venerdì 21 novembre 2014

La Repubblica Islamica dell'Iran dopo il mid-term statunitense



Traduzione da Conflicts Forum.


Le elezioni di mid-term sono venute e passate. Il successo dei repubblicani pare aver superato ogni ottimistica stima. La cosa in che modo si potrebbe riflettere sui negoziati dei cinque più uno con la Repubblica Islamica dell'iran?
Il 6 novembre il Segretario di Stato Kerry, Lady Ashton e Javad Zarif si sono incontrati in Oman per due giorni di negoziati e c'è in previsione un ulteriore incontro più in là, nel caso i colloqui si rivelino fruttuosi. Il 24 novembre si chiude questo supplemento temporale, aggiunto ai sei mesi di negoziati previsti all'inizio.
Non è possibile prevedere come finirà la questione, ma pare improbabile che verrà raggiunto un qualche accordo sostanziale. Sicuramente sono stati fatti alcuni progressi su certe questioni tecniche, ma dai temi fondamentali, vale a dire se all'Iran sarà riconosciuto il diritto di produrre significative quote di energia nucleare tali da rivelarsi sufficienti a soddisfare le sue future necessità industriali o se invece gli toccherà limitarsi alla foglia di fico data da un progetto "pilota" di arricchimento, per quanto tempo ancora (decenni, magari?) resterà sotto esame e soggetto a controlli tutti particolari oltre a quelli del trattato di non proliferazione e se gli accordi porteranno a qualche significativo alleggerimento delle sanzioni da parte degli Stati Uniti, le parti a Muscat se ne terranno assai lontano. Tutte le altre questioni per lo più di carattere tecnico su cui sono stati raggiunti degli accordi, anche se sono molte, non sono sostanziali.
Le elezioni hanno reso il dialogo più difficile ad ambo le parti. Il mantra spesso ripetuto -e non soltanto dai repubblicani- che afferma che le profonde crisi in Medio Oriente ed in Ucraina non sono riflesso di un mutamento sistemico in corso nel mondo ma sono solo colpa della "debolezza" del Presidente non renderà affatto facile ad Obama imporsi per raggiungere un accordo con l'Iran. Qualunque sia il contenuto di qualsiasi accordo vada profilandosi, possiamo aspettarci che il Presidente Obama verrà accusato di cedevolezza nei confronti dell'Iran, e di essersi ancora una volta comportato da debole. Obama può anche non avere voglia di giocarsi un capitale politico, visto che gli tocca vedersela con tutte le altre avversità sul fronte interno e con un'opposizione repubblicana risorta che controlla entrambe le camere.
Ancora più significativo è il fatto che l'imminente scadenza del tempo a disposizione per i colloqui con l'Iran coincide con l'ascesa dello Stato Islamico e con la necessità di contrastarlo; questo ha reso ancora più significativi i risultati dei colloqui in Oman. Molti esperti commentatori ameriKKKani hanno iniziato ad interrogarsi sui pregi effettivi dell'inveterato assetto delle alleanze che l'AmeriKKKa ha in Medio Oriente, ed in modo particolare in considerazione alla assoluta ambiguità che molti alleati mostrano nei confronti dello Stato Islamico. Questi commentatori suggeriscono una sorta di rifondazione, un qualche cosa che lo stesso Presidente ha invocato più volte: un rimettere equilibrio tra Iran ed Arabia Saudita.
Ora, proprio perché gli alleati storici dell'AmeriKKKa sono in piena azione e si trovano in mezzo ad una guerra contro i loro vari nemici, sarà ancora più difficile per il Presidente degli Stati Uniti pianificare da capo tutte le alleanze. Gli alleati storici hanno messo radici profonde nei think tank e nelle lobby ameriKKKane, e non si possono spazzar via come niente decenni di comportamenti consolidati. Solo che il futuro dell'AmeriKKKa in Medio Oriente dipende molto da ciò che essa deciderà di fare, se rivedere il sistema di alleanze oppure no. In fin dei conti, comunque, la cosa potrebbe anche non essere decisiva per determinare il corso degli eventi.
In Iran, il Presidente Rohani deve anch'egli vedersela con una situazione più difficile. Innanzitutto c'è la questione se l'AmeriKKKa, visto il risultato delle elezioni di mid-term, possa essere considerata un plenipotenziario. L'amministrazione ameriKKKana può essere reputata credibile, nel suo impegno di alleggerire le sanzioni per l'immediato o per un qualche momento futuro? La stampa iraniana fa spesso riferimento al fatto che Wendy Sherman, senza poter garantire su nulla, ha affermato davanti ad una commissione del senato che qualunque accordo sarebbe innanzitutto sottoposto al senato per l'approvazione. In Iran si dà per scontato che il senato si oppporrebbe a qualsiasi significativo allegerimento delle sanzioni: in un recente sondaggio, cui hanno collaborato l'Università di Tehran e quella del Maryland, è venuto fuori che tre iraniani su quattro dicono che

"....Sanno che anche se l'Iran accettasse tutte le richieste statunitensi ed ottemperasse a tutte, gli Stati Uniti lascerebbero in piedi le sanzioni che ora hanno come pretesto il nucleare, ma troverebbero "qualche altra ragione" per farlo. Queste preoccupazioni possono essere aggravate dal fatto che al Congresso è stata presentata una proposta di legge che afferma che in caso si arrivi ad un accordo sul nucleare, le sanzioni potrebbero restare in vigore come ritorsione per quello che il Congresso descrive come il sostegno iraniano a gruppi terroristici, o per le violazioni dei diritti umani commesse nel paese.
Il serpeggiare di questi dubbi limita l'approvazione per certe posizioni. Chi crede che gli Stati Uniti manterranno la parola ed allevieranno le sanzioni pensa anche che l'Iran dovrebbe mostrare maggiore apertura nei colloqui, al contrario di coloro che pensano che gli Stati Uniti troveranno una qualche altra ragione per mantenere le sanzioni. Questi ultimi sono il settantacinque per cento".

In patria, il presidente iraniano viene accusato di aver deluso le aspettative popolari in materia di apertura da parte dell'Occidente, e sul fatto che dai colloqui sarebbe alla fine arrivato un alleggerimento delle sanzioni; in effetti nulla di tutto questo si è verificato. L'ulteriore tornata di sanzioni che gli Stati Uniti hanno imposto mentre i colloqui erano in corso, e mentre l'Iran stava osservando tutti i termini previsti dall'accordo provvisorio, non ha fatto che inasprire questa convinzione diffusa. All'inizio ci si attendeva molto dai colloqui; poi le aspettative si sono ridimensionate e l'eccitazione si è calmata.
Il sondaggio dell'Università del Maryland evidenzia anche il fatto che i colloqui non hanno in nessun modo inciso sull'ampio sostegno popolare di cui godono cose che l'Iran reputa irrinunciabili: il 94% degli iraniani afferma di sostenere il programma nucleare, nonostante l'85% degli interpellati riconosca il fatto che le sanzioni stanno danneggiando l'economia del paese. Esistono ampie maggioranze che considerano inaccettabile che i cinque più uno pretendano che l'Iran faccia a meno di circa la metà delle centrifughe di cui dispone (il 70%) o che debba mettere dei limiti alle sue attività di ricerca nel settore del nucleare (il 75%).
Rohani è un politico: come tutti i politici deve rendere conto al suo mandato. Il suo mandato è chiaro: va bene fare a meno delle armi, e va bene portare a termine l'arricchimento dell'uranio in modo sicuro e salvaguardato. In cambio, però, si deve ottenere la fine delle sanzioni. Il clima politico si sta appesantendo. Gli elettori avevano pensato che con l'ascesa di un presidente con cui l'Occidente si sarebbe potuto trovare a suo agio l'accordo e la fine delle sanzioni avrebbero potuto essere raggiunti in breve tempo; anche lo stesso Presidente e gli stessi negoziatori hanno contribuito a rafforzare le aspettative del corpo elettorale. Adesso, però, in generale si pensa che le cose non andranno in questo modo; questo cambio di atteggiamento avrà probabilmente delle conseguenze politiche, in particolare sul risultato per le prossime elezioni della Majilis.
Rohani all'inizio godeva di un ampio mandato, diventato nel corso del tempo sempre più risicato; anche Rohani deve vedersela con il suo mid-term: deve vincere, o si troverà a dover fronteggiare un parlamento controllato dall'opposizione. Il Presidente sta già cercando di prendere le distanze dai riformisti; questo non significa che si stia avvicinando ai principalisti, ma che sta cercando di creare un proprio areale autonomo; un compito non facile. Rohani è stato maltrattato dalla stampa iraniana per essersi incontrato col Primo Ministro britannico, che in séguito ha pronunciato un attacco abbastanza velenoso contro l'Iran nel corso di un discorso all'Assemblea generale dell'ONU. Questo indica quale sia il clima, in questo momento: prima, se Rohani prendeva iniziative del genere veniva guardato con approvazione. Adesso, invece, gli si manda a dire che incontrarsi con Cameron è stato un grave errore di valutazione.
Il pubblico iraniano guarda ormai con freddezza ai tentativi di Rohani e Zarif di suscitare simpatie in Occidente; si deve trarne la conclusione che i colloqui con i cinque più uno si concluderanno con una rottura? E' possibile che sia così, ma la cosa non è molto probabile. Magari non si raggiungerà un accordo di ampia portata, ma forse si arriverà a qualcosa di più limitato, anche se si cercherà di paludarlo in modo da renderlo abbastanza attraente. In pratica, qualcuno degli accordi tecnici -ma non sostanziali- fin qui raggiunti verrà presentato come risultato principale dei colloqui, e che ad esso farà seguito un allentamento limitato e simbolico delle sanzioni. Paradossalmente il fatto che la montagna partorisca un topolino farebbe comodo a tutti.
Rohani potrà dire di essersi mantenuto coerente con quello che in Iran si considera irrinunciabile, mentre Obama potrà dire che l'accordo permette di gettare le basi per un riequilibrio nella regione; al tempo stesso, e la cosa è importante per l'AmeriKKKa, gli stati del Golfo e lo stato sionista avranno la soddisfazione di constatare che l'Iran rimane soggetto a sanzioni pesanti.
Perché mai Rohani dovrebbe uscire soddisfatto da un accordo del genere? In primo luogo, perché il mondo sta cambiando, e sta cambiando velocemente, cosa che la Guida Suprema ha recentemente sottolineato in un incontro con il Presidente. L'Ayatollah Khamenei ha notato che la predominanza ameriKKKana sta venendo meno, ed ha notato i mutamenti che stanno avvenendo nell'ordine mondiale, cambiamenti che sono sia politici sia intrinseci al sistema finanziario e commerciale. La Guida Suprema non è entrata nello specifico degli aromgenti, ma è probabile che stresse pensando alle manovre attualmente in corso per fondare un sistema finanziario e commerciale parallelo, fuori dalle strutture di scambio basate sul dollaro.
La leadership iraniana si guarda attorno, e quello che vede non è un panorama spiacevole: Assad ed il suo governo sono saldi, le relazioni iraniane con Baghdad non sono mai state tanto strette, gli eventi nello Yemen stanno riservando molte soddisfazioni, e gli iniziali sospetti e la competizione che caratterizzavano i rapporti tra Iran e Russia se ne sono andati dopo il consolidarsi dei rispettivi sforzi in Siria ed in Iraq; la Cina, per giunta, li sta corteggiando entrambi. Lo stato Islamico per molti iraniani è più un problema interno al mondo sunnita che non un qualcosa in grado di costituire una minaccia per l'Iran.
Certo, le sanzioni hanno avuto il loro effetto; solo che in fin dei conti è possibile che esse non verranno mai tolte, neppure se l'Iran cedesse senza condizioni su tutto quanto, cosa che non succederà. Tutto questo è semplicemente il modo in cui stanno le cose. Le elezioni di mid-term statunitensi non faranno altro che rinforzare la sensazione degli iraniani che non c'è altra possibilità: le sanzioni contro Cuba sono un esempio di come, una volta imposte, esse non vengano mai fatte cadere.
E' interessante notare che alcuni fra i più autorevoli quotidiani iraniani sono diventati più favorevoli alla posizione dei principalisti, che sostengono che un accordo limitato sarebbe un beneficio per l'Iran. L'Iran deve semplicemente trovare il modo di aggirare le sanzioni, e le tensioni che l'Occidente ha con la Russia potrebbero spingerlo verso la via d'uscita rappresentata dalle mosse congiunte che Cina e Russia stanno compiendo per realizzare un sistema commerciale e finanziario parallelo a quello basato sul dollaro.
Quindi, un accordo limitato porterebbe i suoi frutti. Gli iraniani dicono di non vedere alcuna prova del fatto che gli Stati Uniti vogliono esacerbare le tensioni, anzi; e se gli Stati Uniti non vogliono far salire la tensione, per quale motivo dovrebbe farlo l'Iran. L'Iran non si sente minacciato, e sembra anche che le sanzioni, in futuro, saranno meno oppressive. Probabilmente l'Iran, dietro questo modo di vedere le cose improntato ad un maggiore ottimismo, deve solo aspettare lo sviluppo degli eventi.
Con questo non vogliamo dire che un accordo anche parziale aprirà la strada alla completa distensione tra Iran e Stati Uniti, o che l'Iran inzierà a collaborare apertamente con gli USA in Iraq ed in Siria contro lo Stato Islamico. L'Iran non farà nulla del genere. Oltretutto, quello che è successo con Cameron ha messo in luce il pericolo che si corre a mostrarsi troppo sensibile nei confronti dei desideri di un Signor Cameron e che è rappresentato dal risentimento popolare. Solo che forse, senza tanto chiasso e fuori dalla vista del pubblico, una qualche tacita intesa con gli Stati Uniti sarà raggiunta. Probabilmente le cose già stanno in questo modo. In fondo, se il Ministero della Difesa degli Stati Uniti può apprezzare il "valore aggiunto" che gli deriva dalla tacita collaborazione con l'Esercito Arabo Siriano, potrebbe vedere con favore un po' di comprensione -che si è sempre in tempo a negare che esista- da parte di Qassem Soleimani in Iraq.
Forse l'accordo vero e proprio con gli Stati Uniti ha perso un po' della sua importanza? O forse non c'è bisogno che siano gli Stati Uniti a rivedere formalmente l'equilibrio dei potere in Medio Oriente, se il Medio Oriente stesso si trova -come di fatto è- nelle condizioni di trovare da solo un nuovo equilibrio, senza che in esso abbia particolare importanza il riposizionamento degli Stati Uniti?

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