mercoledì 21 febbraio 2024

Alastair Crooke - Stato sionista: l'Asse della Resistenza ha un piano. Con i fantasiosi stratagemmi statunitensi sono assicurati fallimenti a ripetizione

 


Traduzione da Strategic Culture, 19 febbraio 2024.

  In un discorso tenuto il 13 febbraio 2024 il leader di Hezbollah Seyed Nasrallah ha dichiarato che il partito continuerà l'offensiva sul confine almeno fino a quando non cesserà il massacro a Gaza. La guerra a Gaza tuttavia è tutt'altro che finita. E Nasrallah ha avvertito che anche se si dovesse raggiungere un cessate il fuoco a Gaza, "se il nemico dovesse prendere una qualsiasi iniziativa, torneremo a operare secondo la prassi e le regole cui ci eravamo in precedenza attenuti. Scopo della resistenza è quello di imporre una deterrenza al nemico, e noi reagiremo di conseguenza".
Il Ministro della Difesa dello stato sionista Gallant ha sottolineato che, contrariamente alle aspettative della comunità internazionale, si aspetta che la guerra in Libano continui. Gallant ha dichiarato che l'esercito ha intensificato gli attacchi contro Hezbollah di un livello, su una scala da uno a dieci:
"Gli aerei dell'aeronautica militare che volano attualmente nei cieli del Libano hanno bombe più pesanti per obiettivi più lontani. Hezbollah è salito di mezzo gradino, noi di uno intero... Possiamo attaccare non solo fino a venti chilometri [dal confine], ma anche fino a cinquanta chilometri, a Beirut e in qualsiasi altro luogo".
Non è chiaro quale sia la "linea rossa" che Hezbollah dovrebbe oltrepassare perché lo stato sionista risponda in modo significativamente più intenso, fino a livelli molto più alti; i leader sionisti hanno suggerito che un attacco a un sito strategico, un attacco che porti a gravi perdite fra i civili o un sostanziale sbarramento su Haifa potrebbero costituire il punto di rottura.
Nel nord dello stato sionista sono ora schierate tre divisioni, non una come di consueto; l'esercito sionista ha più forze pronte ad agire sul confine settentrionale che a prepararsi per un'incursione a Rafah, a questo punto. È chiaro, come ha specificato il Capo di Stato Maggiore Halevy, che lo stato sionista si sta preparando alla guerra contro Hezbollah, più che per un'operazione a Rafah.
La minaccia su Rafah è un bluff per fare pressione su Hamas affinché ceda sull'accordo e sugli ostaggi?
In un modo o nell'altro, i capi politici e militari dello stato sionista sono irremovibili: le forze armate sioniste entreranno a Rafah, "prima o poi".
L'attacco sferrato da Hezbollah a Safed contro il quartier generale del comando regionale settentrionale dello stato sionista il 14 febbraio è stato di un tipo diverso dal consueto e ha provocato due morti e altre sette vittime; nello stato sionista viene considerato l'attacco più grave dall'inizio della guerra e Ben Gvir lo definisce una "dichiarazione di guerra". I successivi attacchi sionisti hanno ucciso undici persone, tra cui sei bambini, in una serie di colpi contro villaggi nel sud del Libano, come rappresaglia per il blitz di Safed; il feroce scambio di bordate continua tuttora.
L'attacco contro Safed è andato a colpire in profondità in Galilea; molto probabilmente il suo scopo era quello di segnalare che Hezbollah non ha intenzione di obbedire alle richieste occidentali di accordare allo stato sionista un cessate il fuoco che consenta ai cittadini dello stato sionista evacuati dal nord di fare ritorno alle loro case. Come ha confermato Nasrallah in un duro attacco a quei mediatori esterni (occidentali) che fanno solo i difensori dello stato sionista e non si occupano mai dei massacri a Gaza: "È più facile spostare il fiume Litani in avanti verso i confini, che respingere i combattenti di Hezbollah dai confini fin dietro il fiume Litani... Vogliono che paghiamo un prezzo senza che lo stato sionista si impegni in nulla".
Dato lo stato di cose, i residenti del nord dello stato sionista non torneranno alle loro case, ha fatto capire Naasrallah. E ha lasciato anche intendere che un numero ancora più grande di cittadini dello stato sionista rischia di dover sfollare: "Lo stato sionista deve preparare rifugi, scantinati, alberghi e scuole per ospitare due milioni di coloni che saranno evacuati dal nord della Palestina [se lo stato sionista dovesse espandere la zona di guerra]".
Nasrallah ha così indicato quello che è chiaramente il piano strategico generale dell'Asse della Resistenza. Nell'ultima settimana c'è stata una serie di incontri tra gli alti dirigenti dell'Asse in tutta la regione e Nasrallah sta parlando per conto loro: "Continueremo a combattere lo stato sionista fino a quando non scomparirà dalla carta geografica. Uno stato sionista forte è pericoloso per il Libano; uno stato sionista demoralizzato, sconfitto ed esaurito è meno pericoloso per il Libano".
"L'interesse nazionale del Libano, dei palestinesi e del mondo arabo è che lo stato sionista esca sconfitto da questa battaglia: pertanto, noi ci stiamo impegnando a sconfiggere lo stato sionista".
Detto altrimenti, l'Asse della Resistenza una propria visione sull'esito del conflitto ce l'ha. Ed è quella di uno stato sionista "demoralizzato, sconfitto ed esaurito". Quindi, di uno stato sionista che rinuncia al progetto sionista e che si è riconciliato con l'idea che gli ebrei possano vivere come ebrei tra il fiume e il mare, senza per questo godere di diritti diversi da quelli degli altri che ci vivono. Che sono i palestinesi. Sull'altro fronte esiste un piano strategico occidentale, come riporta lo Washington Post, che gli Stati Uniti e diversi paesi arabi contano di presentare entro poche settimane; è un piano a lungo termine per arrivare a una pace tra stato sionista e palestinesi, che prevede un "calendario" per la creazione di uno "stato" palestinese inizialmente demilitarizzato: "Per forza di cose prevede innanzitutto un accordo sugli ostaggi, accompagnato da un cessate il fuoco di sei settimane tra stato sionista e Hamas. Sebbene possa essere definito "cessazione delle ostilità" o "pausa umanitaria prolungata", tale cessate il fuoco segnerà la fine de facto della guerra secondo le linee e la portata con cui è stata combattuta a partire dal 7 ottobre".
Il piano affronta il tema della Gaza postbellica in termini già noti. Come afferma l'autorevole commentatore sionista Alon Pinkas: "Parallelamente all'annuncio Stati Uniti, Gran Bretagna e forse altri paesi prenderanno in considerazione -e in ultimo pubblicheranno- una dichiarazione d'intenti congiunta in cui riconoscono uno Stato palestinese provvisorio, smilitarizzato e futuro, senza delinearne o specificarne i confini".
"Tale riconoscimento non è necessariamente in contraddizione con la legittima e ragionevole richiesta dello stato sionista di sovrintendere alla sicurezza sull'area a ovest del fiume Giordano nel prossimo futuro... [costituisce] un percorso pratico, con una data tempistica e non reversibile per uno stato palestinese che viva fianco a fianco in pace con lo stato sionista... il cui riconoscimento potrebbe anche essere sottoposto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come risoluzione vincolante. Una volta che i paesi arabi avranno approvato un tale inquadramento, gli Stati Uniti ritengono che né la Russia né la Cina porranno il veto... "Nel contesto della fase di "regionalizzazione", tuttavia, gli statunitensi creeranno un meccanismo di cooperazione per la sicurezza regionale. Alcuni a Washington immaginano una regione riconfigurata, con una nuova "architettura di sicurezza", come antesignana di una versione mediorientale dell'Unione Europea da sviluppare per gradi ai fini di una maggiore integrazione economica e infrastrutturale".
Insomma, eccoci un'altra volta con il Nuovo Medio Oriente!
Persino Alon Pinkas, con la sua lunga esperienza di ex diplomatico per lo stato sionista, ammette: "Vi sembra un piano troppo fantasioso? Non siete gli unici...".
Alla base dell'iniziativa esistono elementi implausibili che si è semplicemente deciso di ignorare. In primo luogo, il ministro delle Finanze dello stato sionista Smotrich ha reagito al piano arabo-statunitense qui accennato affermando che "è in atto un tentativo statunitense, britannico e arabo per fondare uno stato terrorista" a ridosso dello stato sionista. In secondo luogo, (come nota ancora Smotrich): "Vedono i sondaggi. Vedono come la maggioranza assoluta dei cittadini dello stato sionista si opponga a questa idea [di uno stato palestinese]"; in terzo luogo, circa settecentomila coloni sono stati fatti stabilire in Cisgiordania al preciso scopo di impedire la nascita di un qualsiasi stato palestinese.
Gli Stati Uniti hanno davvero intenzione di imporre tutto questo a uno stato sionista ostile? E in che modo?
Inoltre, dal punto di vista della Resistenza uno "stato" palestinese provvisorio, smilitarizzato e futuro, senza confini delineati o specificati, non è uno stato. È un bantustan puro e semplice.
La realtà è che quando uno stato palestinese poteva costituire una prospettiva concreta, almeno vent'anni or sono, la comunità internazionale ha chiuso volentieri un occhio -e lo ha fatto per decenni - sul totale e riuscito sabotaggio del progetto da parte dello stato sionista. Oggi le circostanze sono molto cambiate: lo stato sionista si è spostato molto a destra ed è in preda a una passione escatologica per espandere il territorio che controlla sull'intera "Terra di Israele".
Gli Stati Uniti e l'Europa devono incolpare solo se stessi per il vicolo cieco in cui si sono cacciati. E una posizione politica come quella delineata da Biden sta chiaramente causando danni strategici incalcolabili agli Stati Uniti e ai loro compiacenti alleati europei.
Anche per quanto riguarda il Libano è bene essere chiari: lo stato sionista pretende dal Libano ben più che un cessate il fuoco reciproco. Non c'è alcuna garanzia, anche se si dovesse raggiungere un cessate il fuoco a Gaza come parte di un accordo globale per la fine della guerra, che Nasrallah accetti di ritirare tutte le sue forze dal confine con lo stato sionista o, viceversa, che lo stato sionista onori gli impegni.
E con gli Stati Uniti che per "soluzione" al problema palestinese intendono una improbabile entità palestinese provvisoria, disarmata e del tutto impotente incastonata all'interno di uno stato sionista dotato di ogni forza armata e che esercita "il pieno dominio della sicurezza dal fiume al mare", non sarebbe sorprendente se Hezbollah scegliesse piuttosto di perseguire il piano dell'Asse che punta a un post-sionismo sconfitto ed esausto. Il commentatore sionista Zvi Bar'el scrive:
"Anche se le ipotesi statunitensi dovessero diventare un piano operativo, non è ancora chiaro quale politica adotterà lo stato sionista per il Libano. Anche allontanando Hezbollah in modo che le cittadine dello stato sionista non siano più nel raggio d'azione dei suoi missili anticarro, non si elimina la minaccia di decine di migliaia di missili a medio e lungo raggio. L'equazione di deterrenza tra stato sionista e Hezbollah continuerà a determinare la realtà lungo il confine".
[L'attuale ipotesi operativa degli Stati Uniti, presentata dall'inviato speciale dell'Amministrazione Amos Hochstein nelle sue precedenti visite in Libano, "è che un accordo sulla definizione dei confini tra stato sionista e Libano porterà al riconoscimento definitivo e completo del confine internazionale, togliendo così a Hezbollah la base formale per giustificare la sua continua lotta contro lo stato sionista per liberare i territori libanesi occupati. Allo stesso tempo, consente al governo libanese di ordinare al proprio esercito di prendere posizione lungo il confine per affermare la propria sovranità sull'intero territorio ed esigere che le forze di Hezbollah si ritirino dalle zone di confine".
Si tratta soltanto di un altro proposito velleitario e fantasioso. E contiene un vizio di fondo: il piano operativo di Hochstein non include un accordo sulle fattorie di Sheba'a, ma solo sulla Linea Blu, il confine concordato nel 2000, ma che non è riconosciuto dal Libano come confine internazionale. Se la questione delle fattorie di Sheba'a non viene risolta, Hezbollah non andrà a vincolarsi a un accordo di demarcazione limitato e che ometta quella zona.
Dopo l'attacco di Hamas allo stato sionista del 7 ottobre ogni stratagemma, ogni protocollo tirato fuori da qualche armadio ammuffito dell'Ala Ovest e a cui gli Stati Uniti si sono aggrappati è fallito. Quella che doveva essere un'operazione militare limitata e compartimentata a Gaza da parte delle forze armate sioniste si è trasformata in una tempesta di fuoco regionale. Le portaerei inviate per dissuadere altri attori dal farsi coinvolgere hanno fallito per quanto riguarda gli Houthi; le basi statunitensi in Iraq e Siria sono diventate bersagli, e gli attacchi alle basi statunitensi si susseguono nonostante i tentativi degli Stati Uniti di sferrare "colpi" di deterrenza.
È chiaro che Netanyahu sta ignorando Biden e "sfidando il mondo", come testimoniano i titoli dei giornali di questa settimana:
"Sfidando Biden, Netanyahu raddoppia la posta nei piani per combattere a Rafah" (Wall Street Journal)
"Lo stato sionista mette alle strette Rafah, Netanyahu sfida il mondo" (Washington Post)
"Gli Stati Uniti non sanzioneranno lo stato sionista per l'operazione a Rafah che non rispetta i civili" (Politico)
"L'Egitto costruisce una cinta muraria al confine mentre incombe l'offensiva sionista; le autorità stanno facendo delimitare un'area nel deserto con muri di cemento come soluzione di emergenza per un possibile afflusso di rifugiati palestinesi" (Wall Street Journal)
Netanyahu ha promesso di andare avanti e il 14 febbraio ha detto che lo stato sionista avrebbe organizzato una "massiccia" operazione contro la città di Rafah, una volta che i residenti fossero stati "evacuati". I sionisti dicono esplicitamente che la Casa Bianca non si oppone al blitz di Rafah, a condizione che ai palestinesi sia data l'opportunità di "evacuare". Verso dove non si sa; intanto l'Egitto sta costruendo un campo profughi dal proprio lato del confine, con muri di cemento tutt'attorno...
A questo punto, tutti i vari problemi degli Stati Uniti -la polarizzazione politica, l'allargamento della guerra, i finanziamenti per le operazioni militari, l'alienazione tra gli elettori arabi degli swing-state e l'affossamento della credibilità percepita di Biden- cominciano ad alimentarsi e a rafforzarsi a vicenda. Quella che era nata come una questione di politica estera -la sconfitta di Hamas da parte dello stato sionista- è diventata una grave crisi interna.
La disapprovazione diffusa negli Stati Uniti verso la condotta bellica dello stato sionista sta alimentando la crescita di importanti movimenti di protesta. Chi può davvero credere che l'ennesimo viaggio di Blinken nella regione a questo punto potrà risolvere qualcosa, si chiede Malcom Kyeyune?
È difficile dire quale sarà la situazione nella regione tra un paio di mesi. Siamo entrati in un periodo di violenti rivolgimenti e le forze che stanno distruggendo il vecchio status quo si rafforzano a cascata reciprocamente.


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