Il 24 giugno 2013 un uomo d'affari e politico tra i più influenti della penisola italiana è stato condannato a sette anni di reclusione ed alla "interdizione perpetua dai pubblici uffici".
Nell'ordinamento dello stato che occupa la penisola italiana, questa interdizione è prevista per le condanne superiori ai cinque anni e comporta la perdita del diritto all'elettorato attivo e passivo, dell'ufficio di curatore o di tutore, dei gradi e delle dignità accademiche e di ogni retribuzione statale.
In questo caso, a differenza della stragrande maggioranza dei mustad'afin detenuti che hanno subito lo stesso destino e di cui nessuno si interessa, il condannato può contare su una ricchezza talmente insultante da permettergli di derubricare tutto quanto a seccatura.
La cosa di inaudita e irrimediabile gravità, invece, è data dalla violenta disconferma e dalla stroncatura senza appello rappresentati da tutto questo per i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana, che nel condannato, nei suoi "valori" e nella sua condotta avevano trovato il miglior rappresentante che potessero mai sperare di avere.
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