venerdì 7 febbraio 2025

Alastair Crooke - Il dentro e il fuori. La soluzione (geopolitica) di Trump, il più grande imbonitore




 Traduzione da Strategic Culture, 6 febbraio 2025.

Si può fare l'impossibile? L'AmeriKKKa è per istinto una potenza espansionistica che ha bisogno di nuovi campi da conquistare e di nuovi orizzonti finanziari da dominare e da sfruttare. Gli Stati Uniti sono fatti così. Lo sono sempre stati.
Come puoi fare però se sei Trump e ti vuoi ritirare dalle guerre alla periferia dell'impero ma vuoi anche costruire l'immagine brillante di un'AmeriKKKa muscolare e in espansione, alla guida della politica e della finanza mondiali?
Il Presidente Trump è da sempre un uomo di spettacolo e una soluzione ce l'ha; è quella di lasciar perdere il costrutto ideologico ormai privo di credito di una egemonia muscolare ameriKKKana a livello globale e di suggerire piuttosto che le guerre a durata indefinita fin qui condotte non sarebbero mai dovute essere "le nostre guerre"; poi, come ha anticipato e suggerito Alon Mizrahi, iniziare a ricolonizzare quello che già era stato una colonia: il Canada, la Groenlandia, Panama, e naturalmente anche l'Europa.
Bene, l'AmeriKKKa sarà più grande, Trump sarà decisamente muscolare come con la Colombia, darà spettacolo alla grande ma allo stesso tempo limiterà la pretesa degli USA di essere al centro delle questioni di sicurezza al solo emisfero occidentale. Come Trump continua ad asserire, gli ameriKKKani vivono "nell'emisfero occidentale", non in Medio Oriente o da altre parti.
Trump tenta così di staccarsi dall'espansionismo periferico e dalle sue guerre, che sarebbero "il fuori" - per proclamare che "il dentro" -cioè le pertinenze dell'emisfero occidentale- è diventato più grande ed è indiscutibilmente ameriKKKano. E questo è quello che conta.
È un cambiamento importante. Il suo pregio è che molti ameriKKKani iniziano a riconoscere che si tratta di una visione più aderente alla realtà. L'AmeriKKKa resta espansionista per istinto, e questo non cambia, ma molti ameriKKKani sono convinti che sia necessario concentrarsi su ciò di cui l'AmeriKKKa ha bisogno sul piano interno e sul suo "vicinato".
Mizrahi chiama questo aggiustamento tra il dentro e il fuori "autocannibalizzazione": l'Europa fa parte della sfera d'interesse dell'Occidente e dell'Occidente l'"Europa" si considera il progenitore, eppure l'amministrazione Trump si è impegnata a ricolonizzarla, sia pure in chiave trumpiana.
È risaputo che è stato Robert Cooper, un alto diplomatico britannico inviato a Bruxelles, a coniare nel 2002 l'espressione "imperialismo liberale" per indicare il nuovo obiettivo dell'Europa. Si trattava di un imperialismo basato sul soft power. Tuttavia, Cooper non riusciva a liberarsi di un certo orientalismo europeo da vecchio impero, e scriveva:
La sfida per il mondo postmoderno è quella di fare l'abitudine all'idea dei due pesi e delle due misure. Tra di noi ci comportiamo seguendo le norme di una aperta e sicura collaborazione. Ma quando abbiamo a che fare con gli Stati più antiquati, al di fuori del continente postmoderno dell'Europa, dobbiamo tornare ai più rudi sistemi di un'epoca passata: la forza, l'attacco preventivo, l'inganno, tutto quanto è necessario per trattare con coloro che vivono ancora nel mondo ottocentesco in cui ogni Stato faceva testo per conto proprio. Tra di noi rispettiamo senz'altro le leggi; ma quando andiamo nella giungla, dobbiamo ricorrere alle leggi della giungla.
La visione del mondo di Cooper ha influenzato il pensiero di Tony Blair e lo sviluppo della politica europea di sicurezza e difesa.
La élite dell'Unione Europea, tuttavia, iniziò a nutrire l'ottimistica convinzione di avere avuto l'accesso all'autentico status di impero. Un impero di primo piano nel potere mondiale, e uno status dato dal fatto che le sue leggi controllavano un mercato di quattrocento milioni di consumatori. La cosa non ha funzionato. L'Unione Europea ha adottato lo stratagemma di Obama che promette di creare un ambiente in cui vige una sorta di "controllo mentale": sarebbe possibile "creare" la realtà gestendone la narrazione.
Ai cittadini europei non è mai spiegato con correttezza che un impero transnazionale come l'Unione Europea implicava (e richiedeva) la rinuncia alla sovranità data dai processi decisionale ad opera dei rispettivi parlamenti. I cittadini hanno immaginato più che altro di entrare a far parte di un'area di libero scambio. Invece sono stati condotti al dato di fatto dell'Unione Europea tramite la dissimulazione e l'attenta gestione di una "realtà" comunitaria costruita apposta.
L'aspirazione europea a diventare un impero liberale sembra essere molto appannta dopo l'assalto culturale di Trump a Davos. L'aria che si respira fa piuttosto pensare al passaggio da un clima culturale a un altro.
Elon Musk sembra aver ricevuto l'incarico di far uscire la Germania e la Gran Bretagna dalla vecchia visione del mondo e di farle entrare in quella nuova. Nell'agenda di Trump è un elemento importante, poiché questi due Stati sono i principali fautori della guerra in favore di una supremazia globale piuttosto che di una supremazia nell'emisfero occidentale. I fallimenti decisionali dell'Europa negli ultimi anni, tuttavia, rendono l'Europa un obiettivo ovvio per un Presidente determinato a imporre un radicale mutamento culturale.
Il riorientamento di Trump ha dei precedenti. Anche l'antica Roma si ritirò dalle province imperiali periferiche per concentrarsi sul proprio nucleo centrale quando le guerre lontane drenarono troppe risorse dal centro e il suo esercito si ritrovò superato sul campo. Roma non avrebbe mai apertamente ammesso di essersi ritirata.
Il che ci riporta al radicale cambiamento tra dentro e fuori in atto oggi. In pratica pare che si tratti di "imperversare come un turbine impazzito" sul piano interno -che è la cosa che per la sua base elettorale conta di più- e di manifestare un comportamento confuso e imprevedibile nel campo della politica internazionale. Si continua con i mantra ideologici dell'ancien régime e con le statistiche controfattuali, ma poi si manda tutto all'aria sparpagliando qua e là qualche considerazione di segno opposto. Per esempio, sul cessate il fuoco a Gaza viene fuori che "è la loro guerra", dove con loro si intende lo stato sionista, ovvero che l'interesse dello stato sionista non coincide per forza con quello degli USA, e poi ci si mette come se fosse un inciso che Putin potrebbe avere già deciso di "non accordarsi" sull'Ucraina.
Forse il ritratto sprezzante di Putin come sconfitto in Ucraina era più che altro ad uso del Senato degli Stati Uniti in vista delle udienze per il gradimento dei candidati agli incarichi federali. Le affermazioni di Trump sono arrivate pochi giorni prima che Tulsi Gabbard affrontasse il Senato, e la Gabbard è già stata criticata dai falchi statunitensi per i suoi presunti sentimenti filo putiniani, oltre ad essere stata oggetto di una campagna mediatica fitta di insulti da parte dello Stato profondo.
Quello che è sembrato un atteggiamento irrispettoso nei confronti di Putin e della Russia -e che in Russia ha levato reazioni rabbiose- è stato assunto da Trump apposta per i senatori statunitensi, visto che in Senato Trump ha alcuni dei suoi avversari più accaniti?
E le vergognose considerazioni di Trump sul ripulire Gaza dai palestinesi, da mandare in Egitto o in Giordania (concordate con Netanyahu, secondo un ministro dello stato sionista) erano forse a uso della destra dello stato sionista? Secondo il citato ministro, l'incoraggiamento dell'emigrazione volontaria dei palestinesi adesso è una questione tornata all'ordine del giorno, proprio come i partiti di destra desideravano da tempo e come molti nel Likud di Netanyahu speravano. Musica per le loro orecchie.
Trump si è forse mosso in anticipo, con un'alzata di ingegno pensata per salvare il governo di Netanyahu dall'imminente collasso in occasione della seconda fase del cessate il fuoco e dalla minaccia di un'uscita di scena della sua componente di destra? L'obiettivo di Trump in questo caso erano i ministri Ben Gvir e Smotrich?
Trump ingenera confusione in modo mirato, e non chiarisce mai a chi siano rivolte di preciso le considerazioni che esprime in ogni momento.
Esiste forse in ogni caso un qualche cosa di sostanziale, nel commento di Trump secondo cui la questione di un eventuale Stato palestinese deve essere risolta "in qualche altro modo" rispetto alla formula dei due Stati? Forse. Non dobbiamo ignorare la forte inclinazione di Trump verso lo stato sionista.
Netanyahu deve affrontare aspre critiche per aver gestito male sia il cessate il fuoco a Gaza che quello in Libano. La sua colpa è stata quella di promettere una cosa a un partito e il contrario all'altro, che poi è un vecchio vizio. Ha promesso alla destra la ripresa delle ostilità a Gaza, ma nell'accordo di cessate il fuoco effettivo si è impegnato senza mezzi termini a porre fine alla guerra. In Libano, da una parte lo stato sionista si era impegnato a ritirarsi entro il 26 gennaio, dall'altra i suoi militari sono ancora lì. La cosa ha levato una marea umana di libanesi che stanno tornando a sud sperando di rientrare in possesso delle proprie case.
Di conseguenza, Netanyahu in questo momento dipende totalmente da Trump. Non gli basterà ricorrere a qualche mossa astuta per togliersi dai guai: Trump lo tiene in pugno. Trump gli strapperà i cessate il fuoco e dirà a Netanyahu di non attaccare l'Iran, almeno finché non sarà stato lui a sondare la possibilità di un accordo con Tehran.
Con Putin e con la Russia accade il contrario. In questo caso Trump non ha a disposizione alcuna leva, per dirlo con la parola preferita a Washington. E non ha alcuna leva per quattro motivi.
In primo luogo, perché la Russia rifiuta fermamente l'idea di qualsiasi compromesso che "si riduca al congelamento del conflitto lungo la linea del fronte, cosa che darà tempo agli Stati Uniti e alla NATO di riarmare quanto rimane dell'esercito ucraino per poi riprendere le ostilità".
In secondo luogo, perché le condizioni poste da Mosca per porre fine alla guerra si riveleranno inaccettabili per Washington, in quanto non sarebbero suscettibili di essere presentate come una "vittoria" ameriKKKana.
In terzo luogo, perché la Russia ha un chiaro vantaggio militare: l'Ucraina questa guerra sta per perderla. Le principali roccaforti ucraine vengono ora conquistate dalle forze russe senza che venga loro opposta resistenza. Questo porterà a un effetto valanga. "L'Ucraina potrebbe cessare di esistere se non si apriranno negoziati seri prima dell'estate", ha recentemente avvertito il capo dell'intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov.
In quarto luogo, soprattutto, perché la parola leva non riflette affatto la storia. Quando popolazioni che occupano una stessa area geografica hanno versioni diverse e spesso inconciliabili della storia, l'idea occidentale di procedere per scambi in modo da "dividere lo spettro del potere" semplicemente non funziona. Le parti contrapposte non si sposteranno, a meno che una soluzione non riconosca e non tenga conto della loro storia.
Gli Stati Uniti hanno bisogno di “vincere” sempre. Trump è in grado di capire che le ineluttabili dinamiche di questa guerra impediscono di presentare qualsiasi risultato di una serie di scambi come una chiara "vittoria" per gli Stati Uniti? Certo che è in grado di capirlo. Lo capisce o lo capirà, quando ne sarà informato a livello professionale dai suoi.
La logica della situazione in Ucraina, per essere chiari, fa pensare che il Putin dovrebbe tranquillamente consigliare a Trump di allontanarsi dal conflitto ucraino, in modo da non doversi ritrovare a mettere il suo nome su quella che per l'Occidente è una disfatta.
Questa settimana Putin ha lasciato intendere che il conflitto ucraino potrebbe terminare in poche settimane; Trump potrebbe non dover aspettare a lungo.
Se Trump volesse una "vittoria", cosa altamente probabile, dovrebbe lasciarsi guidare dalle numerose allusioni di Putin; lo schieramento di missili a medio raggio da parte di entrambi i contendenti stanno portando a rischi più gravi; la situazione invoca un nuovo accordo di limitazione. Trump potrebbe ritrovarsi col poter dire di averci salvato tutti dalla terza guerra mondiale; e in questo potrebbe esserci più di un fondo di verità.

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