martedì 30 luglio 2024

Alastair Crooke - Esiste il rischio che Kamala Harris possa assumere atteggiamenti più morbidi in politica estera?



Traduzione da Strategic Culture, 29 luglio 2024.

Tempi straordinari: Biden rinuncia alla sua candidatura una domenica pomeriggio con un messaggio che più stringato non si potrebbe, e si chiude in un silenzio che viene infine rotto da un lungo discorso di addio pronunciato dallo Studio Ovale. Lo staff di Biden ha saputo della sua rinuncia solo un minuto prima della pubblicazione del messaggio. Successivamente Internet è stata colpita dai down causati da CrowdStrike, e il capo dei servizi segreti statunitensi ha fornito una versione dei fatti sul tentato omicidio di Trump che ha lasciato entrambi gli schieramenti al Congresso sbigottiti per cotanta incompetenza, sempre che non si possa insinuare qualcosa di peggio.
Tutti sono rimasti sconcertati.
Tutti i media veicolano una realtà distorta e senza un qualcuno di credibile che ci spieghi cosa sta succedendo ci troviamo completamente estromessi dalla realtà. Per ora è impossibile orientarsi. I media si concentrano sempre più su una cosa: "Lasciateci pensare per voi. Lasciateci essere i vostri occhi e le vostre orecchie. Fate diventare la vostra lingua le parole e le frasi nuove che diciamo". Le spiegazioni e le ipotesi che vengono presentate appaiono così poco convincenti da far venire in mente piuttosto un tentativo deliberato di disorientare il pubblico e di allentarne la presa sulla realtà.
Tuttavia, anche se l'essenza del conflitto in corso entro gli Stati Uniti resta nascosta, è caduto un velo su come funziona lo Stato profondo: è opinione diffusa che l'estromissione di Biden sia stata architettata dietro le quinte da Barack Obama, con Pelosi nel ruolo di esecutore: "Possiamo arrivarci [all'estromissione di Biden] nel modo più facile o nel modo più difficile", aveva detto la Pelosi alla cerchia di Biden.
Rod Blagojevich (che conosce Obama dal 1995) spiega allo Wall Street Journal la sostanza di quanto sta accadendo:
Noi [Blagojevich e Obama] siamo cresciuti entrambi negli ambienti politici di Chicago. Sappiamo come va a finire, con i capibastone che spadroneggiano sul popolo. Il signor Obama ha imparato bene la lezione. E quello che ha appena fatto al signor Biden è quello che i capibastone hanno fatto a Chicago fin dai tempi dell'incendio del 1871: selezioni mascherate da elezioni. Io e Obama conosciamo questo tipo di politica alla maniera di Chicago meglio di chiunque altro. Entrambi ci siamo cresciuti in mezzo, e io ne sono stato portato alla rovina.
Anche se i capibastone democratici di oggi possono sembrare diversi da quelli di una volta, che giravano con il sigaro e con l'anello al mignolo, operano allo stesso modo: nell'ombra dei retrobottega. Obama, Nancy Pelosi e i ricchi finanziatori -le élite di Hollywood e della Silicon Valley- sono i nuovi padroni del Partito Democratico di oggi. Sono loro a decidere. Gli elettori, che per lo più sono gente che lavora, sono lì per essere imbrogliati, manipolati e controllati.
Per tutto il tempo, Biden e i politici democratici sono andati dicendo che nella corsa alla presidenza di quest'anno è in gioco la ‘salvezza della democrazia’. Sono i più grandi ipocriti della storia politica americana. Hanno manovrato con successo per scaricare il loro candidato presidente regolarmente eletto... L'inadeguatezza di [Biden] a correre per la rielezione oggi non è una cosa venuta fuori per caso. I Democratici l'hanno insabbiata per molto tempo. Tuttavia dopo il dibattito presidenziale di giugno Obama e i leader democratici non potevano più nascondere le sua condizioni. Il dado era tratto, Joe doveva andarsene.
La Convention nazionale democratica che si terrà a Chicago il mese prossimo rappresenterà lo scenario e il luogo perfetto perché Obama possa finire il lavoro e scegliere il suo, di candidato; non quello degli elettori. Democrazia, no. Politica da boss di Chicago, sì.
Ebbene, sembra che Kamala Harris -che non ha mai vinto le primarie- sia di nuovo in procinto di aggirare il processo delle primarie attraverso una orchestrata nomina per acclamazione. Voci di corridoio suggeriscono che ci sia di mezzo la famiglia Clinton, mentre la famiglia Obama (i padrini della mafia politica di Chicago) è contraria e si agita in silenzio.
È fatta? Sarà Kamala Harris la candidata democratica?
Forse sì, ma se si verificasse una grave crisi internazionale, ad esempio in Medio Oriente o con la Russia, forse le cose potrebbero cambiare.
In quale senso?
Per arrivare dov'è, la Harris "è passata dall'essere un procuratore inflessibile contro il crimine -come lo è stata da procuratore distrettuale in California- a posizioni di estrema sinistra", hanno detto i delegati californiani alla RNC a The American Conservative:
Lei e Gavin Newsom, nel loro percorso in ascesa all'interno del Partito Democratico del 2024, hanno cercato di virare sempre verso l'estrema sinistra. Dovevano mostrarsi come i più estremi in materia di criminalità, di aborto, di iniziative per l'inclusione, di frontiere aperte, di politica economica e di una tassazione a livello di confisca. Tutti temi che nella maggior parte del Paese non funzionano.
La Harris ha preso le distanze anche dalla politica estera di Biden, mostrandosi esplicitamente più comprensiva nei confronti della situazione dei palestinesi a Gaza.
Le strategie di politica estera degli Stati Uniti non sono molto dibattute a livello pubblico e sono considerate di vitale importanza dalla classe dirigente. L'elettorato non verrà a conoscenza di quali intrecci a livello strutturale esse comportino perché si tratta di segreti di Stato. Gran parte della politica statunitense si regge comunque su simili e poco divulgati fondamenti.
Harris imposterà la sua politica estera su basi di questo genere, per esempio la Dottrina Wolfowitz? Si affiderà a queste strutture perché vuole orientarsi verso l'ala progressista del Partito Democratico per quanto riguarda Gaza? Assumerà in tutto le posizioni del partito, rompendo l'atteggiamento bipartisan che è peraltro già sottoposto a forti tensioni?
Lasciamo perdere la questione del riciclaggio di denaro per le spese in politica estera. L'importante è che non si permetta a nessuno di mostrarsi accomodante su politiche e trattati da cui il "mondo libero" dipende strutturalmente da decenni. La posizione dello Stato profondo è questa.
Se la Harris dovesse assumere atteggiamenti più morbidi, gli Stati Uniti non ne sarebbero contenti. Il discorso di Netanyahu al Congresso ha dimostrato chiaramente che il consenso bipartisan di cui lo stato sionista godeva da lungo tempo si è assottigliato. E questo preoccupa i grandi della politica estera.
"Il bipartitismo è l'unico collante che ha permesso alle relazioni con lo stato sionista di resistere", ha dichiarato Aaron David Miller, ex negoziatore per il Medio Oriente e consigliere di amministrazioni tanto repubblicane quanto democratiche. "E il bipartitismo adesso è soggetto a pressioni inaudite". Ha aggiunto: "Se i repubblicani hanno un'idea su cosa significhi essere a favore dello stato sionista, e i democratici invece ne hanno due o tre diverse, la natura dei rapporti con lo stato sionista sarà destinata a cambiare".
Netanyahu era evidentemente ben consapevole di questo rischio. Nel corso del suo discorso ha mantenuto un tono decisamente bipartisan. E il discorso è stato indubbiamente una dimostrazione magistrale della sua sensibilità per le dinamiche psicologiche della politica statunitense. Ha centrato i punti desiderati e ha adottato con circospezione toni e struttura da discorso sullo stato dell'Unione.
Naturalmente non sono mancate le attestazioni di dissenso, ma Netanyahu ha conquistato l'uditorio con quella sua immagine del bivio nella Storia, in cui l'Asse del Male iraniano si staglia di fronte all'AmeriKKKa, allo stato sionista e ai loro alleati arabi. E ha consolidato la sua presa su gran parte del pubblico promettendo che -insieme- AmeriKKKa e stato sionista avrebbero prevalso: "Quando siamo uniti succede una cosa molto semplice: Noi vinciamo, loro perdono. Amici miei", ha promesso, "noi vinceremo".
È stata una riproposizione del solito adagio per cui "lo stato sionista è l'AmeriKKKa, e l'AmeriKKKa è lo stato sionista".
Per la politica estera sono quindi due le questioni sulla candidatura della Harris. In qualità di candidato alla presidenza, la Harris potrebbe scegliere di abbattere, indebolire o mostrare il lato nascosto degli elementi consolidati della politica estera agli occhi dello establishment?
In secondo luogo, quale posizione assumerebbe tutto il baraccone dello Stato profondo se nel prossimo futuro si verificasse una grave crisi internazionale?
In quel caso si alzeranno sicuramente invocazioni affinché sia un esperto in materia di politica estera a prendere in mano la situazione, dato che la Harris non lo sta facendo. Se qualcuno senza esperienza in politica estera dovesse abbattere certe “strutture” politiche su cui si regge tanta parte della politica statunitense, sarebbe un disastro.
Obama sta aspettando il momento di inserire la sua scelta definitiva presentandola come elemento di spicco del Partito Democratico, come sospettano i partecipanti alla Convention del Partito Repubblicano, oppure è convinto che la Harris a novembre non vincerà e -in quanto statista navigato- preferisce raccogliere i pezzi del Partito una volta passata la tempesta, per plasmarlo a suo piacimento?
Per essere chiari, è proprio una crisi internazionale quella che Netanyahu ha inteso iniziare a mettere in piedi durante la sua visita a Washington. Naturalmente, la trattazione sul tema epocale al centro del discorso di Netanyahu sarà portata avanti in silenzio, lontano dagli sguardi del pubblico. Il presidente della Camera Mike Johnson sta organizzando un incontro privato con Netanyahu insieme ad alcuni dei più influenti megafinanziatori repubblicani e dei detentori del potere politico.
Netanyahu ha dichiarato che il 7 ottobre si è trasformato in una guerra contro lo stato sionista, attaccato da ogni dove, e che esso ha bisogno del sostegno e dell'assistenza tangibile del "mondo libero... in un momento in cui è più ferocemente demonizzato che mai".
Hezbollah deve vedersela ogni giorno con le forze armate sioniste, ma è evidente che non è stato né smantellato né scoraggiato. Ed è per questo che lo stato sionista non può trovarsi a vivere con "eserciti terroristici" apertamente dediti alla sua distruzione accampati ai confini e vicino ad essi, si lamenta Netanyahu.
Il contenuto della "crisi imminente" è questo: la futura operazione militare sionista in Libano per allontanare Hezbollah dal confine. Secondo quanto riferito, gli Stati Uniti si sono già impegnati a fornire un sostegno limitato a questo obiettivo militare.
Solo che Netanyahu insiste anche sul fatto che lo stato sionista ha bisogno del sostegno e dell'assistenza tangibile del "mondo libero" anche "per contrastare il regime al centro della minaccia alla sua esistenza: l'Iran". E se l'Iran intervenisse in Libano in risposta a un massiccio assalto sionista? Netanyahu ritrae la cosa come l'arrivo dei barbari contro la civiltà occidentale, tanto per l'AmeriKKKa quanto per lo stato sionista.
Il recente attacco sionista al porto di Hodeida nello Yemen può essere almeno in parte considerato come una anticipazione fatta per mostrare al mondo occidentale che lo stato sionista è in grado di affrontare avversari molto distanti (1.600 km) e che è capace di assicurare il rifornimento in volo per una grande formazione aerea. Il raid ha inflitto pesanti danni al porto. Il messaggio era chiaro: se lo stato sionista può fare questo allo Yemen, può (teoricamente) colpire anche l'Iran.
Naturalmente, colpire l'Iran è una questione completamente diversa. Ed è per questo che Netanyahu sta cercando il sostegno degli Stati Uniti.
C'è una fotografia di Netanyahu e di sua moglie a bordo dell'Ala di Sion, il nuovo aereo di rappresentanza dello stato sionista, in cui Netanyahu mette in mostra sulla scrivania che ha accanto un cappellino da baseball in stile MAGA. Solo che è blu, non rosso, e reca due parole: "Vittoria totale".
"Vittoria totale" significa chiaramente che lo stato sionista "sta vincendo insieme agli Stati Uniti nell'affrontare l'Asse del Male dell'Iran". Gli Stati Uniti sono già stati trascinati nella partita? O gli ambienti della politica estera statunitense sono così distratti dagli straordinari eventi legati alla successione che si stanno verificando negli Stati Uniti e in Ucraina che le élite non possono occuparsi allo stesso tempo anche della Storia al bivio di cui ha parlato Bibi? Staremo a vedere.

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