venerdì 1 febbraio 2019

Alastair Crooke - Inizia in Medio Oriente un processo di ricomposizione di vasta portata. Gli esiti della guerra in Siria si ritorceranno contro chi l'ha voluta.



Traduzione da Strategic Culture, 14 gennaio 2019.

Il Medio Oriente sta cambiando volto. Stanno emergendo nuove linee di faglia; nonostante il teatro sia nuovo, i falchi della politica estera di Trump stanno ancora cercando di mandare in proiezione film già visti.
Uno di questi film già visti è il sostegno degli USA a favore degli stati arabi sunniti, da guidare verso il confronto con quell'Iran cui è affidato il ruolo del cattivo. La squadra di Bolton sta tornando al Clean Break, il vecchio copione del 1996, come se nel frattempo nulla fosse successo. I funzionari del Dipartimento di Stato hanno deciso che il discorso che il Segretario Pompeo ha tenuto al Cairo il 10 gennaio era stato "programmato per dire al pubblico -anche se Pompeo non poteva fare il nome dell'ex presidente- che Obama aveva mal cosigliato i popoli mediorientali su quale fosse l'autentica fonte del terrorismo, quella che aveva contribuito anche all'ascesa dello Stato Islamico. Pompeo continuerà a dire che l'Iran è la vera causa del terrorismo, quell'Iran che Obama aveva cercato di coinvolgere. Le bozze del discorso indicano anche che Pompeo avanza l'idea che l'Iran potrebbe prendere lezione dai sauditi in materia di diritti umani e di stato di diritto."
Beh, almeno sarà un discorso che sarà accolto da risate di scherno in tutta la regione. Sul piano concreto le linee di faglia nella regione si sono mosse e non riguardano più tanto l'Iran. I paesi del Consiglio degli Stati del Golfo hanno cambiato agenda, e sono ora assai più interessati a contenere la Turchia e a fermare l'influenza turca che sta facendosi strada in tutto il Levante. I paesi del Golfo temano che il Presidente Erdogan, in considerazione dell'ondata di antipatia viscerale e psicologica scatenata dall'uccisione di Khashoggi, possa mobilitare le reti su cui i Fratelli Musulmani -pieni di nuove energie- possono contare nel Golfo. Far leva sulle preoccupazioni che nel Golfo serpeggiano attualmente sulla situazione economica e inficiare qualunque visione di più ampio respiro quei paesi possano avere consentirebbe di minare il rigido "sistema arabo" del Golfo, che si sostanzia nella monarchia tribale. Per le monarchie del Golfo i Fratelli Musulmani pensano a una riforma in senso islamico ma dai toni morbidi, secondo le linee a suo tempo caldeggiate da Jamak Khashoggi.
I vertici dello stato turco sono comunque convinti che dietro la costruzione della zona cuscinetto curda e dietro il complotto volto a mettere questo mini-stato contro la Turchia insieme allo stato sionista e agli USA ci siano stati gli Emirati Arabi Uniti, e in particolare Mohammed bin Zayed. Comprensibile che adesso i paesi del Golfo che hanno armato in questo modo le aspirazioni curde temano una possibile rappresaglia turca.
E i paesi che fanno parte del Consiglio degli Stati del Golfo pensano che la Turchia sia già al lavoro -in stretta coordinazione con quel Qatar che è protettore del Fratelli Musulmani e membro del Consiglio- per incrementare le divisioni in un Consiglio degli Stati del Golfo ormai al collasso. La situazione fa presagire un nuovo scontro tra Fratelli Musulmani e wahabismo saudita, la cui posta in gioco è l'anima dell'Islam sunnita.
I paesi del Consiglio sperano quindi di mettere insieme un fronte che si contrapponga alla Turchia nel Levante. Per questo stanno cercando di attirare di nuovo il Presidente Assad nel campo arabo, ovvero di riammetterlo alla Lega Araba, e di far sì che agisca -di concerto con loro- come baluardo arabo contro la Turchia.
Il problema in questo caso è chiaro: il Presidente Assad è un alleato stretto dell'Iran, come la Russia e come la Turchia. Fare gli iranofobi alla moda -come vorrebbe Pompeo- impedirebbe ai paesi del Consiglio di mettere in atto il loro piano antiturco. I siriani possono nutrire un giusto scetticismo nei confronti delle iniziative e degli obiettivi della Turchia in Siria, ma dal punto di vista del Presidente Assad l'Iran e la Russia sono assolutamente indispensabili per controllare la incostante Turchia. La Turchia rappresenta un elemento in grado di minacciare l'esistenza della Siria. Cercare di fare pressione su Assad -o sul Libano, o sulla Turchia- perché prendano le distanze dall'Iran sarebbe assurdo. Non succederà nulla del genere, e i paesi del Golfo hanno ancora sufficiente discernimento da capirlo, dopo la cocente sconfitta subita proprio in Siria. La posizione antiiraniana dei paesi del Golfo ha subìto una brusca perdita di potenza, e riacquista vigore solo quando c'è bisogno di lisciare il pelo agli USA.
Insomma, vedono chiaramente che a comandare e a mettere in piedi il nuovo "ordine regionale" del Medio Oriente non è il signor Bolton, ma Mosca, con Tehran e (a volte) Ankara che fanno anch'essi la stessa parte dietro le quinte.
Probabilmente i servizi ameriKKKani sanno -e i paesi del Goilfo ne sono consapevoli- che comunque in Siria non ci sono quasi più militari iraniani, anche se i collegamenti della Siria con l'Iran restano solidi come sempre; questo, nonostante Pompeo e lo stato sionista asseriscano l'opposto e dicano di essere impegnati a respongere duramente ogni "minacciosa presenza" militare iraniana in Siria. In Medio Oriente ci crederanno in pochi.
La seconda notevole linea di faglia che si va delineando è quella che si sta aprendo fra la Turchia da una parte e gli USA e lo stato sionista dall'altra. La Turchia è consapevole -ed Erdogan lo è ancora di più- che Washington adesso è profondamente diffidente e che pensa che la Turchia stia passando sempre più velocemente nell'orbita di Mosca e di Pechino; a Washington sarebbero contenti di sapere Erdogan finito, e che al suo posto si trova un leader maggiormente favorevole alla NATO.
Anche a Washington devono sapere bene per quale motivo la Turchia sta guardando a oriente. Erdogan ha bisogno della Russia e dell'Iran, che agiscano da dietro le quinte in modo da alleggerire le difficoltà che egli si troverà ad avere in futuro con Damasco. La Russia, e ancor più l'Iran, gli sono indispensabili per arrivare a una soluzione politica plausibile per i curdi in Siria. E ha bisogno anche della Cina, che faccia da sostegno all'economia turca.
Erdogan è pienamente consapevole del fatto che lo stato sionista, più che i paesi del Golfo, ambisce ancora alla vecchia idea di Ben Gurion di inserire nella zona nevralgica dell'Asia sudoccidentale e centrale (e ai margini del ventre molle della Turchia) uno stato etnico curdo alleato a quello sionista e dotato di rilevanti risorse petrolifere.
Lo stato sionista ha sostenuto operativamente la formazione di uno stato curdo in modo piuttosto evidente all'epoca della fallita iniziativa di Barzani per l'indipendenza dall'Iraq. Solo che Erdogan si è sempre detto contrario a una cosa del genere; l'ultima volta lo ha detto a Bolton pochi giorni fa. Nonostante questo, Ankara ha ancora bisogno della collaborazione dei russi e degli iraniani per far sì che Bolton rinunci all'idea di un mini stato curdo in Siria. Ankara ha bisogno della Russia per arrivare alla realizzazione di una zona cuscinetto controllata dalla Siria, che prenda il posto della fascia di territorio che ameriKKKani e curdi hanno avviluppato alla sua frontiera meridionale.
Non è comunque probabile che, a dispetto della minaccia concreta che il sostegno armato ameriKKKano ai curdi rappresenta per la Turchia, Erdogan voglia veramente invadere la Siria, nonostante abbia minacciato di farlo e nonostante le "condizioni" poste da Bolton possano finire col non lasciare altra scelta alla Turchia. Di sicuro Erdogan è consapevole del fatto che un'invasione mal condotta della Siria farebbe sprofondare la lira turca, che già si trova in una situazione delicata.
Turchia, Siria, Iran e Russia vogliono che l'AmeriKKKa se ne vada dalla Siria. E per un momento è sembrato che la cosa potesse procedere senza intoppi dopo che Trump aveva accondisceso alle argomentazioni di Erdogan durante la loro famosa conversazione telefonica. Poi però il senatore Lindsay Graham ha sollevato obiezioni, in uno scenario di corali gemiti di angoscia che provenivano dai think tank di politica estera della capitale. Bolton ha fatto marcia indietro sottoponendo il ritiro statunitense dalla Siria a condizioni che sembrano fatte apposta per non poter verificarsi, e senza porre alcuna scadenza in particolare. La cosa al Presidente Erdogan non è piaciuta.
A questo punto dovrebbe essere ovvio che si sta entrando in una fase di profondo rimaneggiamento. Gli USA stanno lasciando la Siria. Il tentativo di Bolton di non effettuare il ritiro è stato respinto. E gli USA, in ogni caso, hanno tradito la fiducia del curdi con la prima dichiarazione di Trump sull'argomento. I curdi adesso guardano a Damasco, e la Russia sta facendo da mediatore per un accordo.
Potrà volerci del tempo, ma gli USA se ne andranno. Le forze curde, ad eccezione di quelle che fanno capo al PKK, verranno probabilmente integrate nell'esercito siriano e la zona cuscinetto non sarà diretta contro la Turchia ma sarà rappresentata da un insieme di forze siriane e di elementi curdi sotto comando siriano sul cui comportamento nei confronti della Turchia saranno comunque i russi a sovrintendere. E l'esercito siriano, a tempo debito, ripulirà Idlib dalla risorta alQaeda dello HTS.
I paesi arabi stanno riaprendo le ambasciate di Damasco, in parte per il timore che le contorsioni della politica ameriKKKana, con la sua radicale polarizzazione e la sua propensione a tornare del tutto o in parte sui propri passi ad opera dello stato profondo possa lasciare i paesi del Golfo improvvisamente privi di sostegno. In concreto i paesi del Consiglio di Cooperazione stanno munendosi contro questo rischio cercando di ricomporre i pezzi del mondo arabo e conferendogli nuovi scopi e nuova credibilità come contrappeso alla Turchia, al Qatar e ai Fratelli Musulmani, antica nemesi siriana.
Esiste anche un altro livello da considerare, secondo quanto scritto dal navigato esperto di Medio Oriente Elijah Magnier. 
Il Levante sta tornando al centro dell'attenzione nel Medio Oriente e nel mondo, e più forte di come era nel 2011. La Siria possiede missili ad alta precisione in grado di colpire qualsiasi edificio dello stato sionista. Assad ha anche un sistema di difesa aerea che prima del 2011 non si era nemmeno sognato, e lo ha grazie alle continue violazioni commesse nel suo spazio aereo dallo stato sionista e grazie al suo perdurante disprezzo per l'autorità russa. Hezbollah ha realizzato basi di montagna per i suoi missili di precisione a lungo e medio raggio e ha creato con la Siria un tale legame che sarebbe stato impossibile arrivarci se non fosse stato per la guerra. L'Iran ha stabilito con la siria un rapporto strategico fraterno, grazie al ruolo che ha avuto nei piani per impedire il rovesciamento dello stato siriano.
Il sostegno che la NATO ha fornito all'espansione dello Stato Islamico ha creato un legame fra Siria e Iraq che né i musulmani né i baathisti avrebbero mai potuto realizzare. L'Iraq ha carta bianca per bombardare le posizioni dello Stato Islamico in Siria senza che i vertici siriani debbano dare il loro assenso, e le forze di sicurezza irachene possono entrare in Siria ogni volta gli pare sia il caso di farlo per combattere lo Stato Islamico. L'asse contrario allo stato sionista non è mai stato più forte di quanto lo sia oggi. Ecco il risultato della guerra imposta alla Siria negli anni compresi fra il 2011 e il 2018.
Ecco. Questa è la terza linea di faglia che sta emergendo: lo stato sionista da una parte, e la realtà che si va consolidando nel nord della Siria dall'altra. Un'ombra che è tornata a perseguitare i primi istigatori della guerra destinata a indebolire la Siria. Il Primo Ministro Netanyahu ha messo tutte le speranze dello stato sionista nelle mani della famiglia Trump. Proprio i rapporti di Netanyahu con Trump -e non quelli con i palestinesi- sono stati presentati nello stato sionista come la parte sostanziale dell'"Accordo del Secolo". Eppure quando Bibi si è lamentato vigorosamente del ritiro statunitense dalla Siria -che a sentir lui avrebbe lasciato la Siria esposta alla dislocazione di evoluti missili iraniani- Trump ha risposto con noncuranza che gli USA forniscono allo stato sionista quattro miliardi e mezzo di dollari l'anno: "E ci starete bene", ha chiuso Trump.
Nello stato sionista l'episodio è stato considerato come un formidabile schiaffo al Primo Ministro. Ma nello stato sionista non possono certo evitare di riconoscere di aver avuto qualche responsabilità in ciò che ha portato alla situazione di cui si lamentano a gran voce.
E per finire, le cose non sono andate secondo i piani. Non è l'AmeriKKKa a plasmare il nuovo "ordine" nel Levante, ma Mosca. E le imperterrite ostentazioni di disprezzo dello stato sionista nei confronti degli interessi di Mosca nel Levante hanno prima mandato in bestia il Comando Supremo russo, e poi lo hanno indotto a dichiarare il quadrante settentrionale del Medio Oriente in pratica una zona a divieto di sorvolo per gli aerei dello stato sionista. Per gli USA e per Netanyahu si tratta di un rovescio strategico di prim'ordine.
In ultimo c'è questo copione che si ripete, in cui il Presidente degli USA fa dichiarazioni di politica estera che vengono quasi sistematicamente contraddette o "corrette" da parte di questo o quel settore della macchina burocratica statunitense, e che rappresenta la massima incognita per il Medio Oriente e anche al di là dei suoi confini. Si tratta di un copione che vede il Presidente isolato, intanto che i funzionari vuotano di autorevolezza esecutiva le sue affermazioni che poi vengono fatte proprie o smentite dall'apparato burocratico. Per quello che riguarda la condotta della politica estera, Trump sta diventando quasi irrilevante.
Ci troviamo davanti a un tacito processo -portato avanti con consapevolezza- per rimuovere passo per passo Trump dalla sua posizione di potere? Siamo davanti a una serie di iniziative che puntano a svuotare le sue prerogative presidenziali, lasciandogli di fatto solo il ruolo di molesto utente di Twitter, senza tirare in mezzo il trambusto e la confusione che comporterebbe una sua formale rimozione dalla carica? Staremo a vedere.
E cosa succederà a quel punto? Come osserva Simon Henderson, non si può essere sicuri di niente. Si resta a chiedersi
"...che ne è del gran tour per le capitali mediorientali del Segretario Pompeo? In breve, Pompeo sta cercando di rivendere e/o di spiegare agli amici degli USA la politica di Trump sull'abbandono della Siria... Amman in Giordania, il Cairo in Egitto, Manama nel Bahrein, Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti, Doha nel Qatar, Riyadh in Arabia Saudita, Masqat nell'Oman e Kuwait City in Kuwait. Accidenti: anche con un jet privato a disposizione e senza dover fare la fila al controllo passaporti, è un viaggio massacrante... Il fatto che siano previste otto tappe in otto giorni probabilmente rispecchia la grande quantità di spiegazioni che c'è bisogno di fornire."

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