mercoledì 5 giugno 2013

Repubblica Araba di Siria: Assad sta vincendo la guerra. La rivoluzione che non c'è nel racconto di un attivista liberale.


Repubblica Araba di Siria. Luminarie in una via del quartiere armeno di Aleppo nel dicembre del 2006.

All'inizio del giugno 2013 si viene a sapere da Al Manar che secondo una ricerca commissionata dalla NATO e realizzata da "attivisti filooccidentali" il 70% dei siriani interpellati "è stanco della guerra e detesta gli jihadisti più di Assad".
Prima di questo macello il Presidente Bashar al Assad, quello che secondo la "libera informazione" ha i giorni contati da due anni a questa parte, poteva contare sul sostegno di poco più della metà del corpo elettorale.
Il signor John McCain invece -un pittoresco amriki straricco e testardo cui le disavventure vietnamite devono aver insegnato poco o nulla- è tornato dalla sua passeggiatina in Siria con le pive nel sacco e con pessime novità.
Nello stesso periodo l'esercito regolare della Repubblica Araba di Siria ottiene quello che viene presentato come un considerevole successo militare con la riconquista della cittadina di Qusayr.
Con lo pseudonimo di Edward Dark viene identificato da Conflicts Forum un appartenente alla élite cittadina di Aleppo. Alla fine di maggio compariva a sua firma su Al Monitor l'articolo di cui si presenta qui la traduzione.

Allora, cos'è che è andato storto? O meglio, dov'è che ci siamo sbagliati? Com'è successo che quella che era partita come un'ispirata e nobile insurrezione popolare in nome della libertà e dei diritti umani fondamentali è diventata un'orgia di violenza settaria e sanguinaria, con episodi di depravazione di cui persino gli animali dovrebbero vergognarsi? Tutto questo era inevitabile, ed inevitabile nella sua interezza, oppure le cose non dovevano andare così?
La risposta semplice alla domanda qui espressa sta nell'errore di calcolo -o si è trattato di qualcosa di voluto esplicitamente?- compiuto dai siriani che hanno preso le armi contro il loro governo, una spietata dittatura militare tenuta insieme dal nepotismo e dalla lealtà familistica e settaria per quarant'anni di potere assoluto.
L'ex ambasciatore statunitense in Siria Robert Ford aveva lanciato specifici ammonimenti su tutto questo durante la sua vergognosa visita a Hama nell'estate del 2011, epoca in cui la città si trovava nella morsa di nutrite proteste antigovernative prima di finire travolta dall'esercito siriano. Siamo rimasti sordi agli avvertimenti dell'ambhasciatore; non importa se per esplicito disegno o per un caso; dobbiamo rifarcela solo con noi stessi. Alla fine dei conti siamo noi gli unici responsabili per la rovina del nostro paese, che l'Occidente resti a guardare o meno.
Una volta Nietzsche affermò che "chiunque combatta contro i mostri, deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro". Nel caso della Siria si è trattato di parole davvero profetiche. Nonostante ogni agenda politica, ogni ripulitura, la propaganda e le sfacciate menzogne diffuse dai mass media a livello mondiale, quella cui abbiamo assistito in concreto quando i combattenti ribelli sono entrati ad Aleppo è stata una realtà ben diversa. Ci ha colpito pesantemente. E' stato uno schock, specialmente per quanti di noi avevano sostenuto e avevano riposto fino ad allora fiducia nell'insurrezione. E' stato un tradimento completo.
Secondo noi dei ribelli in lotta contro una tirannia non commettono gli stessi crimini del governo contro il quale si suppone stiano combattendo. Non saccheggiano le case, le aziende e i beni pubblici delle persone per le quali si suppone stiano lottando. Invece, col passare delle settimane ad Aleppo, è stato sempre più chiaro che stava succedendo esattamente questo.
I ribelli hanno sistematicamente saccheggiato tutti i sobborghi in cui sono entrati. Avevano pochissima considerazione per la vita e per i beni della gente; commettevano rapimenti a scopo di estorsione e mettevano al muro tutti quelli che volevano, dopo un minimo di processo sommario. Hanno deliberatamente vandalizzato e distrutto le testimonianze storiche e dell'antichità, e i monumenti caratteristici di Aleppo. Hanno ripulito le fabbriche e le zone industriali portandosi via persino i fili elettrici, facendo bottino di costosi macchinari industriali e di apparati per le infrastrutture e portando tutto al di là del confine turco, vendendo ogni cosa per una frazione del suo valore reale. I centri commerciali e i magazzini sono stati svuotati. Hanno rubato il grano dai silos, scatenando una crisi e facendo schizzare verso l'alto i prezzi degli alimenti di base. Hanno bombardato incessantemente i quartieri residenziali sotto controllo governativo con mortai, razzi ed autobombe, uccidendo o ferendo innumerevoli persone innocenti; per i loro cecchini è diventata un'abitudine uccidere a sangue freddo passanti ignari. Decine di migliaia di persone sono diventate profughi e senza tetto in questa che un tempo era una metropoli commerciale viva, florida e ricca.
Perché è successo tutto questo? Perché si sono comportati in questo modo? Abbastanza presto è diventato chiaro che eravamo noi contro di loro, semplicemente. Loro erano gli abitanti delle campagne marginalizzati; hanno preso le armi e hanno razziato la città cercando vendetta contro quelle che sentivano come le ingiustizie sofferte nel corso degli anni. Non avevano le nostre stesse motivazioni, non volevano libertà, democrazia o giustizia per tutto il paese; il loro era soltanto odio scatenato e voglia di vendetta per proprio conto.
Estremisti e settari per natura, non facevano mistero di ritenere gli abitanti di Aleppo, tutti quanti eravamo, burattini e simpatizzanti del governo, né del fatto che per quanto li riguardava le nostre vite e i nostri beni erano roba di cui disporre liberamente. I signori della guerra profittatori sono diventati padroni di tutto; la loro propensione al saccheggio e alla diffusione del terrore tra gli abitanti ha causato maggior amarezza e livore di quanti se ne provassero contro il governo e i suoi soldati. Se a questo tremendo miscuglio si aggiungono gli estremisti islamici ed il loro aperto schierarsi con AlQaeda e con i suoi orribili piani per il futuro del nostro paese, si può capire che atmosfera regni in città: una soffocante paura primordiale, un misto di terrore e di disperazione.
Ma noi chi siamo, e perché ci sentivamo differenti o migliori di loro? Quando dico "noi" intendo -e so che corro il rischio di passare per classista- il movimento di opposizione che affondava le sue radici nella società civile di Aleppo; per mesi avevamo organizzato proteste pacifiche e distribuito aiuti in mezzo a pericoli considerevoli e a rischio della nostra stessa vita. Credevamo davvero nei più alti ideali di cambiamento sociale e politico, e abbiamo cercato di perseguirli. Abbiamo cercato di prendere a modello il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti degli anni Sessanta, la lotta di Mandela contro l'apartheid, gli insegnamenti di Gandhi; esattamente la stessa cosa che altri movimenti civili dello stesso tipo avevano fatto prima di noi in paesi come la Tunisia e l'Egitto.
Una rivoluzione per noi era una lenta, deliberata e finalizzata lotta per il cambiamento. Come le gocce d'acqua che finiscono continuamente su una pietra e finiscono per spaccarla. L'idea che loro hanno di cambiamento, invece, consiste nel tirare una tonnellata di esplosivo su quella stessa pietra e nel ridurla in briciole insieme a tutto quello che le sta attorno. Noi veniamo per la maggior parte dalla classe media erudita della città. Abbiamo avuto percorsi di vita di ogni genere, venivamo da ogni gruppo settario e da ogni area politica senza questo ci interessasse.
Non abbiamo mai chiesto a questo o a quella da dove venivano o a quale confessione appartenevano. Ciascuno di noi dava ed aiutava con quello o per quello che poteva e secondo le proprie capacità. Il capo del nostro gruppo era un giovane avvocato cristiano: una giovane donna molto attiva e dedita alla causa. Il resto dei volontari che componevano il gruppo erano un microcosmo rappresentativo della società siriana: ragazze col velo, ragazzi sciiti, giovani abbienti e poveri operai che lavoravano tutti insieme per ideali che condividevamo ed in cui credevamo con convinzione.
Durante il periodo della nostra azione alcuni appartenenti al gruppo sono stati incarcerati e feriti; uno è stato anche ucciso. Ecco perché nulla ci ha impressionato maggiormente, e non mi sono mai sentito così triste come quando, poco dopo il raid dei ribelli su Aleppo, ho ricevuto dei messaggi da alcune delle persone con cui mi ero dato da fare. Uno diceva: "Come abbiamo potuto essere così stupidi? Ci hanno tradito!" e un altro "Racconta ai tuoi bambini un giorno che il nostro una volta era un bel paese, e che lo abbiamo distrutto a causa della nostra ignoranza e del nostro odio".
E' stato più  meno a questo punto che l'ho fatta finita con la rivoluzione così com'era diventata, e mi sono accorto che l'unico percorso possibile per salvare la Siria passava dalla riconciliazione e dalla rinuncia alla violenza. Eravamo in molti a pensarla in questo modo ma purtroppo i signori della guerra e gli allibratori del potere, che pensano ancora che si debba versare altro sangue siriano per appagare gli insaziabili appetiti delle loro più sordide aspirazioni, non sono della stessa idea.
Attivisti, intellettuali, uomini d'affari, medici e professionisti qualificati abbandonarono in massa la città, ma altri sono rimasti ed abbiamo cercato di organizzarci sul piano civile fornendo aiuto e opere di soccorso alle innumerevoli migliaia di famiglie che adesso vivevano da profughe all'interno della loro stessa città, in condizioni disperate. Ma era chiaro che tutto stava diventando inutile. Tutto era cambiato; non sarebbe stata mai più la stessa cosa.
Ecco a che punto siamo arrivati in Siria: noi contro di loro, ovunque. Opposizione contro il governo, laici contro islamici, sunniti contro sciiti, pacifisti contro armati, cittadini contro contadini, e in tutto questo bailamme si può star sicuri che è la voce della ragione a finire sopraffatta. Qualunque cosa sia rimasta della Siria, alla fine se la contenderanno i lupi e gli avvoltoi che hanno combattuto sopra il suo corpo sanguinante e morente, lasciando noi, il popoo siriano, a raccoglierere i pezzi sparsi del nostro paese e del nostro futuro.
Dobbiamo recriminare contro altri da noi stessi per tutto questo? Era questo il nostro destino, o sono state crudeli macchinazioni di uomini malvagi? A questa domanda, forse, risponderà una futura generazione di siriani.

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