sabato 21 novembre 2015

Quale politica estera lascerà Barack Obama?


Traduzione da Conflicts Forum.

Ad Obama resta poco più di un anno per cercare di mettere insieme una politica estera da lasciare al suo successore. La dottrina Obama è stata una reazione agli aneliti imperiali dei neoconservatori, tenuti a bada assecondando le mutate pressioni cui è soggetta la potenza statunitense, e si basa in grande misura sul fragile pilastro degli accordi sul nucleare iraniano. Ultimamente però il Presidente Putin sta facendo balenare agli occhi del Presidente degli USA qualche cosa di più sostanzioso: la possibilità di mettere insieme l'accordo con l'Iran ad un possibile accordo in Siria, paradossalmente grazie all'intervento armato russo ed iraniano. Obama avrebbe almeno qualche cosa da contrapporre al fatto di non esser stato capace di porre fine alla lunga guerra in Afghanistan e di lenire la triste esperienza ameriKKKAna in Medio Oriente, come aveva promesso.
Se Obama accettasse l'offerta russa non si ritroverebbe solo con un altro accordo tra le mani: avrebbe la possibilità di chiudere la bocca ai neoconservatori liberandosi dalla loro stretta e passando da un percorso di crescenti tu per tu con Cina, Russia ed altri non trascurabili paesi ad uno meno basato sulla conflittualità.
In effetti si tratta di un azzardo: in potenza, si potrebbe cambiare il corso della storia mettendo l'AmeriKKKa in linea con i mutamenti politici ed economici che si sono succeduti dopo la seconda guerra mondiale invece che con una "politica reaganiana fatta di forza militare e di purezza morale". Di contro c'è il fatto che questa scelta non presenta alcuna certezza di un risultato finale che rappresenti un netto successo per gli Stati Uniti: la posizione degli USA in Medio Oriente potrebbe finire agganciata a paesi i cui interessi sono sostanzialmente diversi da quegli statunitensi. Tuttavia, con gli occhi alle dichiarazioni di quanti potrebbero succedergli alla presidenza, Obama deve chiedersi quanto durevole potrebbe essere un riallineamento del genere, e magari anche se si tratta di qualcosa di concretamente possibile.
Come ha scritto Jim Lobe,
Un gruppo di esperti di questioni di sicurezza nazionale per lo più di orientamento neoconoservatore ha pubblicato quello che è forse il primo compendio di quella che pensano potrebbe essere la politica estera repubblicana dopo lo Inauguration Day del 2017. Si intitola "Choosing to lead: AmeriKKKan Foreign Policy for a Disordered World"... Non è lontano dal vero chi pensa che si tratti di una riedizione del "Progetto per un nuovo secolo ameriKKKano", anche se Bob Kagan e Bill Kristol, i cofondatori di quella iniziativa, non fanno parte del folto numero di coautori. [ Il "Progetto per un nuovo secolo ameriKKKano" pubblicò due volumi: Present Dangers e Rebuilding AmeriKKKan Defenses, che insieme costituirono il manifesto dei neoconservatori favorevole al candidato repubblicano alle elezioni del 2000. Dapprincipio questa organizzazione appoggiò John McCain].
Ovviamente nel più recente elaborato non c'è nemmeno una traccia di scuse per la caterva di errori commessi dai neoconservatori: Stephen Walt ha già scritto che "i neoconservatori continuano a lavorare imperterriti al proprio ritorno sulla scena perché di quante volte si sono sbagliati non gli importa assolutamente nulla: gli importa solo dire e fare qualsiasi cosa possa servir loro a rimanere visibili agli occhi del pubblico". L'assunto di fondo di questo materiale è che con un presidente del tipo che dicono loro e perseguendo le linee politiche adeguate gli USA potranno continuare -e ci riusciranno- a guidare il mondo e prolungare la durata di questo loro ruolo unipolare. Insomma, non ci sarebbe motivo per cui nel ventunesimo secolo l'AmeriKKKa non dovrebbe continuare a "fare da guida" e a "garantire l'ordine mondiale".
"[Gli autori] considerano le aspirazioni di Pechino [quelle russe e quelle iraniane] come inaccettabili e deplorano la "sostituzione dell'ordine plasmato dall'AmeriKKKa che pure ha permesso la pacifica ascesa dei cinesi con uno in cui noi [ameriKKKani] altro non siamo che uno tra i molti che partecipano su un terreno di parità", scrive Jim Lobe. Si tratta di una aperta invocazione dell'impero, che Kristol ed altri hanno senza mezzi termini paragonato ai film di Guerre Stellari. In particolare, Kristol si è dilungato sulla sua simpatia per il Lato Oscuro: Dick Cheney ha fatto sua questa espressione, e l'ha usata per riferirsi alla politica estera statunitense.
Josh Rogin di Bloomberg nota:
Ci sono molti candidati sostenuti da gruppi di pressione che sembrano davvero ben preparati (sic): la cosa strana è che tra loro esiste un accordo perfetto per quanto riguarda le questioni della politica estera. La maggior parte deve essersi rivolta alle stesse persone, ad una specie di infrastruttura che ha messo a punto una campagna basata su una politica estera ombra che aspettava soltanto di sapere quale candidato sarebbe giunto alla ribalta".
Da quando Mitt Romney è uscito sconfitto nel 2012, il gruppo che gli elaborava la politica estera si è dato da fare per restare unito e per diventare prezioso per quanti più candidati alle primarie possibile, per mettersi in una posizione tale da poter influenzare il prossimo presidente nel caso fosse un repubblicano. Per candidati che a questo punto non hanno tempo o risorse per mettere insieme un proprio gruppo di esperti in politica estera questo progetto, chiamato John Hay Initiative, rappresenta uno strumento maneggevole per avere risposte efficaci su questioni complicate, e anche per affrontare in modo deciso alcune  questioni che riguardano la sicurezza nazionale.
All'interno del partito il gruppo è onnipresente dietro le quinte, e questo sta contribuendo alla stesura di un'agenda in politica estera da falchi che stanno "a destra di Hillary Clinton" e che sta rapidamente diventando posizione ufficiale su cui basare le speranze per un fruttuoso 2016".
Choosing to lead è il manifesto di questo gruppo. "i protagonisti di Hay Initiative dicono di considerare il progetto non solo come qualcosa di valido solo per la campagna elettorale, ma come l'embrione di uno staff per la politica estera del futuro presidente [seguendo il precedente del "Futuro secolo ameriKKKano"]", scrive Rogin.
Ci sono comunque altri stimati istituti di politica estera, al di sopra delle parti e degni di fiducia, che hanno fatta propria una posizione di questo genere soprattutto nei confronti della Cina, a cominciare dal Council on Foreign Relations. Come Conflicts Forum ha fatto presente a maggio del 2015, "Il Council on Foreign Relations ha appena pubblicato un documento di lodevole franchezza in cui... non fa mistero dei propri intenti, e scrive nero su bianco che la Cina deve essere sconfitta, perché rappresenta una minaccia all'egemonia globale degli Stati Uniti.
"Sin dai tempi della loro fondazione, gli Stati Uniti hanno coerentemente perseguito una strategia centrata sull'acquisizione e sul mantenimento della supremazia nei confronti di rivali di ogni genere, prima sul continente nordamericano, poi nell'emisfero occidentale e infine in tutto il mondo". Il documento procede poi a lodare l'amministrazione Bush, per aver aver ribadito con peveggenza che la strategia degli USA deve adesso centrarsi sull'impedire l'ascesa di qualunque altro futuro competitore mondiale.
"Il considerevole successo economico conseguito dalla Cina nel corso degli ultimi trent'anni le ha permesso di mettere insieme una potenza formidabile, rendendola la nazione meglio in grado di dominare il continente asiatico e di attentare al tradizionale obiettivo geopolitico statunitense di assicurare che questa zona del mondo resti libera da un controllo egemonico [in competizione con gli USA]".
Il documento prodotto dal Council on Foreign Relations si chiama Revising U.S. Grand Strategy Toward China. Nell'introduzione il presidente Richard Haass scrive che i suoi autori "pensano anche che la Cina non sia diventata quel "portatore di intressi responsabile" che negli USA molti speravano che diventasse... Da questa valutazione non nasce altro che l'invito, da parte degli autori di questo testo, ad adottare una nuova strategia verso la Cina che consideri innanzitutto il modo di rispondere alla sua ascesa anziché continuare ad assistervi da spettatori... Detto altrimenti, gli autori raccomandano che gli USA adottino una politica di contenimento della potenza cinese che in effetti implica un mutamento negli equilibri della politica sin qui seguita dagli Stati Uniti, passando da un atteggiamento basato sul sostegno e la cooperazione ad uno più centrato sulla pressione e la competizione. Si asseconderebbe meno e si contrasterebbe di più" oppure, come affermano gli autori del lavoro, vi sarebbe "una intensa competizione strategica tra USA e Cina".
La necessità che la politica estera ameriKKKana cambi passo viene ribadita anche in un libro cui Haass ha lavorato nello stesso periodo: Foreign Policy begins at Home. In esso si sostiene che le guerre senza giustificazione che l'AmeriKKKa ha fin qui scatenato "nel migliore dei casi, non avevano alcun senso dal punto di vista strategico [e tantomeno sarebbero] difendibili oggi, in un momento in cui gli Stati Uniti devono affrontare difficili sfide alla propria solvibilità".
Haass continua scrivendo che gli USA si trovano "in una posizione molto vulnerabile nei confronti di forze o di inziative che vanno al di là del loro controllo. Oggi come oggi il governo statunitense ha bisogno di entrate per oltre un milliardo di dollari al giorno per sostenere un massiccio debito federale, che attualmente ammonta a sedicimila miliardi e cresce di oltre mille miliardi ogni anno. La storia ci insegna cosa può succedere quando un governo straniero si trova per le mani un simile potere. Nel 1956 il governo statunitense, furibondo contro quello britannico che aveva partecipato all'invasione dell'Egitto dopo la nazionalizzazione del canale di Suez da parte di Nasser, bloccò il credito che era necessario ai britannici per evitare il collasso della loro moneta. Il governo in carica allora fu costretto a dimettersi. Adesso pensate a cosa potrebbe succedere se la Cina minacciasse qualcosa di simile contro gli USA, magari nel corso di una crisi che coinvolga Taiwan o il Mar Cinese Meridionale".
I neoconservatori si stanno riorganizzando -e molti che non sono neoconservatori stanno dando loro una mano- per rovesciare la dottrina Obama, a loro detta colpevole di esaurirsi in un'enfatica concezione dell'AmeriKKKa come "potenza declinante".
Come spesso succede, pochi sono i punti di disaccordo tra queste organizzazioni e i quattro accademici interpellati perché fornissero dati concreti alla commissione del senato sulle forze armate il 22 ottobre scorso. Il professor Eliot Cohen è copresidente della Hay Initiative ed ha fatto parte del "Progetto per un Nuovo Secolo AmeriKKKano" ed è l'unico neoconservatore vero e proprio ad aver preso parte all'incontro. Solo che tutti i partecipanti, chi esplicitamente e chi no, hanno negato che si possa parlare di un declino ameriKKKano anche se ci potrebbe essere bisogno di una maggiore cautela nell'esercizio del potere; nessuno si è mostrato in disaccordo con il concetto generale, di stampo neoconservatore, secondo cui la "benevolenta egemonia" ameriKKKana è come una frittata, che non si può fare se non rompendo qualche uovo. Questa definizione è di un discepolo di William Kristol, a sua volta ideatore nel 1996 dell'espressione "benevola egemonia globale" dell'AmeriKKKa.
Cosa c'entrano la Cina, la Russia, l'Iran ed altri paesi con tutto questo? Pare che i repubblicani si siano schierati in blocco dietro la Hay Initiative, con l'eccezione, forse, di Donald Trump. Hillary Clinton, più che probabile candidato democratico, è quella che ha detto "Siamo arrivati, abbiamo visto, lui è morto" all'indomani del linciaggio di Gheddafi: un caso concreto di applicazione della dottrina di cui Kristol o Wolfowitz sarebbero stati orgogliosi.
In Russia, ovviamente, domina per questo il pessimismo circa la possibilità di evitare di arrivare ad un confronto. In Cina è lo stesso. E' chiaro che sia i russi che i cinesi suppongono di essere destinati, nella frittata dell'egemonia, a fare la parte delle uova da rompere. Qui c'è un articolo in russo sulle "contromisure [economiche] urgenti" che i consiglieri della presidenza russa stanno pensando di proporre per contrastare quella che è una minaccia all'esistenza stessa del loro paese.
Come ulteriore esempio della ritrovata iniziativa neoconservatrice c'è un articolo scritto per lo Washington Free Beacon da Matthew Continetti: A Reagan Doctrine for the 21st Century, concepito come un adattamento alle mutate circostanze del Verso una politica estera neoreaganiana, di Kristol e Kagan. Secondo Continetti la Russia è l'"impero del male" (secondo l'odiosa definizione di Reagan) e non è sconfitto, ma è soltanto rimasto sopito per qualche tempo. Il sottotitolo del pamphlet di Continetti è dunque Come opporsi a Vladimir Putin. Continetti invoca un "nuovo secolo ameriKKKano" e mette le carte in tavola: oggi serve il reaganismo almeno quanto serviva nel 1996, insiste. A suo dire, ce ne sarebbe due volte bisogno perché la Russia è riemersa come "...la più grande minaccia militare ed ideologica nei confronti degli Stati Uniti e dell'ordine mondiale che essi hanno costruito nel corso dei decenni come garanti della sicurezza internazionale".
Se questa è l'aria che tira non c'è da stupirsi se Putin ha giocato l'azzardo di forzare la mano di Obama in Siria, in un tentativo di bloccare in anticipo la prospettiva di un'amministrazione ameriKKKana maggiormente propensa allo scontro nel 2016. Il gioco di Obama invece è diverso. Per lasciare un'eredità maggiormente consistente, ha bisogno di lasciare la carica dopo aver in qualche modo rafforzato in Medio Oriente la posizione degli USA e quella dei loro alleati, che a Washington sono visti in misura sempre maggiore come nocivi per gli interessi ameriKKKani. L'accordo con l'Iran è stato un primo passo in questa direzione, ma rimodellare il quadro delle alleanze e la posizione del paese non è facile perché la politica ameriKKKana in Medio Oriente ha una storia ed una tradizione consolidata che l'ancora rilevante "partito" neoconservatore non accetterà di lasciare facilmente.
Dopo la prima guerra del Golfo del 1991, il generale Wesley Clark, ex comandante supremo per l'Europa, disse:
"Nel 1991 Wolfowitz era Sottosegretario alla Difesa: per ordine d'importanza la terza carica al Pentagono. Ebbi un incontro con lui, ed ero un generale ad una stella, comandante del centro nazionale di addestramento (...). Gli dissi: "Signor Segretario, deve essere veramente orgoglioso per come i soldati si sono comportati nell'operazione Desert Storm".
Lui mi disse: "Sì, ma non del tutto, perché veramente avremmo dovuto liberarci di Saddam Hussein e invece non l'abbiamo fatto... Ma in compenso abbiamo imparato che possiamo usare la forza militare in Medio Oriente senza che i sovietici possano fermarci. Ora abbiamo cinque o dieci anni per liberarci dei vecchi governi alleati dei sovietici -Siria, Iran, Iraq- prima che emerga una prossima grande potenza in grado di sfidarci."
Nel documento che pubblicò nel 1996 col titolo Coping with Crumbling States: A Western and Israeli Balance of Power Strategy for the Levant, David Wurmser fece proprie le idee di Wolfowitz. Questo lavoro deriva direttamente da Clean Break, un odioso testo di strategia politica scritto qualche mese prima per Bibi Netanyahu. Scrivendo di Coping with Crumbling States, Daniel Sanchez sottolinea che
Wurmser ha definito il rovesciamento del governo in Iraq ed in Siria -paesi in cui sono al potere governi baathisti- come qualcosa che "accelera il caotico collasso" del nazionalismo arabo laico in generale, oltre che del baathismo in particolare. In questo, è d'accordo con re Hussein di Giordania, che pensa che "il fenomeno del baathismo" sia stato fin dall'inizio "l'agente della politica di un entità estranea, sovietica per l'esattezza". ...Wurmser pensa che "...la battaglia per l'Iraq rappresenta il disperato tentativo dei residuali alleati del blocco sovietico in Medio Oriente di impedire che si verifichi anche in quella regione il collasso che tutto il resto del blocco sovietico ha dovuto affrontare nel 1989".
Wurmser dileggiò il baathismo in Iraq e in Siria, "una ideologia in disgregazione ed orfana del suo protettore sovietico", e ancora "nulla più che un residuale nemico dei tempi della Guerra Fredda, ormai alla resa dei conti".
Wurmser esortò l'Occidente a dare il colpo di grazia a questo anacronistico avversario, per portare così a compimento la vittoria statunitense nella Guerra Fredda, così come suggerito da Kristolian. Il baathismo avrebbe dovuto essere sostituito da quella che lui chiamava "l'opzione hashemita". Dopo essere crollati nel caos, Iraq e Siria sarebbero tornati possedimenti hashemiti ma sarebbero stati dominati dalla casa reale di Giordania, che è a sua volta controllata dagli USA e dallo stato sionista".
Soprattutto, Wurmser insisté sul fatto che la distruzione del baathismo doveva essere al primo posto fra le priorità in Medio Oriente. "Si deve essere spietati col nazionalismo laico arabo", aggiunse, "e non avere alcun riguardo neppure per il fatto che esso costituisce un argine al fondamentalismo islamico" (corsivo di Conflicts Forum).
Assieme a Clean Break queste considerazioni hanno avuto un grosso impatto sul pensiero di Washington ai tempi dell'amministrazione Bush, della quale lo stesso Wurmser fece parte. Obama sta combattendo contro gli strascichi di tutto questo. In un certo senso, questi articoli di strategia politica sono un po' la somma di ogni cosa: con l'"Impero del Male" in piena disgregazione, l'AmeriKKKa aveva la possibilità di riplasmare il Medio Oriente, di affermarsi come potenza unipolare in tutto il mondo tramite le proprie basi militari, di distruggere l'Iraq e l'Iran e di "rimettere al suo posto la Siria", come suggerito in Clean Break, perché ne traesse vantaggio la sicurezza dello stato sionista.
Quello che suscitava la profonda e radicata ira dei neoconservatori non era solo il fatto che i governi arabi laici e nazionalisti erano dei crollanti residui della malvagia Unione Sovietica, ma anche il fatto che dal 1953 in poi la Russia si era sempre schierata a loro fianco in tutti i loro conflitti con lo stato sionista. Una cosa che i neoconservatori non potevano né tollerare, né dimenticare.
Ecco cosa deve affrontare Obama, intento a portare la sua politica per il Medio Oriente verso la logica conclusione che l'AmeriKKKa deve prendere le distanze dalle a volte moleste conseguenze dei rapporti con gli alleati nell'area (dalle priorità piuttosto capricciose): lo stato sionista, l'Arabia Saudita, la Giordania e gli stati del Golfo. Nel far questo, Obama attraversa innanzitutto le principali "linee rosse" dei neoconservatori, mettendo potenzialmente a rischio la capacità dell'AmeriKKKa di proiettare il proprio potere su scala globale perché i paesi citati potrebbero reagire rifiutando agli USA l'utilizzo della plètora di basi sparpagliate nei loro territori. 
Mettere allo stesso modo in discussione i legami di sicurezza e di intelligence fin qui intessuti significherebbe, agli occhi dei neoconservatori, agevolare il "declino" ameriKKKano, la perdita dell'egemonia mondiale e lo sfumare della possibilità di fare del ventunesimo secolo un altro secolo ameriKKKano. Inoltre, indebolire i legami con gli alleati supera le "linee rosse" che proibiscono di indebolire il primato regionale dello stato sionista e di erodere il potere finanziario globale degli Stati Uniti, magari perché gli stati del Golfo abbandonano il mercato del petrolio in dollari o diminuiscono i propri investimenti sulle piazze finanziarie europee e a Wall Street.
Ecco quali sono i dati di fatto che determinano la politica estera statunitense: quando i neoconoservatori hanno plasmato la linea politica di George W. Bush prendendo di mira stati laici e nazionalisti, hanno deliberatamente legato l'AmeriKKKa ai re e agli emiri del Golfo, come Wurmser riconosce esplicitamente. Poi hanno lasciato Obama alle prese con la complicata eredità dell'atteggiamento ambivalente tenuto nei confronti dell'Islam sunnita radicale, e questa è una cosa anche più grave: da una parte lo si considera un babau temibile, dall'altra uno strumento da usare contro baathisti, nasseristi, sovietici, iraniani e quant'altri. E' proprio questa ambivalenza -e la debolezza della guerra al "terrorismo" che ne consegue- a mettere in imbarazzo gli USA in Siria oggi.
Quello che davvero fa impazzire i neoconservatori è che la Russia sta sloggiando la presenza statunitense dalla regione e si permette persino di invitare Obama a collaborare. Obama sa anche che nonostante l'influenza dei neoconservatori sia diminuita, essi possono comunque portare a segno colpi considerevoli. Come abbiamo visto, la sottile proiezione del concetto di AmeriKKKa come "benevolo egemone mondiale" costretto di quando in quando a rompere qualche uovo, e di "garante dell'ordine mondiale che ha portato stabilità e sicurezza nel mondo" portata avanti da Kristol e Kagan ha sugli ameriKKKani e su certi europei una presa che non andrebbe sottovalutata. Obama correrà il rischio di un confronto con i neoconservatori, per risparmiare all'AmeriKKKa la prospettiva di uno scontro con la Cina e la Russia? Staremo a vedere.



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