05 luglio 2025

Alastair Crooke - Cosa vuol dire vincere?



Traduzione da
Strategic Culture, 1 luglio 2025.


Da un certo punto di vista l'Iran ha chiaramente "vinto". Trump sarebbe voluto arrivare al trionfo di una splendida "vittoria" in stile reality show. L'attacco di domenica 29 giugno ai tre siti nucleari è stato infatti proclamato a gran voce da Trump e da Hegseth come tale: hanno affermato di aver "annientato" il programma nucleare iraniano per l'arricchimento dell'uranio. "Distrutto completamente", insistono.
Solo che... non è andata così: l'attacco ha causato qualche danno superficiale. Forse. E sembra che sia stato concordato in anticipo con l'Iran tramite intermediari, per essere una faccenda da una botta e via. Per Trump questo del concordare le cose in anticipo è un modo di fare abituale. È stato così in Siria, nello Yemen e persino nel caso dell'assassinio di Qassem Soleimani; tutte cose fatte perché Trump potesse avere una rapida "vittoria" mediatica.
Il cosiddetto "cessate il fuoco" che ha rapidamente fatto seguito -sia pure con qualche intoppo- agli attacchi statunitensi è stato una "cessazione delle ostilità" messa insieme in fretta e furia, e non un cessate il fuoco, poiché non ne sono stati concordati i termini. È stata una "soluzione provvisoria". Il che significa che l'impasse nei negoziati tra l'Iran e Witkoff resta al punto di prima.
La Guida Suprema ha ribadito con forza la posizione dell'Iran: "Nessuna resa", l'arricchimento prosegue, e gli Stati Uniti devono lasciare la regione e non immischiarsi negli affari iraniani.
Insomma, dal punto di vista positivo dell'analisi costi-benefici, l'Iran dispone probabilmente di un numero sufficiente di centrifughe e di 450 kg di uranio altamente arricchito, e nessuno (tranne l'Iran) sa adesso dove sia nascosto tutto quanto. L'Iran riprenderà ad arricchire uranio. Un secondo vantaggio per l'Iran è che l'AIEA e il suo direttore generale Grossi hanno violato in modo così eclatante la sovranità iraniana che l'Agenzia sarà molto probabilmente cacciata dal Paese. L'Agenzia è venuta meno alla sua principale responsabilità, che era quella di salvaguardare i siti in cui era presente uranio arricchito.
I servizi segreti statunitensi ed europei perderanno così gli occhi di cui disponevano sul terreno, e dovranno rinunciare alla raccolta di dati tramite l'intelligenza artificiale della AIEA da cui probabilmente dipendeva in larga misura l'identificazione degli obiettivi da parte dello stato sionista.
Ed ecco la questione dei costi; sul piano militare l'Iran ha ovviamente subito danni materiali, ma ha mantenuto le sue potenzialità missilistiche. La narrativa degli USA e dello stato sionista per cui i cieli iraniani sarebbero "ampiamente aperti" per l'aviazione dello stato sionista non è che l'ennesima balla messa in piedi per sostenere la "narrazione vincente".
Come osserva Simplicius: "Non disponiamo di alcuna prova concreta che aerei dello stato sionista (o anche ameriKKKani, per quanto riguarda il caso) si siano mai addentrati significativamente nello spazio aereo iraniano in un qualsiasi momento. Le affermazioni che rivendicano una 'totale superiorità aerea' sono prive di fondamento. [Le riprese] fino all'ultimo giorno mostrano che lo stato sionista ha continuato a fare affidamento sui suoi pesanti UCAV [grandi droni per la sorveglianza e l'attacco] per colpire obiettivi terrestri iraniani".
Si ha inoltre notizia del ritrovamento di serbatoi di carburante appartenenti ad aerei dello stato sionista sulle coste settentrionali del Mar Caspio, il che fa piuttosto pensare che i missili a lunga gittata siano stati lanciati dall'aviazione sionista dal nord, ovvero dallo spazio aereo dell'Azerbaigian.
Salendo di livello nell'analisi costi-benefici, è necessario considerare una visione più ampia: la distruzione del programma nucleare era un pretesto, non l'obiettivo principale. Gli stessi esponenti dello stato sionista affermano che la decisione di attaccare la Repubblica Islamica dell'Iran è stata presa nel settembre/ottobre del 2024. Il piano intricato, costoso e sofisticato dello stato sionista (decapitazione, omicidi mirati, attacchi informatici e infiltrazione di cellule di sabotaggio dotate di droni) che si è sviluppato durante l'attacco a sorpresa del 13 giugno era incentrato su un obiettivo da raggiungere nell'immediato: l'implosione dello Stato iraniano che avrebbe aperto la strada al caos e al rovesciamento della Repubblica Islamica.
Trump si è fidato della infondata convinzione dello stato sionista l'Iran fosse sull'orlo di un collasso imminente? Molto probabilmente sì. Credeva alla versione sionista (secondo quanto riferito, inventata dal programma Mosaic della AIEA) per cui l'Iran stava muovendosi velocemente "verso l'arma nucleare"? È possibile che Trump sia stato ingannato –o, più probabilmente, che ne sia rimasto facile preda– dalla narrativa costruita dallo stato sionista e dai settori filosionisti degli USA.
Poiché la questione ucraina si è rivelata più ostica di quanto Trump si aspettasse, la promessa dello stato sionista di un "Iran pronto a implodere, in stile siriano" –una trasformazione "epica" verso un "Nuovo Medio Oriente"– deve essere stata abbastanza allettante da spingere Trump a zittire bruscamente una Tulsi Gabbard convinta che l'Iran non possedesse armi nucleari.
Quindi, la risposta militare iraniana e la massiccia mobilitazione popolare attorno alla bandiera sono state una "grande vittoria" per la Repubblica Islamica? Beh, di sicuro è stata una “vittoria” sui piazzisti del "regime change"; forse sarà il caso di perfezionare i risultati? Non si tratta di una "vittoria definitiva". L'Iran non può permettersi di abbassare la guardia.
Una resa incondizionata dell'Iran è, ovviamente, ormai fuori discussione. Ma il punto è che lo establishment dello stato sionista, la lobby filosionista negli Stati Uniti (e forse anche Trump) continueranno a credere che l'unico modo per garantire che l'Iran non si avvicini mai allo status di potenza nucleare non sia attraverso ispezioni e monitoraggi invasivi, ma proprio attraverso il rovesciamento della Repubblica Islamica e l'insediamento di un fantoccio puramente occidentale a Tehran.
La "guerra lunga" per sovvertire la Repubblica Islamica dell'Iran, indebolire la Russia, i BRICS e la Cina è entrata in pausa. Non è finita. L'Iran non può permettersi di rilassarsi o di trascurare le proprie difese. La posta in gioco è il tentativo degli Stati Uniti di controllare il Medio Oriente e il suo petrolio, sostegno alla supremazia del dollaro.
Il professor Hudson osserva che “Trump si aspettava che gli altri paesi avrebbero risposto al caos tariffario da lui sollevato accettando accordi che prevedessero la fine delle transazioni con la Cina e, di fatto, accettando sanzioni commerciali e finanziarie contro Cina, Russia e Iran". Chiaramente, sia la Russia che la Cina capiscono quale sia la posta in gioco geo-finanziaria che circonda un Iran che non si arrende. E capiscono anche che un cambio di regime renderebbe vulnerabile il fianco meridionale della Russia, che potrebbe far crollare i corridoi commerciali dei BRICS e essere utilizzato come un cuneo per separare la Russia dalla Cina.
In parole povere: la lunga guerra degli Stati Uniti probabilmente riprenderà in una nuova forma. L'Iran è sopravvissuto a questa fase acuta del confronto. Lo stato sionista e gli Stati Uniti avevano scommesso tutto sul fatto che il popolo iraniano si sarebbe rivoltato. Cosa che non è successa: la società iraniana ha fatto fronte comune di fronte all'aggressione. E l'aria che si respira sa di maggior forza, di maggior risolutezza.
Tuttavia, l'Iran sarà ancor più un vincitore se le autorità sapranno sfruttare il momento di euforia di una società coesa per infondere nuova energia alla rivoluzione iraniana. L'euforia non durerà per sempre, se non si farà qualcosa; è paradossale, ma la situazione ha fatto sì che la Repubblica possa contare adesso su un'opportunità inattesa.
Lo stato sionista, al contrario, dopo aver lanciato la sua "guerra psicologica" per rovesciare lo Stato iraniano, si è rapidamente trovato in una situazione in cui il nemico non solo non si è arreso, ma ha anche reagito. Lo stato sionista si è ritrovato bersaglio di attacchi di ritorsione su larga scala. La situazione è diventata rapidamente critica, sia dal punto di vista economico che dell'esaurimento delle difese aeree, come dimostrano le disperate richieste di aiuto rivolte da Netanyahu agli Stati Uniti.
Passando al livello più ampio dei costi e dei benefici da un punto di vista geopolitico, la posizione dello stato sionista (a livello regionale) di realtà invulnerabile quando unita alla potenza statunitense ha subito un duro colpo: "Pensate alla questione in questo modo: tra dieci o vent'anni, cosa verrà ricordato... [l'attacco che ha decapitato le forze armate e le uccisioni mirate di scienziati]... o il fatto che le città dello stato sionista sono andate in fiamme per la prima volta, che lo stato sionista non è riuscito a smantellare il programma nucleare iraniano e che ha fallito tutti gli altri obiettivi importanti che si era prefissato, compreso il rovesciamento della Repubblica Islamica? Il fatto è che lo stato sionista ha subito un'umiliazione storica che ha distrutto il suo mito". I paesi del Golfo avranno qualche difficoltà a digerire le implicazioni di più vasta portata di questo evento simbolico.
Sebbene l'elettorato di Trump sembri contento del fatto che l'AmeriKKKa abbia partecipato in modo minimo alla guerra –e apparentemente sia felice di vivere avvolto in una nebbia di autocompiacimento esagerato– ci sono prove significative che i settori MAGA della coalizione di Trump stiano al tempo stesso giungendo alla conclusione che il presidente degli Stati Uniti sta diventando sempre più parte di quel sistema del deep state che aveva criticato con tanta veemenza.
Due sono stati gli argomenti fondamentali nelle ultime elezioni presidenziali statunitensi: l'immigrazione e il "basta alle guerre di durata indefinita". Trump oggi, nonostante i messaggi molto confusi e contraddittori, è chiaro sul fatto che una guerra di durata indefinita non è fuori discussione: "Se l'Iran costruirà nuovamente impianti nucleari, allora in quello scenario gli Stati Uniti colpiranno [di nuovo]", ha avvertito Trump.
Dichiarazioni come questa, insieme ai post sempre più bizzarri che Trump sta pubblicando, sembrano aver spinto la base populista ad assumere sul tema posizioni radicalmente ostili nei suoi confronti.
Per il resto del mondo, i recenti post di Trump sono inquietanti. Forse funzionano per qualche statunitense, ma non altrove. Ciò significa che Mosca, Pechino o Tehran hanno più difficoltà a prendere sul serio messaggi così incostanti. Altrettanto preoccupante, tuttavia, è quanto gli uomini di Trump si siano dimostrati scollegati dalla realtà geopolitica valutando la situazione, in tutta una serie di casi. In molte capitali del mondo la cosa ha destato allarme.