Grasso, imbecille e brutto. Il declino dell'ameriKKKano medio.
A quattro anni dall'aggressione, due terzi degli statunitensi non sapevano in quale anno gli Stati Uniti avessero invaso l'Iraq.
Traduzione da Asia Times.
I mastini della guerra abbaiano... e il gruppo in ascesa continua diritto per la sua strada. Al G20 di San Pietroburgo, in sostanza, è successo questo. La nazione [del bombardamento] indispensabile, nella persona del Presidente degli Stati Uniti Barack "Linea Rossa" Obama, ha buttato all'aria il tavolo in una riunione che doveva servire ad affrontare gli immensi problemi che affliggono l'economia mondiale.
Roba da froci, le questioni economiche: fatemi arrivare in tempo al mio missile Tomahawk, piuttosto. La dottrina Obama, Yes we scan, Yes we drone [1], ha toccato un punto ancora più basso con la sua "soluzione", yes we bomb, al problema dell'attacco chimico a Ghouta nella Repubblica Araba di Siria, mostrando all'opinione pubblica mondiale nei giorni che hanno preceduto il G20 lo spettacolo da baraccone di un "dibattito" nel Senato statunitense circa i pregi di un'altra tornata di bombardamenti umanitari.
Al pubblico è stato di fatto servito l'agghiacciante spettacolo di una serie di repubblicani del tipo più ebete, stile John McCain e Lindsey Graham, che strizzavano la disperata amministrazione Obama come se fosse una manciata di limoncini. La loro truffa di sapore orwelliano all'insegna dell'"invertire la tendenza sul campo di battaglia" portata avanti dal senescente McCain ha ricevuto la supina approvazione della commissione esteri del Senato. In pratica si tratta di bombardare forsennatamente Damasco in un "periodo ammissibile" di tre mesi, prorogabili. Linea Rossa Obama ha fatto la sua parte assicurando, prima di partire per la Svezia e per il G20, che lo "schiaffo sulle manine" cui pensava lui ci sarebbe stato comunque verso di farlo incastrare con il rovesciamento del governo siriano.
Lo spirito di Machiavelli non avrebbe vocaboli per descrivere l'attesa pregna d'incredulità con cui il mondo aspetta di vedere se la Camera (che secondo RealClearPolitics ha un gradimento del 15%) deciderà, stile impero romano, di mostrare il pollice verso e di autorizzare il bombardamento di una delle più antiche città della storia umana. Certo, la Camera vanta un precedente illustre perché ha plaudito lo shock and awe contro Baghdad, una roba che ha superato quello che combinarono i mongoli nel tredicesimo secolo, in pieno medio evo.
Per di più, tutto questo va contro la volontà del "popolo ameriKKKano" che secondo un sondaggio Reuters/Ipsos sostiene questa boiata nella misura di uno strabordante nove per cento.
Sì bombardiamo. Ma per quale motivo? Il seguente scambio di battute sembra arrivare direttamente da un film dei Monty Python; purtroppo, invece, è tutto vero.
Generale Martin Dempsey, presidente dello stato maggiore congiunto: "La mia risposta a chi mi chiede se sia d'accordo a fornire ulteriore sostegno all'opposizione moderata è sì."Senatore Bob Corker (Repubblicano del Tennessee): "Questo significa essere d'accordo anche con le ulteriori iniziative atte a rispondere all'utilizzo di armi di distruzione di massa."Dempsey: "Non so come evolverà la situazione, ma sono d'accordo."Corker: "Con quale obiettivo. Qual è l'obiettivo che vi prefiggete?"Dempsey: "Non posso dirlo. Non posso dire quale obiettivo abbiamo..."
Può essere che il Pentagono abbia perso la testa. O, meglio, che faccia finta di aver perso la testa. Ma Bandar Bush, l'AIPAC (ovvero lo stato sionista) e consistenti settori del complesso industriale militare sanno esattamente quello che vogliono. E il Segretario di Stato John Kerry non soltanto sa quali siano gli obiettivi, ma anche su quale scrivania andrà a finire il conto di tutto questo: "Se gli Stati Uniti sono pronti a fare tutto il lavoro, come hanno sempre fatto fino ad oggi in altri posti, saranno essi stessi a pagarne le spese. A tal punto arriva in questo il loro impegno".
Libertà di bombardare per tre mesi. Con l'intrinseca via libera all'escalation. Una Operazione Tomahawk col formaggio, ma anche con la pancetta, le cipolle, i peperoncini, la maionese, il guacamole, tutto quanto. Tutto per concessione del principe saudita Bandar bin Sultan, detto Bandar Bush, più i minuscoli comprimari degli Emirati e del Qatar. Cosa c'è che non torna? Ci ha pensato il prezioso Vijay Prashad, autore di "The Poorer nations", a fare i conti con la calcolatrice.
Primo particolare: i sauditi si sono offerti di pagare uno sull'altro tutti i quattrini che servono all'aggressione statunitense contro la Siria. Secondo particolare: in caso di aggressione alla Siria, è verosimile che il prezzo del greggio passi dai 109 ai 125 dollari al barile, soltanto nello scenario iniziale. Se le cose peggiorano è verosimile una stima di centocinquanta dollari al barile. L'Arabia Saudita produce nove milioni e ottocentomila barili al giorno. Questo significa che nel caso di aumenti di prezzo del tipo legato allo scenario iniziale, i sauditi lucreranno centocinquantasei milioni e ottocentomila dollari in più, ogni giorno che passa. Se le cose peggiorano, gli introiti supplementari passeranno a quattrocentoun milioni e ottocentomila dollari al giorno. Davvero un buon affare, grazie al signor Bandar e alla sua cricca di "democratici" sauditi.
Altro dettaglio: ogni missile Tomahawk costa solo un milione e mezzo. Con Bandar Bush che paga a fondo perso, non c'è da meravigliarsi che alla direzione della Raytheon stiano consumando il corrispettivo a fondo perso di champagne Krug.
Paragonato allo sfarzoso matrimonio tra complesso militare industriale e Casa dei Saud, che produce letali missili da crociera perché servano pari pari da forza aerea di AlQaeda, appare irrilevante il minuscolo dettaglio che la milizia sul terreno, i Mujaheddin del Caucaso e del Levante, sia costituita da duri jihadisti ceceni. E altrettanto irrilevante è il fatto che sia Bandar Bush in persona a comandare questa milizia, uno che si è vantato col Presidente Vladimir Putin di essere in grado di comandarli a bacchetta.
Sicché, se questi ceceni sono i burattini di Bandar, sono anche gli amici di Obama, di Kerry, della Rice e della Power. Proprio come gli jihadisti che stanno combattendo per conquistare la cittadina "crociata" di Maalula, un luogo dove ancora si parla in aramaico -la lingua di Cristo- per poter poi passare a decapitare truculenti qualche infedele cristiano.
Che dirà Zbig?
Linea Rossa Obama, comunque, ha già mandato a dire per telegramma che si bombarda, qualsiasi cosa decida il Congresso. Certo, Obama non è che uno zero incapace di trovare Maalula su una cartina geografica, per tacere dei suoi "esperti di sicurezza" della specie di Ben Rhodes. La Siria è un frutto che si deve divorare, e stop. E' troppo indipendente. E' alleata con l'Iran e con la Russia. E poi ci sono quelle sorgenti nel Golan intercettate dallo stato sionista. C'è la possibilità di tornare a punzecchiare la Russia nel Caucaso. La possiblità, nel lungo termine, di destabilizzare lo Xinjiang cinese. La possibilità di isolare Hezbollah, di consentire allo stato sionista di invadere nuovamente il sud del Libano, di aprire la (letale) via per Tehran.
Eppure, le liste delle priorità continuano a rimanere distanti. Il Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan accoglierebbe con favore il rovesciamento del governo siriano, ma è terrorizzato dall'idea che i curdi della Siria guadagningo la totale indipendenza, passando così idee pericolose ai curdi di Turchia. La Casa dei Saud vuole il rovesciamento del governo e basta; con un colpo solo farebbe danni all'Iran, all'Iraq e a Hezbollah. Cosa volete che importi se gli amichetti Allahu Akbar di Kerry e compagnia vanno fuori di testa? Non sono in Arabia Saudita, dove sarebbero una minaccia per la petromonarchia; sicché lasciamoli combattere da qualche altra parte contro gli apostati sciiti.
Esiste un signore che è riuscito, teoricamente, a inoculare qualche minima nozione di realtà delle relazioni internazionali nel cervello di Linea Rossa Obama. Leggiamo cosa pensa di tutto questo. Zibignew "grande scacchiera" Brzezinski è favorevole a qualche "azione militare simbolica". Beh, in una versione a basso costo, potrebbe anche consistere nel paracadutare direttamente Kerry su Maalula.
Il dottor Zbig vuole anche che "si coinvolgano le potenze orientali" che dovrebbero "preoccuparsi molto per i possibili esiti di tutto questo". E in questo ha ragione: il Presidente cinese Xi Jinping ha detto a Putin che è il petrolio a centocinquanta dollari al barile a preoccuparlo. Secondo Zbig, i russi stanno usando "un linguaggio insultante ed aggressivo". Che accusa ridicola: quando Putin ha dato del bugiardo a Kerry si è trattato piuttosto dello understatement dell'anno. Il dottor Zbig è terrorizzato dall'idea che "i russi possano usare questo conflitto, nel caso esso deflagri, per indebolire in generale la nostra posizione in Medio Oriente". Pro memoria: la tua "posizione" è già in pericolo in tutto il mondo, non solo in Medio Oriente.
E quando il dottor Zbig dice che i russi "temono che il Caucaso si stabilizzi" e che "Putin è interessato alle olimpiadi invernali" e che "c'è un punto d'appoggio qui che possiamo usare con intelligenza"; sembra di sentire Bandar Bush cje minaccia Putin di scatenare i suoi ceceni a Sochi nel 2014.
E' più illuminante e senza doppi sensi quello che vuole una "opposizione" siriana manipolata. Si tratta dell'Iran e del suo "alleato terrorista" Hezbollah. Si scorra qui, fino alla pagina sei.
Lo spettacolo di Xi e di Putin
Il gruppo dei BRICS, sia pure immerso fino al collo in questo bailamme isterico, è riuscito a combinare qualcosa di valido al G20. In una specie di incontro al vertice hanno messo a punto una posizione comune che per quello che riguarda la Siria è di assoluta contrarietà alla guerra, anche se il mainstream occidentale si guarderà bene dal riferirlo. Hanno affermato in blocco che la guerra di Obama avrà "un effetto estremamente negativo sull'economia mondiale". Poi sono passati a discutere in gruppo a come accrescere il volume dei loro scambi commerciali utilizzando le proprie valute, a come sviluppare i loro mercati, cosa che era tra gli argomenti in agenda dei russi per questo G20, e a come migliorare le relazioni commerciali. Strategia comune, la ricerca di scappatoie all'egemonia del dollaro statunitense.
I BRICS hanno portato avanti negoziati relativi alla struttura del capitale, alla condivisione e alla governance di una propria banca di sviluppo dotata di un capitale iniziale di cinquanta miliardi di dollari e di un gfondo di emergenza di altri cento; una specie fondo monetario delle potenze emergenti. La banca dovrebbe inziare ad esistere col prossimo incontro dei BRICS in Brasile, nel 2014.
Per quanto riguarda Cina e Russia, c'è anche l'incontro annuale della Shanghai Cooperation Organization (SCO) la prossima settimana. Prima di pensare a questo, e già si parla di duecento miliardi nel commercio bilaterale entro il 2020, Xi e Putin hanno discusso svariati mega progetti -che non riguardano soltanto gli oleodotti in Asia Centrale- e la proverbiale "ulteriore coordinazione strategica internazionale". La veersione ufficiale dei cinesi sulla loro partnership strategica è una bellezza: "Seminare a primavera e raccogliere in autunno".
Come dormire in uno di quei fantastici letti del Four Seasons. Niente scene isteriche, niente "linee rosse", niente missili Tomahawk, niente "credibilità in gioco".
Ecco cosa ha detto Obama nell'agosto del 2012:
Siamo stati molto chiari col governo di Assad, ma anche con gli altri attori presenti sul terreno: c'è una linea rossa che per noi è rappresentata dal veder girare o usare armi chimiche. I miei calcoli e le mie equazioni cambierebbero.
Si noti quel "miei" e quell'altro "mie", che sono lì ad invocare una responsabilità personale precisa, non quella "del mondo intero".
Intanto che Xi e Putin e il loro gruppo fanno rinascere lo spirito della Via della Seta, i mastini da guerra continuano ad abbaiare; e in tutti i posti un'opinione pubblica consapevole inzia a apensare che Obama, evitando di assumersi la responsabilità di quanto disse e chiamando in causa "il mondo intero", si stia comportando anche da codardo.
[1] Intraducibile gioco di parole nell'originale che parodizza lo slogan della campagna elettorale di Barak Obama Yes we can e la frase di Martin Luther King I have a dream, fatta propria dal presidente yankee.
Sì possiamo diventa Sì scansioniamo, e Io ho un sogno diventa Noi sorvoliamo con i droni, arma che ha caratterizzato la dottrina militare statunitense nei primi dieci anni del XXI secolo.
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