martedì 17 agosto 2021

Sul ripristino dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan


Il 15 agosto 2021 è stata una di quelle giornate, di solito piuttosto rare, in cui la consapevolezza di un avere ragione pluridecennale poteva portare ad affermazioni recise e giudizi avventati. 
Una di quelle giornate in cui le persone serie che hanno sempre sostenuto la demenzialità delle intraprese statunitensi hanno provato la forte tentazione di infierire.
Negli USA a ritrovarsi col cerino in mano è stato un certo Joe Biden, mandato in televisione a dire che la missione era finita, gli USA avevano "regolato i conti" con chi li aveva attaccati, e che di rimanere in Afghanistan non c'era più ragione. 
A fronte di quanto sono andati sbraitando per tutto questo tempo, si tratta di una virata di centoottanta gradi.
Il secolo ameriKKKano, lo scontro di civiltà, l'esportazione della democrazia? Dobbiamo esserceli sognati. 
Anche i vent'anni di gazzette che ringhiavano a comando contro chi avanzava qualche obiezione agli stessi concetti devono essere stati frutto di qualche pessima nottata. Eppure eravamo abituati a sentirle bollare come terrorista chiunque non procurasse un reddito ai loro padroni.
E che dire del "libero mercato" e della "mano invisibile" che lo regola? Imponendo questa weltanschauung sono stati distrutti sistemi sociali interi, ma i soli USA buttano duemila miliardi del sciàààcro denaro dei contribuenti [*] nell'occupazione afghana per alimentare l'economia privata dei contractors prima ancora che l'industria bellica vera e propria. A quanto pare in questi casi la mano invisibile è bene che vada a frugare da qualche altra parte.
In vent'anni i governi dello stato che occupa la penisola italiana hanno stanziato per questo splendido affare quasi nove miliardi di euro. Chissà quale contenuto prevarrà -nello sporco che lorda le "reti sociali" e i mass media- per indirizzare in modo conveniente le attribuzioni causali dei sudditi. Se la rifaranno con gli immigrati o con il reddito di cittadinanza?
Di starsene in silenzio almeno qualche ora, per non dire di manifestare un minimo di coerenza in forme più incisive, non se ne parla neppure.
I ben vestiti del democratismo rappresentativo, le sveltissime dal prosecco facile, i sovrappeso delle gazzette, gli scarti di apericena che si arrogano il diritto di fare da cassa di risonanza (a volte per retribuzioni degne della miserabilità dell'opera) a chi decide dei destini altrui farebbero meglio a sperare che gli afghani non pensino di restituire loro con porto assegnato qualche partita di democrazia da esportazione, usando gli stessi corrieri impiegati per la consegna di merce tanto indesiderata quanto scadente.  
Dante Barontini ha pubblicato su Contropiano la traduzione completa del discorso tenuto dal presidente degli Stati Uniti, accompagnandola a una prefazione che definire sprezzante è persino generoso. 
Intanto che la rotta "occidentale" assumeva connotati topeschi, punteggiata di scene tragiche e ignobili, pare che in contesti un po' più seri sia stata conservata senza difficoltà la calma necessaria a non prendere nemmeno in considerazione la chiusura delle sedi diplomatiche.
I vent'anni trascorsi dall'aggressione statunitense -chi non collaborava veniva minacciato di essere riportato all'età della pietra- non sono serviti agli USA e ai loro camerieri più o meno volenterosi per trarre insegnamento dagli errori.
Chissà che per i loro avversari, oggi assai più forti di allora, non sia invece vero il contrario.



[*] Da intonare con la voce del vecchietto dei film western.


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