lunedì 2 marzo 2009

Maurizio Gasparri: "E' ora di liberare Firenze dagli ebrei"


Il capoqualcosa degli scaldasedie del Piddì con la elle ha rilasciato oggi una dichiarazione molto chiara circa l'impegno del governo contro la criminalità ebraica, che da anni mina alle basi la convivenza civile nella città di Firenze.
Suona plausibile, vero? Avrebbe scatenato un putiferio diplomatico lungo almeno un mese.
Il titolo giornalettistico in oggetto esiste davvero, ed è stato pubblicato sull'edizione odierna de "La Nazione", ultrasecolare bollettino della pochezza occidentale edito a Firenze, nelle pagine della cronaca di Prato.
Nella versione originale, in effetti, è un po' diverso dal titolo di questo post, e recita "E' ora di liberare Prato dai cinesi".
I cinesi sono il capro espiatorio di una situazione economica e sociale di cui i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana non dovrebbero incolpare altri che loro stessi.
Una titolazione del genere permette innanzi tutto di concludere che la libertà di linciaggio di cui i mass media godono nella penisola non ha alcun vero limite.
Un proponimento come quello di Gasparri è funzionale alla raccolta di voti e dunque al mantenimento al potere della lunare classe politica partorita da vent'anni di ingrasso irresponsabile e demente; ormai non vale neanche più la pena di sottolineare come, per i mangiatori di spaghetti del Piddì con la elle, esista una correlazione lineare tra appartenenza etnica e propensione a delinquere, perché il concetto è ampiamente condiviso dalla maggioranza dei sudditi.
I sudditi, si capisce, credono ai giornali e sono capacissimi non solo di avere anche la televisione in casa, ma di tenerla anche accesa.
A chi non si considerasse un suddito, consigliamo la lettura di un volumetto sorprendentemente edito da Rizzoli. Chi ha paura dei cinesi? è un'inchiesta che Mario Portanova e Lidia Casti hanno condotto muovendosi per le comunità cinesi della penisola italiana, la prima delle quali iniziò a formarsi a Milano a metà degli anni '20 del XX secolo. La prima preoccupazione degli autori è quella di fare tabula rasa dei luoghi comuni da anni instillati nei sudditi da un sistema mediatico perfettamente alla bassezza della situazione; la descrizione della comunità cinese viene descritta con partecipato realismo e con assoluta obiettività.

Il sito della Associna ne presenta questa recensione, che riportiamo integralmente.

Si tratta di un libro d’inchiesta e d’approfondimento, incentrato soprattutto sull’area milanese, epicentro del ciclone mediaticonella nota zona di via Paolo Sarpi. Al libro ha contribuito anche Associna, ponendosi come intermediario e referente ai quesiti posti dagli autori.
La storia contemporanea insegna: la carta stampata e i telegiornali sono le principali fonti di angoscia e paura che la tecnologia moderna abbia mai creato, da quel 11 settembre del 2001 la campagna mediatica contro il terrorismo Medio-Orientale ha toccato apici altissimi, rendendo le persone originarie di quelle terre tutte dei potenziali e temibili terroristi.
Due anni dopo i soggetti cambiano, ma non i sentimenti di timore verso l’ignoto: scoppia la Sindrome Respiratoria Acuta, una forma atipica di polmonite meglio conosciuta come SARS. Nonostante gli 8.273 casi mondiali (solo 7.429 nell’area circoscritta di Cina, Hong Kong, Taiwan) e il tasso di 9,6% di mortalità (incidente per lo più su anziani con altre gravi patologie), la paura del pericolo giallo, della Cina e soprattutto dei cinesi ha avuto il suo boom, e non ha cessato di espandersi. Neanche oggi.
Cambiano le notizie, ma il processo di alimentazione di fobie e leggende metropolitane non si arresta. La ferita causata da una reazione esasperata dei commercianti di via Paolo Sarpi è ancora aperta, la sinologa e documentarista Lidia Casti assieme al giornalista Mario Portanova cercano con questo libro di entrare in questo squarcio di vita parallela, in una comunità tanto sulla voce di tutti quanto veramente poco conosciuta.
Ogni capitolo ha un incipit con argomenti caldi, a volte stravaganti ma non troppo: lo scopo principale è mettere in risalto e in ridicolo i vari luoghi comuni che circolano riguardanti i cinesi. Gli autori le sminuiscono con facilità e scioltezza, l’approccio logico è efficace, sembra quasi di assistere a una serata cabaret per quanto siano dissacranti nello smantellare le dicerie del “sentito dire”. Cito un esempio su tutti: la leggenda dei cinesi che non muoiono mai è un inquietudine costante nell’immaginario italiano, tanto da alimentare storie di traffici e passaggi di documenti da un connazionale scomparso a un altro. Pagine di smentite e dati statistici alla mano confermano una realtà piuttosto giovane, cinesi che mediamente hanno poco più di 30 anni, dove le fasce dei over 65 anni è veramente esigua, grazie anche al fenomeno del ritorno in patria al momento della pensione. Un target di popolazione che difficilmente verrà colpito da morti. Una tesi già argomentata da Associna in un articolo di due anni fa. Infatti le percentuali di morti bianche o per incidenti/malattie è pari a quelle di altre comunità straniere in Italia, se non addirittura minore; più basso proprio perché i settori abituali dei cinesi non sono così rischiosi come quello edile o metallurgico, infatti il testo afferma ironicamente: “L’impalcatura uccide più della cucina, una pressa è più pericolosa di una macchina da cucire”.
Gli autori ci invitano anche a collegarci sul sito dei servizi cimiteriali romani dell’AMA e cercare qualche cognome cinese.
Nei capitoli successivi c’è né per tutti i gusti, sufficientemente ricchi da saziare qualsiasi domanda strana a cui molto spesso, noi cinesi di seconda generazioni, siamo indirettamente tenuti a rispondere ai soliti amici italiani indiscreti: che fine fanno i passaporti? Cosa fanno i cinesi chiusi nelle proprie comunità urbane? Da dove arrivano tutti quei soldi? Esiste la criminalità organizzata, e a quali livelli? Cosa si fa nei centri per massaggi? Perché fanno fatica a integrarsi e a capire l’italiano?
In questo evince tutta la tenacia e il lavoro sul campo della Casti, che vive e lavora proprio nel quartiere Sarpi. I testi riportano con accuratezza tutti i passaggi on the road, dall’approccio con i negozianti della zona, alle vere e proprie interviste a personaggi di un certo rilievo all’interno della comunità italiana e cinese. Indirettamente il libro è una rassegna stampa della storia della diaspora cinese in Italia, partita negli anni ’30 dai primi cinesi sbarcati dalle navi per poi guadagnare i primi soldi da venditori ambulanti; come la storia del novantenne Sun Mingquan e della consorte Chen Yuhua, che hanno aperto le loro porte di casa per condividere un pezzo del diario di famiglia, una vera e propria chicca che gli autori non si sono fatti sfuggire e hanno riportato tutto per filo e per segno.
Inedita è anche la storia del primo capitolo: si parla di padre Antonio Tchang Kan-I, considerato l'unico partigiano cinese della Resistenza italiana, e di 116 suoi connazionali rinchiusi in alcuni edifici di Torretta (paesino tra i monti abruzzesi) improvvisato come campo di concentramento per i cinesi durante il fascismo. La sorte per padre Antonio fu clemente, arrestato la mattina del 22 ottobre 1943 e condannato a morte per porto d’armi, riuscì comunque a fuggire durante un bombardamento dell’aviazione inglese e a tornare in patria.
È un libro sincero che non guarda in faccia a nessuno, ammette le debolezze e i difetti dei cinesi residenti in Italia e delle seconde generazioni, ma ne apprezza senza troppi misteri anche i diversi pregi, che molte volte vengono nascoste da chili e chili di cellulosa. Una paura dilagante che colpisce tutte le fasce d’età, e che non ha motivo di esistere se non per mancanza di conoscenza reciproca. Una conoscenza tutt’altro che proibitiva, questo libro ne è una dimostrazione lampante. Difficilmente un cinese di seconda generazione si troverà in disaccordo con le loro esposizioni, tutto al più sorriderà leggendo il tentativo degli autori di romanzare e rendere epici certi episodi di vita quotidiana, come una partitella di calcetto in via Bovisasca tra giovani ragazzi nella tarda sera dell’interland meneghina. Un fatto inusuale per un osservatore esterno, semplice passione in campo per Mario, Luca, Francesco, Enrico, Paolo, Alessandro…L’opera in questione si porta una grossa eredità, quella di smentire tutte le miriadi di leggende metropolitane che non hanno né capo né coda. Un fardello che sicuramente non spazzerà via, ma sicuramente è un primo passo per risanare un’immagine ingiustamente macchiata, quella nostra, dei nostri genitori, dei nostri avi e dei nostri discendenti.
Un'eredità ingiusta, che sicuramente sarà resa meno amara grazie al nostro coinvolgimento tramite Marco Wong e gli altri associni nella stesura del capitolo finale, un messaggio, che viene preso come una "mission" per Associna e altre future associazioni di seconde generazioni cinesi per un futuro più sereno.
Il giudizio globale è positivo, la cura nei particolari e l’assenza di qualsiasi forma di affermazioni infondate ne fanno un testo valido anche per studi universitari, grazie alla ricca dotazione di fonti storiografiche ben documentate nell’appendice del libro.

Lidia Casti e Mario Portanova – Chi ha paura dei cinesi? 233 pag., 9,80 € – Edizioni BUR 2008 (Futuropassato) Rizzoli

Sun Wen-Long

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