lunedì 28 febbraio 2011

Nord Africa e Medio Oriente: le menzogne "occidentaliste" restano menzogne.


Trattare di grossi eventi in corso, quali insurrezioni vere e proprie o colpi di stato, espone innanzitutto al rischio di trarre conclusioni affrettate: il mainstream, ovviamente, in questo come in moltissime altre cose non è affatto d'aiuto.
Quella in Libia ha preso tutte le sembianze di una vera e propria guerra civile. Per adesso permette di trarre una sola conclusione non affrettata, cui è facile abbandonarsi viste le premesse ed il materiale (pressappoco) umano con cui si ha a che fare.
Questa conclusione riguarda l'abituale spettacolo di malafede, incompetenza e pressappochismo messo in scena anche in questo caso dalla classe politica peninsulare.
Altrettanto ovvio è il disprezzo che si deve avere per il giornalame. Il gazzettaio mescola ostinazione e spudoratezza cercando in tutti i modi di forzare le evidenze per dare di esse un'interpretazione compatibile con gli interessi "occidentalisti" e soprattutto col tornaconto elettorale della marmaglia governativa.
In questo caso, si tratta di derubricare a dittatore un al-Qadhdhāfī cui sono stati delegati dietro pagamento lavori peggio che sporchi, e la cui presenza era ed è essenziale per gli interessi elettorali "occidentalisti". Intanto che il regime -vocabolo raramente usato fino a qualche giorno fa per la Grande Jamahiria Araba di Libia Popolare e Socialista, di utilizzo quotidiano invece per la Repubblica Islamica dell'Iran- impiega per sgretolarsi tempi poco compatibili con le "poche ore" stabilite dai gazzettieri, intanto che l'occupazione dell'Afghanistan (retaggio di un mondo scomparso, verrebbe da dire) continua a costare cifre folli e a produrre esclusivamente morti ammazzati, nulla vieta di ostentare la sicurezza che "gli incidenti" si "estenderanno anche all'Iran".
Cialtroni da gazzettina e cialtroni da poltrona si augurano senza mezzi termini un altro bagno di sangue. L'hanno deciso loro, che la Repubblica Islamica è da anni trentadue "sul punto di crollare". Come osa, la realtà dei fatti, contraddire lo wishful thinking "occidentalista"?!
Eppure la Repubblica Islamica dell'Iran non soltanto continua ad esistere, ma continua a godere di un prestigio in ascesa e a pretendere prerogative che sono quelle di qualsiasi stato sovrano, in un contesto che a tutto fa pensare meno che al postulato "isolamento internazionale" di cui il gazzettame ciancia tanto. E' probabile che esistano motivi precisi, che è bene omettere con ogni cura di portare all'attenzione dei sudditi "occidentali".
L'analisi più agevole da fare riguarda ancora una volta gli stili della comunicazione politica, che sono tanto sintomatici quanto diametralmente opposti.
Sul registro e sull'agenda setting della comunicazione politica nello stato che occupa la penisola italiana non è neppure il caso di sprecare ulteriori parole.
Di al-Qadhdhāfī il gazzettame "occidentalista" apprezzava fino all'altro ieri, oltre alla sorprendente e preziosa venalità su citata, anche e soprattutto l'estrosa gestione della propria immagine pubblica.

Un blogger meno condiscendente pubblicava tra l'altro l'immagine qui sopra, in cui si paragona senza mezzi termini l'immagine del politico libico a quella di un cantante amriki, gratificandoli entrambi del titolo di "generalissimo da operetta".
Bene. La condiscendenza verso la politica ed i media "occidentalisti" pare che oggi come oggi conduca poco lontano.
Chi condiscendente non si mostra va invece incontro a successi elettorali e diplomatici tanto corposi quanto furiosamente denigrati dalle gazzettine. E' il caso di Mahmoud Ahmadinejad, che ha la repellente abitudine di far diffondere immagini che lo raffigurano insieme ai risultati ottenuti dalla ricerca scientifica della Repubblica Islamica (in "Occidente" ridotti alla bombatòmiha, va da sé) piuttosto che mentre frequenta attrici e prostitute.

Neppure Ismail Hanyieh ama fare notizia perché frequenta attrici e prostitute (sarebbe anche interessante stabilire un metro univoco per distinguere le une dalle altre): preferisce che si sappia che vive in una casa, grande ma sobria e condivisa con diciannove parenti, in mezzo al campo profughi di Shati.
Nulla di peggio, per la politica "occidentalista": comportamenti e valori simili contraddicono alla base la libertà "occidentale" di dare costante prova della propria abiezione e della propria adesione ad una concezione empia e sovvertita del mondo, e devono dunque essere delegittimati con ogni mezzo, come qualunque cosa preferisca la competenza alla ciancia, la concretezza alle fandonie, i problemi ai capricci, la resistenza alla remissività, la verità alle menzogne, la sobrietà allo spreco, la critica alla propaganda.
Al momento non è possibile dire se quelli che gli "occidentalisti" consideravano i propri baluardi in nord Africa ed in Medio Oriente contro la postulata barbarie del terrorismislàmiho responsabile d'insihurezzeddegràdo stiano o meno andando incontro ad un autentico processo rivoluzionario; l'impressione è piuttosto quella di assetti governativi a considerevole presenza militare. Di sicuro c'è soltanto l'ennesima conferma dell'incompetenza ciarliera e mendace con cui il gazzettaio reperisce e divulga le direttive della propaganda "occidentalista".

giovedì 24 febbraio 2011

Tommaso Villa e "Il Giornale della Toscana": qualcuno vuole spiegargli cos'è un'insurrezione?


Le otto paginette de "Il Giornale della Toscana" sarebbero da mesi e mesi ad un passo dal baratro finanziario; sarebbe anche ora che qualcuno o qualcosa si adoperasse per porre fine ad un'agonia tanto lunga, mandando redattori e gazzettieri vari a far la fila per il sussidio di disoccupazione. Sempre che il neoliberismo da quelle pagine tanto esaltato glene abbia lasciata almeno la prospettiva.
A fine febbraio 2011 Il Collettivo Politico di Scienze Politiche a Firenze ha occupato un'aula nel nuovo polo universitario di Novoli suscitando il disappunto "occidentalista".
Davanti a questo nulla -sono almeno trent'anni che Firenze convive con realtà simili senza alcun serio attrito- Uno scaldasedie di nome Tommaso Villa, di cui abbiamo già trattato in questa sede sottolineando l'estrema ed immeritata cortesia con cui è stato accolto altrove dagli attivisti politici protagonisti di iniziative del genere, ha telefonato in gazzetteria frignando di ritornallalegalità con ancora meno convinzione del solito, e si dimentica di aggiungere i giridivite e le tolleranzezzèro contro il terrorismo.
Con la caterva di imbarazzi che lui ed i suoi commensali hanno da affrontare in questo periodo, e con un futuro fatto di qualunque cosa meno che di popolarità in aumento, non è difficile immaginare il perché.
Comunque, insieme ad un nulla di nome Niccolò Macallè, Tommaso Villa invoca ordine e legalità perché
l'università è un luogo dove si va per studiare, imparare e crescere. Non è né un centro sociale, né un affittacamere a buon mercato per fannulloni e sfaticati.
Repetita iuvant. Vediamo dunque ancora una volta dall'alto di quali grandi traguardi l'indossatore di cravatte ed il frequentatore di ristoranti Villa Tommaso qualifica gli altri di fannulloni e sfaticati.
Il curriculum di Tommaso Villa è disponibile in rete, su un sito istituzionale. E' interessantissimo perché, com'è prassi per gli "occidentalisti", non riporta traccia alcuna di attività lavorativa. Né ci comunica in cosa si sia laureato il tizio con la cravatta e dall'aria ben nutrita la cui foto campeggia nella pagina. Si sa soltanto che costui è nato nel 1976 e che era "responsabile universitario" di un partito "occidentalista" nel 2001. Il resto è una rassegna neppure troppo lunga di poltrone scaldate.
Ora, i nati nel 1976 hanno avuto da diplomarsi attorno al 1995 e da iscriversi all'Università nel 1996 al massimo, termine che include anche qualche interruzione nel cammino formativo.
Nel 2001 avrebbero dovuto essere alle soglie della laurea, anche nel caso di corsi lunghi ed impegnativi.
Alla data in cui scriviamo, ossia a dieci anni da allora, secondo il servizio di consultazione titoli tesi messo a disposizione dall'Università di Firenze, tra i laureati di quell'ateneo non figura alcun Tommaso Villa.
Non sapremmo come definire, se non fannullone e sfaticato, un individuo incapace di laurearsi neppure in quindici anni. E' davvero difficile capire quale urgenza abbiano, lui e quelli come lui, di avere aule "per studiare".
Tommaso Villa offre un'ulteriore occasione, peraltro di carattere minimo per non dire meschino e miserabile, per mettere in luce il funzionamento della propaganda "occidentalista": si proiettano sugli avversari politici caratteristiche che sono proprie, e si mente dalla prima all'ultima parola.
Questa roba qui, sul gazzettaio "occidentalista", si chiama in complesso insurrezione e si fa con una telefonata o con un fax o con una mail a un gazzettiere, che poi scrive su una gazzettina.

Tutte le altre fonti disponibili invece intendono insurrezione come "un tipo di conflitto armato appartenente alla tipologia delle guerriglie", che "deriva da oppressione dura e insopportabile di un popolo sopra un altro, o di un governo sul suo stesso popolo".
O di un governo sul suo stesso popolo.
L'insurrezione, quindi, è fase attiva di un processo rivoluzionario nel corso della quale una congrua parte di una popolazione, utilizzando o meno armi vere e proprie od oggetti comunque atti ad offendere, elimina fisicamente o simbolicamente i responsabili percepiti di un determinato stato di cose, mettendoli sommariamente in condizioni di non nuocere.
In sostanza, un'insurrezione è qualcosa che ai tommasovilla dei partiti "occidentalisti" dovrebbe far andare di traverso gli spaghetti, e farli temere seriamente per la sorte della propria collezione di videocassette pornografiche.
Altro che gazzette.

Una insurgent del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina. (Fonte: Mizozo).

mercoledì 23 febbraio 2011

Affissioni abusive a Firenze: Casaggì, Francesco Torselli ed una lettera di Massimo Mattei

Firenze, anno 2011. I giovani "occidentalisti" di Casaggì a lezione presso la Scuola di Politica "M. Mattei". Si noti la canna brandita con sobrietà dal precettore, garanzia di metodi pedagogici all'insegna della tradizione.

Nel febbraio 2011 la micropolitica giovanile "occidentalista" a Firenze fa per un po' notizia per una rassegna governativa a cadenza annuale sulla quale, in questa sede, ci si è fatti un piacere di infierire senza la minima misericordia: basti sapere che la "popolarità" dell'iniziativa a Firenze è a tutt'oggi tale che solo un dispiegamento di gendarmi fuori dall'ordinario è in grado di tutelare partecipanti ed organizzatori da contestazioni di carattere eccezionalmente perentorio. Ripartiti i governativi, a Casaggì Firenze sono rimaste le belle prove di incompetenza informatica, i copia ed incolla su qualche blog, e gli incolla ed incolla sui muri deputati ad accogliere le ciance della committenza. E la committenza, ora come ora è alle prese con problemi ed imbarazzi di portata più epocale del solito, tali da metterne in ombra perfino le prove di quotidiana abiezione con cui ci ha da tempo abituato a convivere. I nostri lettori sanno come la principale, nonché la più costruttiva ed utile, pratica politica dell'"occidentalismo" giovanile fiorentino sia rappresentata proprio dall'affissione abusiva. Voci di corridoio addossano ai suoi protagonisti anche una lunga serie di brutte abitudini, ma useremo loro la pura cortesia di non prestare ad esse orecchio. Il 23 febbraio 2011 un certo Massimo Mattei, il famoso islamofobo da taschino che fa anche lo "assessore al decoro" o roba del genere e che già in passato aveva avuto non poco da ridire sul ciarpame "occidentalista" che ricopriva interi muri perimetrali, ha scritto una di quelle oziose lettere aperte che servono a riempire le gazzette. Il destinatario è Francesco Torselli, per nulla estraneo all'operato di Casaggì e noto per la grande stima che nutre nei confronti del nazionalista antisemita Corneliu Zelea Codreanu, tra le minori pecche della cui Garda de Fier stava la propensione all'assassinio politico a sfondo mistico. Questo, perché si abbia sempre chiaro quali modelli il politicame giovanile "occidentalista" presenta a quanti aspirino a far parte della servitù. Riportiamo il testo della lettera per intero, con qualche considerazione.
Caro Torselli, perdonami se svolgo una funzione pedagogica, lontana dalle mie ideologie esistenziali. Nella mia giovinezza ho creduto che in Russia si stesse bene, perché qualcuno me lo aveva detto, ma si nasce incendiari e si muore pompieri. Credo che un sano entusiasmo giovanile sia interessante e rappresenti uno stimolo per tutti, so cosa significhi sognare le rivoluzioni, comprendo che sia più facile rimanere affascinati da Che Guevara e da Evola, piuttosto che da Rotondi e Fioroni. Credo però che un conto sia sognare l’Impresa Fiumana e vedersi al comando di un aereo che getta volantini su Vienna e un altro è lodare e ricordare un pensatore che, per quanto stimolante e controverso, resta un ideologo della guerra e dell’imperialismo. Caro Francesco vedo il tuo quotidiano lavoro in Consiglio e devo dire che sei uno dei consiglieri più attenti e partecipi al governo di questa città; vorrei consigliarti e consigliare, anche ai frequentatori del tuo circolo, un’attenta analisi sui personaggi storici da ricordare e sui quali avere un approfondimento. Ma soprattutto ti sarei grato se, per il decoro della nostra città, le pubblicità non venissero affisse fuori dagli spazi consentiti. Massimo Mattei
La lettera pare pervasa in vari punti da un tono apertamente irridente, che si alterna ad una piena e lodevole consapevolezza che Mattei dimostra di possedere quanto a limiti propri, di ex incendiario e di attuale pompiere, nonché di quelli di certi suoi compagni di strada, ex chissà cosa ed attuale nulla. Tra l'altro il cambiare dei tempi ed il rovesciarsi di tante sorti ci allontana ancora di più dall'esperienza di Mattei, perché nella nostra, anche a livello quotidiano, ci càpita di incontrare molti individui e molti gruppi che, nati pompieri, si avviano a diventare incendiari. Diventare, non morire, perché di morire non hanno la minima intenzione. Ma perché mai una "lettera aperta" proprio oggi? Possiamo avanzare un'ipotesi. E' probabile che su una certa scrivania -o meglio, su un certo tavolaccio nel sottoscala di via Di Credi, tenuto in pari con qualche tàcchia come in quel film con Enrico Montesano- sia planata la busta col totale delle sanzioni da pagare per aver sconciato tutta Firenze con le proprie menzogne, e che Massimo Mattei non abbia voluto perdere l'occasione per additare ulteriormente al pubblico disprezzo i referenti politici dell'iniziativa e farsi al tempo stesso qualche altra risata. La situazione dell'"occidentalismo" peninsulare è seria, ma forse non tragica. Quella dell'"occidentalismo" fiorentino è tragica, ma sicuramente non seria. Casaggì finga per una volta di avere un minimo di dignità, rompa le righe e chiuda bottega.

martedì 22 febbraio 2011

Il governo "occidentalista", il disastro in Libia, il disastro nella penisola italiana


Mu'ammar Abū Minyar al-Qadhdhāfī fotografato nel settembre 2010.
Quello accanto è uno che farebbe il "Ministro degli Esteri"
per lo stato che occupa la penisola italiana.


Secondo il nostro estremamente generoso punto di vista, lo stato che occupa la penisola italiana ricorda una volgare spaghetteria di provincia infarcita di cameriere in topless, in cui un "servizio d'ordine" fatto di maneschi buttafuori si impossessa di quando in quando di un commensale scelto a caso e gli spara allegramente in testa dopo averlo spinto in un angolo appartato.
Il politicame peninsulare crede, e vieppiù fa credere, di operare costruttivamente per il mantenimento di questo stato di cose: ha buon gioco, dal momento che i suoi "valori" rappresentano alla perfezione quelli della maggioranza dell'elettorato attivo.
Normalmente in questa sede si evita, per quanto possibile, di commentare vicende in corso. Il rischio di considerazioni avventate, in tempi di saturazione mediatica, è alto. Tuttavia il comportamento di certi garzoni di maccheronificio a fronte degli eventi in Libia, dove si è arrivati al punto di mandare l'aeronautica militare contro le manifestazioni di protesta, è stato talmente rappresentativo dalla categoria che è impossibile esimersi dall'infierire. A fronte di notizie che arrivano facendo pensare ad una vera e propria guerra civile alimentata da una inqualificabile gestione della piazza, questi omùncoli non vanno al di là di qualche tiepido diniego e di qualche repentina presa di distanza. Se la vicenda avesse riguardato altre realtà quotidianamente demonizzate -la Repubblica Islamica dell'Iran su tutte, ma anche la Repubblica di Cuba o la Repubblica Bolivariana del Venezuela- il cicaleccio dei comunicati stampa intonati alla finta indignazione sarebbe stato assordante.
Se un razzo Qassam lanciato da Gaza avesse anche solo rigato il SUV di un qualsiasi colono sionista, quel tizio in secondo piano nella foto avrebbe istantaneamente fatto fuoco e fiamme [1].
Per attirare ulteriore disprezzo verso tanto mediocri mestieranti bastano pochi riferimenti alla cronaca recente.

Settembre 2010. Mu'ammar Abū Minyar al-Qadhdhāfī è in visita di Stato nella penisola italiana, dove fa notizia in modo pressoché esclusivo per i fitti rapporti intrattenuti con stuoli di donne molto giovani.
Qualcuno, anni fa, era andato in qualche spaghettoteca di periferia a picchiare sulla spalla di un certo Franco Frattini: nello stato che occupa la penisola italiana avevano bisogno di uno che si intendesse di maccheroni (e forse di barzellette spinte, già che c'erano) e sapesse in che modo si coprono la canottiera macchiata di pummarola e la catenina d'oro con una giacca e una cravatta, per fargli fare una cosa che chiamano "Ministro degli Esteri".
In occasione della su ricordata visita di stato, questo qui ebbe a garantire quanto segue. Ci scusiamo con i lettori per il vocabolo, ricorrente nel testo, che indica lo stato che occupa la penisola italiana e che siamo purtroppo costretti a riportare perché inserito in una citazione.
Roma, 2 set [2010, N.d.R.] (Apcom) – I rapporti che l’Italia intrattiene con Muammar Gheddafi “non li ha nessun altro paese” e il leader libico “va in giro per l’Africa a dire che l’Italia è l’unico paese che ha superato il colonialismo”. E’ quanto ha affermato il ministro degli Esteri Franco Frattini in un’intervista pubblicata oggi dal quotidiano La Stampa. “Sa questo quante porte apre in Africa?” ha chiesto il ministro. Quanto alla frase sull’Islam e l’Europa, il titolare della Farnesina ha precisato: “So dalla figlia di un mio amico fraterno, che per un caso era lì, che Gheddafi ha parlato di Islam che deve diventare europeo e non di Europa da islamizzare”. Per Frattini, in ogni caso, si è trattato di “una battuta, certamente folcloristica e provocatoria”: “io non mi sono impressionato per niente”, ha commentato.
La figura di Mu'ammar Abū Minyar al-Qadhdhāfī è fondamentale per la tenuta del castello di menzogne su cui si regge il governo "occidentalista". Approvvigionamento energetico, tresche borsistiche a base di compartecipazioni e soprattutto il lavoro sporchissimo della repressione quotidiana. L'esecutivo "occidentalista" si è insediato grazie al clima di terrore ossessivo con cui la feccia delle gazzette ha impestato, e continua ad impestare, il clima sociale della penisola. Con il raziocinio, il dubbio e la cultura equiparati senza mezzi termini ad insulti e la maggioranza dei sudditi ridotti a coltivare "valori" ed interessi che una scimmia frenastenica reputerebbe disdicevoli, il politicame "occidentalista" ha raccolto i frutti di una paura dell'Altro eretta ad unica lecita interpretazione del reale. Il mostro annidato al di là dei confini andava tenuto a bada con ogni mezzo. E poco importa se questo richiede lo stravolgimento della vita sociale nella Grande Jamahiria Araba di Libia Popolare e Socialista: affari di al-Qadhdhāfī, ci pensi lui a slegare i carri armati dietro ai facinorosi. Se ne viene fuori un carnaio fotogenico lo mandiamo anche in prima serata a sollazzare le risate dell'elettorato, che si goda lo spettacolo col tovagliolo al collo ed il grugno nella ciotola dei maccheroni.
La testimonianza di Riccardo Venturi, cui fa capo Ekblòggethi, riporta un episodio minimo e quotidiano che dimostra il pervasivo risultato dei dividendi dell'odio: a squadroni di buoni a nulla è consentito approvare pubblicamente i comportamenti più abietti, senza che nessuno si scomodi neppure a chiederne conto.
...Qui, quando scoppia una rivolta perché ti tengono a cavare pomodori in condizioni di schiavitù, il paesello piglia i fucili e ti massacra; non importa nemmeno che arrivino gli sbirri, municipali o nazionali che siano. Tornavo in treno da Piacenza, una delle sere della rivolta di Rosarno; davanti a me, nello scompartimento, caso volle che ci fosse proprio una famiglia di rosarnesi. Il figlio grande telefonava a casa per due motivi: il primo, informarsi del risultato del Milan; il secondo, sentire se a casa sua stavano anche loro a sparare a quei negracci di merda. "Mi raccomando, fatene fuori qualcuno!"; e rideva, e chiedeva se aveva segnato Pato o Inzaghi.
Si ricorderà anche come il battage mediatico ossessivo, costruito su alcuni episodi di cronaca efferata, abbia praticamente da solo costruito le fortune "occidentaliste" nella città che dovrebbe essere la capitale dello stato che occupa la penisola italiana. Questo minò con una certa gravità le relazioni internazionali con la Repubblica di Romania, ma nei ristoranti frequentati dal politicame si reputò che il gioco valesse ampiamente la candela, costringendo anzi le autorità rumene a concepire una vera e propria controcampagna propagandistica che alleviasse le condizioni di bestiale demonizzazione scagliate dalla marmaglia "occidentalista" su una nazione intera.
Va da sé che l'insediamento di una giunta "occidentalista" non soltanto non vi ha fatto cessare il prodursi di episodi dello stesso genere, ma ha ovviamente peggiorato la situazione, resa "gestibile" solo dalla minor rilevanza mediatica assegnata ai singoli fatti.
Il frequentatore di pranzi ufficiali su ricordato era partito con un certo vantaggio e già qualche mese prima aveva fornito la propria infallibile ricetta. Esiste una pagina su Wikipedia che lo riguarda, e che è interessante perché riesce a costituire il ritratto di un individuo meno che mediocre, pur nella relativa asetticità dei toni enciclopedici.
Dalla lettura veniamo appunto a conoscenza di questo costruttivo episodio.
Nel 2007 Frattini è stato censurato dal Parlamento Europeo per le sue esternazioni contro la libertà di movimento delle persone nella UE. Nell'intervista rilasciata e pubblicata il 2 novembre 2007 Frattini sottolineava che per rispondere al problema sicurezza

«...quello che si deve fare è semplice: si va in un campo nomadi a Roma, ad esempio sulla Cristoforo Colombo, e a chi sta lì si chiede "tu di che vivi?". Se quello risponde "non lo so", lo si prende e lo si rimanda in Romania. Così funziona la direttiva europea: semplice e senza scampo.»
Semplice e senza scampo.
Come le tolleranze zero e i giri di vite.
Come la disinfestazione all'arrivo ad Auschwitz.
Come le ciarle da ristorante che questa marmaglia ha la faccia di chiamare "rapporti internazionali".
Davanti al montare della repressione, uno che hanno messo a fare il Primo Ministro nello stato che occupa la penisola italiana ha affermato di non voler disturbare Mu'ammar Abū Minyar al-Qadhdhāfī.
"Noi invece vogliamo disturbarlo", avrebbero scritto alcuni cittadini libici su uno striscione posto all'ingresso di un loro consolato.

[1] Ringraziamo il blogger Furio Detti, alias Faustpatrone, per aver fornito lo spunto per questa considerazione.

sabato 19 febbraio 2011

Kazem Sadr - Mercato e tariffe dell'acqua in Iran


Sbocco di un qanat nell'isola di Kish, Repubblica Islamica dell'Iran.

Da kelebeklerblog veniamo a sapere che alcuni "politici" di estrazione apparentemente varia starebbero conducendo una campagna lobbystica contro il referendum sulla abrogazione delle leggi che hanno aperto la strada, anche nello stato che occupa la penisola italiana, alla privatizzazione dell'acqua.
Il marketing dell'iniziativa rivela il lezzo "occidentalista" dei promotori fin dai primi slogan intrisi di menzogna, come "Acqua libera tutti".
L'iniziativa della piccola ciurma non deve aver riscosso troppo successo perché la richiesta di referendum è stata recentemente accettata, e l'ultimo articolo pubblicato sul blog di questi mandolinisti, vecchio di mesi, non è riuscito a mobilitare neanche una claque decente ed ha raccolto, molto giustamente, commenti improntati ad un sincero disprezzo. Un tale che si firma Joshua, ad esempio, non le manda certo a dire:
Trovatevi un lavoro.
Buffoni e servi delle multinazionali.
Fedeli alle abiezioni della propaganda ormai note a tutti, gli ideatori dell'iniziativa statuiscono che "i referendari vogliono un’Italia [ci scusiamo per il vocabolo, presente nella citazione originale, n.d.a.] simile all’Iran e alla Corea del Nord". Entrambe le realtà sono abitualmente considerate sorta di pietre di paragone per classificare come retrograda od omicida qualunque cosa non faccia il tornaconto di questi frequentatori di ristoranti, ed in Kelebeklerblog si suppone che costoro non abbiano idea di che cosa affermi, in materia di risorse idriche, la legislazione della Repubblica Islamica dell'Iran, fornendo un link ad un lungo articolo che ne tratta.
Ci facciamo dunque un dovere di colmare, per quanti siano interessati, la lacuna.
Lo facciamo traducendo dall'inglese l'articolo sul mercato dell'acqua e relative tariffe nella Repubblica Islamica dell'Iran presentato in link. Tra le altre cose, chi fosse completamente digiuno della materia verrà a sapere dalla lettura che nella Repubblica Islamica dell'Iran esistono un codice civile ed una costituzione scritta, con buona pace dei mangiatori di spaghetti che vanno ciarlando di un paese "dove l'unica legge è quella del Corano".
L'intero lavoro di traduzione non ha richiesto più di qualche ora e si è rivelato alla portata di chiunque abbia le competenze minime per affrontare uno scritto in questa lingua.
Competenze che a questo punto è legittimo considerare al di là della portata di questa gente, nonché dell'intera quota del corpo elettorale che si riconosca in individui di questo genere. Di che individui si tratti lo abbiamo già illustrato a suo tempo, con un paragone realistico e fin troppo generoso.
"Acqua libera tutti" lasci dunque perdere argomenti tanto irraggiungibili, torni ad indossare la canottiera d'ordinanza con catenella d'oro in bella vista, e limiti la sfera dei propri interessi a quelli dei sudditi di cui vorrebbe richiamare il consenso: la pornografia, gli stupefacenti, i maccheroni.

Tutto il testo è
disponibile in pdf.

Mercato e tariffe dell'acqua in Iran
Kazem Sadr

Il mercato ha avuto un ruolo importante nella fornitura e nella distribuzione dell'acqua fin dal sorgere di uno stato islamico in Arabia ed ha continuato a svolgere questa funzione nel corso dello sviluppo dell'economia dei paesi islamici. In questo articolo si tratta dell'esperienza dell'Iran per quanto riguarda l'organizzazione ed il comportamento del mercato dell'acqua e si descrivono le innovazioni che hanno portato a forme alternative di scambio e di tariffazione prima e dopo la rivoluzione islamica.
Sono riconoscente al mio collega, il signor A. Noori Isfandiari, che mi ha incoraggiato a scrivere questo saggio. Le idee e le informazioni da lui fornite ricorrono qui spesso; tuttavia sono personalmente responsabile per ogni errore. Sono grato anche al dottor H. Ghanbari che ha dedicato molto tempo al controllo ed alla correzione di questo articolo, ed al Development Research Centre (IDRC) per avermi dato l'occasione di partecipare allo Workshop sulla gestione delle risorse idriche del mondo islamico.

Proprietà delle risorse idriche e diritti di utilizzo

I diritti di proprietà delle risorse idriche sono oggetto di trattazione della giurisprudenza islamica, o più precisamente nel fiqh, insieme con i diritti di proprietà sulle risorse del sottosuolo. Questi ultimi sono distinti a seconda che riguardino miniere poco profonde o "aperte" o miniere di profondità o "interne". Le risorse idriche sono generalmente considerate come appartenenti al primo gruppo, e vengono trattate nelle discussioni che lo riguardano. I fuqaha (i giuristi musulmani) generalmente concordano sul fatto che sia le acque di superficie che le sorgenti sotterranee sono una risorsa di proprietà comune (Ibn Barraj 1410 AH, 6:257-58) oppure un qualche cosa che fa parte dell'Anfal, ovvero di quanto appartiene all'Imam, il giusto e legittimo possessore, che può essere sfruttato direttamente dal governo o assegnato in locazione a soggetti privati (Kolaini 1388 AH, 1:538).
Un eventuale investimento, compiuto da parte di qualunque detentore dei diritti di condivisione al fine di accedere alle fonti, garantisce a chi lo compie la proprietà privata dell'acqua, o un diritto di priorità per l'utilizzo dell'acqua così ottenuta, ma non gli conferisce alcun diritto sul fiume o sul bacino da cui l'acqua proviene. I pozzi, i qanat -serie di pozzi collegati in fondo da canali sotterranei in lieve pendenza, in cui l'acqua scorre per gravità- o i canali, che sono forme alternative di investimento per ottenere accesso all'acqua, sono di proprietà dell'investitore, cui appartiene anche l'acqua che viene pompata o incanalata tramite essi. Tuttavia, la fonte di acqua in quanto tale resta di proprietà comune.
Mentre nessuno può "possedere" la fonte in sé, in alcuni casi, a seconda delle caratteristiche della fonte, è possibile ottenere l'esclusiva dell'utilizzo dell'acqua o dei diritti di prelievo. I diversi casi in cui questo è possibile sono oggetto della disamina che segue.


Diritti sulle fonti d'acqua


In primo luogo i mari, i laghi ed i grandi fiumi secondo il diritto islamico sono res communitatis su cui nessuno può vantare diritto esclusivo di possesso. Quanto affermato da Toosi (n.d., 3:282) a questo proposito gode del generico consenso dei fuqaha. Sia il codice civile iraniano (articolo 155) che la costituzione della Repubblica Islamica dell'Iran (articolo 45) sono sulle stesse posizioni. In ogni caso, la disponibilità d'acqua da fonti come queste supera normalmente la richiesta, cosicché non si pongono neppure questioni in merito al diritto esclusivo o prioritario di sfruttamento. Tutti hanno lo stesso diritto di attingervi.
Ancora, se l'acqua sgorga naturalmente da sorgenti o se scorre in canali senza che nessuno abbia dovuto lavorarvi od investirvi, è allo stesso modo di proprietà comune. Il flusso d'acqua di queste fonti può drasticamente diminuire a seguito della richiesta, con l'aumentare della popolazione o della crescita economica. In questi casi va definito un qualche criterio di distribuzione. Alcuni fuqaha hanno pensato di basarsi sul principio del "primo arrivato, primo servito". I diritti di precedenza per l'utilizzo dell'acqua corrente vengono assegnati secondo un ordine di precedenza; il bacino o la superficie o la sorgente sotterranea restano in ogni caso di proprietà comune.
La base giuridica per questa "regola della precedenza" è rappresentata da uno hadith che stabilisce che chi preceda qualcun altro nell'uso di un bene è il primo ad avere diritti su di esso (Beihaqi n.d., 6:142; Noori 1408 A.H., 4:6). Questo diritto di precedenza non consente in ogni caso a chi ne gode di appropriarsi di più di quanto gli serve, in primo luogo perché la proprietà del bene resta comune, ed in secondo luogo perché questo principio non deve essere interpretato in modo da negare i diritti altrui. E' superfluo sottolineare che i privilegi legati alla precedenza non costituiscono un precedente su cui basarsi per avanzare pretese di possesso.
Se l'acqua che proviene da una risorsa di proprietà comune non è sufficiente a soddisfare la legittima richiesta di quanti ne abbiano diritto, in che modo si deve procedere per distribuirla tra quanti ne fanno richiesta? Alcuni fuqaha hanno suggerito di ricorrere al sorteggio. Altri invece pensano ad un ordine di precedenza basato sulla lontananza dalla fonte, in modo che i poderi vengano irrigati uno dopo l'altro finché le ultime gocce non raggiungano il più lontano. Najafi (1392 A.H., 38:110) preferisce questo secondo criterio, che è anche legittimato da uno hadith e che è stato seguito in molti paesi musulmani. Il codice civile iraniano (art. 156) stabilisce chiaramente che se un corso d'acqua non è sufficiente ad irrigare tutti i terreni adiacenti e tra i loro proprietari sorge una disputa senza che nessuno tra loro possa accampare legittimi diritti di precedenza, il più vicino deve precedere i più lontani, ed irrigare usando la quantità d'acqua che gli è strettamente necessaria.
Nei casi in cui l'accesso ad un bacino comune sia ottenuto scavando un pozzo o un canale, chi vi ha investito ha diritto di proprietà sull'acqua attinta. Secondo Najafi, nei casi in cui l'acqua di proprietà comune viene irreggimentata (in un bacino o in un canale), essa diventa proprietà privata dello haez, ossia di colui che si è occupato di contenerla, sempre che dalle sue azioni non sia derivato danno agli altri. Najafi (1392 A.H., 38:116) specifica che per i casi del genere non esiste difformità di giudizio tra diversi fuqaha. Toosi (n.d., 3:282) afferma che se qualcuno ruba acqua così contenuta è obbligato a restituirla al suo legittimo possessore. Gli articoli 149 e 150 del codice civile iraniano riconoscono lo stesso diritto.
Nel caso in cui qualcuno scavi un pozzo nel proprio campo o in un terreno arido, al fine di attingere acqua, la maggior parte dei fuqaha ritiene che egli divenga proprietario sia del pozzo che dell'acqua (Najafi 1392 A.H., 38:116). Toosi (n.d., 3:282) sostiene invece che ad esso spetti soltanto il permesso di utilizzare l'acqua e non quello di vendere quella che ecceda le sue necessità. Il parere di Toosi si basa su pochi ahadith riportati da Ibn Abbas, Jaber ed Abu Horairah, che riferiscono di sentenze dell'Inviato (sia la pace su di Lui) da cui emergerebbe che la vendita dell'acqua in eccesso è inammissibile (Beihaqi n.d., 6:151). Secondo la maggior parte dei fuqaha, questi aneddoti non possono limitare il diritto al libero scambio. Quest'ultimo uso non soltanto è generale e liberamente praticato, ma esistono tradizioni giuridiche che permettono esplicitamente lo scambio commerciale dell'acqua in eccesso. Le sentenze dell'Inviato (sia la pace su di Lui) vengono interpretate nel senso che vendere l'acqua che ecceda le proprie necessità nei casi in cui nessuno si è ancora comportato da haez non è da permettersi, o che una simile transazione commerciale non è in ogni caso raccomandabile.
L'Imam Sadegh e l'Imam Mossa Ibn Jafar approvano la vendita, sia in cambio di denaro sia in cambio di granaglie, della quota di un qanat detenuta da qualcuno (Al-Hurr al-Amiliyy 1403 A.H., 277–78, 332).
La maggior parte dei fuqaha è d'accordo sul fatto che se qualcuno può occupare a buon diritto il flusso d'acqua incanalata o pompata da una fonte di proprietà comune, può vendere liberamente questa proprietà, tutta o in parte. Lo stesso diritto è legittimato dall'articolo 152 del codice civile iraniano.

Il governo e la regolamentazione dei diritti sulle risorse idriche

Le risorse idriche sono proprietà comune del popolo e non rappresentano un possedimento governativo. Tutti hanno uguale diritto di attingere, e questa attività privata è tutelata e non può essere soggetta ad interruzioni finché non leda il diritto altrui. L'esercizio di questo diritto può tuttavia condurre ad un sovrautilizzo, e le riserve sotterranee sono particolarmente soggette all'esaurimento, dovuto al pompaggio in eccesso. In questi casi, il principio del "non ledere i diritti altrui" e del "non abusare" passano avanti a quello che stabilisce la libertà di queste operazioni. Le autorità governative, a livello locale o nazionale, procederanno dunque in base alle regole stabilite in precedenza per tutelare il pubblico interesse.
Nel prossimo paragrafo si prenderanno in esame altre regole che tutelano gli stessi principi.
A volte succede che i governi debbano risolvere i contrasti che possono sorgere tra utilizzatori che competano tra loro per dell'acqua di proprietà comune. Ad esempio, la costruzione di dighe lungo i corsi d'acqua fa aumentare la disponibilità di acqua potabile e per l'irrigazione, e fa espandere l'agricoltura o crescere rapidamente la popolazione; oppure può far diminuire l'acqua disponibile per entrambi i campi di utilizzo, col risultato di privare di un accesso all'acqua sufficiente un gruppo che avrebbe invece diritto di beneficiarne, chiamando così in causa il principio secondo il quale l'esercizio della libertà non deve ledere i diritti altrui. Il governo può in questi casi interferire per determinare le priorità nell'utilizzo: provvedendo a compensare quanti avrebbero da rimetterci, il governo può risolvere il problema.


Il governo ed il mercato delle risorse idriche

Alle origini dello stato islamico

Una delle caratteristiche di un sistema economico islamico è che le attività economiche non sono delegate per intero né alle organizzazioni mercantili, né ad eventuali uffici pubblici di pianificazione. Dell'economia si occupano organizzazioni di entrambi i generi e ciascuna di essere svolge i propri compiti di fornitura, disposizione e distribuzione. Infatti, ai tempi dell'Inviato (sia la pace su di Lui) e dei suoi successori le due principali istituzioni economiche erano il mercato, che forniva e distribuiva beni privati compresa l'acqua, e l'erario pubblico, o baitulmal, che era responsabile della programmazione economica, della pianificazione e dell'assegnazione di risorse agli investimenti necessari per le infrastrutture, ivi compresa la costruzione di dighe.
All'inizio dell'era islamica, a ciascun mercato prendevano parte molti soggetti il cui comportamento era controllato da degli ispettori (Sadr, 1996).
Venditori e compratori potevano entrare o uscire da ogni mercato per scegliere la miglior impresa disponibile in base alle informazioni di cui disponevano. Il diritto del governo di interferire sul mercato per stabilire prezzi era limitato. Sulla base di questi primitivi usi si è giunti ad un accordo piuttosto generale -anche se non unanime, tra i giuristi- secondo il quale se il mercato si comporta bene, a nessuno è concesso interferirvi fissando prezzi. In caso contrario i governi hanno il diritto di farlo se i prezzi fluttuano e se nel controllo del mercato non è possibile ripristinare in altro modo un equilibrio (Rajaee 1996, 57–98).
Circa i criteri per stabilire i prezzi, la maggior parte dei fuqaha insiste sul concetto di "prezzo giusto": un prezzo che verrà determinato dal mercato se vigono le leggi della sharia e se il mercato si trova in condizioni normali (Khomeini 1989, 4:318–19). Se queste condizioni vengono meno, il prezzo va stabilito uguale al prezzo che si avrebbe in condizioni in cui la richiesta di un bene corrisponde alla sua offerta. Nella letteratura giurisprudenziale islamica questo criterio viene solitamente definito "del valore somigliante" (Toosi 1404 A.H., 4:23).
Nel primo Islam si costituirono dei precedenti anche per quanto riguarda la prevenzione dell'accaparramento e dello spreco di merci o di risorse, e contro l'imposizione di costi esterni nei confronti degli operatori commerciali delle vicinanze, che uniti alla piena osservanza delle leggi islamiche sui contratti contribuirono a far sì che il mercato funzionasse in modo efficiente. L'assenza di quote, dazi o tariffe facilitò ulteriormente il commercio. In questo modo i prezzi che venivano determinati dal mercato erano prezzi efficienti, ossia non si sarebbe potuto trovare e tantomeno imporre un prezzo differente da essi in grado di incrementare ulteriormente la soddisfazione dei clienti o il profitto dei venditori (Sadr 1996, 188).

La nascita del mercato dell'acqua

In molte regioni del mondo, come in Africa ed in Asia, l'acqua ha rappresentato motivo per insediamenti umani e per lo sviluppo di civiltà (Issawi 1971, 213).
Le popolazioni si sono stabilite attorno a fiumi e sorgenti per avere condizioni vivibili nei climi secchi. All'inizio dello sviluppo di queste comunità la disponibilità di acqua superava di solito la richiesta. A stadi più avanzati di crescita, a causa dell'aumento della popolazione, del reddito e del proliferare di attività economiche variate, la richiesta d'acqua cresce e finisce per superare la disponibilità, cosicché l'acqua viene solitamente razionata tramite le leggi della comunità e le tariffe. Dal momento che i metodi di razionamento vengono suggeriti dagli stessi appartenenti alla comunità, essi sono coerenti e corrispondenti alle norme e ai diritti accettati dalla comunità, e conducono a legittimare l'utilizzo di impianti per la distribuzione dell'acqua.
Con l'andare del tempo, nelle società umane in espansione, quando la richiesta di acqua supera la disponibilità vengono create nuove istituzioni mercantili, perché l'insieme di regole e tradizioni esistenti non riesce a garantire una collocazione efficiente delle risorse. In mercati dell'acqua tanto segmentati, la cui misura dipende dalla disponibilità della materia prima, il mezzo di scambio più affidabile ed accessibile è dato dall'acqua stessa, perché può essere utilizzata per produrre qualunque cosa sia coltivabile. In alcune regioni del Medio Oriente, per esempio in Iran dove l'ottanta per cento della terra coltivata viene adibita a frumento ed orzo, è naturale che proprio orzo e frumento abbiano servito come moneta di scambio nel mercato dell'acqua.
Questo fenomeno, ovvero le transazioni in natura anziché in denaro, può essere all'origine della sensazione che l'acqua non abbia mai rappresentato un bene commerciabile e che non sia mai stata venduta o comprata sul mercato. Come abbiamo illustrato, la legislazione e la giurisprudenza islamiche riconoscono l'esistenza di istituzioni mercantili per il commercio dell'acqua I casi riferiti da Safinejad (1985, 1996) e da altri antropologi ne rappresentano la prova. Nei loro resoconti la merce di scambio è rappresentata da derrate alimentari, cibo od acqua che siano, e in qualche caso da denaro.


Acqua per uso privato, acqua per uso pubblico


Il mercato non è l'unica istituzione che controlla l'offerta e la domanda di beni e di servizi all'interno di una comunità. Molte imprese pubbliche ed organizzazioni costituite da gruppi di individui esistono per assolvere alla stessa funzione.
Buchanan (1968) riuscì a prevedere che le organizzazioni che forniscono o collocano beni pubblici e privati potessero variare secondo criteri continui. La sua analisi si basa sull'assunto che il principio chiave della decisione sia il costo esterno che fornire certi beni comporta (Buchanan and Tullock 1971). La sua teoria prevede la formazione di mercati per beni privati, di gruppi o di organizzazioni collettive per i beni pubblici, e la predominanza del governo per i beni di natura esclusivamente pubblica (Buchanan 1968).
In molti contesti sociali le sue previsioni si sono dimostrate corrette, tranne che nei paesi musulmani, dove l'acqua è un bene con il quale hanno a che fare organizzazioni di tutti e tre i tipi, perché può essere considerata un bene privato in alcuni contesti ed un bene pubblico in altri.

Il monopolio e la supervisione governativa

In molte economie il mercato del gas, dell'acqua, dell'elettricità e dei servizi telefonici tende naturalmente verso una struttura monopolistica. La quota di investimenti iniziali necessari a fornire questi servizi è alta, mentre è bassa quella dei costi variabili.
Questo fa sì che i costi variabili e marginali che servono per estendere i servizi offerti o farli giungere ad un nuovo cliente sono molto bassi; nessun altro fornitore può competere con quello che già è presente sul mercato. Questa situazione di monopolio e l'alto costo che comportamenti di arbitraggio economico addossano ai consumatori fa sì che i fornitori adottino politiche di prezzi disuguali. In altre parole, l'acqua viene venduta a prezzi diversi a consumatori di città, agli industriali ed ai contadini.
Un altro tipo di discriminazione praticato consiste nel ridurre i prezzi col crescere delle quantità acquistate, per incoraggiare il cliente ad acquistare quantità maggiori. Recentemente, dopo aver compreso che la domanda d'acqua non subisce fluttuazioni, molti fornitori hanno cominciato a seguire uno schema di tariffazione per blocchi crescenti: l'acqua ha bassi prezzi fino ad una certa quantità consumata, ed il prezzo sale con il superare di determinate e successive soglie di consumo (Sadr 1996). Il risultato è che i fornitori d'acqua sono in grado, ogni volta, di praticare discriminazioni di prezzo perfette mescolando le due tecniche.
Il diffondersi di questi comportamenti ha portato i governi a controllare prestazioni e strategie di tariffazione dei servizi pubblici.


La definizione delle tariffe dell’acqua in Iran

In Iran i fiumi più importanti scorrono per lo più attraverso zone di montagna in cui per irrigare si ricorre per lo più alle acque di superficie. Il resto del paese dipende dall'acqua sotterranea, attinta attraverso i qanat.


Le acque di superficie


I fiumi vengono usati dagli agricoltori in base alla loro vicinanza (art. 156 del codice civile). Come riferisce Lampton (1969) il villaggio di Toroq, vicino a Mashhad nell'Iran nordorientale, riceve l'acqua per l'irrigazione dopo i villaggi che sorgono più vicini al fiume che scorre nella zona. Lo stesso caso si verifica in Kurdistan, dove i villaggi che sorgono vicini ai fiumi usano tanta acqua quanta ne serve, mentre la rimanente è destinata ai centri più lontani. In ogni caso, nessuno può costruire una diga o canalizzare il flusso della corrente nei campi attraverso i quali l'acqua scorre.
Durante l'estate la portata di molti fiumi diminuisce, cosicché i villaggi che detengono diritti sull'acqua conservano anche la precedenza per il suo utilizzo. Lampton riferisce ad esempio che l'acqua del fiume Zayanderood viene distribuita secondo modalità definite in epoca savafide. dal quindici novembre al cinque giugno, è possibile attingere acqua senza limiti. In estate invece l'acqua è riservata a zone e villaggi ben definiti. L'acqua che proviene dal fiume Jadjrood viene anch'essa distribuita secondo quanto stabilito da un'antica tradizione: ad alcune contee tocca a titolo gratuito, altre devono pagarla.
Fin dal 1943 la fornitura ed il controllo delle acque di superficie sono ufficialmente compito di un'agenzia governativa per le acque (Ministero dell'Energia, 1994, 16-21). Negli anni successivi sono state aperte anche organizzazioni regionali incaricate di controllare il funzionamento delle dighe esistenti in ogni regione e la distribuzione dell'acqua presso i villaggi.
Nel 1968, dopo l'entrata in vigore della legge sulla nazionalizzazione delle acque, le agenzie regionali ebbero anche il compito di imporre dei costi sull'acqua distribuita, quel tanto che bastava per coprire le spese. Le spese comprendevano anche i costi, variabili, delle operazioni di manutenzione ed i costi fissi del deprezzamento e degli interessi (Ministero dell'Energia, 1994, 392).
Nel 1982 la legge fu rivista, estesa ed approvata dal parlamento sotto il nome di legge per la giusta distribuzione delle acque. L'acqua per usi irrigui deve avere un prezzo stabilito in base al costo medio variabile ed al deprezzamento, come prima; gli interessi non fanno più parte del suo calcolo. Nelle zone in cui è difficile quantificarla, l'acqua può avere un prezzo che dipende dalla grandezza degli appezzamenti da irrigare e dal tipo di coltivazione (Ministero dell'Energia, 1994, 234-40). Secondo la procedura approvata dal Ministero dell'Energia, l'acqua per uso agricolo ha dal 1990 un costo calcolato in questo modo.

- Il prezzo medio dell'acqua attinta da "reti moderne", ovvero da canali principali o secondari delle dighe, è pari al tre per cento di quanto ricavato dalle coltivazioni impiantate; il costo medio dell'acqua attinta da canali di tipo tradizionale è pari all'uno per cento; l'acqua ottenuta da una combinazione delle due reti, ha un costo pari al due per cento.
- La produzione media delle coltivazioni in ciascuna regione si verifica tramite le statistiche pubblicate dal Ministero dell'Agricoltura. Il valore di ogni coltivazione si misura sia tramite il prezzo garantito, se ne è stato concordato uno, o sul prezzo al produttore. Tramite queste informazioni le agenzie delle acque determinano il costo dell'acqua al metro cubo (Ministero dell'Energia, 1994, 295-296).

Nel 1990 furono istituite società municipalizzate per le acque e le fognature dopo che l'approvazione della rispettiva proposta di legge da parte del parlamento. Secondo quella proposta il settore privato, le banche ed i comuni possono partecipare alle spese necessarie alla realizzazione di questi impianti ed al loro controllo, da esercitarsi tramite società seguendo il diritto commerciale.
Questa legge, che pone senza dubbio le basi legali per una partecipazione del settore privato agli affari che riguardano l'utilizzo dell'acqua nei contesti urbani, è anche segno di un mutamento di politica generale. La tariffa da pagare per i servizi di acqua e fognatura verrà calcolata e proposta dai consigli di amministrazione delle società a partire dai costi di esercizio e di deprezzamento ed entrerà in vigore dopo esser stata approvata dalla commissione economica del governo.
Il consumo di acqua inferiore ai cinque metri cubi mensili è esentato da ogni tariffa, perché le famiglie a basso reddito abbiano accesso all'acqua per bere, per lavarsi e per le necessità religiose. I consumi superiori hanno costi calcolati secondo il metodo dei blocchi crescenti: i criteri in vigore nel 1995 per la provincia di Tehran sono illustrati nella tabella 1. Nelle altre province si calcola in maniera simile. Nel 1996 le tariffe sono cresciute. I consumi mensili fino a cinque metri cubi sono esenti da tariffa, mentre quelli fino a venticinque metri cubi sono rimasti alla tariffa del 1995. Al contrario, il blocco compreso tra i venticinque ed i quarantacinque metri cubi ha subìto un rincaro del venticinque per cento, e quello sopra i quarantasei metri cubi uno del trenta. Nel 1998 furono fissate, per l'utilizzo commerciale ed industriale dell'acqua, tariffe più alte che per l'uso domestico, seguendo una politica dei prezzi opposta fino a quella fino ad allora praticata.


Le acque sotterranee


I qanat hanno sempre rappresentato la principale tecnologia per il prelievo di acqua dalle riserve sotterranee, nonostante negli ultimi tempi abbiano cominciato ad essere rimpiazzati da pozzi dotati di pompe. E' normale, dunque, che nelle regioni aride dell'Iran i diritti di utilizzo dell'acqua, i tipi di transazioni ed il modo di determinare i prezzi abbiano in qualche modo a che fare con i qanat.
Quanto segue riguarda i mercati dell'acqua che si basano su pratiche di prelievo rese possibili da questa tecnologia.
L'acqua di ogni qanat viene inizialmente divisa tra coloro che condividono le quote dell'impianto. Ovunque venga usata la tecnologia dei qanat si è dunque soliti osservare dei turni, che sono naturalmente più brevi in primavera ed in estate piuttosto che nelle altre stagioni, perché l'evaporazione ed il consumo di acqua da parte delle coltivazioni sono maggiori. Dividere l'acqua dei qanat tra uno o più villaggi piuttosto lontani l'uno dall'altro (yazdani, 1985) ha richiesto la formazione, nel corso del tempo, di tecnici addestrati sia nella manutenzione degli impianti che nel distribuire senza sprechi l'acqua tra i vari coltivatori. In questo modo è nato un mercato del lavoro per due distinte professionalità.
La prima è di tipo altamente tecnico e richiede competenze in materia di costruzione e di dragaggio dei qanat.
Per la seconda serve il talento necessario ad adottare degli schemi di distribuzione che riducano al minimo gli sprechi.
Chi si occupa della distribuzione deve inoltre godere della fiducia di tutti gli interessati, dal momento che ha il potere di manipolare le spettanze di chiunque. L'importanza di questo lavoro ha fatto sì che per scegliere coloro che devono occuparsene siano state adottate forme alternative di decisione in gruppo. In ogni caso si procede con i detentori dei diritti sull'acqua che mettono insieme una compagine di addetti all'irrigazione, che a loro volta nominano una sorta di distributore capo. I detentori dei diritti devono poi approvare la scelta con un voto a maggioranza (Safinejad, 1985).

Tabella 1. I blocchi di tariffazione per la provincia di Tehran nel 1994. Le tariffe sono in rial per metro cubo, i blocchi di consumo in metri cubi.

5–10 11–15 16–20 21–30 31–40 41–50 51–60 61–70 70+

15 25 30 36 67 100 133 168 300

Fonte: Ministero dell'Energia, dipartimento per le acque urbane e le fognature.
Nel 1997 il cambio era di un dollaro americano per quattromila rial.


Solitamente chi si occupa dei lavori di dragaggio viene pagato in natura, il più delle volte con una quota dell'acqua.
In un villaggio del Gonabad, nel nordest, ogni singolo campo viene irrigato ogni quattordici giorni in estate ed ogni ventuno nelle altre stagioni. Il pagamento per chi draga si effettua aggiungendo una quota, ossia un giorno, prima che un campo venga irrigato ed assegnando a chi fa la manutenzione questo giorno in più. In un altro villaggio, sempre nel Gonabad, si aumenta il periodo tra due turni da sedici a diciassette giorni, mentre a Ghaylen questo passa da diciassette a diciotto; anche in questi casi il giorno in più serve per pagare chi svolge i lavori di manutenzione (Yazdani, 1985). In un villaggio nella provincia di Yazd, nell'Iran centrale, il gruppo di addetti alla distribuzione era costituito da quattro persone che ricevevano una retribuzione pari a diciotto ore e mezzo di acqua, che potevano usare per i loro campi oppure vendere (Safinejad, 1996).
Nel villaggio di Tafresh una volta successe che un qanat venisse gravemente danneggiato da una grossa piena e che la sua riparazione si rivelasse assai costosa per i poveri contadini che lo possedevano. Il proprietario dei fondi propose loro un accordo: avrebbe pensato lui ai costi per la ricostruzione dell'impianto, in cambio di un giorno in più, in ogni turno, in cui l'acqua sarebbe toccata a lui: ovvero, in cambio di un aumento del periodo di rotazione da otto a nove giorni (Safinejad, 1985).
Nel corso del tempo pagare in denaro è diventato di uso comune, al pari con il pagamento in natura. In un villaggio di Ferduos, come in altre parti del paese, l'acqua viene distribuita da una sorta di "clessidra": un dispositivo che misura l'utilizzo, calcolato in questo caso con il fenjan che è l'unità di misura in uso localmente. Nel 1971 ciascun fenjan d'acqua costava cinquanta rial (0,0125 dollari, al cambio del 1997), che venivano usati per pagare i lavori di manutenzione e di distribuzione. Lo stesso prezzo era praticato in un altro villaggio nel 1976, mentre nei villaggi contadini attorno a Yazd nel 1978 uno joareh di acqua costava mille rial ed il totale pagato dai detentori del diritto ad una quota nella distribuzione arrivava a due milioni e seicentomila rial (seicentocinquanta dollari) (Safinejad, 1996).
Come su descritto, nelle fasi iniziali dello sviluppo di una comunità i compiti da svolgere per la distribuzione dell'acqua vengono regolati in base a norme già esistenti ed alla consuetudine. Infine, quando si forma un'organizzazione mercantile, le transazioni vengono dapprima regolate in natura ed infine in denaro, dopo che la comunità ha raggiunto le fasi finali del proprio percorso di sviluppo.
Ai giorni d'oggi nelle comunità rurali dell'Iran la valutazione in denaro dell'acqua è talmente comune che l'ufficio statistiche del Ministero dell'Agricoltura può facilmente raccogliere informazioni sul prezzo dell'acqua nelle varie parti del paese. Queste informazioni vengono utilizzate per calcolare il costo medio di ogni produzione agricola e suggerire al governo quale debba essere il prezzo garantito per il grano e per gli altri tipi di coltivazione che si voglia incentivare.
Allo stesso modo l'economia privata è piuttosto attiva per quanto riguarda l'estrazione dell'acqua dalle riserve sotterranee. A tutt'oggi i pozzi stanno rimpiazzando i qanat, perché richiedono meno spese e meno tempo per la costruzione. Questo però ha fatto sì che ne venissero realizzati troppi e che questo si traducesse in un eccessivo sfruttamento. Molte falde freatiche si stanno impoverendo e la trivellazione di ulteriori pozzi è stata proibita.
La legge sulla giusta distribuzione dell'acqua autorizza il Ministero dell'Energia ad esercitare un'attività di controllo sul prelievo dai bacini sotterranei. Questa attività di controllo può tradursi in una tassa, calcolata in percentuale sul prezzo del coltivato (Tabella 2). La tassa varia da regione a regione e viene raccolta in denaro. Questo modo di procedere convalida vieppiù la nostra ipotesi che il formarsi di un vero e proprio mercato per l'acqua vada di pari passo con lo sviluppo dell'economia. Dapprincipio il valore di essa viene calcolato usando come termine la derrata alimentare più comune o l'acqua stessa perché queste merci di scambio possono più di altri rendere rapide le transazioni. Infine, con il crescere dell'importanza del commercio nella situazione economica generale, si adottano conteggi in termini di denaro. Almeno in Iran, il mercato dell'acqua sembra essersi sviluppato proprio secondo questa linea.

Tabella 2. Percentuale dei prezzi su ogni coltivazione che il Ministero dell'Energia autorizza a trattenere per le spese di supervisione sulle acque

Grano 0,25
Riso 0,6
Arance, datteri, verdure 0,85
Pistacchi e mandorle 1,0
Alberi da frutto 0,8
Altre 0,5

Fonte: Ministero dell'Energia, ufficio per le acque.


Conclusioni

Nonostante il fatto che l'acqua rappresenti un bene sacro nella cultura islamica e che le sue fonti naturali siano per la legge islamica di proprietà comune, il mercato ha svolto comunque un importante ruolo nel controllo della domanda e dell'offerta di acqua, fin dai tempi del sorgere dello stato islamico in Arabia.
Giurisprudenza e legislazione sul diritto di proprietà nell'Islam consentono a coloro che sostengono sforzi e spese per attingere acqua da fonti di proprietà comune di godere dei diritti di proprietà sull'acqua così ottenuta, sempre che questo non entri in conflitto con i diritti degli altri utilizzatori. Un simile riconoscimento permette di scambiare acqua con altri beni: permette che si formi un mercato dell'acqua, caratterizzato da una molteplicità di forme organizzative osservata in tutti i paesi musulmani.
Nel primo stato islamico, tuttavia, la costruzione di dighe e la creazione di bacini erano finanziate dal baitulmal. Entrambe le istituzioni, quella privata e quella pubblica, hanno intrapreso e diretto le attività necessarie all'accumulo, al trasferimento ed alla distribuzione delle acque.
I beni pubblici tendono a diventare oggetto di monopolio se la fornitura e la distribuzione del servizio vengono entrambe affidate al mercato. Né la giurisprudenza islamica né le logiche dell'economia giustificano la privatizzazione dell'intero settore delle acque. Al contrario, quello che qui si raccomanda è un coordinamento tra il settore pubblico e quello privato nel controllo delle attività che hanno a che vedere con le acque. Il settore pubblico dovrebbe farsi carico delle spese vive necessarie alla ricerca ed all'accumulo delle risorse idriche, mentre quello privato dovrebbe pensare al trasferimento ed alla distribuzione. Si può prevedere l'instaurarsi di un efficiente sistema di prezzi, se le leggi ed i valori islamici si affermeranno sui mercati. Il prezzo così determinato potrà servire come tariffa per le acque fornite e vendute dl settore pubblico, coprendone tutti i costi operativi. Nella pratica corrente non dovrebbe essere introdotta alcuna discriminazione nella tariffazione delle acque. Questa proposta è coerente con la legislazione e la giurisprudenza islamiche, e con il modo in cui domanda ed offerta di acqua si manifestano in Iran.


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venerdì 18 febbraio 2011

Pallone, sudditi e verità inscalfibili


In "Occidente", e purtroppo anche altrove, le gazzette di carta hanno un numero pazzesco di pagine, e tra una pubblicità e l'altra devono pur riempirle in qualche modo. Tutti i giorni. Una buona metà dello spazio a disposizione può essere colmata con ciarle filogovernative o antigovernative, difficilmente distinguibili le une dalle altre, e con minuziosi resoconti di vicende efferate, utilissimi per mantenere il lurido bivacco cui è ridotta la penisola italiana nelle condizioni di emergenzialismo demente che non ci stanchiamo di indicare allo sprezzo dei nostri lettori.
Il resto si avvale di riempitivi d'uso: roba di donne giovani con pochi vestiti addosso o ponderosi scritti su palloname, pallonaggi, pallonieri e pallonate.
Il quadro complessivo dei contenuti, se si esclude qualche analisi sociopolitica in cui l'incompetenza degli scriventi serve a fornire al pubblico una sorta di riduzione di tutto ciò che esiste a schemi noti, rassicuranti ed "occidentalisticamente" produttivi, è quello di un nulla al servizio di un ulteriore e persistente ottundimento.
Almeno nelle intenzioni.
Almeno nelle intenzioni perché se chi di dovere non vigila in modo costante succede che quel tanto di pervasività posseduta anche dal reale (e non solo dalla menzogna) arrivi a riflettersi negli scritti ospitati da quelle che dovrebbero essere esclusive crestomazie di fandonie e roba inutile.
Nel caso della gazzetta ritratta nella foto, la realtà fa capolino negli appellativi con cui è stato accolto, probabilmente nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, un gruppo di individui che guadagna molti soldi prendendo a calci un coso rotondo in mezzo ad un prato artificiale.
Gli epiteti utilizzati sono stati oltremodo misurati e quasi cortesi, visto lo spettacolo che i sudditi che bivaccano nella penisola italiana non si stancano di offrire, molto giustamente accolti in ogni circostanza e ad ogni latitudine da una costellazione di atteggiamenti compresi tra lo scostante e l'indignato. Ciò nonostante, uno di questi con i pantaloncini corti anche in pieno febbraio che guadagnano molti soldi si è sentito in dovere di risentirsi e di difendere con i soliti sistemi la dignità ed il prestigio "nazionali".
Un motivo come un altro per considerare titoli come quelli riportati nell'immagine ("How the mafiosi of Milan have made Spurs fans of us all") semplicemente improntati alla sufficienza sprezzante che è giusto adottare nei confronti di chi si riconosca nei "valori" per i quali è "famoso" nel mondo lo stato che occupa la penisola italiana.
Nulla più che definizioni ovvie, abituali e soprattutto meritate, per corrispondere alle quali i sudditi hanno fatto, e continuano a fare, tutto e l'incontrario di tutto.

giovedì 17 febbraio 2011

Bahrein, febbraio 2011. Un "contagio egiziano" anche qui?


Un foto proveniente dal mainstream. In mancanza sia di riscontri che di smentite, la si presume scattata a Manama e dintorni alla metà di febbraio 2011.
Ritrae una donna in chador. Il chador è il capo che le donne sono tenute ad indossare, nella Repubblica Islamica dell'Iran, quando rivestono incarichi pubblici e quando visitano centri religiosi come quelli di Qom o di Mashhad.
La scritta sul foglio, sia pure in inglese a beneficio dei media, gronda di vocaboli e di concetti cari all'Islam sciita. E l'Islam sciita in materia di giustizia sociale e di responsabilità dei credenti porta avanti istanze molto chiare.
Contagio egiziano anche qui?
O forse un certo paese compreso tra la Turchia ed il Pakistan, tra il Mar Caspio ed il Golfo Persico, sistematicamente dato per spacciato ogni giorno che passa da trent'anni a questa parte, è molto, molto, molto meno isolato di quanto si vorrebbe?

martedì 15 febbraio 2011

La Repubblica Islamica dell'Iran, il "contagio egiziano" e le visite di Stato


Per fortuna ci sono stati scontri di piazza a Tehran il 14 febbraio: questo ha evitato al gazzettaio di soffermarsi sulla situazione in Egitto, serenamente in marcia verso qualcosa di molto simile ad una dittatura militare, e sull'impasse tunisina.
I gazzettinisti di osservanza "occidentalista" hanno postulato il "contagio egiziano" sulla Repubblica Islamica dell'Iran: un'asserzione di ordinaria incompetenza, compiuta dalla stessa marmaglia che non ha ancora spiegato al proprio pubblico dove siano finite le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein e che dà incessante credito a chi si intenderebbe dare lezioni di democrazia a chi non ne ha alcun bisogno.
L'intromissione yankee negli affari interni della Repubblica Islamica dell'Iran è incessante, ed altrettanto incessantemente denunciata dal governo iraniano, macchiato da colpe gravissime come quella di ostinarsi a credere di avere ogni diritto di essere considerato come qualunque altro governo di qualunque altro stato sovrano. La sproporzione tra le macchine mediatiche alle dipendenze dei due contendenti è macroscopica, e su questa assoluta mancanza di equilibrio si basano le constatazioni che seguono.
In "Occidente" la tendenza ad alimentare il bias denigratorio contro la Repubblica Islamica dell'Iran in ogni circostanza e con ogni mezzo possibile non viene meno neppure davanti all'evidenza. Il governo egiziano si è trovato retrocesso a "regime" ed il suo presidente a "dittatore" a distanza di trent'anni dall'insediamento. Il governo tunisino ed il presidente della Repubblica di Tunisia dopo ventitré. E questo solo sotto la spinta di moti di piazza furibondi e di scontri in cui i morti sarebbero stati centinaia, senza che nessuno scovasse o scomodasse alcuna Neda da utilizzare contro gli apparati repressivi. Il Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran invece, dei cui poteri effettivi nessuno ha la minima idea -altrimenti rimarrebbero chiusi certi scolmatori di bocche- l'appellativo di dittatore l'ha ricevuto prima ancora dell'insediamento.
La prassi degli ultimi anni è quella di gabellare portali telematici dalle scoperte finalità commerciali come il Libro dei Ceffi o il Cinguettatore alla stregua di avanguardie della libertà di espressione, poco o punto curandosi dell'effetto che i contenuti diffusi tramite essi possono avere su una realtà concreta ostinatamente differente dalle descrizioni che se ne forniscono ai sudditi "occidentali".
All'utilizzo commerciale e pubblicitario delle tecnologie ed all'assoluta incompetenza in materia di equilibri, di rapporti di forza e di politica locale, la rovinosa intromissione "occidentale" associa anche l'abitudine di trattare la classe politica iraniana con sufficienza e degnazione. Dal recente passato non è stato appreso alcunché: l'"Occidente" è ancora convinto di avere soltanto da insegnare.
Nel 2009 la cosiddetta "onda verde" finì nella trappola mediatica che il mainstream della Repubblica Islamica poté approntare con poca fatica e ancora minore sforzo. Fu sufficiente presentare come empie le intenzioni di chi si era reso protagonista di scontri di piazza in occasione di Ashura. Pochi giorni dopo le grandi manifestazioni "verdi" ebbero in risposta le oceaniche manifestazioni filogovernative.
Il risultato dell'intromissione "occidentale" continua ad essere controproducente, e a rendere disperate le condizioni in cui il dissenso politico si trova confinato: al tempo delle contestazioni post-elettorali del 2009 avanzammo l'ipotesi che il minimo che si possa pensare di chi diffonde con il Cinguettatore o con il Libro dei Ceffi affermazioni demenziali come quella secondo cui la Repubblica Islamica sarebbe stata sul punto di "perdere il controllo dell'esercito" è che un simile utilizzo degli strumenti telematici non soltanto non sia amico di nessuno, ma contribuisca a spargere sangue a solo beneficio dell'autoreferenzialità "occidentale".
Nella politica iraniana il complottismo ha una parte considerevole e legittimata proprio dalle scoperte interferenze colonialiste ed "occidentali" che si sono succedute da Mossadeq in poi: in questo contesto non esiste moto di piazza che non possa essere attribuito, a ragione o a torto, ai nemici esterni della Repubblica Islamica e che non dia la scusa ai sostenitori governativi per minacciare una definitiva chiusura dei conti con i principali referenti dell'opposizione.
I Mujaheddin del Popolo rappresentano in questo senso la peggior bestia nera per il governo iraniano, quella che è lecito incolpare di tutto e del contrario di tutto. Dall'altro lato è interessante notare quanto credito il gazzettame "occidentalista" fornisca ad organizzazioni del genere, dopo avere validamente ed efficacemente contribuito ad instaurare in "Occidente" in generale e nella penisola italiana in particolare un clima sociale in cui è sufficiente parlar male ad alta voce di qualche società di pallone per vedersela con la polizia politica.
Altrettanto, e forse più spregevoli ancora, sono le raccomandazioni che la politica "occidentalista" fa piovere non richieste sulla Repubblica Islamica in materia di "rispetto della libertà di manifestare": incendiare cassonetti a Tehran si chiama "libertà di manifestare", incendiare cassonetti a Londra si chiama "terrorismo".
Sul mainstream "occidentale" gli scontri di piazza del 14 febbraio hanno permesso di togliere dall'agenda setting notizie di importanza sostanziale ben maggiore. Abdallah Gul, Presidente della Repubblica di Turchia, si trovava nelle stesse ore in visita ufficiale a Tehran. La Repubblica di Turchia è un paese che ha legami geopolitici, miti fondanti e storia contemporanea diametralmente opposti a quelli della Repubblica Islamica dell'Iran. Se ne deve concludere che la Repubblica Islamica è molto meno isolata di quanto non sarebbe desiderabile, se le massime autorità di un tradizionale alleato dell'"Occidente" vi vengono ricevute con tutti gli onori.
I comunicati stampa della presidenza iraniana dimostrano ogni giorno che esistono individui eletti ai vertici di macchine statali di tutta rilevanza capaci di fare notizia per motivi diversi dalla frequentazione di attrici e prostitute.
Al momento non è verosimile sostenere, come il portavoce del Ministero degli Esteri Mehmanparast, che i cambiamenti in atto nella situazione politica mediorientale hanno inflitto un colpo "agli interessi delle potenze dominatrici e ai sostenitori del regime sionista": sul fatto che almeno a livello mediatico si stia facendo di tutto per imbastire "diversivi atti a sminuirne la portata", però, si possono avere pochi dubbi.

Colloqui privati - I legami tra Iran e Turchia contribuiscono validamente al mantenimento della pace mondiale

Il Presidente Mahmoud Ahmadinejad ed il suo corrispettivo turco, il Presidente Abdallah Gul, nel corso della giornata di lunedì hanno sottolineato il forte impatto che le relazioni tra i due paesi avranno per la pace mondiale e per la sicurezza. La constatazione è emersa durante i colloqui privati intrattenuti dai presidenti, in cui si è parlato anche degli ultimi sviluppi della situazione regionale ed internazionale.
Nel corso dei colloqui, durati quasi due ore, i due leader hanno fatto riferimento al ruolo chiave che sia l'Iran che la Turchia assumono, negli equilibri regionali ed internazionali.
Allo stesso tempo il presidente iraniano e quello turco hanno condiviso l'opinione secondo cui ogni potenziale esistente in entrambi i paesi dovrà essere utilizzato ai fini di un'ulteriore espansione della cooperazione bilaterale.

domenica 13 febbraio 2011

Milano, febbraio 2011. Feccia in sovrappeso e putrefazione sociale


La rappresentazione massmediatica della città di Milano, che da anni è sempre la stessa senza che nessuno la contesti con quei metodi perentori che sarebbe giusto attendersi da gruppi sociali in preda ad un'indignazione autentica, è quella di un laboratorio "occidentalista" che opera quotidianamente ed in piena consapevolezza per l'ottundimento delle coscienze, l'ingiustizia sociale e l'oppressione. La natura sovvertitrice e satanica dell'"occidentalismo" vi trova tale consenso e tale condivisione da aver contagiato, e da molti anni, anche le forze un tempo preposte a combatterla.
Il titolo di "capitale morale", assegnatole dai gazzettieri in un periodo in cui già erano evidentissimi i sottostrati di abiezione e di corruttela che ne reggevano ogni aspetto della vita associata, appare oggi più appropriato che mai. Da decenni il genius loci milanese appare caratterizzato dall'individualismo più ebefrenico e dalla profusione quotidiana di cattiveria spicciola, all'insegna di un egoismo e di un isolamento sociale assurti a valori condivisi e difesi con ogni mezzo. Una visione del mondo modellata su roba come questa sarebbe difficilmente sostenibile anche in tempi di benessere economico diffuso e palpabile: nelle condizioni di attuale, perdurante e continua riduzione di redditi, ricchezze e potere d'acquisto costituisce la causa prima della lurida realtà sociale in cui sono costretti a vivere, lottando ogni giorno per non soffocare, quanti non si riconoscano nei "valori" della sovversione "occidentale".
Il mainstream offrirebbe campioni eloquenti -ed agghiaccianti- di questa realtà praticamente ogni giorno. E' stato sostenuto, e con buoni argomenti, che se uscendo di casa una mattina i milanesi trovassero i carri armati agli incroci delle strade andrebbero a lauràr come se nulla fosse. Al limite, qualcuno telefonerebbe all'assessore alla sihurezzeccontriddegràdo perché li faccia portar via col carro attrezzi. Nulla di tutto questo sarebbe impossibile in un contesto sociale dove lo spreco, l'ingordigia ed un'autoreferenzialità ai limiti dell'autismo vengono considerati e difesi come valori condivisi.
In questo contesto gli "occidentalisti" al soldo del politicame possono permettersi exploit che in qualunque altra località della penisola sarebbero possibili solo in luoghi controllati a vista da imponenti schieramenti di gendarmi. Un inutile ed insultante grassone, da decenni noto al di fuori dei contesti accomodanti ed amici per l'assoluta bassezza e l'abituale abiezione di ogni singola istanza che sostiene, ha potuto riempire un teatro per una concione in difesa di un frequentatore di prostitute.
Il nome del teatro è dal Verme. Difficile scegliere un palco oscenico più appropriato.
Nelle stesse ore in cui politicame e gazzettieri intrattenevano la loro claque di scimmie illustrando ad essa come e perché sia diritto irrinunciabile delle massime cariche di uno stato sedicente sovrano di cacciarlo in corpo a femmine più o meno compiacenti, un gruppetto di consapevoli "occidentalisti" sui vent'anni -la generazione della scuola Inglese, Internet, Impresa- infieriva a calci su un ragazzo di sedici anni per togliergli cinque euro ed una bottiglia di vodka.
In sé l'episodio non è affatto rilevante. Anzi, il gazzettame "occidentalista" dovrebbe additarne ad esempio i protagonisti perché il loro agire costituisce un campione statisticamente corretto dei comportamenti che derivano da una consapevole e piena adesione a quei "valori occidentali" in nome dei quali si esporta la "democrazia" con i missili da crociera.
Quello che spicca, nel contesto milanese, è questa piena consonanza di valori condivisi, tra feccia in sovrappeso al servizio dei potenti e sudditi buoni a nulla giunti a quella piena amerikanizzazione che politicame e mass media hanno presentato per decenni come socialmente desiderabile.
In ovvio nome delle tirature il gazzettaio non ha scelto la strada della coerenza, che avrebbe imposto di relegare la non-notizia ad un trafiletto o due. I gazzettieri hanno sporcato in piena consapevolezza il mainstream per anni ed anni con i residui mestruali dell'incompetenza e della malafede più assolute in nome della "lotta al terrorismo" e della democrazia da esportazione. Sicché per chiudere un numero qualunque va bene anche dare voce ad una certa Giovanna M., che sarebbe l'autrice dei giorni di uno dei protagonisti dell'altruistico ed eroico gesto su accennato. Si riporta per intero il documento, come fatto in altra sede da Faustpatrone, e vi si aggiungono alcune considerazioni. Nel caso il nome della scrivente venga reso pubblico per intero si provvederà a citarlo come tale anche nel titolo dello scritto, come segno di ulteriore biasimo.
Non è certo la prima volta che la città dove mangiano risotto giallo esibisce simili esempi di forsennata abiezione: l'adesione totale all'"occidentalismo" non può d'altronde che produrre elementi del genere.


Sono la mamma di uno dei giovani arrestati per l'aggressione al ragazzino in viale Monza. Non voglio difendere mio figlio, anzi, lo dico a voce alta: ha sbagliato ed è giusto che paghi.

Una pochezza pedagogica da filmetto yankee. E' probabile che questa donna non soltanto possieda un apparato televisivo, ma abbia anche l'abitudine di prestar fede a quanto ne esce.
Personalmente preferiremmo di gran lunga contrarre qualche vergognosa malattia venerea anziché essere fatti oggetto di una constatazione come questa.


Vorrei però rispondere a chi gratuitamente giudica chi sta dietro a questi ragazzi. Non dimentichiamoci che parliamo di ragazzi di 20 anni, con personalità propria, consapevoli delle proprie azioni. O almeno, così dovrebbe essere. Ho tanto sentito parlare di famiglie disagiate, genitori incompetenti. Ebbene, io parlo per quello che riguarda la mia famiglia.

Ammesso che una simile "gratuità" esista, viene meno dopo la lettura di queste righe. Che confermano la peggiore opinione possibile in merito ai "valori" condivisi da un intero corpo sociale. Capacissimo perfino di menarne vanto.
Nessuno nega la consapevolezza di certe azioni: tutt'altro. Quello che qui si sostiene è la deliberata condivisione e la fedele messa in pratica nella vita quotidiana di una visione del mondo responsabile di diseguaglianze, frustrazioni e disperazione.


Siamo genitori separati, lavoriamo, ed abbiamo sempre fatto di tutto per non far mancare nulla alla nostra famiglia. Mio figlio è cresciuto con il padre, che lo ha sempre seguito. Lavorano insieme. Durante la settimana non esce. Il padre ed io abbiamo sempre avuto un bellissimo rapporto anche dopo la separazione, frequentandoci assiduamente tutti insieme, cercando di essere sempre entrambi punti di riferimento.

Separazione. Un lungo ed importante passo verso il divorzio.
Uno dei riferimenti più cari all'"occidentalismo" è quello delle presunte "radici cristiane" della "civiltà occidentale". I cristiani, ed i cattolici in special modo, hanno idee piuttosto precise circa il matrimonio, che ci permetterebbero di infierire pressoché senza limiti sul caso in questione. Normalmente in questi casi i figli vengono affidati alla madre: anche questo permetterebbe di avanzare drastiche e motivate censure sul conto della scrivente.
Lavoriamo.
Lauràr, lauràr, lauràr. Nella città dove mangiano cotolette il lavoro è fine, non mezzo. Uno dei cardini della incessante opera di sovversione perpetrata dall'"occidentalismo" sta proprio in questo.
Durante la settimana non esce.
Una settimana è fatta da sette giorni e le settimane si ripetono senza soluzione di continutà. Oltre a lauràr questo soggetto fa forse una vita da recluso?
Vista l'essenza della questione non è detto che sarebbe un male, se il primo fine dell'"uscire" è quello di aggredire deliberatamente le persone facendosi forti della superiorità numerica.
...cercando di essere sempre entrambi punti di riferimento.
Lauràr, rispetto pedissequo di orari e convenzioni, adesione supina ai "valori" dominanti. Questo è quello che il testo comunica: rivolgersi alle gazzette perché pubblicassero questa roba non è stata una grande idea. Siamo in ogni caso d'accordo: simili "punti di riferimento" non potevano trovare migliore soddisfazione alle proprie istanze.


Come i ragazzi di quell'età, il sabato sera è un'occasione per stare con gli amici. Questo è per noi nostro figlio. Abbiamo sempre seguito la sua crescita, cercando di trasmettergli gli stessi valori con i quali siamo cresciuti noi. Ora, non credo che possiamo essere definiti una famiglia disagiata, abbiamo fatto di tutto per essere buoni genitori, ma purtroppo non sempre le cose nella vita vanno come noi vorremmo.

...E allora si prenda atto della cosa e si eviti di dare pubblica testimonianza della propria pochezza tramite scritti come questo.
Si noti soprattutto il timore, "occidentalista" e borghese, di essere bollati come "famiglia disagiata". La definizione di "famiglia disagiata" gli "occidentalisti" vorrebbero riservarla solo a quelle degli "zingari", che se vanno a fuoco poco importa, anzi, qualcuno in meno.
Su una cosa questa donna ha ragione: la "trasmissione" dei suoi "valori" è perfettamente riuscita.


Voglio quindi mandare un messaggio a tutti coloro che addossano le colpe dei figli ai loro genitori. Così facendo, queste persone non fanno altro che giustificare questi episodi. Lo dico andando anche contro mio figlio. Questi ragazzi sono persone adulte, ma finché si sentiranno dire che non è colpa loro, ma dei genitori, non si responsabilizzeranno mai. Non fatelo. È giusto che mettiate questi ragazzi di fronte alle loro responsabilità, e che paghino loro stessi, non chi, pur a volte sbagliando, ha cercato di rendere persone adulte i propri figli.

Davanti ad un simile miscuglio di sfrontatezza e di incoscienza resterebbero basiti in molti, non foss'altro che per la contraddizione evidente con quanto asserito poche righe più su.
In questa sede non si nega affatto la condizione di "adulti" a chi ha esibito comportamenti improntati ad una violenza inutile, ordinaria e vile, per il semplice motivo che gli adulti "occidentalisti" plaudono continuamente e condividono ogni giorno tutti gli esempi di violenza inutile, ordinaria e vile in cui càpita loro di imbattersi. Da questo punto di vista, se le strategie pedagogiche messe in opera in questo caso sono state conformate a "valori" di tipo "occidentalista" il risultato raggiunto è senza dubbio degno di lode.


Detto questo, vorrei esprimere tutta la mia solidarietà alla famiglia del ragazzino, siamo anche noi genitori. Ma vorrei anche che ognuno, prima di giudicare, si facesse un esame di coscienza. Ho sentito parlare di genitori irresponsabili in quanto non a conoscenza di ciò che avviene fuori casa. Sì, è vero, non avrei mai pensato che mio figlio potesse commettere un'azione così deplorevole, ma mio figlio ha vent'anni, non posso obbligarlo a non uscire la sera ora, ma di sicuro, a 15 anni, non è mai capitato che fosse all'una di notte in un pub a comprare vodka. Allora, invece di giudicare, preoccupiamoci di più dei nostri di figli. Penso che non sia questa la strada giusta per evitare che anche lui diventi un potenziale futuro partecipante di un branco.

La famiglia del ragazzino. La vittima di un pestaggio da filmastro amriki spogliata anche della dignità del nome.
Il ragazzino. Un nulla, degno al massimo di un po' di solidarietà di circostanza proprio perché non se ne può fare a meno.
E' evidente che questa donna non sa neppure di cosa stia parlando e che in ogni caso avrebbe fatto meglio a tacere. Addossare la colpa alla vittima, come si dice facciano i violentatori di bambine, aggiunge allo scritto il tocco finale di spregevolezza che perfino questa mangiatrice di ossibuchi era riuscita fin qui ad evitare.
Nella Repubblica Islamica dell'Iran la capillare diffusione degli anticoncezionali sta evitando a molte donne di addossarsi maternità non volute e responsabilità annesse. Mille lire di lattice, investite al momento opportuno una ventina di anni fa, avrebbero evitato a Giovanna M. di conoscere questo tetro quarto d'ora di attenzione mediatica.

Ecco cosa produce, nel 2011, la "capitale morale". Speriamo che almeno l'esportazione di simili "prodotti" conosca una battuta d'arresto, ed eviti di sporcare per quanto possibile le poche parti della penisola italiana in cui si ostinano ad allignare i fautori di una critica sociale e di un disprezzo per i "valori" correnti che riescono a rendere tollerabile l'esistenza in una terra che è a suo modo tornata ad essere avanguardia.
L'avanguardia di un "Occidente" in marcia verso le tenebre.