli Stati Uniti a invadere l'Afghanistan e a intraprendere la successiva missione suicida durata vent'anni, che ha causato la morte di 2.459 soldati statunitensi (su un totale di centosettantaseimila effettivi) ed è costata duemilatrecento miliardi di dollari.
Dobbiamo ora chiederci terrorizzati quale prezzo potremmo trovarci a pagare a causa dei terroristi che saranno spinti ad agire dal sostegno degli Stati Uniti alla sanguinosa violenza dello stato sionista contro Gaza, che ha ucciso più di cinquantaseimila persone -più della metà delle quali donne e bambini- e ha deliberatamente reso gran parte del territorio inabitabile.
Morte e distruzione arrivano dalle armi fornite dagli Stati Uniti, dai caccia F-15, F-16 e F-35 agli elicotteri d'attacco Apache, alle munizioni di precisione, fino ai proiettili di artiglieria e ai fucili. Nessuna arma ha avuto un ruolo più importante nel bilancio scioccante delle vittime civili e nella catastrofica distruzione fisica delle bombe MK-84 da duemila libbre fornite dagli Stati Uniti, che hanno un raggio letale fino a 1.198 piedi. Anche dopo che gli osservatori esterni erano rimasti esterrefatti a fronte del ricorso a queste bombe da parte dello stato sionista in aree densamente popolate, il governo degli Stati Uniti è andato avanti con le forniture.
Se tanta morte e tanta distruzione non fossero incentivi sufficienti a meditare vendette devastanti contro chi sostiene lo stato sionista, c'è anche il fatto che soldati sionisti depravati hanno utilizzato i social media per riprendersi mentre demolivano allegramente interi quartieri residenziali, devastavano negozi, spaccavano giocattoli e beni personali e, secondo un vezzo diffusosi in modo inquietante, sfoggiavano biancheria femminile appartenente a donne palestinesi sfollate. Da sempre politici, opinionisti e cittadini dello stato sionista sostengono apertamente la pulizia etnica, la messa alla fame e altri crimini di guerra. La scorsa settimana diversi soldati sionisti hanno confermato che -su ordine dei superiori- le truppe hanno regolarmente utilizzato armi letali, compresi proiettili di artiglieria, come barbaro sistema per controllare la ressa nei punti di distribuzione degli alimenti. Se un giorno degli ameriKKKani innocenti saranno vittime di terroristi che cercano di vendicare l'orrore inflitto a due milioni di uomini, donne e bambini di Gaza per mezzo di armi fornite dagli Stati Uniti, aspettatevi che l'accaduto alimenti una dinamica perversa per cui lo si accamperà come motivo per raddoppiare il sostegno statunitense allo stato sionista. Si tratta di manipolazioni efficaci, il che rende gli atti terrroristici contro gli USA una vera manna per lo stato sionista. Riflesso di questa dinamica oscura all'indomani dell'11 settembre, il fatto che Netanyahu sembrava faticare a contenere il suo entusiasmo mentre parlava al New York Times:
Alla domanda su cosa significasse l'attacco per le relazioni tra Stati Uniti e stato sionista Benjamin Netanyahu, ex Primo Ministro, ha risposto: "È una cosa molto positiva". Poi si è corretto: "Beh, no, non una cosa molto positiva. Ma genererà immediata simpatia".
Questo fenomeno che si autoalimenta, per cui il terrorismo motivato dal sostegno degli USA allo stato sionista viene utilizzato per promuovere lo stesso sostegno degli USA allo stato sionista, non è l'unico esempio del distorto modo di pensare che sovrintende alle relazioni tra i due Paesi. L'approccio ameriKKKano al Medio Oriente è dominato da un circolo vizioso di cui lo stato sionista è il centro. Ad esempio, agli statunitensi viene raccontato che lo stato sionista è un alleato fondamentale perché funge da baluardo contro l'Iran, e che l'AmeriKKKa ha bisogno di un baluardo contro l'Iran perché esso è un nemico dello stato sionista.


All'indomani dell'11 settembre, gli iraniani organizzarono una veglia a lume di candela in piazza Mohseni a Tehran
per esprimere le proprie condoglianze al popolo statunitense.

In una delle numerose osservazioni sul conto dello stato sionista che a giugno lo hanno portato a essere sollevato dall'incarico di capo della sezione "Levante ed Egitto" dello Stato Maggiore Congiunto degli Stati Uniti, il colonnello dell'esercito Nathan McCormack ha riassunto così la situazione:
Lo stato sionista è il nostro "alleato" peggiore. L'alleanza con lo stato sionista non ci frutta altro che l'inimicizia di milioni di persone in Medio Oriente, in Africa e in Asia.
A poco a poco questa consapevolezza si sta diffondendo in tutto il corpo sociale negli USA. I cittadini hanno fatto caso a come lo stato sionista si sta comportando a Gaza, stanno facendo attenzione come mai prima d'ora al conflitto tra stato sionista e palestinesi, e guardano con sempre maggiore diffidenza ai tentativi dello stato sionista di trascinare gli Stati Uniti in un altro grande conflitto scatenato sulla base di menzogne. Quest'ultimo aspetto ha una risonanza particolare per gli innumerevoli veterani di guerra statunitensi che sono giunti alla terribile conclusione di essersi sacrificati in fin dei conti, loro e i compagni caduti, a vantaggio di un governo straniero e a scapito della sicurezza degli USA.
All'inizio di quest'anno, Pew Research ha scoperto che la maggioranza degli statunitensi ha adesso un'opinione negativa dello stato sionista. Uno dei cambiamenti più sconcertanti si osserva all'interno di quello che è il più forte bastione di sostegno dello stato sionista: il Partito Repubblicano. A far presagire un ulteriore deterioramento della reputazione dello stato sionista ci sono i sentimenti negativi nei confronti di esso espressi da repubblicani sotto i cinquant'anni, che in soli tre anni sono aumentati di quindici punti. La metà di loro ha oggi un'opinione negativa dello stato sionista.
Nel 2010 Meir Dagan, all'epoca a capo del Mossad, avvertì nel corso di una audizione alla Knesset che "lo stato sionista sta gradualmente passando dall'essere una risorsa per gli Stati Uniti a rappresentare un peso". Quindici anni dopo, il fatto che lo stato sionista sia per il popolo statunitense un peso enorme, e che lo sia sotto vari aspetti, è più evidente che mai.

05 luglio 2025

Alastair Crooke - Cosa vuol dire vincere?



Traduzione da
Strategic Culture, 1 luglio 2025.


Da un certo punto di vista l'Iran ha chiaramente "vinto". Trump sarebbe voluto arrivare al trionfo di una splendida "vittoria" in stile reality show. L'attacco di domenica 29 giugno ai tre siti nucleari è stato infatti proclamato a gran voce da Trump e da Hegseth come tale: hanno affermato di aver "annientato" il programma nucleare iraniano per l'arricchimento dell'uranio. "Distrutto completamente", insistono.
Solo che... non è andata così: l'attacco ha causato qualche danno superficiale. Forse. E sembra che sia stato concordato in anticipo con l'Iran tramite intermediari, per essere una faccenda da una botta e via. Per Trump questo del concordare le cose in anticipo è un modo di fare abituale. È stato così in Siria, nello Yemen e persino nel caso dell'assassinio di Qassem Soleimani; tutte cose fatte perché Trump potesse avere una rapida "vittoria" mediatica.
Il cosiddetto "cessate il fuoco" che ha rapidamente fatto seguito -sia pure con qualche intoppo- agli attacchi statunitensi è stato una "cessazione delle ostilità" messa insieme in fretta e furia, e non un cessate il fuoco, poiché non ne sono stati concordati i termini. È stata una "soluzione provvisoria". Il che significa che l'impasse nei negoziati tra l'Iran e Witkoff resta al punto di prima.
La Guida Suprema ha ribadito con forza la posizione dell'Iran: "Nessuna resa", l'arricchimento prosegue, e gli Stati Uniti devono lasciare la regione e non immischiarsi negli affari iraniani.
Insomma, dal punto di vista positivo dell'analisi costi-benefici, l'Iran dispone probabilmente di un numero sufficiente di centrifughe e di 450 kg di uranio altamente arricchito, e nessuno (tranne l'Iran) sa adesso dove sia nascosto tutto quanto. L'Iran riprenderà ad arricchire uranio. Un secondo vantaggio per l'Iran è che l'AIEA e il suo direttore generale Grossi hanno violato in modo così eclatante la sovranità iraniana che l'Agenzia sarà molto probabilmente cacciata dal Paese. L'Agenzia è venuta meno alla sua principale responsabilità, che era quella di salvaguardare i siti in cui era presente uranio arricchito.
I servizi segreti statunitensi ed europei perderanno così gli occhi di cui disponevano sul terreno, e dovranno rinunciare alla raccolta di dati tramite l'intelligenza artificiale della AIEA da cui probabilmente dipendeva in larga misura l'identificazione degli obiettivi da parte dello stato sionista.
Ed ecco la questione dei costi; sul piano militare l'Iran ha ovviamente subito danni materiali, ma ha mantenuto le sue potenzialità missilistiche. La narrativa degli USA e dello stato sionista per cui i cieli iraniani sarebbero "ampiamente aperti" per l'aviazione dello stato sionista non è che l'ennesima balla messa in piedi per sostenere la "narrazione vincente".
Come osserva Simplicius: "Non disponiamo di alcuna prova concreta che aerei dello stato sionista (o anche ameriKKKani, per quanto riguarda il caso) si siano mai addentrati significativamente nello spazio aereo iraniano in un qualsiasi momento. Le affermazioni che rivendicano una 'totale superiorità aerea' sono prive di fondamento. [Le riprese] fino all'ultimo giorno mostrano che lo stato sionista ha continuato a fare affidamento sui suoi pesanti UCAV [grandi droni per la sorveglianza e l'attacco] per colpire obiettivi terrestri iraniani".
Si ha inoltre notizia del ritrovamento di serbatoi di carburante appartenenti ad aerei dello stato sionista sulle coste settentrionali del Mar Caspio, il che fa piuttosto pensare che i missili a lunga gittata siano stati lanciati dall'aviazione sionista dal nord, ovvero dallo spazio aereo dell'Azerbaigian.
Salendo di livello nell'analisi costi-benefici, è necessario considerare una visione più ampia: la distruzione del programma nucleare era un pretesto, non l'obiettivo principale. Gli stessi esponenti dello stato sionista affermano che la decisione di attaccare la Repubblica Islamica dell'Iran è stata presa nel settembre/ottobre del 2024. Il piano intricato, costoso e sofisticato dello stato sionista (decapitazione, omicidi mirati, attacchi informatici e infiltrazione di cellule di sabotaggio dotate di droni) che si è sviluppato durante l'attacco a sorpresa del 13 giugno era incentrato su un obiettivo da raggiungere nell'immediato: l'implosione dello Stato iraniano che avrebbe aperto la strada al caos e al rovesciamento della Repubblica Islamica.
Trump si è fidato della infondata convinzione dello stato sionista l'Iran fosse sull'orlo di un collasso imminente? Molto probabilmente sì. Credeva alla versione sionista (secondo quanto riferito, inventata dal programma Mosaic della AIEA) per cui l'Iran stava muovendosi velocemente "verso l'arma nucleare"? È possibile che Trump sia stato ingannato –o, più probabilmente, che ne sia rimasto facile preda– dalla narrativa costruita dallo stato sionista e dai settori filosionisti degli USA.
Poiché la questione ucraina si è rivelata più ostica di quanto Trump si aspettasse, la promessa dello stato sionista di un "Iran pronto a implodere, in stile siriano" –una trasformazione "epica" verso un "Nuovo Medio Oriente"– deve essere stata abbastanza allettante da spingere Trump a zittire bruscamente una Tulsi Gabbard convinta che l'Iran non possedesse armi nucleari.
Quindi, la risposta militare iraniana e la massiccia mobilitazione popolare attorno alla bandiera sono state una "grande vittoria" per la Repubblica Islamica? Beh, di sicuro è stata una “vittoria” sui piazzisti del "regime change"; forse sarà il caso di perfezionare i risultati? Non si tratta di una "vittoria definitiva". L'Iran non può permettersi di abbassare la guardia.
Una resa incondizionata dell'Iran è, ovviamente, ormai fuori discussione. Ma il punto è che lo establishment dello stato sionista, la lobby filosionista negli Stati Uniti (e forse anche Trump) continueranno a credere che l'unico modo per garantire che l'Iran non si avvicini mai allo status di potenza nucleare non sia attraverso ispezioni e monitoraggi invasivi, ma proprio attraverso il rovesciamento della Repubblica Islamica e l'insediamento di un fantoccio puramente occidentale a Tehran.
La "guerra lunga" per sovvertire la Repubblica Islamica dell'Iran, indebolire la Russia, i BRICS e la Cina è entrata in pausa. Non è finita. L'Iran non può permettersi di rilassarsi o di trascurare le proprie difese. La posta in gioco è il tentativo degli Stati Uniti di controllare il Medio Oriente e il suo petrolio, sostegno alla supremazia del dollaro.
Il professor Hudson osserva che “Trump si aspettava che gli altri paesi avrebbero risposto al caos tariffario da lui sollevato accettando accordi che prevedessero la fine delle transazioni con la Cina e, di fatto, accettando sanzioni commerciali e finanziarie contro Cina, Russia e Iran". Chiaramente, sia la Russia che la Cina capiscono quale sia la posta in gioco geo-finanziaria che circonda un Iran che non si arrende. E capiscono anche che un cambio di regime renderebbe vulnerabile il fianco meridionale della Russia, che potrebbe far crollare i corridoi commerciali dei BRICS e essere utilizzato come un cuneo per separare la Russia dalla Cina.
In parole povere: la lunga guerra degli Stati Uniti probabilmente riprenderà in una nuova forma. L'Iran è sopravvissuto a questa fase acuta del confronto. Lo stato sionista e gli Stati Uniti avevano scommesso tutto sul fatto che il popolo iraniano si sarebbe rivoltato. Cosa che non è successa: la società iraniana ha fatto fronte comune di fronte all'aggressione. E l'aria che si respira sa di maggior forza, di maggior risolutezza.
Tuttavia, l'Iran sarà ancor più un vincitore se le autorità sapranno sfruttare il momento di euforia di una società coesa per infondere nuova energia alla rivoluzione iraniana. L'euforia non durerà per sempre, se non si farà qualcosa; è paradossale, ma la situazione ha fatto sì che la Repubblica possa contare adesso su un'opportunità inattesa.
Lo stato sionista, al contrario, dopo aver lanciato la sua "guerra psicologica" per rovesciare lo Stato iraniano, si è rapidamente trovato in una situazione in cui il nemico non solo non si è arreso, ma ha anche reagito. Lo stato sionista si è ritrovato bersaglio di attacchi di ritorsione su larga scala. La situazione è diventata rapidamente critica, sia dal punto di vista economico che dell'esaurimento delle difese aeree, come dimostrano le disperate richieste di aiuto rivolte da Netanyahu agli Stati Uniti.
Passando al livello più ampio dei costi e dei benefici da un punto di vista geopolitico, la posizione dello stato sionista (a livello regionale) di realtà invulnerabile quando unita alla potenza statunitense ha subito un duro colpo: "Pensate alla questione in questo modo: tra dieci o vent'anni, cosa verrà ricordato... [l'attacco che ha decapitato le forze armate e le uccisioni mirate di scienziati]... o il fatto che le città dello stato sionista sono andate in fiamme per la prima volta, che lo stato sionista non è riuscito a smantellare il programma nucleare iraniano e che ha fallito tutti gli altri obiettivi importanti che si era prefissato, compreso il rovesciamento della Repubblica Islamica? Il fatto è che lo stato sionista ha subito un'umiliazione storica che ha distrutto il suo mito". I paesi del Golfo avranno qualche difficoltà a digerire le implicazioni di più vasta portata di questo evento simbolico.
Sebbene l'elettorato di Trump sembri contento del fatto che l'AmeriKKKa abbia partecipato in modo minimo alla guerra –e apparentemente sia felice di vivere avvolto in una nebbia di autocompiacimento esagerato– ci sono prove significative che i settori MAGA della coalizione di Trump stiano al tempo stesso giungendo alla conclusione che il presidente degli Stati Uniti sta diventando sempre più parte di quel sistema del deep state che aveva criticato con tanta veemenza.
Due sono stati gli argomenti fondamentali nelle ultime elezioni presidenziali statunitensi: l'immigrazione e il "basta alle guerre di durata indefinita". Trump oggi, nonostante i messaggi molto confusi e contraddittori, è chiaro sul fatto che una guerra di durata indefinita non è fuori discussione: "Se l'Iran costruirà nuovamente impianti nucleari, allora in quello scenario gli Stati Uniti colpiranno [di nuovo]", ha avvertito Trump.
Dichiarazioni come questa, insieme ai post sempre più bizzarri che Trump sta pubblicando, sembrano aver spinto la base populista ad assumere sul tema posizioni radicalmente ostili nei suoi confronti.
Per il resto del mondo, i recenti post di Trump sono inquietanti. Forse funzionano per qualche statunitense, ma non altrove. Ciò significa che Mosca, Pechino o Tehran hanno più difficoltà a prendere sul serio messaggi così incostanti. Altrettanto preoccupante, tuttavia, è quanto gli uomini di Trump si siano dimostrati scollegati dalla realtà geopolitica valutando la situazione, in tutta una serie di casi. In molte capitali del mondo la cosa ha destato allarme.