Il marketing dell'iniziativa rivela il lezzo "occidentalista" dei promotori fin dai primi slogan intrisi di menzogna, come "Acqua libera tutti".
L'iniziativa della piccola ciurma non deve aver riscosso troppo successo perché la richiesta di referendum è stata recentemente accettata, e l'ultimo articolo pubblicato sul blog di questi mandolinisti, vecchio di mesi, non è riuscito a mobilitare neanche una claque decente ed ha raccolto, molto giustamente, commenti improntati ad un sincero disprezzo. Un tale che si firma Joshua, ad esempio, non le manda certo a dire:
Trovatevi un lavoro.Fedeli alle abiezioni della propaganda ormai note a tutti, gli ideatori dell'iniziativa statuiscono che "i referendari vogliono un’Italia [ci scusiamo per il vocabolo, presente nella citazione originale, n.d.a.] simile all’Iran e alla Corea del Nord". Entrambe le realtà sono abitualmente considerate sorta di pietre di paragone per classificare come retrograda od omicida qualunque cosa non faccia il tornaconto di questi frequentatori di ristoranti, ed in Kelebeklerblog si suppone che costoro non abbiano idea di che cosa affermi, in materia di risorse idriche, la legislazione della Repubblica Islamica dell'Iran, fornendo un link ad un lungo articolo che ne tratta.
Buffoni e servi delle multinazionali.
Ci facciamo dunque un dovere di colmare, per quanti siano interessati, la lacuna.
Lo facciamo traducendo dall'inglese l'articolo sul mercato dell'acqua e relative tariffe nella Repubblica Islamica dell'Iran presentato in link. Tra le altre cose, chi fosse completamente digiuno della materia verrà a sapere dalla lettura che nella Repubblica Islamica dell'Iran esistono un codice civile ed una costituzione scritta, con buona pace dei mangiatori di spaghetti che vanno ciarlando di un paese "dove l'unica legge è quella del Corano".
L'intero lavoro di traduzione non ha richiesto più di qualche ora e si è rivelato alla portata di chiunque abbia le competenze minime per affrontare uno scritto in questa lingua.
Competenze che a questo punto è legittimo considerare al di là della portata di questa gente, nonché dell'intera quota del corpo elettorale che si riconosca in individui di questo genere. Di che individui si tratti lo abbiamo già illustrato a suo tempo, con un paragone realistico e fin troppo generoso.
"Acqua libera tutti" lasci dunque perdere argomenti tanto irraggiungibili, torni ad indossare la canottiera d'ordinanza con catenella d'oro in bella vista, e limiti la sfera dei propri interessi a quelli dei sudditi di cui vorrebbe richiamare il consenso: la pornografia, gli stupefacenti, i maccheroni.
Tutto il testo è disponibile in pdf.
Mercato e tariffe dell'acqua in Iran
Kazem Sadr
Il mercato ha avuto un ruolo importante nella fornitura e nella distribuzione dell'acqua fin dal sorgere di uno stato islamico in Arabia ed ha continuato a svolgere questa funzione nel corso dello sviluppo dell'economia dei paesi islamici. In questo articolo si tratta dell'esperienza dell'Iran per quanto riguarda l'organizzazione ed il comportamento del mercato dell'acqua e si descrivono le innovazioni che hanno portato a forme alternative di scambio e di tariffazione prima e dopo la rivoluzione islamica.
Sono riconoscente al mio collega, il signor A. Noori Isfandiari, che mi ha incoraggiato a scrivere questo saggio. Le idee e le informazioni da lui fornite ricorrono qui spesso; tuttavia sono personalmente responsabile per ogni errore. Sono grato anche al dottor H. Ghanbari che ha dedicato molto tempo al controllo ed alla correzione di questo articolo, ed al Development Research Centre (IDRC) per avermi dato l'occasione di partecipare allo Workshop sulla gestione delle risorse idriche del mondo islamico.
Proprietà delle risorse idriche e diritti di utilizzo
I diritti di proprietà delle risorse idriche sono oggetto di trattazione della giurisprudenza islamica, o più precisamente nel fiqh, insieme con i diritti di proprietà sulle risorse del sottosuolo. Questi ultimi sono distinti a seconda che riguardino miniere poco profonde o "aperte" o miniere di profondità o "interne". Le risorse idriche sono generalmente considerate come appartenenti al primo gruppo, e vengono trattate nelle discussioni che lo riguardano. I fuqaha (i giuristi musulmani) generalmente concordano sul fatto che sia le acque di superficie che le sorgenti sotterranee sono una risorsa di proprietà comune (Ibn Barraj 1410 AH, 6:257-58) oppure un qualche cosa che fa parte dell'Anfal, ovvero di quanto appartiene all'Imam, il giusto e legittimo possessore, che può essere sfruttato direttamente dal governo o assegnato in locazione a soggetti privati (Kolaini 1388 AH, 1:538).
Un eventuale investimento, compiuto da parte di qualunque detentore dei diritti di condivisione al fine di accedere alle fonti, garantisce a chi lo compie la proprietà privata dell'acqua, o un diritto di priorità per l'utilizzo dell'acqua così ottenuta, ma non gli conferisce alcun diritto sul fiume o sul bacino da cui l'acqua proviene. I pozzi, i qanat -serie di pozzi collegati in fondo da canali sotterranei in lieve pendenza, in cui l'acqua scorre per gravità- o i canali, che sono forme alternative di investimento per ottenere accesso all'acqua, sono di proprietà dell'investitore, cui appartiene anche l'acqua che viene pompata o incanalata tramite essi. Tuttavia, la fonte di acqua in quanto tale resta di proprietà comune.
Mentre nessuno può "possedere" la fonte in sé, in alcuni casi, a seconda delle caratteristiche della fonte, è possibile ottenere l'esclusiva dell'utilizzo dell'acqua o dei diritti di prelievo. I diversi casi in cui questo è possibile sono oggetto della disamina che segue.
Diritti sulle fonti d'acqua
In primo luogo i mari, i laghi ed i grandi fiumi secondo il diritto islamico sono res communitatis su cui nessuno può vantare diritto esclusivo di possesso. Quanto affermato da Toosi (n.d., 3:282) a questo proposito gode del generico consenso dei fuqaha. Sia il codice civile iraniano (articolo 155) che la costituzione della Repubblica Islamica dell'Iran (articolo 45) sono sulle stesse posizioni. In ogni caso, la disponibilità d'acqua da fonti come queste supera normalmente la richiesta, cosicché non si pongono neppure questioni in merito al diritto esclusivo o prioritario di sfruttamento. Tutti hanno lo stesso diritto di attingervi.
Ancora, se l'acqua sgorga naturalmente da sorgenti o se scorre in canali senza che nessuno abbia dovuto lavorarvi od investirvi, è allo stesso modo di proprietà comune. Il flusso d'acqua di queste fonti può drasticamente diminuire a seguito della richiesta, con l'aumentare della popolazione o della crescita economica. In questi casi va definito un qualche criterio di distribuzione. Alcuni fuqaha hanno pensato di basarsi sul principio del "primo arrivato, primo servito". I diritti di precedenza per l'utilizzo dell'acqua corrente vengono assegnati secondo un ordine di precedenza; il bacino o la superficie o la sorgente sotterranea restano in ogni caso di proprietà comune.
La base giuridica per questa "regola della precedenza" è rappresentata da uno hadith che stabilisce che chi preceda qualcun altro nell'uso di un bene è il primo ad avere diritti su di esso (Beihaqi n.d., 6:142; Noori 1408 A.H., 4:6). Questo diritto di precedenza non consente in ogni caso a chi ne gode di appropriarsi di più di quanto gli serve, in primo luogo perché la proprietà del bene resta comune, ed in secondo luogo perché questo principio non deve essere interpretato in modo da negare i diritti altrui. E' superfluo sottolineare che i privilegi legati alla precedenza non costituiscono un precedente su cui basarsi per avanzare pretese di possesso.
Se l'acqua che proviene da una risorsa di proprietà comune non è sufficiente a soddisfare la legittima richiesta di quanti ne abbiano diritto, in che modo si deve procedere per distribuirla tra quanti ne fanno richiesta? Alcuni fuqaha hanno suggerito di ricorrere al sorteggio. Altri invece pensano ad un ordine di precedenza basato sulla lontananza dalla fonte, in modo che i poderi vengano irrigati uno dopo l'altro finché le ultime gocce non raggiungano il più lontano. Najafi (1392 A.H., 38:110) preferisce questo secondo criterio, che è anche legittimato da uno hadith e che è stato seguito in molti paesi musulmani. Il codice civile iraniano (art. 156) stabilisce chiaramente che se un corso d'acqua non è sufficiente ad irrigare tutti i terreni adiacenti e tra i loro proprietari sorge una disputa senza che nessuno tra loro possa accampare legittimi diritti di precedenza, il più vicino deve precedere i più lontani, ed irrigare usando la quantità d'acqua che gli è strettamente necessaria.
Nei casi in cui l'accesso ad un bacino comune sia ottenuto scavando un pozzo o un canale, chi vi ha investito ha diritto di proprietà sull'acqua attinta. Secondo Najafi, nei casi in cui l'acqua di proprietà comune viene irreggimentata (in un bacino o in un canale), essa diventa proprietà privata dello haez, ossia di colui che si è occupato di contenerla, sempre che dalle sue azioni non sia derivato danno agli altri. Najafi (1392 A.H., 38:116) specifica che per i casi del genere non esiste difformità di giudizio tra diversi fuqaha. Toosi (n.d., 3:282) afferma che se qualcuno ruba acqua così contenuta è obbligato a restituirla al suo legittimo possessore. Gli articoli 149 e 150 del codice civile iraniano riconoscono lo stesso diritto.
Nel caso in cui qualcuno scavi un pozzo nel proprio campo o in un terreno arido, al fine di attingere acqua, la maggior parte dei fuqaha ritiene che egli divenga proprietario sia del pozzo che dell'acqua (Najafi 1392 A.H., 38:116). Toosi (n.d., 3:282) sostiene invece che ad esso spetti soltanto il permesso di utilizzare l'acqua e non quello di vendere quella che ecceda le sue necessità. Il parere di Toosi si basa su pochi ahadith riportati da Ibn Abbas, Jaber ed Abu Horairah, che riferiscono di sentenze dell'Inviato (sia la pace su di Lui) da cui emergerebbe che la vendita dell'acqua in eccesso è inammissibile (Beihaqi n.d., 6:151). Secondo la maggior parte dei fuqaha, questi aneddoti non possono limitare il diritto al libero scambio. Quest'ultimo uso non soltanto è generale e liberamente praticato, ma esistono tradizioni giuridiche che permettono esplicitamente lo scambio commerciale dell'acqua in eccesso. Le sentenze dell'Inviato (sia la pace su di Lui) vengono interpretate nel senso che vendere l'acqua che ecceda le proprie necessità nei casi in cui nessuno si è ancora comportato da haez non è da permettersi, o che una simile transazione commerciale non è in ogni caso raccomandabile.
L'Imam Sadegh e l'Imam Mossa Ibn Jafar approvano la vendita, sia in cambio di denaro sia in cambio di granaglie, della quota di un qanat detenuta da qualcuno (Al-Hurr al-Amiliyy 1403 A.H., 277–78, 332).
La maggior parte dei fuqaha è d'accordo sul fatto che se qualcuno può occupare a buon diritto il flusso d'acqua incanalata o pompata da una fonte di proprietà comune, può vendere liberamente questa proprietà, tutta o in parte. Lo stesso diritto è legittimato dall'articolo 152 del codice civile iraniano.
Il governo e la regolamentazione dei diritti sulle risorse idriche
Le risorse idriche sono proprietà comune del popolo e non rappresentano un possedimento governativo. Tutti hanno uguale diritto di attingere, e questa attività privata è tutelata e non può essere soggetta ad interruzioni finché non leda il diritto altrui. L'esercizio di questo diritto può tuttavia condurre ad un sovrautilizzo, e le riserve sotterranee sono particolarmente soggette all'esaurimento, dovuto al pompaggio in eccesso. In questi casi, il principio del "non ledere i diritti altrui" e del "non abusare" passano avanti a quello che stabilisce la libertà di queste operazioni. Le autorità governative, a livello locale o nazionale, procederanno dunque in base alle regole stabilite in precedenza per tutelare il pubblico interesse.
Nel prossimo paragrafo si prenderanno in esame altre regole che tutelano gli stessi principi.
A volte succede che i governi debbano risolvere i contrasti che possono sorgere tra utilizzatori che competano tra loro per dell'acqua di proprietà comune. Ad esempio, la costruzione di dighe lungo i corsi d'acqua fa aumentare la disponibilità di acqua potabile e per l'irrigazione, e fa espandere l'agricoltura o crescere rapidamente la popolazione; oppure può far diminuire l'acqua disponibile per entrambi i campi di utilizzo, col risultato di privare di un accesso all'acqua sufficiente un gruppo che avrebbe invece diritto di beneficiarne, chiamando così in causa il principio secondo il quale l'esercizio della libertà non deve ledere i diritti altrui. Il governo può in questi casi interferire per determinare le priorità nell'utilizzo: provvedendo a compensare quanti avrebbero da rimetterci, il governo può risolvere il problema.
Il governo ed il mercato delle risorse idriche
Alle origini dello stato islamico
Una delle caratteristiche di un sistema economico islamico è che le attività economiche non sono delegate per intero né alle organizzazioni mercantili, né ad eventuali uffici pubblici di pianificazione. Dell'economia si occupano organizzazioni di entrambi i generi e ciascuna di essere svolge i propri compiti di fornitura, disposizione e distribuzione. Infatti, ai tempi dell'Inviato (sia la pace su di Lui) e dei suoi successori le due principali istituzioni economiche erano il mercato, che forniva e distribuiva beni privati compresa l'acqua, e l'erario pubblico, o baitulmal, che era responsabile della programmazione economica, della pianificazione e dell'assegnazione di risorse agli investimenti necessari per le infrastrutture, ivi compresa la costruzione di dighe.
All'inizio dell'era islamica, a ciascun mercato prendevano parte molti soggetti il cui comportamento era controllato da degli ispettori (Sadr, 1996).
Venditori e compratori potevano entrare o uscire da ogni mercato per scegliere la miglior impresa disponibile in base alle informazioni di cui disponevano. Il diritto del governo di interferire sul mercato per stabilire prezzi era limitato. Sulla base di questi primitivi usi si è giunti ad un accordo piuttosto generale -anche se non unanime, tra i giuristi- secondo il quale se il mercato si comporta bene, a nessuno è concesso interferirvi fissando prezzi. In caso contrario i governi hanno il diritto di farlo se i prezzi fluttuano e se nel controllo del mercato non è possibile ripristinare in altro modo un equilibrio (Rajaee 1996, 57–98).
Circa i criteri per stabilire i prezzi, la maggior parte dei fuqaha insiste sul concetto di "prezzo giusto": un prezzo che verrà determinato dal mercato se vigono le leggi della sharia e se il mercato si trova in condizioni normali (Khomeini 1989, 4:318–19). Se queste condizioni vengono meno, il prezzo va stabilito uguale al prezzo che si avrebbe in condizioni in cui la richiesta di un bene corrisponde alla sua offerta. Nella letteratura giurisprudenziale islamica questo criterio viene solitamente definito "del valore somigliante" (Toosi 1404 A.H., 4:23).
Nel primo Islam si costituirono dei precedenti anche per quanto riguarda la prevenzione dell'accaparramento e dello spreco di merci o di risorse, e contro l'imposizione di costi esterni nei confronti degli operatori commerciali delle vicinanze, che uniti alla piena osservanza delle leggi islamiche sui contratti contribuirono a far sì che il mercato funzionasse in modo efficiente. L'assenza di quote, dazi o tariffe facilitò ulteriormente il commercio. In questo modo i prezzi che venivano determinati dal mercato erano prezzi efficienti, ossia non si sarebbe potuto trovare e tantomeno imporre un prezzo differente da essi in grado di incrementare ulteriormente la soddisfazione dei clienti o il profitto dei venditori (Sadr 1996, 188).
La nascita del mercato dell'acqua
In molte regioni del mondo, come in Africa ed in Asia, l'acqua ha rappresentato motivo per insediamenti umani e per lo sviluppo di civiltà (Issawi 1971, 213).
Le popolazioni si sono stabilite attorno a fiumi e sorgenti per avere condizioni vivibili nei climi secchi. All'inizio dello sviluppo di queste comunità la disponibilità di acqua superava di solito la richiesta. A stadi più avanzati di crescita, a causa dell'aumento della popolazione, del reddito e del proliferare di attività economiche variate, la richiesta d'acqua cresce e finisce per superare la disponibilità, cosicché l'acqua viene solitamente razionata tramite le leggi della comunità e le tariffe. Dal momento che i metodi di razionamento vengono suggeriti dagli stessi appartenenti alla comunità, essi sono coerenti e corrispondenti alle norme e ai diritti accettati dalla comunità, e conducono a legittimare l'utilizzo di impianti per la distribuzione dell'acqua.
Con l'andare del tempo, nelle società umane in espansione, quando la richiesta di acqua supera la disponibilità vengono create nuove istituzioni mercantili, perché l'insieme di regole e tradizioni esistenti non riesce a garantire una collocazione efficiente delle risorse. In mercati dell'acqua tanto segmentati, la cui misura dipende dalla disponibilità della materia prima, il mezzo di scambio più affidabile ed accessibile è dato dall'acqua stessa, perché può essere utilizzata per produrre qualunque cosa sia coltivabile. In alcune regioni del Medio Oriente, per esempio in Iran dove l'ottanta per cento della terra coltivata viene adibita a frumento ed orzo, è naturale che proprio orzo e frumento abbiano servito come moneta di scambio nel mercato dell'acqua.
Questo fenomeno, ovvero le transazioni in natura anziché in denaro, può essere all'origine della sensazione che l'acqua non abbia mai rappresentato un bene commerciabile e che non sia mai stata venduta o comprata sul mercato. Come abbiamo illustrato, la legislazione e la giurisprudenza islamiche riconoscono l'esistenza di istituzioni mercantili per il commercio dell'acqua I casi riferiti da Safinejad (1985, 1996) e da altri antropologi ne rappresentano la prova. Nei loro resoconti la merce di scambio è rappresentata da derrate alimentari, cibo od acqua che siano, e in qualche caso da denaro.
Acqua per uso privato, acqua per uso pubblico
Il mercato non è l'unica istituzione che controlla l'offerta e la domanda di beni e di servizi all'interno di una comunità. Molte imprese pubbliche ed organizzazioni costituite da gruppi di individui esistono per assolvere alla stessa funzione.
Buchanan (1968) riuscì a prevedere che le organizzazioni che forniscono o collocano beni pubblici e privati potessero variare secondo criteri continui. La sua analisi si basa sull'assunto che il principio chiave della decisione sia il costo esterno che fornire certi beni comporta (Buchanan and Tullock 1971). La sua teoria prevede la formazione di mercati per beni privati, di gruppi o di organizzazioni collettive per i beni pubblici, e la predominanza del governo per i beni di natura esclusivamente pubblica (Buchanan 1968).
In molti contesti sociali le sue previsioni si sono dimostrate corrette, tranne che nei paesi musulmani, dove l'acqua è un bene con il quale hanno a che fare organizzazioni di tutti e tre i tipi, perché può essere considerata un bene privato in alcuni contesti ed un bene pubblico in altri.
Il monopolio e la supervisione governativa
In molte economie il mercato del gas, dell'acqua, dell'elettricità e dei servizi telefonici tende naturalmente verso una struttura monopolistica. La quota di investimenti iniziali necessari a fornire questi servizi è alta, mentre è bassa quella dei costi variabili.
Questo fa sì che i costi variabili e marginali che servono per estendere i servizi offerti o farli giungere ad un nuovo cliente sono molto bassi; nessun altro fornitore può competere con quello che già è presente sul mercato. Questa situazione di monopolio e l'alto costo che comportamenti di arbitraggio economico addossano ai consumatori fa sì che i fornitori adottino politiche di prezzi disuguali. In altre parole, l'acqua viene venduta a prezzi diversi a consumatori di città, agli industriali ed ai contadini.
Un altro tipo di discriminazione praticato consiste nel ridurre i prezzi col crescere delle quantità acquistate, per incoraggiare il cliente ad acquistare quantità maggiori. Recentemente, dopo aver compreso che la domanda d'acqua non subisce fluttuazioni, molti fornitori hanno cominciato a seguire uno schema di tariffazione per blocchi crescenti: l'acqua ha bassi prezzi fino ad una certa quantità consumata, ed il prezzo sale con il superare di determinate e successive soglie di consumo (Sadr 1996). Il risultato è che i fornitori d'acqua sono in grado, ogni volta, di praticare discriminazioni di prezzo perfette mescolando le due tecniche.
Il diffondersi di questi comportamenti ha portato i governi a controllare prestazioni e strategie di tariffazione dei servizi pubblici.
La definizione delle tariffe dell’acqua in Iran
In Iran i fiumi più importanti scorrono per lo più attraverso zone di montagna in cui per irrigare si ricorre per lo più alle acque di superficie. Il resto del paese dipende dall'acqua sotterranea, attinta attraverso i qanat.
Le acque di superficie
I fiumi vengono usati dagli agricoltori in base alla loro vicinanza (art. 156 del codice civile). Come riferisce Lampton (1969) il villaggio di Toroq, vicino a Mashhad nell'Iran nordorientale, riceve l'acqua per l'irrigazione dopo i villaggi che sorgono più vicini al fiume che scorre nella zona. Lo stesso caso si verifica in Kurdistan, dove i villaggi che sorgono vicini ai fiumi usano tanta acqua quanta ne serve, mentre la rimanente è destinata ai centri più lontani. In ogni caso, nessuno può costruire una diga o canalizzare il flusso della corrente nei campi attraverso i quali l'acqua scorre.
Durante l'estate la portata di molti fiumi diminuisce, cosicché i villaggi che detengono diritti sull'acqua conservano anche la precedenza per il suo utilizzo. Lampton riferisce ad esempio che l'acqua del fiume Zayanderood viene distribuita secondo modalità definite in epoca savafide. dal quindici novembre al cinque giugno, è possibile attingere acqua senza limiti. In estate invece l'acqua è riservata a zone e villaggi ben definiti. L'acqua che proviene dal fiume Jadjrood viene anch'essa distribuita secondo quanto stabilito da un'antica tradizione: ad alcune contee tocca a titolo gratuito, altre devono pagarla.
Fin dal 1943 la fornitura ed il controllo delle acque di superficie sono ufficialmente compito di un'agenzia governativa per le acque (Ministero dell'Energia, 1994, 16-21). Negli anni successivi sono state aperte anche organizzazioni regionali incaricate di controllare il funzionamento delle dighe esistenti in ogni regione e la distribuzione dell'acqua presso i villaggi.
Nel 1968, dopo l'entrata in vigore della legge sulla nazionalizzazione delle acque, le agenzie regionali ebbero anche il compito di imporre dei costi sull'acqua distribuita, quel tanto che bastava per coprire le spese. Le spese comprendevano anche i costi, variabili, delle operazioni di manutenzione ed i costi fissi del deprezzamento e degli interessi (Ministero dell'Energia, 1994, 392).
Nel 1982 la legge fu rivista, estesa ed approvata dal parlamento sotto il nome di legge per la giusta distribuzione delle acque. L'acqua per usi irrigui deve avere un prezzo stabilito in base al costo medio variabile ed al deprezzamento, come prima; gli interessi non fanno più parte del suo calcolo. Nelle zone in cui è difficile quantificarla, l'acqua può avere un prezzo che dipende dalla grandezza degli appezzamenti da irrigare e dal tipo di coltivazione (Ministero dell'Energia, 1994, 234-40). Secondo la procedura approvata dal Ministero dell'Energia, l'acqua per uso agricolo ha dal 1990 un costo calcolato in questo modo.
- Il prezzo medio dell'acqua attinta da "reti moderne", ovvero da canali principali o secondari delle dighe, è pari al tre per cento di quanto ricavato dalle coltivazioni impiantate; il costo medio dell'acqua attinta da canali di tipo tradizionale è pari all'uno per cento; l'acqua ottenuta da una combinazione delle due reti, ha un costo pari al due per cento.
- La produzione media delle coltivazioni in ciascuna regione si verifica tramite le statistiche pubblicate dal Ministero dell'Agricoltura. Il valore di ogni coltivazione si misura sia tramite il prezzo garantito, se ne è stato concordato uno, o sul prezzo al produttore. Tramite queste informazioni le agenzie delle acque determinano il costo dell'acqua al metro cubo (Ministero dell'Energia, 1994, 295-296).
Nel 1990 furono istituite società municipalizzate per le acque e le fognature dopo che l'approvazione della rispettiva proposta di legge da parte del parlamento. Secondo quella proposta il settore privato, le banche ed i comuni possono partecipare alle spese necessarie alla realizzazione di questi impianti ed al loro controllo, da esercitarsi tramite società seguendo il diritto commerciale.
Questa legge, che pone senza dubbio le basi legali per una partecipazione del settore privato agli affari che riguardano l'utilizzo dell'acqua nei contesti urbani, è anche segno di un mutamento di politica generale. La tariffa da pagare per i servizi di acqua e fognatura verrà calcolata e proposta dai consigli di amministrazione delle società a partire dai costi di esercizio e di deprezzamento ed entrerà in vigore dopo esser stata approvata dalla commissione economica del governo.
Il consumo di acqua inferiore ai cinque metri cubi mensili è esentato da ogni tariffa, perché le famiglie a basso reddito abbiano accesso all'acqua per bere, per lavarsi e per le necessità religiose. I consumi superiori hanno costi calcolati secondo il metodo dei blocchi crescenti: i criteri in vigore nel 1995 per la provincia di Tehran sono illustrati nella tabella 1. Nelle altre province si calcola in maniera simile. Nel 1996 le tariffe sono cresciute. I consumi mensili fino a cinque metri cubi sono esenti da tariffa, mentre quelli fino a venticinque metri cubi sono rimasti alla tariffa del 1995. Al contrario, il blocco compreso tra i venticinque ed i quarantacinque metri cubi ha subìto un rincaro del venticinque per cento, e quello sopra i quarantasei metri cubi uno del trenta. Nel 1998 furono fissate, per l'utilizzo commerciale ed industriale dell'acqua, tariffe più alte che per l'uso domestico, seguendo una politica dei prezzi opposta fino a quella fino ad allora praticata.
Le acque sotterranee
I qanat hanno sempre rappresentato la principale tecnologia per il prelievo di acqua dalle riserve sotterranee, nonostante negli ultimi tempi abbiano cominciato ad essere rimpiazzati da pozzi dotati di pompe. E' normale, dunque, che nelle regioni aride dell'Iran i diritti di utilizzo dell'acqua, i tipi di transazioni ed il modo di determinare i prezzi abbiano in qualche modo a che fare con i qanat.
Quanto segue riguarda i mercati dell'acqua che si basano su pratiche di prelievo rese possibili da questa tecnologia.
L'acqua di ogni qanat viene inizialmente divisa tra coloro che condividono le quote dell'impianto. Ovunque venga usata la tecnologia dei qanat si è dunque soliti osservare dei turni, che sono naturalmente più brevi in primavera ed in estate piuttosto che nelle altre stagioni, perché l'evaporazione ed il consumo di acqua da parte delle coltivazioni sono maggiori. Dividere l'acqua dei qanat tra uno o più villaggi piuttosto lontani l'uno dall'altro (yazdani, 1985) ha richiesto la formazione, nel corso del tempo, di tecnici addestrati sia nella manutenzione degli impianti che nel distribuire senza sprechi l'acqua tra i vari coltivatori. In questo modo è nato un mercato del lavoro per due distinte professionalità.
La prima è di tipo altamente tecnico e richiede competenze in materia di costruzione e di dragaggio dei qanat.
Per la seconda serve il talento necessario ad adottare degli schemi di distribuzione che riducano al minimo gli sprechi.
Chi si occupa della distribuzione deve inoltre godere della fiducia di tutti gli interessati, dal momento che ha il potere di manipolare le spettanze di chiunque. L'importanza di questo lavoro ha fatto sì che per scegliere coloro che devono occuparsene siano state adottate forme alternative di decisione in gruppo. In ogni caso si procede con i detentori dei diritti sull'acqua che mettono insieme una compagine di addetti all'irrigazione, che a loro volta nominano una sorta di distributore capo. I detentori dei diritti devono poi approvare la scelta con un voto a maggioranza (Safinejad, 1985).
Tabella 1. I blocchi di tariffazione per la provincia di Tehran nel 1994. Le tariffe sono in rial per metro cubo, i blocchi di consumo in metri cubi.
5–10 11–15 16–20 21–30 31–40 41–50 51–60 61–70 70+
15 25 30 36 67 100 133 168 300
Fonte: Ministero dell'Energia, dipartimento per le acque urbane e le fognature.
Nel 1997 il cambio era di un dollaro americano per quattromila rial.
Solitamente chi si occupa dei lavori di dragaggio viene pagato in natura, il più delle volte con una quota dell'acqua.
In un villaggio del Gonabad, nel nordest, ogni singolo campo viene irrigato ogni quattordici giorni in estate ed ogni ventuno nelle altre stagioni. Il pagamento per chi draga si effettua aggiungendo una quota, ossia un giorno, prima che un campo venga irrigato ed assegnando a chi fa la manutenzione questo giorno in più. In un altro villaggio, sempre nel Gonabad, si aumenta il periodo tra due turni da sedici a diciassette giorni, mentre a Ghaylen questo passa da diciassette a diciotto; anche in questi casi il giorno in più serve per pagare chi svolge i lavori di manutenzione (Yazdani, 1985). In un villaggio nella provincia di Yazd, nell'Iran centrale, il gruppo di addetti alla distribuzione era costituito da quattro persone che ricevevano una retribuzione pari a diciotto ore e mezzo di acqua, che potevano usare per i loro campi oppure vendere (Safinejad, 1996).
Nel villaggio di Tafresh una volta successe che un qanat venisse gravemente danneggiato da una grossa piena e che la sua riparazione si rivelasse assai costosa per i poveri contadini che lo possedevano. Il proprietario dei fondi propose loro un accordo: avrebbe pensato lui ai costi per la ricostruzione dell'impianto, in cambio di un giorno in più, in ogni turno, in cui l'acqua sarebbe toccata a lui: ovvero, in cambio di un aumento del periodo di rotazione da otto a nove giorni (Safinejad, 1985).
Nel corso del tempo pagare in denaro è diventato di uso comune, al pari con il pagamento in natura. In un villaggio di Ferduos, come in altre parti del paese, l'acqua viene distribuita da una sorta di "clessidra": un dispositivo che misura l'utilizzo, calcolato in questo caso con il fenjan che è l'unità di misura in uso localmente. Nel 1971 ciascun fenjan d'acqua costava cinquanta rial (0,0125 dollari, al cambio del 1997), che venivano usati per pagare i lavori di manutenzione e di distribuzione. Lo stesso prezzo era praticato in un altro villaggio nel 1976, mentre nei villaggi contadini attorno a Yazd nel 1978 uno joareh di acqua costava mille rial ed il totale pagato dai detentori del diritto ad una quota nella distribuzione arrivava a due milioni e seicentomila rial (seicentocinquanta dollari) (Safinejad, 1996).
Come su descritto, nelle fasi iniziali dello sviluppo di una comunità i compiti da svolgere per la distribuzione dell'acqua vengono regolati in base a norme già esistenti ed alla consuetudine. Infine, quando si forma un'organizzazione mercantile, le transazioni vengono dapprima regolate in natura ed infine in denaro, dopo che la comunità ha raggiunto le fasi finali del proprio percorso di sviluppo.
Ai giorni d'oggi nelle comunità rurali dell'Iran la valutazione in denaro dell'acqua è talmente comune che l'ufficio statistiche del Ministero dell'Agricoltura può facilmente raccogliere informazioni sul prezzo dell'acqua nelle varie parti del paese. Queste informazioni vengono utilizzate per calcolare il costo medio di ogni produzione agricola e suggerire al governo quale debba essere il prezzo garantito per il grano e per gli altri tipi di coltivazione che si voglia incentivare.
Allo stesso modo l'economia privata è piuttosto attiva per quanto riguarda l'estrazione dell'acqua dalle riserve sotterranee. A tutt'oggi i pozzi stanno rimpiazzando i qanat, perché richiedono meno spese e meno tempo per la costruzione. Questo però ha fatto sì che ne venissero realizzati troppi e che questo si traducesse in un eccessivo sfruttamento. Molte falde freatiche si stanno impoverendo e la trivellazione di ulteriori pozzi è stata proibita.
La legge sulla giusta distribuzione dell'acqua autorizza il Ministero dell'Energia ad esercitare un'attività di controllo sul prelievo dai bacini sotterranei. Questa attività di controllo può tradursi in una tassa, calcolata in percentuale sul prezzo del coltivato (Tabella 2). La tassa varia da regione a regione e viene raccolta in denaro. Questo modo di procedere convalida vieppiù la nostra ipotesi che il formarsi di un vero e proprio mercato per l'acqua vada di pari passo con lo sviluppo dell'economia. Dapprincipio il valore di essa viene calcolato usando come termine la derrata alimentare più comune o l'acqua stessa perché queste merci di scambio possono più di altri rendere rapide le transazioni. Infine, con il crescere dell'importanza del commercio nella situazione economica generale, si adottano conteggi in termini di denaro. Almeno in Iran, il mercato dell'acqua sembra essersi sviluppato proprio secondo questa linea.
Tabella 2. Percentuale dei prezzi su ogni coltivazione che il Ministero dell'Energia autorizza a trattenere per le spese di supervisione sulle acque
Grano 0,25
Riso 0,6
Arance, datteri, verdure 0,85
Pistacchi e mandorle 1,0
Alberi da frutto 0,8
Altre 0,5
Conclusioni
Nonostante il fatto che l'acqua rappresenti un bene sacro nella cultura islamica e che le sue fonti naturali siano per la legge islamica di proprietà comune, il mercato ha svolto comunque un importante ruolo nel controllo della domanda e dell'offerta di acqua, fin dai tempi del sorgere dello stato islamico in Arabia.
Giurisprudenza e legislazione sul diritto di proprietà nell'Islam consentono a coloro che sostengono sforzi e spese per attingere acqua da fonti di proprietà comune di godere dei diritti di proprietà sull'acqua così ottenuta, sempre che questo non entri in conflitto con i diritti degli altri utilizzatori. Un simile riconoscimento permette di scambiare acqua con altri beni: permette che si formi un mercato dell'acqua, caratterizzato da una molteplicità di forme organizzative osservata in tutti i paesi musulmani.
Nel primo stato islamico, tuttavia, la costruzione di dighe e la creazione di bacini erano finanziate dal baitulmal. Entrambe le istituzioni, quella privata e quella pubblica, hanno intrapreso e diretto le attività necessarie all'accumulo, al trasferimento ed alla distribuzione delle acque.
I beni pubblici tendono a diventare oggetto di monopolio se la fornitura e la distribuzione del servizio vengono entrambe affidate al mercato. Né la giurisprudenza islamica né le logiche dell'economia giustificano la privatizzazione dell'intero settore delle acque. Al contrario, quello che qui si raccomanda è un coordinamento tra il settore pubblico e quello privato nel controllo delle attività che hanno a che vedere con le acque. Il settore pubblico dovrebbe farsi carico delle spese vive necessarie alla ricerca ed all'accumulo delle risorse idriche, mentre quello privato dovrebbe pensare al trasferimento ed alla distribuzione. Si può prevedere l'instaurarsi di un efficiente sistema di prezzi, se le leggi ed i valori islamici si affermeranno sui mercati. Il prezzo così determinato potrà servire come tariffa per le acque fornite e vendute dl settore pubblico, coprendone tutti i costi operativi. Nella pratica corrente non dovrebbe essere introdotta alcuna discriminazione nella tariffazione delle acque. Questa proposta è coerente con la legislazione e la giurisprudenza islamiche, e con il modo in cui domanda ed offerta di acqua si manifestano in Iran.
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Paventare che una repubblica delle banane possa diventare quella che ad oggi è una grande Nazione non allineata, una delle prime ad opporsi all'imperialismo usraeliano e dei suoi fedeli lacché (per fortuna tante altre nazioni civili, ad esempio dell'America del Sud, stanno oggi seguendo l'esempio iraniano), una Nazione che eccelle in ambito scientifico e in ambito culturale, una Nazione in cui le donne sono in prima linea in tutte le attività della società, una Nazione che tutela gli umili e più deboli, una Nazione i cui leader politico religiosi sono amati dalla gran maggioranza della propria popolazione, tutto ciò è una pura chimera.
RispondiEliminaTra l'altro c'è una fondamentale differenza: dove delinquenti d'ogni risma occupano i più alti posti nella società delle banane, continuando impunemente a delinquere, in Iran questi penzolano dalle gru.
Chi scrive su questo blog evita, nei limiti del possibile, di usare il vocabolo che nel linguaggio corrente indica lo stato che occupa la penisola italiana. Raggiungere effetti emetici sui lettori non lo interessa.
RispondiEliminaLa Repubblica Islamica dell'Iran è invece citata il più delle volte col nome che le spetta, e se ne discute in modo oggettivo e senza nasconderne i demeriti. Questo, non perché vi vige la pena di morte, sulla quale vi sarebbe non poco da ridire, ma nonostante vi viga la pena di morte.