domenica 8 settembre 2013

Repubblica Araba di Siria: il coinvolgimento saudita nella guerra ad agosto 2013 secondo Conflicts Forum


Combattenti ceceni in Siria (Fonte: longwarjournal).

Traduzione da Conflicts Forum.

"E' come se... i massimi responsabili politici degli Stati Uniti non avessero imparato nulla da quello che è successo nello scorso decennio. Vogliono rovesciare governanti stranieri che percepiscono come nemici e non si preoccupano nemmeno delle più elementari considerazioni sulle conseguenze. Un intervento in Siria non farà che allargare la zona di instabilità in Medio Oriente ed espandere il raggio delle attività terroristiche. Non riesco assolutamente a capire che cosa gli Stati Uniti stiano pensando di combinare."
Così pensa Alexei Pushkov, presidente della commissione esteri della Duma. Crediamo si tratti di un punto di vista che rispecchia quello di Putin: dal 2003 in avanti i paesi occidentali hanno dimostrato una "incoerenza strategica" e sono pronti a gettarsi in confronti armati senza alcuna consapevolezza delle possibili conseguenze.
Al momento in cui scriviamo nessuna azione militare statunitense ha ancora avuto luogo in Siria. sempre che alla fine si verifichi davvero. Pare che ci sia stato qualche ripensamento stavolta, pur nell'imminenza dell'attacco, sia per la completa mancanza di sostegno popolare -nel caso del Regno Unito mancano sia il sostegno popolare che l'approvazione del parlamento- sia per le lunghe ombre lasciate dalle illegalità commesse nel 2003 nel caso dell'Iraq. Fin qui, comunque, si è avuta l'impressione che gli Stati Uniti fossero decisissimi a lanciare qualche missile da crociera contro la Siria e che il dibattito a Washington abbia riguardato solo il modo di farlo, se come azione una tantum rivolta contro qualche bersaglio di ridotta importanza strategica o come attacco avente l'obiettivo di ridurre in maniera significativa le capacità militari della Repubblica Araba di Siria. Nel caso venisse scelta questa seconda alternativa, cercare di capire quale potrebbe essere la risposta di Assad sarebbe un compito piuttosto lungo. Colpire direttamente l'apparato militare siriano significa suscitare quasi certamente una risposta da part dei siriani, laddove un'azione una tantum potrebbe essere semplicemente assorbita. Mentre l'intenzione che si dichiara in pubblico è quella di tradurre in pratica una concretizzazione "civilizzatrice" degli ideali occidentali, Jeff Feltman (un ex addetto al Dipartimento di Stato oggi assistente del Segretario Generale dell'ONU, e ben noto avversario della Repubblica Islamica dell'Iran) ha lasciato intendere ai suoi interlocutori iraniani durante la visita a Tehran del Segretario Generale che gli obiettivi potrebbero essere abbastanza diversi. Ha detto -e qui pare che stia parlando per gli Stati Uniti, più che per l'ONU- che occorre concretizzare una specie di "equilibrio di forze" tra l'esercito del Presidente Assad e gli insorti armati. Dal punto di vista degli Stati Uniti, indebolire militarmente Assad è fondamentale per sperare di arrivare ad una "transizione", vocabolo che indica eufemisticamente lo svuotamento della carica di Assad di ogni potere esecutivo. Feltman ha praticamente suggerito agli iraniani che nel caso se ne stiano buoni e con le mani a posto intanto che gli Stati Uniti provvedono a pareggiare le forze in campo tramite il prospettato intervento militare, ci potrebbe essere una sorta di compensazione per l'Iran in tutti gli eventuali processi politici a seguire, come Ginevra II. Hanno avvertito l'Iran affinché accetti supinamente ogni mutamento della situazione plasmato a misura degli interessi degli Stati Uniti, in cambio di un non meglio definito ruolo nella messa in opera dei piani degli statunitensi. Sulla base delle esperienze passate, sappiamo che il concetto di "attacco limitato", ovvero l'idea di contenere l'attacco nei limiti di portata prestabiliti, di solito regge alla prova dei fatti non più di qualche minuto. Ci sono sempre delle (buone) ragioni dal punto di vista militare per dare il via ad azioni più consistenti, che servono a ridurre il rischio di una ritorsione, e Feltman ha messo sul tavolo a Tehran anche le ragioni politiche -oltre a quelle militari- per una campagna prolungata.

Non si possono prevedere in nessun caso le conseguenze del lancio di missili da crociera, e anche se a priori simili operazioni vengono considerate veloci ed indolori, nei fatti le cose vanno in questo modo solo poche volte. Si possono comunque fissare alcune prime impressioni: intanto, qualsiasi attacco da parte di una potenza straniera compatterà il sostegno verso i simboli dello stato; persino i dissidenti politici si raccoglieranno attorno ad essi. Un'azione militare statunitense non farà che rafforzare il Presidente Assad, e farà figurare i sostenitori dell'intervento straniero come burattini nelle mani dell'aggressore e come responsabili della rovina della patria. In Siria qualsiasi attacco del genere non farà probabilmente altro che esacerbare la situazione di instabilità e, con i suoi effetti intrinsecamente polarizzatori, renderà meno raggiungibile una soluzione politica perché le spaccature si approfondiranno. Difficilmente si arriverà ad una Ginevra II con questi sistemi, a meno che gli Stati Uniti non siano disposti ad arrivare fino alla completa distruzione dello stato siriano.
A chi assiste dall'esterno appare chiarissimo che l'intervento militare ameriKKKano, nel caso si verifichi davvero, aggraverà le tensioni geostrategiche nella regione. Da una parte la Russia, la Cina, l'Iran e l'Iraq reagiranno negativamente all'intento statunitense di indebolire Assad. La Russia ha già fatto presente che, anche se non interverrà direttamente, intende frapporre ogni sorta di ostacoli all'intraprendenza degli Stati uniti. Dubitiamo che l'Iran cerchera di trasformare il conflitto in una guerra regionale, ma è verosimile che nell'imminenza di un attacco ameriKKKano Iran e Russia aumenteranno il proprio sostegno militare diretto ed indiretto, nonché il proprio sostegno politico, alla Siria. Detto in altri termini, che Russia, Cina ed Iran siano disposti a far vincere facilmente gli USA è fuori questione. La spaccatura geostrategica che li separa dall'Occidente si allargherà: Cina, Russia ed Iran si avvicineranno ancora di più e questo avrà un impatto diretto sulla struttura del gruppo 5+1 che sta cercando di negoziare una soluzione per la questione del nucleare iraniano. E' anche possibile che la questione finisca per troncare le relazioni già tesde all'interno del 5+1. Allo stesso modo è verosimile che si approfondiscano le spaccature a livello regionale, soprattutto nella prospettiva del tentativo saudita di restaurare il mubarakismo in Egitto, di fomentare il clamore contro Assad e di destabilizzare il Libano e l'Iraq. Molti nella regione pensano che la politica saudita guidata dal principe Bandar abbia preteso troppo e stia per crollare su se stessa anche se oggi come oggi può sembrare avviata verso il successo. Le divisioni sono così destinate ad approfondirsi.
L'aspetto meno prevedibile è che le iniziative statunitensi sono spesso intese come se gli Stati Uniti fossero in grado di controllare da soli le loro azioni. Si tratta di un'illusione. In realtà, le iniziative statunitensi suscitano una serie di risposte imprevedibili e nel Medio Oriente di oggi, incattivito e putrido, esiste una quantità di altri protagonisti (alcuni dei quali ci sono sconosciuti) pronti a usare l'intromissione statunitense come punto d'appoggio per dare il proprio contributo al peggioramento generale della situazione.
Tre settimane fa, poco prima della visita di Feltman a Tehran, il capo dei servizi sauditi principe Bandar ha fatto durante un incontro col presidente Putin una proposta fuori dall'ordinario cui è stata data ampia risonanza; molti dettagli sono stati resi noti in Russia. Bandar si è presentato a Putin affermando che qualsiasi accordo il suo paese e la Russia possano mai raggiungere sarebbe vincolante per il regno saudita: Bandar, in pratica, si è presentato come plenipotenziario delegato dal re. Ha poi aggiunto che ogni accordo avrebbe avuto anche l'approvazione statunitense e ha lasciato intendere che la sua missione avesse anche la benedizione degli Stati Uniti. Bandar voleva innanzitutto sottolineare l'esistenza di interessi comuni tra Arabia Saudita e Russia, cosa che dovrebbe tradursi in un comune impegno nel contrastare e indebolire i Fratelli Musulmani e l'Islam radicale in tutto il Medio Oriente. Bandar ha suggerito che sarebbe di comune interesse anche sostenere la giunta al potere in Egitto, e che i sauditi potrebbero sostenere finanziariamente una vendita di armamenti russi all'Egitto. Poi Bandar è venuto al punto essenziale di tutto questo "accordo": ha offerto alla Russia la proposta di controllare insieme il prezzo del petrolio sui mercati mondiali, e di salvaguardare gli interessi russi nel campo del gas, ma soltanto se il Kremlino ritirerà il proprio appoggio al governo di Assad in Siria. Bandar ha assicurato nuovamente Putin del fatto che il nuovo governo siriano, da insediare dopo il rovesciamento di Assad, sarebbe stato sotto completo controllo saudit e avrebbe dunque rispettato gli interessi russi in Siria. Dopo queste carote, Bandar è passato al bastone: quanto Putin sia rimasto offeso e meravigliato dalla straordinaria franchezza di Bandar possiamo solo immaginarlo. Bandar ha detto che i gruppi ceceni che tante preoccupazioni hanno causato alla Russia e a Putin con la loro violenza sono stati sin dal primo momento sotto controllo saudita. Bandar ha aggiunto, come ulteriore chiarimento, che i ceceni che operano in Siria sono un puro strumento di pressione contro Assad, e che egli stesso poteva comandarli a proprio piacimento. Bandar ha poi minacciato implicitamente Putin, affermando che era in suo potere fare in modo che i terroristi minacciassero i giochi olimpici invernali previsti nella località di Sochi. "Posso garantire la sicurezza dei giochi olimpici del prossimo anno. I ceceni che minacciano la sicurezza dei giochi siamo noi a controllarli", ha detto Bandar secondo uno dei rapporti filtrati all'esterno.
Che gli statunitensi abbiano dato il loro benestare a queste palesi minacce di atti terroristici sarebbe una sorpresa. Ma se dobbiamo fidarci di tanto dettagliati resoconti dei colloqui, non sorprende invece quello che si va scrivendo sulle gazzette occidentali circa le crescenti preoccupazioni statunitensi su quanto sta acadendo in Arabia Saudita. Anche in Medio Oriente c'è chi pensa che il regno saudita stia esponendosi troppo e si stia comportando in modo incoerente e disturbato. Gli Stati Uniti non sono stati contenti quando l'Arabia Saudita è parsa incoraggiare il generale Sissi perché facesse resistenza agli ammonimenti ameriKKKani diretti ai suoi generali, perché non reprimessero pesantemente manu militari i Fratelli Musulmani, e ancor meno lo sono stati in séguito, a fronte del linguaggio eccezionalmente duro, e apparentemente diretto proprio contro Washington, con cui alti funzionari sauditi, tra cui re Abdullah, hanno condannato il colpo di stato. Il re ha dichiarato che «[i]l regno prende posizione ... contro tutti quanti cerchino di interferire con gli affari interni dell'Egitto" e ha poi affermato che criticare la repressione posta in atto dall'esercito significava aiutare i "terroristi". Ancora più di recente, per la prima volta Hezbollah ha incolpato direttamente i sauditi per alcune bombe esplose in Libano, destando la preoccupazione di quanti si sono sentiti direttamente chiamare in causa. Viene da pensare che l'Arabia Saudita abbia cercato di cacciare i capi di Hezbollah in un serio ginepraio sul piano della politica interna, per minare le capacità del movimento di combattere in Siria.  Secondo altri commentatori libanesi il chiaro rifiuto dei Sauditi di ammettere qualsivoglia partecipazione di Hezbollah a qualunque nuova compagine governativa in Libano, a qualunque titolo -per rappresaglia contro le iniziative siriane del movimento- stia oggi come oggi condannando il Libano ad un periodo indefinito di stallo politico e più specificamente ad un periodo di grande instabilità e insicurezza. Se Bandar è quello che ha portato i ceceni in Siria -gente che ha decapitato giornalisti occidentali e massacrato curdi, sceicchi sunniti e cristiani, almeno stando a quanto si legge in giro- e oggi sta minacciando di far colpire al terrorismo ceceno i prossimi giochi invernali, gli Stati Uniti e l'Europa hanno davvero qualche motivo per preoccuparsi sul serio.

Nessun commento:

Posta un commento