venerdì 27 febbraio 2009

La Repubblica Islamica dell'Iran e la coerenza "occidentalista"


Manoucher Mottaki e Mahmoud Ahmadinejad

Nel febbraio 2009 la Repubblica Islamica dell'Iran inizia i test della prima centrale nucleare del paese, la cui costruzione è stata ultimata con l'aiuto russo dopo essere cominciata ai tempi dei Pahlevi con tedeschi e francesi, ed incassa successi diplomatici inauditi perché, dopo otto anni di costosissima occupazione afghana, un'AmeriKKKa avviata lungo la strada che dallo status di Unica Potenza Mondiale porta a quello di Paese Come un Altro e Ci è Anche Andata Bene ha mandato a dire in giro che forse forse prima bombardare e poi discutere non è proprio il miglior modo di farsi degli amici.
Davanti al fatto compiuto i giornalettisti scoprono improvvisamente che i settanta milioni di persone che vivono a Tabriz o a Mashhad non passano la giornata facendo a gara a chi impicca più bambini e diversificano finalmente i toni, riportando i costruttivi proponimenti dell'ambasciatore iraniano nello stato che occupa la penisola italiana.

Si noti la figura atletica di Uncle Sam.
Una silhouette che nella patria dell'obesità possono vantare in pochi.


Nel corso degli ultimi anni proprio trattando della Repubblica Islamica i mass media peninsulari hanno offerto il loro spettacolo abituale: uno spettacolo fatto di servilismo, incompetenza ciarliera, bassezza e cialtroneria. Non che la crisi mondiale e il cambio della guardia negli Stati Uniti li abbiano privati di queste "virtù": si sono semplicemente adeguati al volere del padrone nuovo ed hanno aggiornato gli agenda setting, senza che le loro funzioni di ottunditori mentali e di propagandisti per un monolitico "occidentalismo" d'accatto venissero messe in discussione.
La Repubblica Islamica dell'Iran dispone di un esercito dai mezzi eterogenei: forniture disparate, fondi di magazzino, resti delle spese folli dello Shah, autocostruzioni fatte col reverse engineering ed altre performances da corte dei miracoli. La prospettiva di rendere difficile la vita di eventuali occupanti ricorrendo alla guerriglia e quella di colpire l'economia mondiale minando lo stretto di Hormuz rappresentano in sostanza i principali punti di forza della dottrina militare iraniana. Lo scoperto ed ampiamente pubblicizzato appoggio a Hezbollah e a Hamas, formazioni legittimamente presenti con propri rappresentanti negli organi di governo sottoposti ad elezione in Libano e nei territori palestinesi, nulla toglie al fatto che la Repubblica Islamica, nei suoi trent'anni di esistenza, non soltanto non ha mai mosso guerra ad altri paesi ma ha dovuto sempre lottare, ed a costi umani mostruosi, per difendere la propria sopravvivenza.
A fronte di tutto questo, i mass media e gli yankee di complemento del mondo politico peninsulare non hanno mai cessato di amplificare le menzogne statunitensi sull'"atomica iraniana", che il piddì con la elle a Firenze dava in allestimento proprio nel 2005 secondo la prassi del filosionismo più ebete. Come ripetiamo spesso, la contestazione radicale del colonialismo che ha animato la Rivoluzione Islamica viene considerata dagli "occidentalisti" come pura e semplice espressione di follia. Che la Repubblica Islamica sia un paese in rapida modernizzazione e che abbia con lo stato che occupa la penisola italiana un interscambio commerciale e tecnologico mai cessato nonostante la rovinosa intromissione statunitense sono questioni sulle quali si sorvola automaticamente; neppure ci si pone il problema. Una volta adottata questa linea di pensiero, e soprattutto una volta tacciato di terrorista chiunque ne dissenta (per le motivazioni non vi è alcun interesse; se interesse c'è, è solo per acquisire elementi da riutilizzare in chiave denigratoria), la Repubblica Islamica dell'Iran diventa l'incarnazione contemporanea del Male. Che il vicino Pakistan, il bel modello di democrazia che sappiamo, le armi atomiche le possieda da decenni e le propagandi come "l'atomica dell'Islam" è cosa da non parlarne nemmeno. Probabilmente la "collaborazione" con gli yankee, gabellata per granitica e frutto di esplicite minacce (Richard Armitage disse al generale Mahmood Ahmed: “A voi la scelta: schieratevi con noi o vi bombarderemo fino a farvi tornare all’età della pietra”; Ribbentrop non si sarebbe comportato diversamente) ha "consigliato" pennaioli e politicame vario di chiudere entrambi gli occhi sulla questione.
Il mandato di Mahmoud Ahmadinejad si sta avvicinando alla fine e non si ha notizia di apocalissi all'uranio dalle parti di Tel Aviv. Anche questo pare lo sapessero tutti, tranne i politicanti e le redazioni. Colpevole di aver presenziato nel 2005 ad una conferenza i cui relatori si chiedevano in tutta serietà come potrebbe essere un mondo senza sionismo -convegni in cui si denigrano tutti gli altri -ismi del mondo vengono organizzati a getto continuo senza che nessuno si azzardi a pestare i piedi stile bambino bizzoso- e di aver non solo evidenziato i limiti del sionismo visto non soltanto come l'ultima incarnazione di un colonialismo vecchio stile, ma di aver anche sottolineato con franchezza lo stigma di violenta impopolarità che contraddistingue l'entità sionista nonostante gli sforzi di una macchina propagandistica formidabile, Mahmoud Ahmadinejad è stato oggetto di critiche molto oltre il limite dell'isterico e trattato di conseguenza da tutti i mass media a più ampia fruibilità. Legittimamente eletto, e con una partecipazione al voto che molti suoi corrispondenti "occidentali" neanche si sognano, Ahmadinejad non è mai considerato o definito il Presidente della Repubblica ma il dittatore di un regime.


Un mondo senza sionismo.
Un'iniziativa che non è piaciuta agli autoproclamati certificatori di democrazia.


L'acquiescenza peninsulare verso le imprese criminali dell'ubriacone Bush e della sua cricca di incoscienti e di sionisti sanguinari è arrivata, nel 2005, al suo clou. Un grassone, rivestito senza averne alcun merito con quella credibilità e quella autorevolezza che il potere vuole si riconoscano ai tuttologi dei talk show televisivi, organizza una fiaccolata farcita di potenti alla quale viene data la copertura mediatica che una volta spettava agli eventi epocali e che oggi, invece, si dà ad ogni trovata da due lire con cui la gang strapagata di viziati che fa finta di decidere dei comuni destini puntella la legittimazione dell'esistenza propria e delle proprie clientele.
Bene. I quattro anni trascorsi da allora hanno visto cialtroni di livello internazionale porre in tutta serietà la questione non del se, ma del quando sarebbero stati bombardati gli impianti nucleari iraniani, inviti a tutti i boicottaggi possibili e fiumi di balle passare in video senza la minima contestazione.
Intanto Hezbollah resisteva vittoriosamente all'aggressione sionista mentre yankee ed alleati, con bella concezione della democrazia, delegittimavano in ogni sede diplomatica e politica possibile la vittoria elettorale di Hamas.
Dopo la furfantesca guerra elettorale dei sionisti che ha ucciso più di millecinquecento persone a Gaza, con l'Afghanistan più ingovernabile di prima, con l'Iraq che della Repubblica Islamica è diventato colonia economica e nel pieno di una crisi mondiale da cui non si vede via d'uscita, qualcosa è cambiato. Nella penisola italiana, lo stesso politicame e le stesse redazioni che fino a ieri facevano fuoco e fiamme contro il nemico designato, riconoscono adesso il ruolo prezioso che la Repubblica Islamica dell'Iran può avere per la "pacificazione" dell'Afghanistan.
Un comportamento improntato alla coerenza, come si vede. La storia della penisola ne documenta casi a non finire e c'è dunque da chiedersi se c'entrino qualcosa gli spaghetti o il mandolino.


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