giovedì 31 gennaio 2013

Un accademico esprime le sue considerazioni sulla "distruzione" dei manoscritti a Timbuctu


Nel gennaio 2013 la Repubblica Francese ha organizzato un intervento armato nella Repubblica del Mali.
Nei mesi precedenti i due terzi settentrionali del paese erano stati prima terreno di un effimero stato dello Azawad a guida Tuareg, poi terreno d'azione per movimenti armati di cui si è postulato un grado di malvagità sufficiente a giustificare l'intromissione "occidentale". Tutti i movimenti combattenti della regione sono usciti dalla latenza dopo la fine della Grande Jamahiria Araba di Libia Popolare e Socialista, che ha tra le altre cose reso disponibili grossi quantitativi di armamenti.
I combattenti dell'Azawad, a qualunque corrente appartengano, hanno avuto il torto marcio di entrare in azione in una zona per la quale gli "occidentali" avevano ben altri progetti; nessun "osservatorio per i diritti umani" ha dunque preso a cuore la loro causa, e meno che mai le gazzette hanno scomodato "primavere" di qualche genere intanto che si andava velocemente mettendo insieme il necessario per eliminarne l'influenza.
Riferendo sulla questione il gazzettaio ha postulato velocissimo la distruzione col fuoco dei "manoscritti di Timbuctu" ad opera dei munsurmani in ritirata, che come tutti sanno hanno la passione per i roghi dei libri fin dai tempi della Biblioteca di Alessandria. Il comportamento gazzettistico non stupisce nessuno, essendo il dubbio, il rigore documentale e la credibilità delle fonti interpellate cose da cui i sudditi "occidentali" devono essere tenuti lontani ad ogni costo.
E poi ci può scappare una campagna per i "diritti umani" di quelle che lasciano il segno, insieme a qualche ragazza ucraina fatta arrivare in zona col primo volo in partenza e poi fotografata senza vestiti accanto alle rovine fumanti della biblioteca.
Il signor Mohamed Shahid Mathee non fa né il gazzettiere, né la giovane donna esteuropea con pochi abiti addosso, né tantomeno l'attivista per i "diritti umani" travestito da gelataio o da coniglio gigante. Mohamed Shahid Mathee è un ricercatore di cui esiste una presentazione sul sito del dipartimento per gli studi religiosi dell'Università di Cape Town, ed ha scritto quanto segue sulla "distruzione" in oggetto.
Il testo è stato pubblicato in lingua inglese su New Civilisation.

Si pubblica una dichiarazione di Mohamed Mathee, ricercatore, sull'asserita distruzione di manoscritti a Timbuctu, nel Mali.
"Lavoro come ricercatore sui manoscritti di Timbuctu; il progetto di ricerca, iniziato dall'Università di Cape Town, viene oggi portato avanti dall'Università di Johannesburg. Non credo che le cose stiano come si sono affrettati a riferire la BBC ed altri mass media, a detta dei quali degli estremisti islamici avrebbero  dato alle fiamme il Centro Ahmad Baba. QUanto riferito dal Guardian, dalla BBC e dagli altri secondo le notizie che vengono dal Mali è frutto di esagerazioni. Il nuovo edificio non è stato dato alle fiamme, e di fatto sembra che i combattenti di Ansar ad Din e degli altri movimenti lo abbiano tenuto con una certa cura.
Secondo un ricercatore del Centro Ahmed Baba, diecimila manoscritti si trovavano nel nuovo edificio, che è un archivio costruito dal governo sudafricano e dalla società civile. Secondo il dottor Mahmoud Zubeir, che è direttore del Centro Ahmed Baba e consigliere dell ex presidente Ahmadou Tomane Touré questi diecimila manoscritti sono stati da molto tempo portati al sicuro.
E' possibile che le custodie vuote appartengano a manoscritti che sono stati distrutti mentre era in corso il loro restauro. Al Centro Ahmed Baba i restauri sono in corso di continuo, così come lo sono presso biblioteche private come il consorzio SAVAMA, perché arrivano continuamente manoscritti da tutto l'Azawad; ho assistito alla cosa con i miei occhi mentre facevo il ricercatore allo Ahmed Baba. Una mia collega che a sua volta è adesso ricercatrice a Timbuctu mi ha riferito che si tratta di pochi manoscritti.
C'è anche la possibilità che le custodie appartengano a manoscritti rubati: a Timbuctu c'è una continua ruberia di manoscritti che vengono poi rivenduti, di solito a qualche occidentale e per i motivi più diversi.
E' certamente possibile che Ansar ad Din abbia distrutto qualcosa nel corso della sua repentina ritirata, ma non ci si deve dimenticare che sono stati i francesi a mettere in piedi questa diceria, in primo luogo per legittimare meglio la loro invasione illegale, ed in secondo luogo perché se saranno gli invasori a distruggere i manoscritti a Timbuctu (così come è successo in Iraq) la colpa ricada comunque su quei cialtroni di Ansar ad Din. I mass media, vale a dire la BBC ed altri simili, si comportano come un codazzo di penne vendute ed hanno riferito con entusiasmo degli edifici e dei manoscritti dati alle fiamme.
A chi frequenta ambienti accademici non interessa farsi atterrire e scioccare; gli interessa che si presti attenzione a Timbuctu, oggi e sempre. Questa grande città africana, col suo retaggio intellettuale, ha moltissimo da offrire. Se esistono circa centomila manoscritti, trentunomila dei quali si trovano al Centro Ahmed Baba, un accademico considera una tragedia per la scienza il fatto che soltanto un migliaio di essi siano stati letti ed esaminati da persone che non fossero cittadini del Mali e di Timbuctu, che per lo più non hanno competenze accademiche. Dobbiamo rendere omaggio a John Hunwick, che è probabilmente rimasto distrutto a sentire la notizia, e ad altro personale accademico come quello che nel corso dei progetto varato a Cape Town da nove anni si sta occupando dei manoscritti.
Soprattutto, dobbiamo essere grati alla coraggiosa popolazione di Timbuctu.
Forse l'occasione è adatta per condividere le parole dello studioso Ahmad Baba al Sudani (1556-1627), dal quale la biblioteca prende il nome; Ahmad Baba scrisse dapprima dall'esilio -vi fu costretto nel 1593 dall'invasione dei Saadi marocchini- e poi dal carcere.

Tu che sei sulla via per Gao, vai verso la mia città.
Di' a bassa voce il mio nome e omaggia tutti i miei cari,
Con i più sentiti saluti che chi è da tanto tempo esule ha
Per la sua terra natale, per il suo prossimo, per il suo compagno ed il suo amico.

L'invasione francese, anche lasciando da parte il fatto che la presa del potere da parte di Ansar ad Din e del Movimento nazionale di Liberazione dell'Azawad sono stati degli atti di ignobile arbitrio, non è diversa dall'invasione e dalla distruzione dell'impero Songhai nel 1591. Se mai, si tratta di qualcosa di peggio innanzitutto perché si vuole che quella di oggi sia un'epoca di "uguaglianza" tra le nazioni, e poi perché negli ultimi quindici anni abbiamo visto tutti che razza di macelli causino le aggressioni unilaterali.

sabato 26 gennaio 2013

Fate alzare i bombardieri: dobbiamo impedire che la Federazione Russa stermini gli omosessuali!



"Alla riscossa stupidi, che i fiumi sono in piena: potete stare a galla..."

Franco Battiato, 1980.

Nell'estate del 2012 i gruppetti di "attiviste politiche" formati da ragazze poco vestite di provenienza generalmente russa o ucraina hanno conosciuto l'apice della popolarità gazzettiera.
La tendenza ha cominciato ad invertirsi nei mesi successivi perché qualcuno ha cominciato ad accogliere con una certa insofferenza i tentativi di acquistare visibilità mediatica messi in atto con ogni pretesto da qualche sfaticata senz'arte né parte.
Poi si viene a sapere che nella Federazione Russa la politica ha un'agenda rimasta a livelli più normali. Questo significa che i legislatori e l'elettorato passivo considerano il Cinguettatore come un cinguettatore, un Libro dei Ceffi come un libro dei ceffi, una lobby come una lobby, un gazzettiere che non sa come fare per arrivare a sera come un gazzettiere che non sa come fare per arrivare a sera.
Alla fine di gennaio 2013 il gazzettaio maggiormente fruibile nella penisola italiana starnazza di "leggi anti gay" di stile sovietico varate da Vladimir Putin. Naturalmente è sufficiente rivolgersi ad ambienti meno mandolineschi per trarre tutt'altre conclusioni.
In questo periodo la Repubblica Federale di Germania è uno degli obiettivi preferiti della propaganda "occidentalista", cui la Germania non piace per gli stessi motivi per cui non le piacciono i calzini di certi magistrati o le tresche degli ex commensali; utilizzare fonti tedesche per mettere la questione nella giusta prospettiva costituisce dunque un piacere ed un dovere allo stesso tempo.
Deutsche Welle spiega in lingua inglese che il parlamento russo ha approvato in prima lettura e a grandissima maggioranza una legge che proibisce, sotto pena di un'ammenda, di "fare propaganda omosessuale tra i minori". Si tratterebbe in pratica della trasformazione in legge federale di ordinanze già emesse durante lo scorso anno a livello locale proprio all'epoca in cui l'inutile scorrazzare delle poco vestite di cui sopra raggiungeva l'apice della visibilità mediatica.
I nostri lettori conoscono bene le priorità e gli interessi che la "libera informazione" ha il dovere di proteggere e di propagandare ad ogni costo. La Federazione Russa non è la Brianza, non è Frascati, non è nemmeno una di quelle contee del Texas dove spadroneggiano sceriffi schiavisti e dove è ammesso ed apertamente incoraggiato nel consenso generale che gli unici argomenti dell'agenda politica siano il "più mercato" ed il "più galera". Per il giornalame la volontà del legislatore russo non può dunque essere altro che il riflesso della malvagità metafisica che anima una realtà geopolitica invisa. Chi non apprezza tanta "libertà di informazione", invece, non avrà difficoltà ad intravedere in essa il controproducente e prevedibilissimo risultato di azioni lobbystiche ridicole e irritanti, condotte e soprattutto propagandate senza alcuna conoscenza del terreno.

Carlo Lapucci è un professore fiorentino che da oltre cinquant'anni pubblica opere originali, saggi, trattati e dizionari animato da una documentata passione per la linguistica, la cultura popolare ed il folklore. Tutte cose che hanno poco a che vedere con le feste in discoteca e molto a che vedere con la sobrietà ed il buon senso.
"Come fece quello che... - Fatti celebri di sconosciuti nei detti proverbiali" (Montepulciano, 1990) riporta i passi che seguono. Sono un commento sobrio e sensato agli esaltanti risultati dell'azione lobbystica nella Federazione Russa.
Fare come i pifferi di montagna, che andarono per sonare e furono sonati. Detto citato spesso per indicare chi parte con pretese o propositi di farsi valere e torna scornato. La storia che deve essere all’origine del detto è ormai sconosciuta. Gioca su doppio significato di sonare, saper far musica con uno strumento e percuotere, bastonare.
Fare come Benvenuto, che andò per radere e fu raduto. Desueto. L’espressione si trova in Bertoldo (cit.) di Giulio Cesare Croce.
Fare come Bazzino che andò a trovare la dama e lo fecero coscritto. Lo presero per forza e lo arruolarono nell’esercito per la guerra.

domenica 20 gennaio 2013

Lavoro, Arbeit, אַרבעט


Il lavoro sta perdendo ogni diritto, colpito da un’azione disgregatrice messa in moto da un passaggio culturale preparato sin dal crollo del cosiddetto socialismo reale, il quale, con tutte le sue iniquità, le sue ingiustizie e le sue nefandezze, si ergeva a difesa delle conquiste dei lavoratori dell’Occidente.
Nello spazio di un mattino, i diritti del lavoro sono diventati un fattore negativo. Il lavoro fisso, un privilegio: il lavoro continuativo un lusso; il lavoro come fonte di crescita etica e culturale, un’insopportabile pretesa. E quelli che per trentacinque anni hanno passato fino a quarantotto ore la settimana in una fonderia, in condizioni ambientali di tossicità, mantenendo le famiglie e riuscendo a laureare i figli e conseguendo una sobria pensione, vengono bollati come egoisti che rubano il lavoro ai giovani.
Questa ripugnante menzogna che mira a coprire la cloaca dei veri privilegi, delle rendite finanziarie e parassitarie ottenute grazie a corruzione, evasione fiscale, sprechi ed economia criminale è diventata la giaculatoria dei Soloni di un sistema che, dopo essersi definito il migliore dei mondi possibili, ha precipitato le economie di buona parte del pianeta nel baratro di una crisi spaventosa, e intende far pagare al lavoro i costi delle trasformazioni epocali.
I cosiddetti mercati hanno istituzionalizzato la crisi come emergenza permanente, per tenere sotto ricatto l’intero mondo dell’economia reale. I diritti sociali hanno subito una progressiva erosione attraverso provvedimenti che li hanno svuotati fino a renderli sempre più formali. I meccanismi pervasivi dei potere economico-finanziario non solo dettano le regole alle società omologate per il tramite di un apparato politico esautorato ed asservito, ma, attraverso un capillare e poderoso sistema mediatico fabbricano il senso stesso dell’esistere, per conferire legittimità a quelle regole inique e chiudere il cerchio.

Moni Ovadia, Santità del lavoro. In Madre Dignità, 2012.

sabato 19 gennaio 2013

Pepe Escobar - Si sta preparando un Afghanistan africano


Aprile 2012. La bandiera nera sventola in Mali.

Traduzione da Asia Times.

Londra - C'è qualcuno cui deve piacere il rumore dei caccia francesi Mirage 2000, di mattina. Sembra di sentire il profumo... di una bella colazione di stile neocoloniale, in salsa Hollandaise [1]. Ma diciamo pure in salsa Quagmire [2].
Apparentemente, tutto questo è assolutamente idiota. In Mali vivono quindici milioni e ottocentomila persone; il prodotto interno lordo è di mille dollari pro capite e l'aspettativa di vita media arriva a malapena a cinquantun anni. Tutto questo in un territorio che è grande il doppio della Francia, il cui P.I.L. pro capite è oltre trentacinque volte più alto. Adesso, qusi due terzi di questo territorio sono occupati da arnesi islamici armati fino ai denti. Che si fa? Si bombarda, belli. Si bombarda.
Sicché ecco l'ultimissima guerra in Africa; i Mirage e i Gazelle frabncesi di base in Ciad, più chissà quanti Rafale basati in Francia, stanno bombardando i perfidi jihadisti islamici nel Mali settentrionale. Gli affari vanno bene: il presidente francese François Hollande mercoledi scorso era ad Abu Dhabi a vendere sessanta Rafale a quel monumento di democrazia del Golfo Persico che sono gli Emirati Arabi Uniti.
Hollande, un tempo tentennante -adesso ha pesantemente riconvertito la sua immagine a quella di "risoluto" e di "determinato"- si è comportato in maniera intelligente e ha presentato questi aerei come quelli che stanno riducendo in cenere gli islamici della savana, prima che quelli salgano su un volo sola andata Bamako-Parigi per bombardare la Tour Eiffel.
Le forze speciali francesi sono presenti sul terreno, in Mali, dall'inizio del 2012.
Il Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad, a guida tuareg, afferma edesso per bocca di uno dei suoi leader che è "pronto ad aiutare" l'ex potenza coloniale, presentandosi come meglio a conoscenza della cultura e del terreno di quanto non lo siano le forze militari di cui si prospetta l'intervento, appartenenti alla Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale.
Gli jihadisti salafiti del Mali hanno un grosso problema: hanno scelto il campo di battaglia sbagliato. Se fossero stati in Siria sarebbero stati sommersi di armi, basi logistiche, un "osservatorio" con base a Londra, ore di video su Youtube e un sostegno diplomatico a tutto campo dai soliti sospetti: gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Turchia, le petromonarchie del Golfo e -oui, monsieur- la stessa Francia.
Invece, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU gli ha chiuso la porta in faccia più veloce che in un fumetto coi personaggi della Marvel, autorizzando  puntuale che gli si facesse la guerra. I loro vicini dell'Africa Occidentale, parte dell'organizzazione regionale ECOWAS, sono stati messi davanti ad una scadenza (gli ultimi giorni di novembre) per presentare un piano operativo. Ora, siamo in Africa, e non è successo nulla; i combattenti islamici hanno dunque continuato a guadagnare terreno fino ad una settimana fa, quando Parigi ha deciso di condire la questione con un po' di salsa Hollandaise.
Nemmeno uno stadio di calcio riempito con tutti i migliori sciamani dell'Africa occidentale sarebbe riuscito a mettere insieme una manciata di paesi impoveriti e diversissimi tra loro perché organizzassero un intervento armato con così poco preavviso, neppure se tutta l'avventura fosse stata finanziata dall'Occidente come nel caso dell'esercito a guida ugandese che sta combattendo contro gli Shehab della Somalia.
La ciliegina sulla torta è data dal fatto che di tutto si tratta meno che di una passeggiata. Gli jihadisti salafiti sono ben forniti di denaro, grazie al traffico di cocaina -in costante ascesa- tra Sud America ed Europa via Mali; e poi c'è la tratta degli esseri umani. Secondo l'ente di controllo per le droghe delle Nazioni Unite, passa dal Mali il sessanta per cento della cocaina destinata all'Europa. Se consideriamo il prezzo della cocaina nelle piazze di Parigi, si tratta di oltre undici miliardi di dollari.


La tempesta avanza

Il generale Carter Ham è a capo dell'AFRICOM del Pentagono ed ha passato mesi ad avvertire sulla possibilità che si verificasse una crisi di grosse proporzioni. Era una profezia autorealizzante. Ma cosa sta davvero succedendo in quella che il New York Times descrive, con termini poco usuali, come "le estese e turbolente contorsioni del Sahara"?
Tutto è cominciato con un colpo di stato militare nel marzo del 2012, appena un mese prima che in Mali si tenessero le elezioni presidenziali. Il colpo di stato ha deposto l'allora presidente Amadou Toumani Toure ed i suoi autori si sono giustificati affermando che si trattava della reazione all'incompetenza dimostrata dal governo nella lotta contro i Tuareg.
Il colpo di stato è stato portato a termina da un capitano di nome Amadou Haya Sanogo, che al Pentagono è abbastanza di casa; ha partecipato ad un corso base di quattro mesi per ufficiale di fanteria a Fort Benning, in Georgia, nel 2010. In sostanza Sanogo è stato cooptato dall'AFRICOM in un piano regionale che vede coinvolto il programma di partnership del Dipartimento di Stato contro il terrorismo transsahariano e l'operazione Enduring Freedom del Pentagono. Non occorre specificare che in tutto questo trafficare di "libertà" il Mali è stato il proverbiale "alleato immobile" come partner nella lotta al terrorismo, molto teoricamente incaricato di combattere la Al Qaeda nel Maghreb Islamico.
Negli ultimissimi anni il gioco di Washington è diventato un praticare il voltafaccia ai suoi massimi livelli artistici. Durante il secondo mandato di George Diabolus Bush le Forze Speciali sono state molto attive, fianco a fianco con i Tuareg e gli algerini. Durante il primo mandato di Obama esse hanno iniziato a sostenere il governo del Mali contro i Tuareg.
Un pubblico che non ha niente da sospettare può leggere i giornali di Rupert Murdoch -il Times di Londra, per esempio- e i loro cosiddetti esperti di questioni di difesa che inizieranno a cianciare a ruota libera del Mali senza neppure sfiorare l'argomento delle conseguenze della guerra in Libia.
Muammar Gheddafi ha sempre sostenuto la tendenza indipendentista dei Tuareg. Fin dagli anni Sessanta l'obiettivo del Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad è stato quello di liberare l'Azawad, ovvero il Mali settentrionale, dal governo centrale di Bamako.
Dopo il colpo di stato del marzo 2012 è parso che il Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad fosse sulla cresta dell'onda. Aveva piantato bandiera su qualche edificio governativo, e il 5 aprile aveva annunciato la nascita di un nuovo stato Tuareg indipendente. La "comunità internazionale" li aveva trattati con repulsione, per ritrovarsi di lì a qualche mese con il Movimento messo ai margini nella sua stessa regione di origine da altri tre gruppi, di orientamento islamista: lo Ansar ed-Din ("I difensori della fede"), il Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale, e lo Al Qaeda nel Maghreb Islamico.


Ecco le parti in campo

Il Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad è un movimento Tuareg di orientamento laico, nato nell'ottobre del 2011. Sostiene che la liberazione dell'Azawad permeterà una migliore integrazione ed un migliore sviluppo per tutti i popoli della regione. Dispone di uno zoccolo duro di combattenti fatto da Tuareg provenienti dall'esercito di Gheddafi, ma ci sono anche ribelli che non hanno mai deposto le armi dopo la ribellione dei Tuareg del 2007-2008, ed alcuni altri che sono disertori dell'esercito del Mali. Quelli che sono rientrati dalla Libia dopo che Gheddafi è stato giustiziato dai ribelli libici spalleggiati dalla NATO sono tornati pieni di armi, nonostante la maggior parte degli armamenti pesanti siano finiti in mano ai ribelli filo-NATO, che sono combattenti islamici sostenuti dall'Occidente.
Al Qaeda nel Maghreb Islamico è la branca nordafricana di Al Qaeda, che giura fedeltà al Dottore, che è Ayman Al Zawahiri. Le due figure di maggior rilievo sono quella di Abu Zaid e di Mokhtar Belmokhtar, che vengono dalle file della filiazione algerina ultraradicale del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento. Belmokhtar ha combattuto da jihadista in Afghanistan, già negli anni Ottanta.
Abu Zaid si atteggia a "Geronimo" nordafricano, ovvero a Osama Bin Laden, con la bandiera nera di prammatica e un Kalashnikov strategicamente esposto che campeggiano in bella evidenza nei video che diffonde; tuttavia il leader storico rimane Belmokhtar. Il problema è che Belmokhtar, che i servizi segreti francesi chiamano "l'inafferrabile", si è di recente unito al Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale.
I combattenti del Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale provengono tutti da Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Nel giugno del 2012 il Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale  ha cacciato il Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad dalla città di Gao e ne ha assunto il controllo applicando immediatamente in essa la Sharia intesa nei suoi aspetti peggiori. I Rafale francesi hanno bombardato in questi giorni proprio la base del Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale. Uno dei suoi portavoce ha minacciato senza mezzi termini, e "in nome di Allah", di reagire attaccando "il cuore della Francia".
Infine c'è Ansar ed-Dine, che è una formazione islamica Tuareg organizzata nel corso dell'ultimo anno e diretta da Iyad al Ghali, un ex capo del Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad autoesiliatosi in Libia. Si è rivolto all'ideologia salafita, inevitabilmente, a causa degli attivisti pachistani che hanno avuto campo libero in nord Africa; poi si è impegnato per un periodo apparentemente considerevole con molti emiri di Al Qaeda nel Maghreb Islamico. E' interessante notare che nel 2007 il preidente del Mali Toure nominò Ghali proprio consulente a Gedda, in Arabia Saudita. Ghali fu messo alla porta senza preavviso nel 2010, per aver assunto posizioni troppo vicine all'Islam radicale.


Un altro po' di terrorismo, per favore

In Occidente non c'è nessuno che si stia chiedendo come mai il colpo di stato militare ordito dall'amico del Pentagono Sanogo sia finito cib qyasu due terzi del territorio del Mali in mano a combattenti islamici che hanno imposto una versione intransigente della Sharia in tutto l'Azawad, ed  in particolare a Gao, a Timbuctù e a Kidal, con una serie granguignolesca di esecuzioni sommarie, amputazioni, lapidazioni e la distruzione dei mausolei di Timbuctù. Com'è potuto succedere che l'ultima rivolta dei Tuareg sia stata dirottata da poche centinaia di combattenti islamici intransigenti? Inutile girare la domanda ai droni statunitensi.
Il linguaggio dei comunicati ufficiali della seconda amministrazione Obama, che tutto controlla da dietro le quinte, anticipa in questo senso gli eventi futuri: i bombardamenti francesi "possono colpire gli jihadisti" in ogni pare del mondo e sfociare in attacchi contro l'Occidente (e in cosa d'altro, viene da chiedersi). Ancora una volta, la buona vecchia guerra mondiale al terrorismo resta il solito serpente che si morde la coda.
Non è possibile capire cosa sta succedendo in Mali senza considerare quello che è successo in Algeria. Il quotidiano algerino El Khabar ha appena affrontato gli aspetti più superficiali della questione, quando ha scritto che Algeri è passata "dal rifiuto categorico di un intervento esterno, rifiuto giustificato davanti agli abitanti della regione illustrandone i rischi" alla "apertura dei propri cieli ai Mirage francesi".
Nell'ottobre scorso il Segretario di Stato Hillary Clinton era ad Algeri per cercare di organizzare qualcosa che somigliasse ad una missione di un esercito composto da forze dell'Africa occidentale. Hollande ci è andato poi, a dicembre. Decisamente, in capo ad un mese la faccenda era diventata più abbordabile.
Adesso citiamo il professor Jeremy Keenan, della Scuola di Studi Orientali ed Africani della London University, e  autore di The Dark Sahara (Pluto Press, 2009) e di The Dying Sahara di imminente uscita (Pluto Press, 2013).
Nell'edizione di gennaio del New African Keenan sottolinea come "la Libia abbia fatto da catalizzatore per la rivolta nell'Azawad, e non sia stata la sua causa di fondo. Al contrario, la catastrofe in corso in Mali rappresenta l'inevitabile risultato del modo in cui la 'guerra globale al terrore' è stata messa in pratica nel Sahara e nel Sahel dagli Stati Uniti, in accordo con i servizi algerini, sin dal 2002".
Detto molto in sintesi, sia Bush che il governo algerino avevano bisogno, come spiega Keenan, di "un altro po' di terrorismo" in tutta la regione. Algeri intendeva servirsene come pretesto per acquisire maggiori quantità di armamenti ad alta tecnologia. Bush, con alle spalle i neoconservatori, intendeva lanciare la versione sahariana della guerra globale al terrorismo e il controllo militare dell'Africa, inteso come la strategia di punta per controllare più risorse energetiche, petrolio in particolare, e vincere in questo modo la competizione contro i massicci investimenti cinesi. La logica che stava sotto la creazione dell'AFRICOM nel 2008 era questa.
I servizi algerini, Washington e gli europei si sono serviti con disinvoltura di Al Qaeda nel Maghreb Islamico e ne hanno infiltrato la leadership per estrarne quell' "un po' di terrorismo in più". Nello stesso tempo i servizi algerini presentavano a tutti gli effetti i Tuareg come "terroristi", come il pretesto perfetto per le iniziative antiterrorismo nel Sahara di Bush e per l'operazione Fintlock del Pentagono, una campagna di esercitazioni militari con il Sahara come sfondo.
I Tuareg sono sempre stati lo spauracchio degli algerini, che non osavano neppure pensare alle conseguenze del successo di un movimento nazionalista Tuareg nel nord del Mali. L'Algeria ha sempre considerato la zona come  il proprio cortile sul retro.
I Tuareg sono la popolazione indigena del Sahara centrale e del Sahel, ed assommano a circa tre milioni di persone. Oltre ottocentomila vivono in Mali, gli altri in Niger, e poi ci sono percentuali più piccole in Algeria, in Burkina Faso e in Libia. Dall'indipendenza nel 1960 in Mali ci sono state non meno di cinque rivolte Tuareg: in Niger ce ne sono state tre, e in Algeria ci sono sempre stati disordini latenti.
L'interpretazione di Keenan è assolutamente corretta quando identifica la causa degli avvenimenti del 2012 nella meticolosa distruzione della credibilità e della guida politica del Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad operata dagli algerini. Basta seguire il corso del denaro: sia Iyad al Ghali di Ansar ed-Din sia il sultano Ould Badi del Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale hanno stretti rapporti con i servizi algerini del DRS, ed entrambi questi gruppi erano all'inizio costituiti da pochi appartenenti.
Per i combattenti di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, Ansar ed-Din e il Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale sono stati una specie di calamita. Questa è l'unica spiegazione possibile al fatto che il Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawad sia stato in pochi mesi fatto fuori sia militarmente che politicamente nel proprio stesso territorio.


Si riuniscono i soliti combattenti per la libertà

Il ruolo di burattinaio ricoperto da Washington emerge chiaramente da questa conferenza stampa tenuta al Dipartimento di Stato. In poche parole il governo di Bamako ha chiesto ai francesi di fare il lavoro sporco, e i francesi hanno ubbidito.
Le cose non sono ovviamente andate in questo modo. Chiunque pensi che la faccenda del Mali sia qualcosa del tipo "bombardare Al Qaeda" deve vivere letteralmente sulla Luna. Tanto per cominciare, il servirsi di combattenti islamici intransigenti per soffocare i movimenti indipendentisti locali è una prassi che viene direttamente dai copioni che la CIA e il Pentagono mettono in atto da molto tempo.
Inoltre, il Mali è un paese di cruciale importanza per AFRICOM e soprattutto per la visione strategica complessiva che il Pentagono ha del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale. Pochi mesi prima dell'Undici Settembre ho avuto il privilegio di attraversare il Mali in lungo e in largo, sia sulle sue strade che lungo il fiume Niger: ho avuto contatti, soprattutto a Mopti e a Timbuktu, con i terribili Tuareg, che mi hanno impartito un corso accelerato su come stanno le cose nell'Africa nordoccidentale. Ovunque ho visto predicatori wahabiti e pakistani. Ho visto i Tuareg venir estromessi poco per volta. Ho visto un Afghanistan in costruzione. E non è stato molto difficile seguire il corso del denaro, intanto che sorseggiavo il tè del Sahara. il Mali confina con l'Algeria, la Mauritania, il Burkina Faso, il Senegal, la Costa d'Avorio e la Guinea. Il delta interno del Niger, spettacoloso, si trova nel Mali centrale ed è proprio ai confini del Sahara. Il Mali è pieno di oro, di uranio, di bauxite, di ferro, di manganese, di stagno e di rame. Soprattutto -l'Oleodottistan chiama!- il nord del Mali è pieno di risorse petrolifere ancora da sondare.
Fin dal febbraio 2008 il viceammiraglio Robert T. Moeller diceva che la missione dell'AFRICOM era quella di proteggere "il libero fluire delle risorse naturali dall'Africa ai mercati mondiali" e -sì, fece anche il necessario riferimento alla Cina, definendola come colpevole di "sfidare gli interessi statunitensi".
Gli aerei spia di AFRICOM hanno "osservato" il Mali, la Mauritania ed il Sahara per mesi, in teoria cercando combattenti di Al Qaeda nel Maghreb Islamico; tutto sotto la supervisione delle forze speciali statunitensi e parte di una missione segreta chiamata in codice operazione Creek Sand, con base nel confinante Burkina Faso. Non aspettatevi di incontrare qui dei soldati americani: c'è del personale in appalto, che non porta l'uniforme.
Il mese scorso alla Brown University il genrale Carter Ham, che è il comandante di AFRICOM, ha ancora una volta sottolineato con molta enfasi che lo scopo della missione è quello di "far progredire gli interessi della sicurezza statunitense in tutta l'Africa". Il tutto si trova nella Strategia per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti in Africa, approvata da Obama nel giugno del 2012. Gli obiettivi di questa strategia sono eloquentemente vaghi: "rafforzare le istituzioni democratiche", incoraggiare "la crescita economica, i commerci e gli investimenti"; "far progredire la pace e la sicurezza" e "promuovere le opportunità e lo sviluppo".
In pratica, la militarizzazione del territorio voluta dall'Occidente (con Washington ad "operare dietro le quinte") si contrappone al predominio cinese fatto di seduzione e investimenti attualmente in atto in Africa. Per il Mali, Washington vederebbe volentieri una riedizione del Sudan: la divisione tra nord e sud del Sudan ha di recente provocato qualche preoccupazione logistica in più per Pechino; perché mai una divisione tra nord e sud del Mali non dovrebbe aiutare a sfruttarne meglio le risorse naturali? Va detto che fino alla sua indipendenza nel 1960 il Mali era conosciuto come Sudan Occidentale.  
Già all'inizio di dicembre una guerra "multinazionale" in Mali era all'esame del Pentagono.
Il bello è che anche con un esercito "multinazionale" con l'arma al piede nei paesi confinanti, finanziato dall'Occidente e sostenuto dal Pentagono e pronto ad entrare in azione è toccato comunque ai francesi servire la letale salsa Hollandaise; nulla come un ex colonia "nei guai" aguzza l'appetito dei suoi ex dominatori. Il Pentagono può sempre continuare ad usare i suoi discreti aerei-spia P3 e i suoi droni Global Hawk basati in Europa, e più in là nel tempo trasportare soldati di paesi dell'Africa occidentale e fornire loro copertura aerea. Ma tutto in segreto, e molto sottobanco.
Mister Quagmire ci ha messo il capoccione a tempo di record, anche prima che i millequattrocento e rotti soldati francesi presenti sul terreno passassero all'offensiva.
Un gruppo del Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale (e non di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, come riferito) guidato dall'inafferrabile Belmokhtar in persona ha attaccato un campo per l'estrazione di gas nel bel mezzo del Sahara algerino, a mille chilometri a sud di Algeri ma a soli cento chilometri dalla frontiera con la Libia, ed ha catturato un mucchio di ostaggi occidentali oltre a qualche giapponese. Giovedi le forze speciali algerine hanno lanciato un'operazione di soccorso che si è rivelata, per metterla giù con educazione, un fiasco colossale. Al momento in cui scriviamo risultano almeno sette ostaggi stranieri e ventitré algerini rimasti uccisi.
Il giacimento di gas è sfruttato da BP, Statoil e Sonatrach. Il Movimento per l'Unità e lo Jihad nell'Africa Occidentale ha denunciato ovviamente la nuova "crociata" francese, e il fatto che i caccia francesi adesso controllano lo spazio aereo algerino.
I nodi vengono al pettine, ma adesso siamo giusto agli hors d'euvres. E le cose non si fermeranno al Mali. Coinvolgeranno l'Algeria e presto anche il Niger, paese da cui proviene un terzo dell'uranio che serve agli impianti nucleari francesi, per estendersi poi a tutto il Sahara e a tutto il Sahel.
Si sta cucinando un immenso Afghanistan africano che servirà agli interessi neocoloniali dei francesi, anche se Hollande non si stanca di dire che si tratta della "pace"; servirà all'AFRICOM; accrescerà l'influenza degli jihadisti un tempo noti come ribelli della NATO e servirà di sicuro anche all'infinita guerra globale al terrorismo, ribattezzata per tempo "operazioni militari cinetiche".
Django unchained [3], praticamente. Oscar per la miglior colonna sonora a Bush e Obama, impossibili da distinguere. Titolo: Non c'è miglior business del business del terrore. E sottotitoli in francese, bien sur.


[1] Gioco di parole in lingua inglese tra il nome del primo ministro della Repubblica Francese ed una salsa a base di uovo, burro e limone.
[2] Glenn Quagmire è un personaggio di cartone animato, pilota d'aerei ossessionato dal sesso.
[3] Granguignolesco film di Quentin Tarantino.



Pepe Escobar ha pubblicato Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007) e Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge. Il suo libro più recente è Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009).

venerdì 18 gennaio 2013

Firenze, il pallonaio ad alta velocità


Qualche tempo fa sostenevamo che da decenni, in tutto l'"Occidente", le infrastrutture ferroviarie sono organizzate in modo da far percepire il trasporto passeggeri come una funzione residuale. Una funzione che è divenuta secondaria a consumi dozzinali, alla vendita di paccottiglia e all'imperare delle pubblicità in grande formato. Nello scritto mostravamo anche in che modo nello stato che occupa la penisola italiana fossero riusciti ad essere mediocri anche in questo.
Consideravamo anche che a ricordare la centralità e la funzione pubblica che il trasporto passeggeri su rotaia ha avuto -e che ha a tutt'oggi nelle società normali-  erano rimasti pochi ostinati visionari, degni al massimo delle accuse di terrorismo che la marmaglia delle gazzette rivolge ai nemici della propria committenza.
E delle conseguenti attenzioni della gendarmeria.
Nel gennaio 2013 alcuni settori della gendarmeria trascurano di svolgere compiti graditi agli "occidentalisti" di ogni risma, primo tra tutti l'accanirsi contro manifestanti adolescenti lasciando in pace frequentatori di ristoranti ed elegantoni buoni a nulla, e indagano sui lavori per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità nei pressi della città di Firenze; al momento in cui scriviamo c'è di mezzo una trentina di ben vestiti, cui vengono contestati capi d'accusa come associazione a delinquere, frode in pubbliche forniture, truffa, abuso d'ufficio e corruzione. Tutto questo si è verificato a pochissima distanza dall'avvio definitivo dei lavori, che prevedono un tunnel lungo più di sette chilometri sotto l'agglomerato urbano fiorentino.
A Firenze la situazione è stata monitorata nel corso degli anni da alcuni attivisti politici e da alcuni comitati. Contro di essi, il fuoco di fila delle gazzette:
"La Regione da' il via libera -ha commentato il presidente Enrico Rossi- all'escavazione della galleria e alla realizzazione della nuova stazione dell'alta velocità. Per noi è importante fare bene e fare presto. La Toscana e Firenze non possono permettersi di perdere questa occasione, né di ritardare la realizzazione di questa infrastruttura fondamentale, che ci conferisce un ruolo di centralità nella mobilità ferroviaria, con tutti i vantaggi economici e culturali che comporta".
I vantaggi economici al momento verificabili comportano spese incalcolabili a fronte di qualche minuto di tempo risparmiato sulle lunghe percorrenze, mentre i trasporti locali su rotaia -quelli che la gente meno ben vestita utilizza sul serio e tutti i giorni- sono in condizioni che possono essere descritte solo abusando di un registro linguistico estremamente basso.
I vantaggi culturali sono ancora meno verificabili, anche se l'occasione è utile per verificare il registro monocorde della cultura "occidentalista".
L'immagine in alto viene da Altracittà. Ritrae il macchinario di scavo sequestrato dai gendarmi, addobbato con stemmi degli istituti governativi locali e con grande utilizzo del colore viola.
Il colore viola non ha nulla a che fare con gli istituti governativi. Si tratta invece del cosiddetto "colore sociale" della più importante organizzazione palloniera di Firenze. Gli accoliti strapagati di questa organizzazione possono aggredire impunemente la gente che lavora, mentre quelli meno strapagati devono accontentarsi di picchiare le donne per la strada: in tutti i casi, essi stessi ed il loro ambiente nella sua interezza incarnano alla perfezione la cultura "occidentalista" più condivisa e corrente. Associare visivamente e simbolicamente a roba del genere anche un'impresa come quella di cui qui si tratta ha sicuramente i pregi della coerenza e della verosomiglianza.

mercoledì 16 gennaio 2013

Bashar al Assad ha le ore contate. Da due anni.


"La Repubblica" si picca della propria "professionalità" e della propria "autorevolezza", come tutta la "libera informazione" senza eccezione alcuna. La screenshot qui presentata riproduce la homepage dell'edizione in rete, come appariva il 14 novembre 2012.  Maria Vittoria Cozzella assicurava che
"Il regime siriano è vicino alla fine". Intervista ad Hanadi Zahlout, attivista per i diritti umani imprigionata per mesi a Damasco. Dopo l'accordo tra le forze di opposizione e l'unificazione del comando dell'esercito libero "Assad non può durare più di due mesi".
Sicuramente più vicina agli interessi ed alle competenze dei sudditi Michela Marzano:
"Hanno messo l'antifurto nella bistecca". Parla con lei su rsera. Un altro segno della crisi? Lo scoprite nei supermercati di Reims.
I due mesi sono trascorsi. Non sappiamo come sia finita con gli antifurti sulle bistecche, ma sappiamo con buona approssimazione che il governo della Repubblica Araba di Siria è ancora al suo posto e che l'agenzia di stampa siriana alterna articoli sulla guerra civile (derubricata in blocco a "terrorismo") a scene di surreale normalità.
La "libera informazione" ha svolto un compito preziosissimo nel rendere incomprensibili gli eventi in corso perché presenta abitualmente come incontestabili decine di grossolane falsificazioni prodotte senza tregua da un “osservatorio siriano per i diritti umani” eloquentemente materializzatosi, come tutto il resto, appena in tempo per assolvere a questa necessità.
Si è arrivati al punto di presentare immagini di elicotteri d’assalto esposti in un museo come se fossero stati consegnati alla guerriglia da piloti disertori, e di gabellare per “abbattuto” un elicottero ripreso in volo, voltando di novanta gradi la telecamera con cui si effettuavano le registrazioni.
Una “libera informazione” che davvero tenesse alla propria credibilità -peraltro difesa con sfrontatezza oltre ogni limite, specie quando c’è da accedere ai fondi per l’editoria- dovrebbe riservare a questioni come una guerra in corso competenze, discrimini, definizioni e weltanschauung differenti da quelle che adopera per quelle femmine con pochi vestiti addosso e per quelle pallonate, per quei palloni e per quei pallonieri che costituiscono i quattro quinti dei contenuti che veicola. L’intero mainstream dà al contrario per scontato che nel “paese” dove mangiano maccheroni e suonano il mandolino non vegetino altro che sfaticati capaci soltanto di indossare canottiere e di visionare videocassette pornografiche, cui è sufficiente passare la versione "occidentalista" di ogni avvenimento senza curarsi del fatto che questo possa provocare crolli di credibilità. I crolli di credibilità in questo settore significano crolli di vendite, e dunque crolli di entrate. Evidentemente, la “crisi dell’editoria” tutt’ora in corso, con la giusta e logica chiusura di un numero crescente di gazzettine ridicole, non sta insegnando nulla a nessuno.
I fogliettisti, e con loro anche molte componenti dell’attivismo politico, stanno cercando con ogni mezzo di far rientrare gli avvenimenti nella cornice interpretativa consueta. I framework interpretativi tipici della “libera informazione” sono pressoché tutti mutuati dalla realtà del pallonaio, metro ultimo di tutto l'esistente. Abbiamo dunque il tiranno Assad da una parte, che si è alzato una mattina e ha deciso di distruggere mezzo paese per vedere come se la cavavano i suoi reparti d’artiglieria pesante, e i poveri cittadini inermi dall’altra, a farsi diligentemente ammazzare in coda per il pane.
L’impressione è che nella Siria di inizio millennio vi fossero tutte le premesse per una guerra civile. Lo storico Dalrymple così descrive in "Dalla montagna sacra" la Repubblica Araba di Siria alla fine del XX secolo.
Il periodo di incertezza per i Cristiani della Siria si concluse con il colpo di stato di Assad nel 1970. Assad era un alawita, membro di una minoranza musulmana considerata dai Sunniti ortodossi come eretica, e denominata in tono denigratorio Nusayri (o Piccoli Cristiani). Assad si è insediato al potere formando quella che in effetti era una coalizione delle molte minoranze religiose della Siria — Sciiti, Drusi, Yazidi, Cristiani e Alawiti — grazie alla quale fu in grado di controbilanciare il peso della maggioranza sunnita.[...] L’unico problema in tutto ciò, per quanto riguarda i Cristiani, è l’insinuarsi della consapevolezza che quasi sicuramente li aspetta un altro rovesciamento della sorte, forse molto più selvaggio, quando Assad morirà o quando il suo regime dovesse crollare. I Cristiani della Siria hanno osservato con preoccupazione i movimenti islamici che stanno acquistando forza in tutto il Medio Oriente, e i Cristiani più ricchi hanno investito tutto in due passaporti (o almeno così dicono le voci), giusto nel caso che la Siria diventi pericolosa in una qualche fase futura.
"Il fondamentalismo si sta rafforzando tra i Musulmani" disse un uomo d’affari armeno pessimista che incontrai mentre gironzolavo nei bazar di Aleppo. "Basta guardare le ragazze: ora indossano tutte lo hijab: solo cinque anni fa erano tutte scoperte. Dopo la morte di Assad, o le sue dimissioni, nessuno sa quello che accadrà. Finché la bottiglia è chiusa con un tappo saldo, va tutto bene. Ma il tappo finirà per esplodere: e allora nessuno sa cosa ci accadrà."
Nel 2007 il paese era gremito di profughi iracheni: se si tiene presente che il governo Assad teneva sistematicamente i sunniti ai margini della partecipazione al potere e che i sunniti stessi avevano perso in pochi anni molte rappresentanze politiche in un’area compresa tra il Libano e Bassora, si capisce che sarebbe bastato sapere dove mettere le mani per accendere un conflitto. E il fatto che l’esercito siriano -concepito per affrontare quello sionista- non avesse alcuna esperienza di ordine pubblico né gli equipaggiamenti per occuparsene senza fare un macello, ha facilitato di molto le cose. Intanto, le gazzettine continuavano allegramente a ciarlare di “primavera araba”, magari dando voce alle derelitte e conculcate lesbiche di Damasco. Poco c’è mancato che qualche gazzettiere suggerisse di mandare quelle perdigiorno russe o ucraine con l’abitudine di denudarsi in pubblico a fermare i T72 a colpi di technomusic. L'ipotesi è meno peregrina di quello che potrebbe sembrare, se consideriamo il livello delle risorse umane che i partiti "occidentalisti" mettono a disposizione [*] di certa "dissidenza democratica" e che tutte queste competenze e tutta questa preparazione hanno per lo più i corrispettivi gazzettistici che è ragionevole aspettarsi.
E Bashar al Assad ha “le ore contate” ogni giorno.
Da due anni.

[*] Il "dissidente" cubano Oswaldo Payà è morto in un incidente stradale nel luglio del 2012. Alla guida c'era Angel Carromero, un giovane "occidentalista" castigliano.
Condannato a quattro anni, Carromero è stato recentemente estradato dalla Repubblica di Cuba nel Regno di Spagna, che ha immediatamente provveduto a fargli ottenere tutti i benefici di legge possibile, anche perché il Partido Popular aveva mantenuto a Carromero l'inconcludente carica di asesor. Militant Blog ha accolto favorevolmente la notizia e, "da fervente sostenitore del reintegro e del recupero sociale" ha proposto il suo ritorno nella Repubblica di Cuba, dove Angel Carromero potrebbe costruttivamente operare... come autista per Yoani Sanchez.

martedì 15 gennaio 2013

Firenze. Leonetto Mugelli, imprese (illustrate) di un costruttore in Oltrarno




Si riceve e si pubblica.

Oggi sul mio blog, parlo di Leonetto Mugelli
.
Nel caso la vicenda vi dovesse interessare, chiedo a tutti di darne la massima diffusione.

Miguel Martinez


Sulle facciate o altre parti dei fabbricati visibili dal suolo pubblico è vietato esporre panni tesi, e collocare oggetti sulle finestre e sulle terrazze o comunque in vista, in modo da causare diminuzione del decoro dell’immobile.”
Dal regolamento della Polizia Urbana di Firenze

Nel centro storico di Firenze, potrete raccogliere molti aneddoti sugli ostacoli che le istituzioni pongono a modifiche anche minime all’aspetto o all’uso dei palazzi.
Gli artigiani edili, di norma, ci vanno per fare piccole modifiche dentro le case o per ripulire le facciate, e non certo per costruire palazzi.
Per questo, “costruttore in Oltrarno” suona un po’ come “fornaio in chiesa“.
Fa da eccezione il signor Leonetto Mugelli, che in tempi lontani riuscì a strappare un 197esimo posto in una corsa automobilistica (ma ammettiamo di non capire bene il sistema di calcolo adoperato).
In realtà, non si definisce “costruttore in Oltrarno”. Sul sito Coobiz  si presenta così:


Però quando entra in Oltrarno, ci entra così:



In Via della Chiesa, c’era fino a pochi anni fa una falegnameria, con un’ampia corte aperta in cui giocavano i bambini che uscivano dalla scuola elementare Torrigiani, situata di fronte.
Poi c’era un’antica colonica con affreschi e mosaici alle pareti con un enorme camino in pietra serena.
Ma soprattutto era l’unico punto in tutta la città da cui si poteva vedere il retro della  Chiesa del Carmine e della cappella Brancacci (sì, e davanti adesso ci vogliono fare il parcheggio interrato).
Al posto di tutto questo vecchiume, oggi, c’è una progressista palazzina di tre piani, costruita dal signor Leonetto Mugelli.
Certo, almeno chi abitava in via della Chiesa poteva comunque ancora godere di questo panorama:
Fino all’estate del 2011, cioè.
Quando al rientro dalle vacanze, gli inquilini si sono trovati questo nuovo panorama, certamente meno noioso:
Insomma, il signor Leonetto Mugelli stava costruendo due altri palazzi dentro il cortile tra Via della Chiesa e la Chiesa del Carmine.
Noi segnaliamo tutto questo, come un esempio di spirito di iniziativa in tempi di crisi. Non condividiamo eventuali dubbi sulla legalità di tutto ciò, e vi spieghiamo perché.
Innanzitutto, Leonetto Mugelli “dirige un’impresa edile con maestranze specializzate e che da tre generazioni opera alle dipendenze della soprintendenza“. E chi lavora per la Soprintendenza ha certamente un forte senso del rispetto per il decoro della nostra città.
Inoltre, quando Leonetto Mugelli fu processato – nel 1994 – perché negava di aver versato tangenti ad alcuni dirigenti della Soprintendenza (la tassa fissa era del dieci per cento su ogni opera), si riconobbe comunque che era vittima di un sistema:
“I sei imprenditori, fra cui Leonetto Mugelli da sempre costruttore di riferimento delle Belle Arti, sono invece accusati di favoreggiamento: il magistrato ha riconosciuto loro il ruolo di vittime del sistema ma li ha incastrati perché hanno sempre spergiurato che non era vero.”
Non solo, il fatto che Leonetto Mugelli appartenesse alla Loggia Unione Vittoria, obbedienza di Palazzo Giustiniani (come il funzionario Bruno Pacciani, accusato di chiedere le tangenti), fa casomai pensare a una particolare sensibilità verso gli antichi muratori che costruirono i palazzi di Firenze. Ancora di più, se pensiamo che a denunciare le tangenti fu proprio il costruttore Delfo Biagiotti, maestro venerabile della loggia Nuova Vita, obbedienza del Grande Oriente.
Le nostre informazioni si limitano a ciò che scriveva allora Repubblica, e non sappiamo come sia andata a finire la vicenda: saremmo felici di poter scrivere che il nostro costruttore ne sia uscito a testa alta.
Adesso gli abitanti di Via della Chiesa si sono rivolti al sindaco di Firenze con questa lettera aperta. Come è nostro costume, concediamo volentieri al signor Mugelli il più ampio diritto di replica, qualora volesse avvalersene.
Ma leggiamo la lettera aperta.
Lettera aperta al Sindaco di Firenze, Matteo Renzi
Caro Sindaco,
siamo arrivati alla fine, forse, della storia delle palazzine in costruzione a ridosso alla chiesa di Santa Maria del Carmine, e siccome Lei fu l’unico – all’inizio, un anno fa – a interessarsi e chiedermi mi tenerLa informata, rivolgo a Lei un commento, e una domanda.
Il commento è questo:
questa storia è di per sé un esempio magnifico che illustra perfettamente come mai i cittadini non hanno più alcuna fiducia nelle istituzioni pubbliche. La nostra fiducia nella Soprintendenza, devo dire, crollò subito a zero dopo il primo incontro, quando la Soprintendente in persona affermò (testuali parole!) che quest’area prima era “degradata” – quando cioè si godeva della splendida vista del retro della Chiesa e della Cappella Brancacci, quando ancora si vedeva il campanile, quando c’era un’antica casa colonica con mosaici e affreschi alle pareti, quando c’era la vecchia falegnameria artigiana e un meraviglioso albero – mentre adesso era così migliorata!, adesso che non si vede più niente, ora che tutto è stato abbattuto per fare un parcheggio e costruire tre case veramente brutte, stile periferia di un’anonima cittadina di provincia.
Quando ci disse questo, capimmo che non avevamo speranze perché i concetti di bello e brutto erano completamente rovesciati, e quindi pensammo che la Soprintendenza sarebbe stata in grado di tutelare solo il brutto, a scapito del Bello. E così è avvenuto. Abbiamo avvertito il Ministero, ma temiamo che non possa (o non voglia) fare niente – comunque vedremo: può darsi che alla fine sarà più sollecita Roma nel difendere le antiche bellezze di Firenze!
Gli uffici comunali ci avevano lasciato inizialmente qualche speranza, perché tutti gli addetti con cui abbiamo parlato convenivano con noi che prima era una splendida vista, unica nel suo genere, mentre ora è diventato un vero e proprio obbrobrio e quelle palazzine sono veramente orribili. Quindi ci siamo fidati un po’ di più, per poi vedere però la nostra fiducia tradita, perché è andata a finire che, senza che nessuno ci dicesse più niente, le stesse palazzine che un anno fa furono  giudicate non a norma di legge, oggi hanno ottenuto tutti i permessi e le autorizzazioni, senza che sia stato cambiato niente; il signor Mugelli, l’Incontrastato, sta felicemente concludendo le sue costruzioni e abbiamo tutti perso tanto tempo e tante energie per avere esattamente lo stesso risultato di un anno fa. Ci chiediamo cosa sia intercorso da un anno a questa parte: cosa è successo dunque, perché la stessa cosa che ieri non era norma, oggi è diventata a norma? Noi ci siamo sentiti presi in giro dall’amministrazione comunale: prima ci ha ringraziato per aver segnalato un abuso edilizio, poi lo ha approvato tal quale.
Forse la cosa più tragicomica di tutta la storia è che gli Uffici preposti alla tutela del paesaggio hanno imposto all’Incontrastato di piantare 9 alberi. Uno fa appena in tempo a tirare un sospiro di sollievo, quand’ecco che continuando a leggere si scopre che gli alberi devono essere nove betulle…! Lei mi capisce, signor Sindaco: noi che abitiamo in questo quartiere da sempre, non avevamo mai capito che ci trovavamo in piena zona boreale, nella terra dove tra le betulle trovano riparo i lupi e i castori…
Qui veramente il nostro sospetto che gli uffici preposti alla tutela del paesaggio non siano affatto all’altezza del loro compito, si è trasformata in una triste certezza. Sinceramente parlando, siamo stanchi di pagare con le nostre tasse gli stipendi a queste persone, subendo
impotenti le pesanti conseguenze della loro incompetenza. E se di incompetenza non si trattasse, allora sarebbe qualcosa di molto peggiore.
A nessuno di noi, che viviamo in questo quartiere, è consentito ormai da tanti anni spostare anche solo un mattone, per non alterare il prezioso paesaggio. Soltanto l’Incontrastato ha potuto spianare tutto quello che c’era, impunemente, e costruirci sopra tre palazzi e un parcheggio. A noi appare evidente che qui si usino due pesi e due misure.
A questo punto le pongo una domanda, caro Sindaco: in quale di queste tre situazioni Lei si trova? (o forse ce n’è una quarta che mi sfugge).
1. Lei è favorevole all’operato degli uffici preposti alla tutela del paesaggio, trova che abbiamo lavorato proprio bene, anche se hanno tutelato il brutto anziché il bello (e che bello! è patrimonio dell’umanità, tutti universalmente lo riconoscono come il Bello) e hanno favorito l’interesse di uno solo, a discapito dell’interesse di tutto il resto della comunità mondiale.
2. Lei non è favorevole all’operato degli uffici preposti alla tutela del paesaggio, ma non può farci niente, Lei non ha questo potere, è impotente tanto quanto noi cittadini, un po’ come quei presidi delle scuole – per intendersi – che sanno benissimo che certi insegnanti andrebbero mandati a casa, ma non possono farlo perché la legge non glielo consente, o forse per timore delle conseguenze.
3. Lei ha il potere di cambiare con un atto d’ufficio questa scellerata decisione degli uffici preposti alla tutela del paesaggio – Lei potrebbe, se volesse, ridarci la vista della Chiesa del Carmine e della Cappella Brancacci. Potrebbe farlo Lei, visto che i responsabili non sono stati capaci di tutelare il paesaggio e la sua bellezza, né gli è parso importante farlo.
Spero tanto che Lei abbia avuto la pazienza di leggere, e che mi risponda; spero ancor più che alle sue affermazioni pubbliche inneggianti ad un modo nuovo di governare, facciano seguito atti concreti a dimostrazione che si intende davvero porre fine al vecchio sistema di malgoverno, volto al servizio di altri interessi che non quelli pubblici, del bene e del bello collettivo.
Se Leonardo Domenici è passato alla storia qui nel quartiere come colui che fece chiudere l’unico scorcio da cui tutti potevano vedere dalla strada il retro della Chiesa, come passerà alla storia Matteo Renzi? Come colui che oscurò per sempre e definitivamente ciò che di bello ancora poteva vedersi, oppure come colui che lo riportò alla luce?

lunedì 14 gennaio 2013

Beppe Grillo, un odio a cinque stelle


All'inizio del 2013 è chiaro a chiunque voglia prenderne atto che il "Movimento Cinque Stelle" fondato da un comico genovese si sta muovendo in modo da prendere il posto delle stesse organizzazioni e degli stessi individui che diceva di voler combattere.
Nel perenne abbaiare di ciarle che costituisce la costellazione di blog, Libri dei Ceffi e Cinguettatori vari, viene fuori che sarebbe in atto una "rivolta" nel partito Cinque Stelle (lo possiamo definire partito, o continueremo con la balla del "movimento" ancora a lungo?) contro Beppe Grillo per la sua apertura verso Casa Pound. Apertura negata dall'interessato, che svicola come sempre addossando la colpa ai mass media, tanto ostili alla sua creazione politica. Ora tutti possono guardare il video della chiaccherata tra Grillo e l'esponente del movimento neofascista, in cui il primo dice al secondo: "Sto parlando con te che sei un esponente di estrema destra, ma sembri un delegato del Movimento Cinque Stelle", e decidere se si tratta di accuse fondate o meno.
Di fatto, Grillo si comporta da molti anni come un demagogo pericoloso, che non ha nulla da invidiare ai peggiori ben vestiti di quella casta che fa finta di attaccare quotidianamente. Quando ha dovuto trattare di immigrazione e di razzismo, Grillo si è lasciato abitualmente andare a strepiti ai limiti del premestruale: "Una volta i confini della Patria erano sacri, i politici li hanno sconsacrati".  Il tono abituale delle risposte fa pensare a un po' di seguaci del "Non sono razzista ma" (in corsa verso l'ultima e più accettata mutazione, quella del "Sono razzista, però...") che ribattono "BASTA! Sono di sinistra... ero di sinistra! Ora basta! Fuori il marcio dai nostri confini... dalle nostre carceri... dalle nostre strade".
Daniele Sensi, ottimo osservatore dell'ambiente leghista che segue Radio Padania con puntualità masochista, paragona il blog di Beppe Grillo al Forum di Radio Padania, "ma con più colori e con l'e-commerce". Sarebbe ora che i cinguettanti ed autoschedati estimatori di Beppe Grillo iniziassero a rendersi conto di che strada stanno percorrendo.
L'articolo in cui Sensi descrive il blog di Grillo è del 2011 e nel 2011 si era nel bel mezzo della cosiddetta "Primavera araba", con i tunisini che si riversavano democraticamente sulle coste della penisola italiana. UN suddito dello stato che la occupa contribuì alla sezione d'onore del blog di Grillo con una affermazione che è un paradigma di democratismo: "Io non sono affatto per il "politically correct" e secondo me questa gente va educatamente, ma con decisione rispedita a casa. Possibilmente con i nostri ministri e tutti i leghisti a seguito". Al che Sensi giustamente ribatteva: "appare poco comprensibile il senso di quel "possibilmente con tutti i leghisti a seguito": visto il contesto, suona un po' come se nella Germania d'antan qualcuno avesse tuonato: "Fuori gli ebrei! Ma anche Goebbels!".
Ciononostante sul Fatto quotidiano si arrampicano lo stesso sugli specchi per cercare di limitare i danni e difendere il loro padrone. "Scrivere che Grillo è “fascista”, o che “apre a Casa Pound”, è l’ennesimo atto in malafede dell’informazione italiana. Chiunque ha visto mezzo spettacolo di Grillo sa bene come non solo non sia mai stato fascista, ma abbia spesso combattuto battaglie riconducibili alla sinistra. Molto più di quanto non abbia fatto la sinistra". Infatti nel 2012 il Leader maximo del partito Cinque stelle si è espresso su una battaglia cara (rigorosamente a parole) alla sinistra decretando che "La cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono è senza senso. O meglio, un senso lo ha. Distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi".  
Il populismo c'a' pummarola, come tutti gli orientamenti politici paragonabili, offre ad ogni tipo di problema una soluzione ovvia, semplice, immediata... e di solito impraticabile. Sicché Grillo può tranquillamente suggerire, nel corso di uno spettacolo, come i carabinieri dovrebbero trattare i "marocchini rompicoglioni":"se vuoi dare una “passatina” a un marocchino che rompe i coglioni, lo prendi, lo carichi in macchina e, senza che ti veda nessuno, lo porti un po’ in caserma e gli dai magari due schiaffetti. Ma non in mezzo alla strada, dove con un telefonino ti riprendono e fanno succedere un casino".
A forza di femmine con poca roba addosso, asticelle e altra paccottiglia, a tanto si è ridotta l'offerta politica del democratismo. D'altronde, come uno scrittore ha giustamente annotato, "Osservare le stelle è come guardare indietro nel tempo, dato che alcune sono così distanti che la loro luce impiega milioni di ore, com’erano quando sul nostro pianeta esistevano i dinosauri".

venerdì 11 gennaio 2013

Casaggì Firenze: giovinezza incendiaria e mores maiorum


Firenze, gennaio 2013. Fino a qualche mese fa Casaggì Firenze era un'organizzazione giovanile che rappresentava l'unico riferimento territoriale del maggior partito "occidentalista" della penisola italiana. I militanti di Casaggì presenziavano un paio di volte l'anno alle iniziative del "partito" -solitamente di scena in qualche cimitero- e si prendevano qualche parola di incoraggiamento e qualche pacca sulle spalle da parte della dirigenza, che poi li lasciava lì per andare al ristorante.
L'altra abitudine era quella di lordare con la propaganda ogni superficie verticale disponibile. A vedere tutti quei manifesti c'era da pensare che l'"occidentalismo" fiorentino avesse infine perso le dimensioni da sottoscala che lo hanno sempre caratterizzato. Dopo anni di questa abitudine, qualcuno si è stancato e si è ricordato che non è che si può fare tutto quello che vuole con la colla da parati: gli "occidentalisti" della pennellessa devono essersi visti recapitare un verbale di contravvenzione con diversi zeri, per il quale è intuibile si sia svolto un sordido scaricabarile. Insieme a qualche altra iniziativa di quelle che rischiano di far cacciare chiunque dal panorama elettorale, persino in quella penisola italiana in cui è prassi quotidiana assistere ogni giorno a spettacoli repellenti, la cosa è valsa ai giovani "occidentalisti" l'allontanamento dalle mense meglio rifornite e la fine repentina della visibilità mediatica.
Oggi come oggi la gioventù incendiaria deve accontentarsi di incendiare il Libro dei Ceffi, forse la più efficiente e considerata tra tutte le autoschedature per mediocri che hanno gettato sul lastrico intere generazioni di informatori e di confidenti. Rispetto al vecchio ciclostile ha anche le foto e i bei colori.
Il congedo da parte dell'"occidentalismo" meglio fornito ha tolto a Casaggì anche i due spiccioli di visibilità accordatile dal mainstream cittadino, ed è forse per questo che un certo particolare che avrebbe dovuto inorgoglire non poco i giovani incendiari "occidentalisti" è passato pressoché inosservato.
Nei primi giorni dell'anno le gazzette fiorentine scribacchiano di qualcuno che ha festeggiato l'anno nuovo in grande stile, con particolare riferimento ai fuochi artificiali. Sempre secondo le gazzette -o meglio, secondo i mattinali di gendarmeria che evitano alla professionalità dei "lavoratori" dei gazzettifici di indebolirsi a causa dei turni troppo massacranti- uno dei tre pirotecnici di provincia sarebbe stato identificato dai gendarmi nel corso di manifestazioni tenute da Casaggì nel corso degli ultimi anni.
L'attivismo politico non è il Libro dei Ceffi perché mantiene ancora troppi legami con quella fastidiosa cosa previrtuale che si chiama realtà. Nella realtà la gioventù incendiaria di Firenze, propaganda nonostante, non ha mai superato i trenta figuranti neppure nelle giornate di forza massima. Questo significa che possiamo stimare che esista un tre per cento di giovani incendiari disposti a passare dalla teoria alla pratica. Una percentuale che dovrebbe inorgoglire, non fosse che per il fatto che sarebbe irraggiungibile per moltissimi altri movimenti politici.
Va detto anche che i pratici della giovinezza ardente hanno dovuto loro malgrado accorgersi che Firenze non è Tehran, non è Damasco e non è L'Avana, nonostante i ben nutriti elettori passivi di riferimento abbiano da tempo derubricato questa zona della penisola italiana a buco nero della democrazia. E' finita che l'utilizzo disinvolto del Libro dei Ceffi e di altre risorse informatiche ed elettroniche non solo non gli ha fruttato il plauso degli "amanti della libertà" o l'interesse di qualche autonominato difensore della democrazia, ma è servito alla gendarmeria per risalire alle loro persone con molta calma e pochissima fatica.
Il fatto è che Casaggì, spiegano i foglietti, risulta estranea ai fatti. Il che può spiegare il completo silenzio sulla vicenda da parte dei giovani "occidentalisti". Ma la spiegazione può anche essere un'altra, e rientrare nei mores maiorum condivisi ad ogni livello da gruppi dello stesso orientamento. Per capire di quali mores stiamo parlando, basterà qualche esempio dei più recenti.
Boutique Pound ha fatto finta di non conoscere Gianluca Casseri subito dopo che i suoi gesti, lodevolmente "gratuiti, violenti e sconsiderati" secondo il "turbodinamismo" caro a quel franchising, avevano causato due morti ed un ferito grave.
Si ricorderà anche di come Nicola Caldarone, sostanzialmente colpevole di essersi fatto sorprendere, abbia dovuto dire addio alle proprie speranze di giovane "occidentalista" in carriera. Consegnato all'oblio in meno di ventiquattro ore.
A livello ben più alto, ma sempre in ambiente "occidentalista", si è portato in palmo di mano per anni un aristofanesco saltimbanco la cui "memoria prodigiosa" era tenuta in gran conto. Fallito sostanzialmente l'obiettivo (che era il linciaggio di vari politici invisi alla committenza), quando questa "memoria prodigiosa" ha fruttato ad Igor Marini una condanna a dieci anni di detenzione (per tacere dei risarcimenti civili, roba da stendere anche individui finanziariamente assai robusti), si è proceduto more solito more maiorum, seppellendone la memoria.
I mores maiorum sono cosa patria, prestigiosa ed autorevole: nessuno può metterla in discussione e men che meno sottrarsi al suo rispetto, primi tra tutti i filii familias delle ultimissime classi. Non sarebbe dunque da meravigliarsi se uno dei pochi ripostigli ancora presidiati dall'occidentalame fiorentino avesse seguito i costumi tradizionali, dimenticando in modo subitaneo e completo quale aspetto avessero certi intraprendenti figuranti.

I giovani "occidentalisti" come vorrebbero essere.

I giovani "occidentalisti" come sono davvero.


lunedì 7 gennaio 2013

Luigi di Stefano: una laurea di prestigio contro la Repubblica dell'India


Nel luglio 2011 lo stato che occupa la penisola italiana ha deciso la creazione di unità militari destinate a scortare, su richiesta degli armatori, navi mercantili e passeggeri che attraversino zone a rischio pirateria.
Sei mesi dopo due fucilieri di marina di una di queste unità sono stati arrestati dalle autorità della Repubblica dell'India perché accusati dell'omicidio di due pescatori.
La Repubblica dell'India è una potenza economica consolidata e vieppiù in ulteriore ascesa, è una potenza nucleare, ha forze armate composte da due milioni di effettivi più altri due milioni di riservisti. Negli anni Ottanta varò un gigantesco piano di istruzione pubblica che doveva portare il paese a disporre nel nuovo millennio di più ingegneri e tecnici dell'Unione Sovietica allora presa come riferimento.
Oltre ad un declino economico logicamente inarrestabile e ad una presenza militare nell'Oceano Indiano pari ad un'ottantina di uomini in armi, lo stato che occupa la penisola italiana può vantare un altrettanto gigantesco piano di istruzione che lo ha portato ad avere più finti laureati di tutto il resto dell'Europa occidentale, preso come riferimento dai governi "occidentalisti" dell'epoca.
La politica "occidentalista" considera inaccettabile che la Repubblica dell'India si imponga al "paese" delle fettuccine al triplo burro, ed ha mobilitato in favore dei due fucilieri le proprie migliori risorse.
Il che significa che ha additato la Repubblica dell'India ai propri gazzettisti, affinché procedano secondo l'uso.
Denigrare la Repubblica dell'India può essere un problema perché è poco realista pensare di poter fotografare i calzini di un miliardo e duecento milioni di cittadini per postularne la malvagità; per assolvere ai propri compiti la "libera informazione" ha dovuto ripiegare su un'ondata di proteste causata -dicono- da alcuni episodi di stupro verificatasi appena in tempo per fornire il necessario materiale denigratorio.
Intanto che i sudditi venivano edotti sulla vita grama e sulle vessazioni che toccano in sorte alle sventurate indiane, qualche "occidentalista" si adoperava per difendere meglio che si poteva i fucilieri di marina, ovviamente curandosi più della propria visibilità mediatica che dell'evidenza dei fatti o della competenza necessaria ad intervenire in simili questioni.
Questo qualcuno si chiama Luigi di Stefano. Un altro qualcuno che si chiama Matteo Miavaldi e di cui abbiamo letto su Wu Ming ha valutato con un po' di cura la sua lunga controperizia. Su Wu Ming si legge di serissimi dubbi sulla sua validità, in un articolo in cui si trovano anche delle squisite considerazioni sulla stampa "occidentalista", sui metodi che le sono propri e sulla feccia capace soltanto di mangiare spaghetti che ne rappresenta il pubblico di riferimento.
Nella stessa sede sarebbe intervenuto commentando anche l'ingegner Luigi di Stefano, che è riuscito a peggiorare non di poco la propria posizione perché ha suscitato molta curiosità per il titolo accademico vantato.
Il sito cimea.it si occupa dei problemi inerenti il riconoscimento dei titoli accademici. La Adam Smith University in cui si è "laureato" in ingegneria Luigi di Stefano viene recensita in questi termini da Luca Lantero, in uno scritto intitolato "Fabbriche di titoli: indagine di campo".

Adam Smith University
Sedi: Usa, Liberia, Francia
Sito internet: http://www.adamsmith.edu
Questa istituzione è presente negli elenchi delle bogus institutions statunitensi e offre titoli di Associate, Bachelor, Master e Doctorate in diverse discipline. È stata fondata nel 1991 da Donald Grunewald che ne è tuttora il presidente. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha affrontato il caso della Adam Smith in alcuni sui provvedimenti, quando istituzioni operanti sul nostro territorio dichiaravano di rilasciare titoli di questa istituzione non riconosciuta. Troviamo altri collegamenti tra l’ASU e l’Italia all’interno dello stesso sito internet dell’istituzione: come contatto per il nostro paese e per San Marino viene segnalato l’European Institute of Technology, altro caso di istituzione non riconosciuta. L’Adam Smith University afferma di avericevuto un riconoscimento dalle autorità dello Stato della Liberia sin dal 2001 e che i titoli sono riconosciuti anche in Francia dove l’istituzione opera tramite la École Supérieure Universitaire Adam Smith: tali affermazioni sono state smentite dalle autorità dei due paesi. Nel sito internet dell’istituzione sono citati trenta paesi dove esistono sedi distaccate della Adam Smith: le cosiddette filiazioni indicate sono anch’esse prive di riconoscimento.

Il già citato blogger Mazzetta spiega che la Adam Smith University è stata fondata da un certo Donald Grunewald che
 la dirige da sempre dalla sua casa in Connecticut nonostante la sua sede in teoria si trovi al piano terra dell’ostello per ragazze del Methodist Compound di Monrovia, in Liberia. Negli Stati Uniti, riferibili a questa “Università” ci sono solo la casa di Grunewald e una casella postale, peraltro piazzata a Saipan, sulle isole Marianne. Difficile che Luigi di Stefano ne sia all’oscuro. A togliere ogni dubbio sulla qualità dei corsi ci ha pensato un’inchiesta del Chronicle of Higher Education, nel corso della quale uno dei suoi giornalisti terminò con profitto un corso annuale d’inglese in circa un’ora e un semestre in economia in 15 minuti.
Intanto che "ingegneri" come questo curano in modo sicuramente appropriato l'immagine e gli interessi dello stato che occupa la penisola italiana, ingegneri indiani senza virgolette stanno procedendo allo sviluppo di un caccia di quinta generazione.