21 maggio 2025

Alastair Crooke - La transizione che sta portando a un nuovo ordine mondiale è per lo più incomprensibile per l'Occidente

Negli Stati Uniti, a dire la verità, che ci sia bisogno di cambiare il quadro generale è una cosa di cui hanno preso atto appena adesso.
La leadership europea e coloro che hanno tratto ogni vantaggio dalla finanziarizzazione adesso si lamentano con alterigia della "tempesta" scatenata da Trump sul mondo, e ridicolizzano i fondamenti delle sue iniziative economiche come se fossero qualcosa di astruso e di completamente fuori dalla realtà.
Il che è assolutamente falso.
Come sottolinea l'economista greco Yanis Varoufakis, di come stessero realmente le cose in Occidente e di come fosse necessario un cambiamento generale aveva già parlato con chiarezza l'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker addirittura nel 2005.
La dura realtà del paradigma economico liberale globalizzato era evidente già allora:
Ciò che tiene insieme il sistema globalizzato è un massiccio e crescente flusso di capitali dall'estero, che supera i 2 miliardi di dollari ogni giorno lavorativo e continua a crescere. Questo non ci provoca alcuna sensazione di tensione. Come nazione, non siamo consapevoli del fatto che stiamo prendendo denaro in prestito, né del fatto che stiamo mendicando. Non offriamo nemmeno tassi di interesse attraenti, né dobbiamo offrire ai nostri creditori una protezione contro il rischio che il dollaro scenda.
Per noi è tutto molto comodo. Riempiamo i nostri negozi e i nostri garage con merci provenienti dall'estero, e questa concorrenza è servita da forte calmiere per i prezzi del mercato interno. Questo ha sicuramente contribuito a mantenere i tassi di interesse eccezionalmente bassi, nonostante i nostro risparmi diminuiscano e la crescita sia rapida.
Tutto questo ha fatto comodo anche ai nostri partner commerciali e a chi fornisce capitali. Alcuni, come la Cina [e l'Europa, in particolare la Germania], sono diventati pesantemente dipendenti dall'espansione del nostro mercato interno. E le banche centrali dei paesi emergenti si sono dimostrate per lo più disposte a tenere sempre più dollari. E il dollaro dopotutto è la cosa più vicina a una valuta veramente internazionale che esista al mondo.
Il problema è che questo stato di cose apparentemente comodo non può andare avanti all'infinito.
Appunto. E Trump sta facendo saltare in aria il sistema del commercio per ricominciare da zero. Quei liberali occidentali che oggi digrignano i denti e lamentano l'avvento della "economia trumpiana" semplicemente negano che Trump abbia per lo meno preso atto dell'aspetto più importante che questo stato di cose ha per gli Stati Uniti, vale a dire che esso non può andare avanti all'infinito che che i tempi del consumismo basato sul debito ormai sono finiti già da un pezzo.
È bene ricordare che la maggior parte dei partecipanti al sistema finanziario occidentale in vita loro non hanno conosciuto altro che il confortevole mondo descritto da Volcker. Non c'è da stupirsi che abbiano difficoltà a pensare a qualcosa che esuli dal loro orticello. Questo non vuol dire, ovviamente, che la soluzione di Trump funzionerà. È possibile che la peculiare forma di riequilibrio strutturale promossa da Trump possa in concreto peggiorare le cose.
Ciononostante, una qualche forma di cambiamento sostanziale non è più rimandabile. Altrimenti la scelta sarà tra un lento scivolare verso la bancarotta e un precipitarvi a rotta di collo.
Il sistema globalizzato e basato sul dollaro ha funzionato bene all'inizio, almeno dal punto di vista degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno esportato la loro sovraccapacità produttiva del dopoguerra in un'Europa dollarizzata da pochissimo, che consumava il surplus. Anche l'Europa ha goduto dei vantaggi di un contesto macroeconomico favorevole; i suoi modelli basati sulle esportazioni e garantiti dal mercato statunitense.
La crisi oggi in atto è tuttavia inziata quando il paradigma si è invertito, quando gli Stati Uniti sono entrati in un'era di deficit strutturali insostenibili e quando la finanziarizzazione ha portato Wall Street a costruire una piramide rovesciata di "attività" derivate, fondate su un minuscolo perno di attività reali.
La crisi dovuta a questo squilibrio strutturale è una cosa già grave di per sé. Ma la crisi geostrategica occidentale va ben oltre la semplice contraddizione strutturale tra i flussi di capitali che si riversano in entrata e un dollaro "forte" che sta divorando il cuore del settore manifatturiero statunitense. Essa è infatti strettamente legata al concomitante crollo delle ideologie di base che fanno da sostegno alla globalizzazione liberale.
È proprio questa profonda devozione occidentale all'ideologia -oltre alla bambagia di cui è stato generoso il sistema descritto da Volker- ad aver scatenato un tale fiume di rabbia e di scherno nei confronti dei piani di "riequilibrio" di Trump. Quasi nessun economista occidentale ha qualcosa di positivo da dire a riguardo, ma nessuno nemmeno propone alcuna alternativa praticabile. La loro animosità nei confronti di Trump non fa che sottolineare il fatto che anche la teoria economica occidentale è andata in bancarotta.
Il che significa che a un livello più profondo la crisi geostrategica dell'Occidente implica il crollo di una ideologia archetipica e al tempo stesso quello di un assetto elitario sclerotizzato.
Per trent'anni Wall Street ha venduto castelli in aria in cui il debito non contava. Un'illusione che è appena andata in frantumi.
Qualcuno che capisce che il paradigma economico occidentale e il consumismo iperfinanziarizzato e basato sul debito hanno fatto il loro tempo, e che cambiare è inevitabile, effettivamente c'è. Ma l'Occidente ha investito così tanto nel modello economico “anglosassone” che, per la maggior parte, gli economisti ne sono irretiti. La parola d'ordine è sempre la stessa, vale a dire che "non ci sono alternative".
Il fondamento ideologico del modello economico statunitense si trova innanzitutto nell'opera di Friedrich von Hayek intitolata Verso la schiavitù: qualsiasi intervento governativo nella gestione dell'economia sarebbe una violazione della "libertà" e sarebbe la stessa cosa che il socialismo. Il fondamento archetipico dell'ideologia sarebbe poi nato dall'unione del pensiero di von Hayeck con la Scuola Monetarista di Chicago rappresentata dalla persona di Milton Friedman, che avrebbe scritto la versione statunitense di Verso la schiavitù. E che -ironicamente- sarebbe stata intitolata Capitalismo e libertà.
L'economista Philip Pilkington scrive che l'illusione di Hayek per cui mercati e "libertà" sarebbero la stessa cosa, in sintonia con la corrente libertaria profondamente radicata negli Stati Uniti, "si è diffusa al punto da saturare completamente il discorso pubblico":
Tra persone ben educate e in pubblico, si può certamente essere di sinistra o di destra, ma si sarà sempre neoliberisti per un verso o per l'altro; altrimenti, semplicemente, non ci sarà consentito partecipare al dibattito. Ogni paese può avere le sue peculiarità... ma in linea di massima seguono tutti un modello simile: il neoliberismo basato sul debito è innanzitutto una teoria su come riorganizzare lo Stato per garantire il successo dei mercati e del loro attore principale, che sono le moderne società per azioni.
Ecco quindi il punto fondamentale: la crisi della globalizzazione liberale non può comportare il mero riequilibrio di una struttura fallimentare. Lo squilibrio è comunque inevitabile quando tutte le economie perseguono allo stesso modo, tutte insieme e tutte contemporaneamente, il modello anglosassone "aperto" basato sulle esportazioni.
No, il problema più grande è che è crollato anche il mito archetipico per cui quando gli individui (e gli oligarchi) perseguono ciascuno il massimo del proprio utile individuale -grazie alla magia della mano invisibile del mercato- i loro sforzi combinati finiscono nel loro insieme per andare a beneficio della comunità nel suo complesso (Adam Smith).
In effetti l'ideologia a cui l'Occidente si aggrappa con tanta tenacia, secondo cui la motivazione umana è utilitaristica e solo utilitaristica, è un'illusione. Come hanno sottolineato filosofi della scienza come Hans Albert, la teoria della massimizzazione dell'utilità esclude a priori la presa in considerazione del mondo reale, cosa che rende la teoria non verificabile.
Il fatto paradossale è che Trump è comunque il primo di tutti i massimizzatori utilitaristi! È quindi il profeta di un ritorno all'era dei magnati statunitensi del XIX secolo, o è il sostenitore di un ripensamento ancora più radicale?
Insomma, l'Occidente non può passare a una struttura economica diversa -come potrebbe essere un modello "chiuso" a circolazione interna- proprio perché dal punto di vista ideologico ha investito oltremodo nei fondamenti filosofici di quella attuale, tanto che metterli in discussione sembra essere la stessa cosa che tradire i valori europei e i valori libertari che negli Stati Uniti hanno un valore fondante. E che derivano dalla Rivoluzione francese.
Il fatto è che oggi come oggi in Occidente il concetto dei "valori" ateniesi che esso rivendica è screditato quanto la sua teoria economica ha perso credito tanto nel resto del mondo, quanto presso una parte significativa di una popolazione irritata e disillusa.
In buona sostanza, non si vada a cercare presso le élite europee una visione coerente del nuovo ordine mondiale che si sta affermando. Esse sono in piena crisi e sono troppo occupate a cercare di salvarsi dal crollo della sfera occidentale e dalla temuta punizione da parte dei loro elettori.
La nuova era segna anche la fine della vecchia politica: le dicotomie dei "rossi contro i blu" e della "destra contro sinistra" stanno perdendo di significato. E si stanno già formando nuove identità politiche e nuove aggregazioni, anche se la loro definizione è ancora incerta.

16 maggio 2025

Spaghetti, pallone e campi di concentramento



Verso la fine degli anni Ottanta la propaganda politica illustrava e vantava i successi dell'economia. Lo stato che occupa la penisola italiana era (dicevano) la sesta o quinta potenza economica mondiale. L'agenda "occidentalista" era patrimonio di qualche vecchio ringhioso e un ricco milanese che di lì a qualche anno avrebbe fondato un partito per non finire in galera faceva ancora il ricco milanese che poteva evitare di finire in galera senza andare a decidere il destino di tantissime persone che non desideravano affatto il suo interessamento.
Nel 2025 lo stato che occupa la penisola italiana è sparito da certe classifiche -o meglio, vi figura eccome ma è bene non farle vedere troppo in giro- e il ricco milanese che aveva fondato un partito per non finire in galera è morto. Prima di morire però ha passato una trentina d'anni a dare visibilità, cariche e agibilità politica ai migliori alfieri dell'agenda "occidentalista" oggi comunemente condivisa. Alfieri che aveva personalmente tirato fuori dalle fogne. I risultati sono stati eccezionali: dopo tanti anni e tantissimo logorante e assiduo impegno la propaganda politica non illustra e non vanta i successi dell'economia. Illustra e vanta i campi di concentramento.
Uno di questi campi di concentramento si trova nella Repubblica d'Albania ed è stato argomento di molti telegazzettini. Anita Likmeta è nata a Durrës e potrebbe essere tacciata di filocomunismo solo dai gazzettieri più ligi e dai più repellenti tra i buoni a nulla che usano le "reti sociali" per sporcare ovunque. In "L'aquila nera, una storia rimossa del fascismo in Albania" si esprime sull'argomento in termini che difficilmente troveranno posto in televisione.
Oggi l'Albania non combatte più per l'Europa. Oggi l'Albania è la sua discarica. Nell'estate del 2024, il governo italiano ha reso ufficiale ciò che per anni si è cercato di mascherare dietro la retorica della cooperazione internazionale: il primo sbarco di migranti sulle coste albanesi non è stato un atto di accoglienza, ma di espulsione. Il 16 ottobre, sedici uomini provenienti dal Bangladesh e dall'Egitto, intercettati nel Mediterraneo, sono stati trasferiti a Shëngjin sotto sorveglianza militare. Non più vite in fuga, non più persone in cerca di futuro, ma un problema logistico da dislocare altrove, lontano dagli occhi, dal cuore e dalla coscienza collettiva. L'accordo prevede fino a 36.000 trasferimenti all'anno: un flusso continuo di esseri umani trattati come scarti, destinati a essere ammassati in centri di detenzione oltre il confine europeo, in un limbo amministrativo senza volto né voce. L'Albania di oggi è l'angolo dimenticato dove si scaricano gli affari sporchi, gli accordi mai dichiarati, i progetti senza futuro. La terra che nessuno difende e tutti vogliono controllare. Siamo rimasti una frontiera, ma non una che si protegge: una che si sfrutta, che si vende al miglior offerente.

10 maggio 2025

Firenze. Il Comitato cittadini attivi San Jacopino difende orgoglioso i bottegoni Esselunga



Il Comitato cittadini attivi San Jacopino è una roba da Libro dei Ceffi che si premura di specificare di essere apolitico, il che significa che politico lo è eccome, almeno dai tempi dell'islamofoba da taschino Francesca Lorenzi.
Nel maggio 2025 sul Libro dei Ceffi è comparsa questa convocazione.
Sit-in
Giovedi 15 maggio 2025
ore 18:15
Insieme per la sicurezza
per chiedere al governo fiorentino e forze
dell'ordine più sicurezza e presidi
Basta spaccio, basta degrado
basta furti e sciacalli nei
supermercati Esselunga
Più telecamere di sicurezza
Presidio delle forze dell'ordine interforze
Basta scippi, aggressioni, spaccate .

Ritrovo davanti Esselunga via Galliano
Giardino Galliano Palazzo INPS Via Toselli
Siete tutti invitati comitati, associazioni gruppi FB A
Partecipare per la nostra sicurezza portate striscioni

Comitato cittadini attivi
San Jacopino
Dal che veniamo a sapere che non solo esiste un governo fiorentino, ma che se uno ha bisogno di sostanze contenenti i principi attivi della cannabis sativa, del papaver somniferum, dello erythroxylum coca o altre ancora può rivolgersi ai bottegoni Esselunga, pur presidiati da ladri e canes aurei che magari richiedono qualche precauzione.
A proposito di precauzioni, chi ha redatto il volantino deve conoscere molto bene i suoi polli e in un "paese" dove basta usare decentemente il congiuntivo per rischiare di essere aggrediti fisicamente da qualche ciabattona diplomata alla scuola della vita ha pensato bene di non correre rischi inutili. Ha ridotto all'osso i segni di interpunzione e nell'originale ha evitato anche quella noiosa e incomprensibile alternanza tra maiuscole e minuscole con cui scrivono i tuttologi tridosati con il siero. Tra i risultati più simpatici uno ibis redibis non morieris in bello in cui pare di capire che portando striscioni si contribuisca alla sicurezza
Una iniziativa importante e costruttiva, dalle consegne chiare. Perché mai non plaudire a un contributo così rilevante per la vita politica e sociale di Firenze.
Abbiamo più volte ricordato come a Firenze ci sia un bottegone ogni cinquecento metri, come il signor Caprotti e i suoi eredi siano stati protagonisti in negativo di alcuni pessimi episodi della vita economica locale, e di come il fatto che adesso anche l'unico ruolo accordato ai sudditi con una qualche buona grazia, che è quello di consumatori, sia messo in discussione non solo e non tanto dagli individui problematici attirati da quella che si è voluta ad ogni costo ergere a rilevantissima agenzia socializzatrice non istituzionale, ma anche e soprattutto dalla devastazione dei redditi in corso da oltre trent'anni, che nulla e nessuno intende -e neppure può- fermare. Il democratismo rappresentativo può trovare qualche legittimazione solo ripetendo l'unico copione che conosce, che è quell'accanimento contro le figure marginali in cui sono specializzate moltissime gazzette e cui oggi danno volenterosa mano anche figure di un livello chissà perché ritenuto superiore. C'è anche l'intelligenza artificiale, con cui trattare foto di tagliagole più o meno melaninodotati -a metà strada tra la realtà e l'allucinazione a contenuto persecutorio- a beneficio dell'idiozia naturale dell'elettorato di riferimento.
Il bottegone nella sua vera essenza fa ottima figura in un film del 1978 che lo ritrae come ambiente ideale per dei morti viventi.
In un film del 1978, è bene ripetere.
In altre parole, il bottegone costituisce una realtà tale, e si pone in un contesto tale, che le persone serie possono al massimo meravigliarsi del fatto che chi vi entra brandendo una scure rappresenti l'eccezione.
Che la vita "occidentale" sia sovvertita al punto che qualcuno si senta in dovere di manifestare per difendere un posto del genere, meraviglia ancora meno.

08 maggio 2025

Alastair Crooke - Donald Trump, il campione degli accordi che non conclude accordi



Traduzione da Strategic Culture, 5 maggio 2025.

La versione corrente, sia in Ucraina che in Iran, è che il presidente Trump vuole arrivare a un accordo. In tutti e due i casi la cosa è fattibile, ma sembra che Trump sia comunque riuscito a mettersi con le spalle al muro. Trump tiene a presentare la sua amministrazione come un qualcosa di più spiccio, di più cattivo e di molto meno incline ai sentimentalismi. Essa aspira ad affermarsi, a quanto sembra, anche come qualcosa di più centralizzato, coercitivo e radicale.
In politica interna definire l'ethos trumpiano in questi termini può anche essere fondato. In politica estera tuttavia Trump tergiversa. Il motivo non è chiaro, ma è una cosa che offusca le sue prospettive nei tre settori fondamentali per le sue aspirazioni di "pacificatore": l'Ucraina, l'Iran e Gaza.
Certamente Trump deve la sostanza del suo mandato al dilagante malcontento economico e sociale piuttosto che alla sua pretesa di essere un pacificatore; tuttavia gli obiettivi chiave della politica estera rimangono importanti per mantenere un buon livello di consenso e di inziativa.
Si potrebbe rispondere che nei negoziati internazionali un presidente ha bisogno di circondarsi di personalità determinate ed esperte in grado di sostenerlo. E Trump di queste personalità non ne dispone.
Prima mandare il suo inviato Witkoff a parlare con il presidente Putin, pare che il generale Kellogg abbia presentato a Trump una proposta di armistizio in stile Versailles, basata sull'idea che la Russia fosse alle corde: il piano era formulato in termini che sarebbero stati più appropriati a una capitolazione. La proposta di Kellogg sottintendeva anche l'idea che Trump avrebbe fatto a Putin un "grande favore", a toglierlo dal pantano ucraino in cui era andato a cacciarsi. Ed è proprio questa la linea che Trump ha adottato a gennaio. Dopo aver affermato che la Russia aveva perso in guerra un milione di uomini, Trump aveva aggiunto che "con il suo rifiutare ogni accordo, Putin sta distruggendo la Russia". Disse anche che l'economia russa era "alla rovina" e, cosa ancora più significativa, che avrebbe preso in considerazione l'ipotesi di imporre sanzioni o dazi alla Russia. In un successivo post su Truth Social, Trump ha scritto: "Farò alla Russia, la cui economia sta crollando, e al presidente Putin, un FAVORE davvero grosso".
Debitamente imbeccato dai suoi, il presidente potrebbe aver pensato di offrire a Putin un cessate il fuoco unilaterale e, in men che non si dica, di arrivare rapidamente ad un accordo che avrebbe ascritto a proprio merito. Tutte le premesse su cui si basava il piano Kellogg -il fatto che la Russia soffrisse per le sanzioni e che la guerra ormai in stallo fosse costata enormi perdite- erano false. Nessuno nell'entourage di Trump ha quindi svolto le dovute verifiche sulla strategia di Kellogg? Sembra che -per pigrizia- abbiano preso come modello la guerra di Corea, senza stare neanche a chiedersi se si trattasse di un paragone appropriato o meno.
Nel caso della guerra di Corea il cessate il fuoco lungo la linea del fronte precedette le considerazioni politiche, che arrivarono solo in un secondo momento. E che a tutt'oggi permangono irrisolte.
Con questo insistere anzitempo per un cessate il fuoco immediato durante i colloqui con i funzionari russi a Riyadh, Trump li ha invitati a rifiutare. Soprattutto perché gli uomini di Trump non avevano un piano concreto su come attuare un cessate il fuoco, e si sono limitati a dare per scontato che tutti i dettagli potessero essere affrontati a posteriori. Insomma, la questione è stata presentata a Trump come una facile vittoria.
Cosa che non era.
Il risultato era ovvio: il cessate il fuoco è stato rifiutato. Se al lavoro ci fosse stata gente davvero competente non si sarebbe arrivati a tanto. Nessuno dei funzionari di Trump ha sentito cosa aveva detto Putin il 14 giugno dell'anno scorso, quando aveva esposto con molta chiarezza al Ministero per gli Affari Esteri la posizione russa su un cessate il fuoco, posizione da allora regolarmente ribadita? A quanto pare no.
Eppure, quando l'inviato di Trump Witkoff è tornato dal lungo incontro con il presidente Putin per riferire sulla spiegazione dettagliata fornitagli di persona da quest'ultimo sul perché un qualsiasi cessate il fuoco avrebbe dovuto essere preceduto da un inquadramento politico -a differenza di quanto accaduto in Corea- il generale Kellogg gli avrebbe seccamente ribadito che "gli ucraini non accetteranno mai".
Fine della discussione, a quanto pare. Nulla di fatto.
La situazione è rimasta la stessa, nonostante diversi altri voli diretti a Mosca. A Mosca si attendono conferme sul fatto che Trump è in grado di consolidare la sua posizione e di prendere la situazione in pugno. Fino a quel momento, Mosca è pronta ad agevolare un "ravvicinamento delle posizioni", ma non approverà un cessate il fuoco unilaterale. E nemmeno Zelensky.
A rimanere incomprensibile è come mai Trump non interrompa i flussi di armi e di intelligence statunitensi verso Kiev e non dica agli europei di togliersi dai piedi. Kiev dispone forse di una qualche forma di potere di veto? Gli uomini di Trump non hanno capito che gli europei sperano semplicemente di ostacolare l'obiettivo di Trump, che è quello di normalizzare le relazioni con la Russia? Sarà il caso che comincino a capirlo.
Sembra che il "dibattito" -se così si può chiamarlo- all'interno dell'amministrazione Trump abbia in gran parte escluso i dati reali. Si è svolto ad un livello normativo elevato, dove certi fatti e certe verità sono semplicemente dati per scontati.
Forse ha pesato molto una dinamica analoga al fenomeno dei costi irrecuperabili: più si continua con una linea di condotta -non importa quanto stupida- meno si è disposti a cambiarla. Cambiarla sarebbe interpretato come riconoscere l'errore, e riconoscere l'errore è il primo passo verso la perdita del potere.
E c'è un parallelo nei colloqui con l'Iran.
Trump ha in mente di arrivare a un accordo negoziato con l'Iran che raggiungerebbe il suo obiettivo di un Iran senza armi nucleari. Obiettivo che sarebbe esso stesso tautologico, dato che la comunità dei servizi statunitensi ha già stabilito che l'Iran non possiede armi nucleari.
Come si fa a fermare una cosa che non esiste? Beh, l'intenzione è un concetto estremamente difficile da definire. Quindi, l'entourage di Trump riparte dall'inizio, dal punto fermo originario stabilito dalla Rand Organisation per cui non esiste alcuna differenza qualitativa tra l'arricchimento dell'uranio a fini pacifici e quello a fini militari. Quindi, non dovrebbe essere consentito alcun arricchimento.
Solo che l'Iran l'uranio lo arricchisce, grazie alla concessione di Obama nell'ambito del JCPOA, che lo ha permesso sia pure con alcune limitazioni.
Circolano molte idee su come quadrare il cerchio, ovvero il rifiuto dell'Iran di rinunciare all'arricchimento e l'impossibilità di Trump di usare le parole come armi. Nessuna di queste idee è nuova: importare in Iran materie prime arricchite; esportare l'uranio altamente arricchito dall'Iran in Russia (cosa già fatta nell'ambito del JCPOA) e chiedere alla Russia di costruire l'impianto nucleare iraniano per alimentare l'industria locale. Il problema è che la Russia lo sta già facendo. Un impianto è già in funzione e un altro è in costruzione.
Anche lo stato sionista naturalmente ha avanzato le sue proposte: eliminare alla radice tutte le infrastrutture di arricchimento e le capacità missilistiche dell'Iran.
Solo che l'Iran non accetterà mai.
Quindi, la scelta è tra un sistema di ispezioni e sorveglianza tecnica, implementato in un accordo simile al JCPOA -che non farà la felicità né dello stato sionista né la leadership istituzionale ad esso vicina- o un'azione militare.
Il che ci riporta all'entourage di Trump e ai disaccordi all'interno del Pentagono.
Pete Hegseth ha fatto avere all'Iran questo messaggio, pubblicato su un suo account sui social:
Vediamo il vostro sostegno LETALE agli Houthi. Sappiamo esattamente cosa state facendo. Sapete molto bene di cosa è capace l'esercito statunitense e siete stati avvertiti. Ne pagherete le CONSEGUENZE nel momento e nel luogo da noi scelti.
Chiaramente, Hegseth è un frustrato. Come ha osservato Larry Johnson:
Gli uomini di Trump si sono mossi sulla base di [un'altra] falsa supposizione, ovvero che i collaboratori di Biden non abbiano compiuto seri sforzi per distruggere l'arsenale di missili e di droni degli Houthi. I sostenitori di Trump credevano di poter bombardare gli Houthi fino a sottometterli. Invece, gli Stati Uniti stanno dimostrando a tutti i paesi della regione i limiti della loro potenza navale e aerea... Nonostante più di seicento sortite di bombardamento, gli Houthi continuano a lanciare missili e droni contro le navi statunitensi nel Mar Rosso e contro obiettivi all'interno dello stato sionista.
Pare che gli uomini di Trump si siano prima cacciati in un conflitto con lo Yemen e poi in un negoziato complicati con l'Iran, ancora una volta senza aver controllato di essere tutti d'accordo sullo Yemen. Si tratta davvero di un ragionamento di gruppo?
In una situazione di incertezza come quella attuale, la solidarietà viene vista come un fine in sé e nessuno vuole essere accusato di "indebolire l'Occidente" o di "rafforzare l'Iran". Se devi sbagliare, meglio sbagliare in compagnia del maggior numero possibile di persone.
Lo stato sionista lascerà correre? Sta lavorando alacremente con il generale Kurilla (il generale statunitense al comando del CENTCOM) nel bunker sotto il Dipartimento della Difesa, preparando piani per un attacco congiunto contro l'Iran. Lo stato sionista sembra molto impegnato in questa occupazione.
Tuttavia, l'ostacolo fondamentale al raggiungimento di un accordo con l'Iran è ancora più cruciale, in quanto -così come è attualmente concepito- l'approccio degli Stati Uniti ai negoziati viola tutte le regole su come avviare un trattato di limitazione degli armamenti.
Da un lato c'è lo stato sionista, che ha armi nucleari e la capacità per lanciarle con sottomarini, aerei e missili. Lo stato sionista il ricorso alle armi nucleari lo ha anche minacciato, sia recentemente a Gaza sia durante la prima guerra in Iraq, in risposta ai missili Scud di Saddam Hussein.
A mancare, qui, è un minimo di principio di reciprocità. Si dice che l'Iran minaccia lo stato sionista, quando è lo stato sionista a minacciare regolarmente l'Iran. E lo stato sionista ovviamente vuole che l'Iran sia neutralizzato e disarmato, mentre insiste per non dover rendere conto di niente: niente trattato di non proliferazione, niente ispezioni dell'AIEA, nessuna ammissione.
I trattati di limitazione agli armamenti avviati da JF Kennedy e da Krusciov derivavano dal successo dei negoziati con cui gli Stati Uniti ritirarono i propri missili dalla Turchia prima che la Russia ritirasse i propri da Cuba.
Deve essere chiaro a Trump e Witkoff che proposte sbilanciate come quella che rivolgono all'Iran non hanno alcuna relazione con le realtà geopolitiche e sono quindi prima o poi destinate al fallimento. La squadra di Trump si sta mettendo con le spalle al muro da sola, costringendosi ad un'azione militare contro l'Iran di cui poi dovrà assumersi la responsabilità.
Trump questo non lo vuole, l'Iran non lo vuole. Quindi, si è approfondita la questione? L'esperienza dello Yemen è stata presa in considerazione nella sua interezza? Quelli di Trump hanno pensato a qualche via d'uscita? Un modo innovativo per uscire da questo dilemma e di ripristinare almeno in parte una parvenza di trattato di limitazione degli armamenti come lo si intende in modo classico potrebbe essere l'avanzare l'idea, da pare di Trump, che è giunto il momento che lo stato sionista aderisca al trattato di non proliferazione e che sottoponga le sue armi all'ispezione dell'AIEA.
Trump lo farà? No.
Il motivo è ovvio.
La trasformazione degli USA voluta da Trump passa dal ricostruire gli USA innanzitutto.