Nell'aprile 2013 un certo Valerio Vagnoli scrive a una gazzetta fiorentina e si proclama infastidito per il fatto che persone a lui invise si "elevino al ruolo di educatori". Bersaglio dell'invettiva era un certo Enrico Fenzi. Della questione si è già lungamente riferito, e al nostro primo scritto rimandiamo chi avesse bisogno di dettagli limitandoci qui a ricordare che secondo Vagnoli chi ha compiuto esperienze di combattente irregolare non avrebbe diritto di parola in materia di letteratura medievale.
Il volume in cui Enrico Fenzi descrive la propria esperienza di combattente irregolare è stato reperito in una biblioteca pubblica della periferia di Firenze, alla quale Valerio Vagnoli potrà indirizzare eventuali contumelie.
In attesa di completarne la lettura e di scriverne una recensione, ne presentiamo alcuni paragrafi, scelti tra quelli che possano maggiormente urtare l'autoritarismo c'a' pummarola di cui si fa professione in certe sedi.
La lettura delle righe che seguono ci ha fatto pensare che Enrico Fenzi possa affiancare alle proprie indiscutibili competenze di letterato anche un'esperienza di vita tale da permettergli di presentarsi come valido educatore. Il nostro auspicio è che il libro di Enrico Fenzi, a cominciare dal brano che segue, venga letto dalla totalità degli allievi delle scuole in cui Valerio Vagnoli esercita, ha esercitato o eserciterà la sua attività professionale, e che essi traggano sul suo conto e sulla sua visione del mondo le conclusioni più adeguate.
Quando sono stato arrestato la prima volta, con Isabella, nel maggio del '79, i carabinieri hanno trovato una pistola nascosta nel camino della nostra casa di campagna, e proprio su quell'arma si è retta allora l'accusa di appartenenza a banda armata. La pistola non era affatto nostra, né l'avevamo messa lì: con ogni evidenza, ce l'avevano messa quelli stessi che poi l'hanno trovata. La cosa è stata fatta in ogni caso in maniera così maldestra che prima il giudice di Chiavari, nel processo per direttissima, e poi quello di Genova, un anno dopo, ci hanno assolti, il che di per sé già la dice lunga sulla questione. Ma non è questo il punto: negli anni successivi, per accenni o per battute, sia io che Isabella abbiamo molte volte verificato come fosse noto e addirittura scontato che quella pistola fosse stata nascosta in casa nostra proprio per incastrarci. Recentemente, avendo subito un furto, Isabella ha avuto occasione di parlare con alcuni carabinieri che ricordavano le nostre passate vicende. Polemicamente è tornato fuori il discorso della pistola, e proprio uno dei carabinieri ha detto allora una frase che mi ha colpito non certo per la sua particolare novità, ma perché appariva così intimamente connessa con la nostra vicenda personale: “Ma signora, cosa pretende? Allora, contro il comunismo c'era l'ordine di fare qualsiasi cosa”. Qualsiasi cosa: dal minimo episodio della pistola messa in casa mia, e del quale per la verità non ho mai pensato di dovermi troppo lamentare, su su allo stupro di Franca Rame, per arrivare sino alle bombe nelle banche, nelle stazioni, nelle piazze e sui treni... Qualsiasi cosa davvero, visto che ho letto tanto tempo fa, su “OP”, il giornale di Pecorelli, un articolo del generale Miceli, allora capo dei servizi segreti, che teorizzava come si dovesse ricorrere all'aiuto della mafia per sconfiggere le Brigate Rosse (in parte, qualcosa del genere è stato poi tentato con Cutolo). La cosa mi torna in mente oggi, quando leggo che il giudice Colombo ha ricordato i patti tra la mafia e gli americani, al tempo dello sbarco in Sicilia: trovo infatti che lo schema del giudice potrebbe utilmente essere aggiornato proprio con quell'articolo che, non fosse che per la firma che portava, non nasceva evidentemente dal nulla.
Tutto questo è il minimo che si possa fare, affinché l'"occidentalismo" fiorentino abbia come sempre dall'intraprendenza dei suoi attivisti il maggior danno ed il maggior ridicolo possibili.
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