venerdì 29 giugno 2012

Repubblica Araba di Siria e "libera informazione": Aldo Grasso, esperto in donne poco vestite, dà lezione di geopolitica



Dunque: Aldo Grasso è uno che lo pagano per scrivere questa roba qui, a commento della foto di una qualsiasi giovane donna poco vestita.
Ivanka Mrazova 6 Parte tra mille difficoltà: ha la cervicale ma soprattutto deve farsi largo tra farfallina Belén e Canalis, che certo non le lasciano volentieri spazio. Si riscatta con la battuta più fulminante e riuscita del Festival, al termine del monologo di Siani: «Molto divertente ma io non ho capito niente». Applausi.
Sei mesi dopo lo stesso tizio può accusare un altro tizio di non avere buone competenze in politica estera. Ma procediamo con ordine.
La profonda e radicale trasformazione antropologica compiutasi negli ultimi venti anni non ha soltanto ridotto i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana ad un aggregato di indossatori di canottiere capaci soltanto di mangiare maccheroni e di visionare pornografia minorile. Ha anche, e soprattutto, eliminato dal mainstream mediatico e dalla politica rappresentativa chiunque fosse foriero di istanze non perfettamente allineate ad un populismo ciarliero, incompetente, stupido e cattivo.
Da oltre un anno la Repubblica Araba di Siria è sotto il deliberato attacco delle monarchie del Golfo e, in second'ordine, dell'intero "Occidente", che quando non hanno usato mercenari hanno reclutato combattenti in mezzo ad una popolazione sunnita che dopo l'aggressione yankee all'Iraq ha perso quasi tutte le rappresentanze politiche su cui poteva contare in un'area compresa tra l'Eufrate ed il Mediterraneo. Alla devastazione delle infrastrutture, agli attacchi terroristici ed alla guerriglia si è affiancata una "guerra dell'informazione" che ha dato amplissima prova di poter tener testa a tutta la "libera informazione" prodotta dagli "occidentalisti" quanto a propaganda e a menzogne. La spudoratezza abituale della "libera informazione" in materia di vicende siriane è arrivata al punto di filmare elicotteri da combattimento in un museo gabellandoli per mezzi consegnati alla guerriglia da piloti disertori.
Uno solo di questi episodi, che dal canto loro si susseguono incessanti e che vengono riportati as they are da una "libera informazione" che ne esce sempre e comunque bene grazie all'effetto recency e al diluvio di sciocchezze con cui sommerge a tutte le ore il proprio pubblico, sarebbe sufficiente per considerare con estrema prudenza la valanga di video prodotti sull'argomento e diffusi a piene mani attraverso qualunque canale disponibile.
Uno degli esponenti più alla moda del populismo di cui sopra è il comico genovese Beppe Grillo, abituato ad esprimersi ogni giorno su miriadi di argomenti si potrà immaginare con quale cognizione di causa. Tra questi argomenti non potevano mancare né la questione siriana né la geopolitica mediorientale, che Grillo ha affrontato mettendo nero su bianco una serie di "sentito dire" e di esperienze personali che non dimostrano alcuna specifica competenza sulle questioni trattate, ma che portano uno stigma imperdonabile per gli "occidentalisti" e per le loro gazzettine: quello di aver contraddetto la loro propaganda.
Non occorre inseguire Grillo sul suo terreno per affermare che il ricorso a traduzioni distorte o deliberatamente errate è di utilizzo comune presso la "libera informazione"; le parole del presidente della Repubblica Islamica dell'Iran vengono abitualmente travisate in modo da togliere ogni credibilità alle loro istanze. Il caso specifico è noto ai nostri lettori, perché in questa sede si è fatto qualche piccolo sforzo per rimettere le cose al loro posto.
Allo stesso modo non occorre addentrarsi nel profluvio di affermazioni generiche su quanto sta accadendo in Siria per pensare che abbia fondati argomenti chi pensa che esista un un movimento combattente sostenuto dall'estero, sulle cui attività le monarchie del Golfo e la Repubblica di Turchia hanno per lo meno chiuso entrambi gli occhi.
Per Aldo Grasso, gazzettista in forza al "Corriere della Sera", tutto questo è comunque troppo: ché la committenza è stata chiarissima in proposito quindi non va persa alcuna occasione per rimettere un po' al suo posto un presunto avversario che ancora non si sa bene come rendere inoffensivo. Questo Aldo Grasso sarebbe specializzato in televisione, e il tag che categorizza la schermaglia con Beppe Grillo è quello di "spettacoli". Lo stesso che categorizza gli articoli sulle canzonettiste seminude o sui protettori più in voga, ma stiamo parlando del "Corriere della Sera" e quindi non c'è nulla di cui stupirsi.
La sostanza, nella reprimenda di questo Grasso, è rappresentata dal consiglio elargito a Grillo acciocché si sorbisca qualche altro video di propaganda:
Impossibile restare indifferenti davanti alla brutalità della repressioni: ci sono scene di tortura che mettono i brividi, la spietatezza dell’allampanato dittatore è sconcertante. L’unica speranza la si può intravedere nell’incessante lavoro dei video-attivisti in rete, nella continua diserzione dei militari ex governativi.
Traduzione dal linguaggio "occidentalista": è da un anno e mezzo che caldeggiamo a giornate intere una bella guerra d'aggressione come quella che ha distrutto la Grande Jamahiria Araba di Libia Popolare e Socialista e francamente speravamo di non doverci rendere ancora una volta conto -per la terza o quarta occasione in meno di dieci anni- del fatto che distruggere uno stato sovrano non è come mangiare un piatto di maccheroni c'a' pummarola 'n coppa intanto che si assiste ad un bel film pornografico. L'unica speranza che si arrivi presto alla guerra, oggi come un anno e mezzo fa, è nell'incessante diffusione di menzogne da parte dei video-attivisti in rete, che oltretutto consente a noi fogliettisti di fare giornata senza affaticarci oltremisura.
La consapevolezza dei propri mezzi e dei propri limiti non è tra le competenze richieste ad un gazzettiere: l'impressione generale è anzi che il mestiere di gazzettista non richieda alcuna competenza in alcun campo dello scibile se questo Grasso può smettere di occuparsi di quella gigantesca fogna di narcotici fisici e spirituali che chiamano Sanremo per auspicare, con la stessa cognizione di causa e sicuramente assegnando alla questione la medesima importanza, la guerra aperta tra Repubblica di Turchia e Repubblica Araba di Siria.


mercoledì 27 giugno 2012

Victor Kotsev - Assad costringe le potenze mondiali ad alcuni ripensamenti



Traduzione da Asia Times.

Immediatamente dopo l'insediamento del nuovo consiglio dei ministri, il presidente siriano Bashar al Assad ha affermato martedi scorso da un canale televisivo di stato che il suo paese si trovava "in un vero e proprio stato di guerra da ogni punto di vista". Nella retorica di Assad si è trattato di un cambiamento sostanziale, perché fino a poco tempo fa continuava a ripetere che stava soltanto combattendo delle bande di "terroristi" foraggiate dall'estero. "E quando si è in guerra, ogni politica, ogni parte ed ogni settore devono essere finalizzati alla vittoria", ha aggiunto.
Quella della guerra è una prospettiva estremamente realistica, anche se speculazioni su un imminente coinvolgimento della NATO appaiono premature ed esagerate. Martedi è stata una delle giornate più sanguinose in una ribellione che va avanti da quindici mesi, con combattimenti pesantissimi che hanno interessato anche la capitale. Secondo rapporti non confermati, un'importante base della Guardia Repubblicana sarebbe stata presa d'assalto, e i gruppi di opposizione affermano che almeno centoquindici persone sono state uccise in tutto il paese. Sembra anche che il governo siriano abbia perso il controllo di grandi aree del paese.
Anche il fronte internazionale si muove, e le tensioni si inaspriscono. Dopo aver perso un aereo da ricognizione, un Phantom F4 modernizzato che la settimana scorsa è stato abbattuto dai siriani, la Turchia ha detto martedi che avrebbe attaccato qualunque presenza militare siriana si fosse avvicinata ai confini, ed ha inviato rinforzi nella zona. Si tratta di un atto di natura essenzialmente simbolica, perché Ankara ha smesso di minacciare ritorsioni militari, come pure di invocare l'intervento della NATO sulla base dell'articolo 5 del trattato di Washington (quello sulla difesa comune), ma non per questo meno significativo. La Turchia può contare anche sul sostegno della NATO arrivato lo stesso martedi.
La cosa importante è che i ribelli siriani adesso si trovano in una posizione tale da permettere loro, almeno in teoria, di coinvolgere la Turchia negli scontri con l'esercito governativo, inducendo quest'ultimo a dar loro la caccia a ridosso del confine settentrionale. Dal punto di vista pratico è meno chiaro se questa crisi operi davvero a loro favore: in primo luogo perché non è sicuro che Ankara darà un seguito alle minacce, e poi perché certi esercizi di retorica potrebbero rivelarsi dei boomerang imprevedibili. Come spiegato dagli esperti in intelligence della Stratfor statunitense, la minaccia turca di aprire il fuoco sulle forze siriane che si avvicinassero ai confini potrebbe dissuadere anche potenziali disertori dall'avvicinarsi alla zona.
Altri aspetti di questa intricata situazione saltano all'occhio. Nonostante la Turchia affermi che l'aereo abbattuto fosse disarmato e che stesse effettuando un volo addestrativo nel corso del quale è rimasto "per breve tempo" nello spazio aereo siriano (la Turchia ha anche asserito che l'aereo è stato abbattuto mentre si trovava nello spazio aereo internazionale) Ankara non è certamente un testimone innocente della crisi siriana. La Turchia per più di un anno ha offerto sostegno ai ribelli garantendo loro basi sul proprio territorio, facilitando le defezioni degli alti quadri dell'esercito, e minacciando ripetutamente di inviare le proprie forze armate a mettere in piedi delle zone cuscinetto in cui i ribelli potessero organizzarsi senza essere presi di mira dall'esercito regolare. In altre parole, l'ultimatum dei giorni scorsi contro l'avvicinarsi alle frontiere da parte dell'esercito regolare siriano semra più che altro un aumentare la portata delle minacce già espresse, ed un ulteriore passo avanti verso l'effettiva realizzazione di queste zone cuscinetto.
Che l'aereo turco stesse sorvolando o meno il territorio siriano come affermato da Damasco (i siriani dicono di aver utilizzato per abbatterlo un missile che ha meno di due miglia di raggio operativo, e che anche un secondo aereo era coinvolto nello sconfinamento), è chiaro che l'incidente serve ad Assad per un motivo importante. Nel corso dello scorso mese i ribelli sostenuti dall'estero sono riusciti a mettere le mani su missili anticarro letali, che hanno cominciato a infliggere perdite sempre più gravi alle forze armate siriane; il governo ha così cominciato a fare sempre maggior conto su elicotteri ed aerei per i compiti che richiedono una proiezione della forza militare. Questi ultimi sviluppi hanno provocato un intensificarsi delle richieste rivolte al Consiglio di Sicurezza dell'ONU perché imponga una no fly zone sul territorio siriano su modello di quella imposta lo scorso anno alla Libia, ed ha anche gravato di ulteriori compiti le forze aeree siriane.
Le defezioni hanno fatto registrare un picco: tra di esse anche quella di un pilota militare -il colonnello Hassan Hammadeh- che avrebbe interrotto una missione di bombardamento la scorsa settimana per atterrare in Giordania col suo Mig 21 di fabbricazione russa. Alti quadri dell'aeronautica, tra i quali alcuni generali, ne hanno seguito l'esempio via terra, conducendo in Turchia le loro famiglie, e per un momento la situazione in Siria ha ioniziato a ricordare da vicino quella della Libia dello scorso anno, nel periodo immediatamente precedente l'intervento armato guidato dagli occidentali. In quel caso, tra l'altro, vi fu una defezione massiccia da parte di piloti militari e di alti quadri delle forze armate regolari.
Secondo un articolo del Daily Telegraph risalente a venerdi scorso, un certo numero di alti quadri dell'esercito siriano starebbe progettando una propria "exit strategy". Il 26 giugno la Reuters, rifacendosi a funzionari dei servizi statunitensi, ha invece sostenuto l'opposto asserendo che la cerchia di Assad ha mantenuto la propria coesione [1]. Va anche detto che l'aeronautica militare è tra le armi più fedeli ad Assad: un'ondata di defezioni che ivi si verificasse rappresenterebbe una seria minaccia al suo potere.
Abbattere l'aereo turco ha rappresentato invece un messaggio preciso sia per i nemici di Assad sia per i suoi soldati che fossero preda di qualche dubbio: il governo è forte e determinato, e non collasserà facilmente come quello libico. Con l'aiuto dei missili antiaerei di fabbricazione russa ricevuti lo scorso anno (uno dei quali è stato verosimilmente utilizzato contro il Phantom) la Siria è in grado di imporre un prezzo molto alto ad ogni violazione della propria sovranità territoriale e non avrà alcuna esitazione a comportarsi di conseguenza.
Inoltre, a quei siriani che hanno pensato che l'aereo turco fosse invece uno dell'aviazione siriana intento a cercare di disertare, l'episodio ha messo in chiaro un altro particolare: i disertori non devono attendersi alcuna indulgenza.
A margine di tutto questo va sottolineato anche il fatto che una campagna militare internazionale contro un paese del terzo mondo, anche se condotta per pretesi motivi umanitari, serve sempre come occasione per mostrare le caratteristiche degli armamenti che ciascuna delle principali potenze mondiali è disposta a vendere alle altre. La campagna contro la Libia dello scorso anno ha finito per ricordare una specie di esibizione aerea in cui i Rafale francesi sono entrati simbolicamente in competizione con i Typhoon britannici e con i vari aerei dell'arsenale statunitense. All'epoca fecero tutti una splendida figura, a fronte delle mediocri difese aeree libiche; oggi invece sono parte in causa nuovi apparati di fabbricazione russa la cui efficacia è stata dimostrata dall'abbattimento del Phantom ed è probabile che i principali esportatori di armi rifletteranno due volte prima di esporre al pericolo la loro reputazione.
Nei giorni successivi all'abbattimento si è parlato meno di no-fly zone, anche se il periodo trascorso è troppo breve per capire se davvero è cambiata la retorica su questa materia. In ogni caso, le discussioni in sede NATO sulla Siria intesa come minaccia per la Turchia mostrano che l'Occidente adesso ha una considerazione più seria della Siria rispetto a prima.
Stiamo assistendo ad un sottile ma importante cambiamento nella logica di fondo: mentre le considerazioni fin qui espresse su una no-fly zone e su un intervento militare sembravano basate sul presupposto di un crollo imminente dell'assetto siriano (la minaccia più grave sembrava diretta contro gli stessi siriani, mentre la violenza era indicata come un fattore indiretto di destabilizzazione nel contesto regionale) il dibattito ora in corso pare suggerire che la Siria sia forte abbastanza da minacciare, sul piano degli armamenti convenzionali, un importante membro della NATO. Si tratta di due posizioni non del tutto inconciliabili tra di loro -per esempio si potrebbe supporre che il crescente ricorso alle armi da parte di Assad, sia sul piano interno che nei confronti dei paesi esteri, rappresenti un segno del suo declino politico- ma tuttavia caratterizzate da divergenze significative; è importante osservare con attenzione in che modo questa retorica finirà per evolversi.
Assad ha anche altri assi nella manica. Secondo quanto riferito dalla stampa turca ad esempio, i rinforzi inviati verso la frontiera siriana nel corso degli ultimi giorni hanno dovuto usare ogni cautela per evitare gli attacchi dei guerriglieri curdi. Il governo siriano ha una forte presa sui militanti curdi in Turchia, ed il fatto che convogli pesantemente corazzati e concepiti per una proiezione militare oltrefrontiera abbiano grosse difficoltà ad attraversare in sicurezza persino i territori controllati da forze amiche dimostra quanto poco affidabile sia la situazione per Ankara e per l'Occidente. Gli stessi sistemi che vengono usati per cercare di abbattere Assad possono essere usati anche nella maniera opposta.
Tutto questo non significa che la pressione su Assad sia diminuita o che le sue possibilità di rimanere al potere nel lungo termine siano significativamente aumentate. Al momento attuale un intervento straniero diretto è poco verosimile, tanto più dopo l'abbattimento del Phantom turco, ma l'inasprirsi della guerra civile nel paese e l'accanirsi dei ribelli contro le minoranze che sostengono il governo potrebbe far sì che i calcoli strategici cambino nel prossimo futuro.
Inoltre, dal momento che la cerisi sirana è inestricabilmente legata all'equilibrio di forza tra Iran ed Occidente, qualche sorpresa è sempre possibile. Il crollo di Assad indebolirebbe l'Iran in maniera significativa e questo potrebbe per qualche tempo placare l'insoddisfazione di certi alleati degli Stati Uniti come lo stato sionista e l'Arabia Saudita, che se questo non si verificasse potrebbero invece cercare di coinvolgere Washington in uno scontro diretto con Tehran. Il costro di una guerra con l'Iran sarebbe maggiore di quello di una guerra con la Siria, quindi gli americani e gli europei potrebbero finire per prendere in considerazione la cosa. A questo proposito, la visita di lunedi scorso del presidente russo Vladimir Putin nello stato sionista -si tratta della prima visita ufficiale in Medio Oriente dopo il suo reinsediamento, avvenuto il mese scorso- ha rinfocolato le speculazioni. La maggior parte degli analisti dà per scontato che Russia e stato sionista abbiano posizioni assai diverse sulla questione siriana e pensa che i russi sostengano il governo siriano e che i sionisti siano indirettamente -e secondo alcuni rapporti anche direttamente, sia pure in segreto- schierati con i ribelli.
Esistono tuttavia alcune voci discordanti, o meno allineate a questa concezione. Secondo un altro rapporto curato dalla Stratfor, per esempio,
La visita di Putin serve a fare pressione sugli Stati Uniti, e a cercare di preparare il terreno ad un cambiamento della qualità delle relazioni diplomatiche tra Russia e stato sionista in un modo che alla lunga finirebbe per pagare. I sionisti hanno bisogno di alcune cose da Putin. Non possono controllare il regime change in Siria, e invece i russi possono farlo, almeno in una certa misura. E su questo punto gli interessi russi e quelli sionisti finiscono per coincidere. I sionisti tollererebbero la sopravvivenza di Assad a patto che la Siria non diventi un satellite iraniano, e la Russia potrebbe controbilanciare l'influenza dell'Iran nel caso Assad riuscisse a rimanere in sella. Se invece Assad cadesse, sia i sionisti che i russi sarebbero interessati a vederlo sostituito da un governo sunnita moderato [2].
Una cosa di cui i sionisti avrebbero molto bisogno da Putin, in qualunque modo vadano a peggiorare le cose in Siria, è di essere aiutati a fare in modo che Assad non lanci missili sul territorio dello stato sionista. In passato, per esempio nell'imminenza dell'attacco sionista contro un reattore nucleare siriano, avvenuto nel 2007, è stata la Turchia a fare da mediatore; adesso Ankara è troppo compromessa sia nei confronti dei sionisti sia nei confronti dei siriani.
La minaccia è significativa, qualunque sia l'atteggiamento sionista nei confronti di Assad, perché ufficiali siriani hanno minacciato di "incendiare tutta la regione" nel caso dovessero trovarsi all'angolo; si teme che facciano quello che fece Saddam Hussein durante la prima guerra del golfo. All'epoca l'ex dittatore iracheno pensò che gli attacchi allo stato sionista avrebbero infranto la coesione che i paesi arabi avevano dimostrato contro il suo governo, e a detta di molti pare fosse arrivato vicino a riuscirci: soltanto il fatto che gli Stati Uniti esercitarono forti pressioni affinché i sionisti non rispondessero agli attacchi impedì al piano di funzionare.
Assad si trova oggi in una situazione pressappoco simile; lo stato sionista sta guardando con preoccupazione ad eventuali effetti secondari. Mentre non sembra imminente un intervento straniero in Siria, la guerra civile si sta inasprendo e i maneggi internazionali stanno sviluppandosi; tutte le parti in causa si stanno febbrilmente preparando ad ogni evenienza. Una lunga estate calda, per dirla con un luogo comune, attende il Medio Oriente.


Note.
[1] How Libya is a showcase in the new arms race, Reuters, 4 aprile 2011
[2] Putin's Visit and Israeli-Russian Relations, Stratfor, 26 giugno 2012


Viktor Kotsev è giornalista ed analista politico.


mercoledì 20 giugno 2012

La guerra contro Nello Rega: Hezbollah vicino alla vittoria. Anzi no.


Nel corso degli ultimi due anni abbiamo più volte edotto i nostri lettori sulla difficilissima situazione in cui riesce non soltanto a sopravvivere, ma anche a muoversi con buon successo, il movimento sciita libanese Hezbollah.
Detto in estrema sintesi, il braccio armato di Hezbollah deve affrontare a tutt'oggi quattro pericolosissimi nemici.
Lo stato sionista.
L'Arabia Saudita.
Gli Stati Uniti d'AmeriKKKa.
E infine, così pensavamo noi, Nello Rega, giornalista di Potenza.
Secondo le informazioni di cui disponevamo, la dichiarazione di guerra di Hezbollah a Nello Rega risaliva almeno al gennaio dello scorso anno; per molto tempo seguimmo la vicenda basandoci su informazioni di prima mano, che ci assicuravano Hezbollah intento a setacciare la Basilicata palmo a palmo e ad organizzare colonne di blindati per estendere fino a Roma il raggio delle ostilità.
Ci trovavamo davanti ad una situazione che aveva dell'incredibile: i pick up lanciamissili dell'Al-Muqawama al-Islamiyya risalivano la penisola italiana without leaving any stone unturned nella totale indifferenza dei mass media del mainstream e soprattutto della miriade di corpi armati a libro paga dello stato che la occupa: in tempi in cui basta indossare una kefiah per tirarsi addosso la curiosità della gendarmeria, tanta libertà di azione ha cominciato a sembrarci sospetta.
Dovemmo riconoscere di esserci clamorosamente sbagliati e di aver preso un grosso granchio: fu lo stesso canale mediatico in cui Nello Rega lavora a divulgare informazioni che ci portarono a concludere di esserci fidati troppo delle nostre fonti confidenziali.  
Insomma, pare proprio che Hezbollah non abbia mai avuto intenzione alcuna di scendere in guerra contro Nello Rega, il quale sarebbe addirittura finito a dover rispondere di simulazione di reato.
Non si era mai visto, in tutto il corso della storia militare, un mutamento più drastico di teatro operativo.
Lasciammo il signor Rega alle sue presentazioni librarie e presagimmo che al posto di sicari barbuti in agguato nell'ombra lo attendessero seccature meno pericolose, molto più verosimili e soprattutto alquanto più pedestri.
Il 13 giugno 2012 il Giornale Lucano è tornato sull'argomento pubblicando un breve articolo. I corsivi sono nostri.
Attentato sulla Basentana a Nello Rega: chiuse le indagini, potrebbe essere simulazione di reato
Potenza. Il fatto risale al 7 gennaio dello scorso anno
Tutto ha avuto inizio con la pubblicazione di un libro: “Diversi e divisi”, in cui il giornalista potentino ha raccontato della difficile convivenza tra cristiani ed islamici. Da allora Nello Rega ha denunciato diversi episodi persecutori subiti da attentatori mai identificati.  Nel 2009, a pochi giorni dalla pubblicazione del libro, l’autore ha raccontato di una busta con dei proiettili all’interno, qualche mese dopo di una testa d’agnello nella sua automobile. Fino al 7 gennaio dell’anno scorso, quando ha riferito che mentre percorreva con la sua auto la Basentana in direzione Potenza, è stato affiancato da un’altra auto con almeno 2 uomini che prima lo hanno speronato e poi sparato con una pistola. Il giornalista ha detto di aver evitato il colpo grazie alla prontezza di riflessi con cui ha impresso una forte accelerazione alla sua vettura, permettendo al proiettile di oltrepassare l’auto attraverso i finestrini posteriori. Pare che a quel punto l’uomo sia tornato tranquillamente in città. L’auto è ancora sotto sequestro e gli investigatori sul posto indicato non hanno trovato frammenti di vetro o proiettili. Interrogato formalmente nel novembre scorso Rega non ha fornito elementi sufficienti a chiarire la situazione e ora i PM Piccininni e Musto dovranno decidere se rinviare a giudizio il giornalista per simulazione di reato.

lunedì 18 giugno 2012

Marco Tarchi: la Siria e l'ipocrisia occidentale


"Mondo, svegliati e aiuta la Siria". La foto sarebbe stata scattata nel febbraio 2012 e ritrarrebbe manifestanti siriani in Libia che mostrano slogan in inglese ed una bandiera "ribelle" scelta con gli stessi criteri con cui i "ribelli" libici hanno scelto la loro. Quasi una garanzia per capire da che parte viene il colpo (Foto: NTN24.com).

Sul sito di Arianna Editrice Marco Tarchi presenta una schematica ricetta per le aggressioni militari travestite da intervento umanitario e per il rovesciamento dei governi invisi travestito da rivoluzione colorata che nei decenni a cavallo del XXI secolo è stata adottata talmente tante volte da diventare praticamente la modalità standard con cui i paesi "occidentali" hanno tutelato i propri interessi ed espanso le proprie zone di influenza.
Non sempre le cose vanno come previsto dai think tank pagati per dire ai politici quello che i politici vogliono sentirsi dire e per dire ai sudditi quello che i politici vogliono che ai sudditi si dica, e questo spiega in gran parte come si sia giunti alla situazione attuale nella Repubblica Araba di Siria e perché quello in questione non sia il primo plateale fallimento degli intenti intromissori "occidentali", per quante immondizie si facciano spargere in giro dalle agenzie di propaganda. 

Da molti anni le potenze occidentali praticano una forma di ipocrisia particolarmente insidiosa. Dall'Iran all'Afghanistan, dalla Libia alla Siria - e si potrebbe continuare con gli esempi - accampano pretesti per legittimare agli occhi delle opinioni pubbliche dei propri paesi azioni militari che in realtà corrispondono solo ai loro interessi geopolitici e/o economici. Il caso siriano non è che il più recente, e non è nemmeno originale. Ricalca uno schema ormai noto. Si favoriscono rivolte contro governi che sono considerati di ostacolo, le si esalta mediaticamente calcando i toni emotivi e facendo apparire lo scontro politico come una lotta fra il Bene (i ribelli) e il Male (i regimi esistenti). Si offre sostegno d'ogni tipo - inclusa la fornitura di armi sottobanco - ai rivoltosi, per far scoppiare la guerra civile. Quando questa è esplosa, non la si ammette ma ci si limita a parlare di una crudele repressione contro i dissidenti. Le uccisioni di parte governativa durante il conflitto sono presentate come massacri; di quelle di parte ribelle non si parla o se ne presentano le vittime come inevitabili "danni collaterali". Infine, dopo una martellante campagna contro le "negazioni dei diritti umani" e una prima fase in cui si parla genericamente di necessità di "trovare una soluzione", di "riportare la pace", di "creare canali umanitari per i profughi", di "procedere per via diplomatica", si passa all'azione. Che l'Onu voti oppure no, si reclama ancor più ipocritamente il dovere di "proteggere i civili" (solo quelli che abitano le zone dove più forte è la presenza ribelle, beninteso) e, su questa base, si passa all'azione militare a favore degli insorti. Bombardamenti, azioni sul terreno di commandos infiltrati, eccetera. Fino a cogliere il vero obiettivo: eliminare a qualunque costo la situazione politica sgradita e tentare di imporre un regime di proprio gradimento. Come abbiamo visto e stiamo vedendo, non sempre quest'ultimo obiettivo viene raggiunto, ma quello è lo scopo. E la Siria non è che il prossimo tassello di questo mosaico. Che ne comporterà altri, dato che l'obiettivo finale è ampliare quanto più possibile la sfera di dominio "occidentale", cioè statunitense, sul pianeta.

domenica 17 giugno 2012

La Frankfurter Allgemeine Zeitung sul massacro di Al Houla



Traduzione da Moon of Alabama.

Una competente e considerata penna dell'importante quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) ha riferito, in lingua tedesca, di come il recente massacro di Al Houla in Siria sia stato perpetrato da ribelli sunniti. Ho tradotto in inglese l'articolo, che è stato accolto con un certo fastidio e ha fatto sì che gli "attivisti" di Al Houla rispondessero con una smentita anonima.
In un secondo articolo, sempre in tedesco, l'inviato Rainer Hermann ha sviluppato i concetti già espressi nel primo e spiega perché la sua versione dei fatti sia quella corretta e perché la versione opposta sia profondamente errata. 
Il testo che segue è la mia traduzione dell'articolo pubblicato sulla FAZ

Lo sterminio

Il massacro di Al Houla ha rappresentato una svolta nella tragedia siriana. L'indignazione nel mondo è stata grande quando il 25 di maggio vi sono state uccise centootto persone, quarantanove delle quali erano bambini. Le voci a favore di un intervento armato per porre fine al bagno di sangue sono diventate più forti e da quel giorno il numero degli episodi violenti in Siria è salito repentinamente. L'opinione pubblica mondiale, rifacendosi alle trasmissioni televisive arabe e al sopralluogo degli osservatori dell'ONU del giorno successivo, ha quasi per intero addossato la responsabilità all'esercito regolare e alla milizia filogovernativa Shabiha.
Durante le scorse settimane, sulla base di quanto hanno riferito dei testimoni oculari, la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha messo in dubbio questa versione dei fatti. Ha riferito che i civili uccisi erano tutti alawiti e sciiti, che sono stati uccisi a sangue freddo da sunniti armati a Taldou -una cittadina nella pianura di Al Houla- intanto che ai posti di blocco che circondavano la cittadina infuriavano i combattimenti tra esercito regolare e Libero Esercito Siriano. Il nostro articolo è stato ripreso da molte agenzie mediatiche in tutto il mondo e respinto da molte altre che lo hanno considerato poco plausibile. In ogni caso dobbiamo porci quattro domande: perché fino ad oggi l'opinione pubblica mondiale ha preso per buona una versione diversa dei fatti? Per quale motivo il contesto della guerra civile rende verosimile la versione dei fatti che invece è stata considerata poco degna di fiducia? Perché le testimonianze che abbiamo raccolto sono credibili? Quali altri dati di fatto ci sono a favore di quanto sosteniamo?
Cominciamo con la prima. Perché il mondo crede all'altra versione dei fatti? E' fuori di dubbio che di ogni atrocità commessa nel corso dei primi mesi del conflitto, quando l'opposizione non si era ancora armata e non aveva difese, debbano essere incolpate le forze governative, e la tendenza è a considerare scontato che le cose stiano ancora in questo modo. [Nota del traduttore: Hermann in questo caso si sbaglia. Esistono resoconti attendibili che attestano agguati mortali contro le forze governative, compiuti da soggetti ben armati e probabilmente finanziati dall'estero, fin dal 10 aprile del 2011]. Oltre a questo c'è il fatto che ai mass media statali siriani non viene attribuita alcuna credibilità: utilizzano fin dall'inizio del conflitto la definizione di "bande armate terroristiche" e quindi nessuno prende per buono quello che riferiscono, neppure quando sarebbe il caso di farlo. Due agenzie mediatiche, i canali di informazione in lingua araba Al Jazeera ed Al Arabiya sono diventate delle fonti di riferimento, dal momento che a controllarle sono il Qatar e l'Arabia Saudita, due stati sovrani che hanno un ruolo attivo nel conflitto in corso. Non è senza ragione che rammentiamo l'adagio secondo il quale "la prima vittima della guerra è la verità".
In secondo luogo, per quale motivo, nel contesto di una guerra civile, la versione di cui si dubita è invece quella plausibile? Nel corso degli ultimi mesi sono stati introdotti clandestinamente in Siria molti armamenti: i ribelli dispongono ora di armamenti di lunga gittata e di medio calibro. Ogni giorno in Siria vengono uccise oltre cento persone: il numero di perdite è più o meno pari per entrambe le parti. Le milizie che operano sotto la bandiera del Libero Esercito Siriano controllano ampie zone delle province di Homs e di Idlib, ed il loro dominio si estende anche ad altre parti del paese. Il crescente diffondersi del senso di impunità ha provocato un'ondata di rapimenti di natura puramente criminale e facilita anche la recrudescenza di vecchi dissapori. Se si consulta Facebook o si parla con qualche siriano, si nota che non c'è persona che non sia a conoscenza di quotidiane vicende di "pulizia religiosa", di persone che vengono uccise solo perché sono alawite o perché sono sunnite.
La pianura di Houla si trova tra la città sunnita di Homs e le montagne degli alawiti; è abitata in prevalenza da sunniti e la sua storia è una lunga storia di tensioni settarie. Il massacro è avvenuto a Taldou, una delle località più grandi della zona. Si conoscono i nomi di ottantaquattro dei civili uccisi: sono quarantanove bambini, con i loro padri e le loro madri, che appartengono alla famiglia Al Sayyid oltre che a due rami della famiglia Abdarrazzaq. Persone residenti in città affermano che si tratta di alawiti, e di musulmani che si erano convertiti dall'Islam sunnita all'Islam sciita. A pochi chilometri di distanza dalla frontiera libanese, la cosa li ha resi sospetti di essere sostenitori di Hezbollah, un'organizzazione che i sunniti detestano. Oltre a queste persone, a Taldou sono stati uccisi i parenti del parlamentare lealista Abdalmuti Mashlab.
Le abitazioni di queste tre famiglie si trovano in quartieri diversi di Taldous. I componenti dei tre nuclei familiari sono stati tutti uccisi, con una sola eccezione. Nessuno dei loro vicini è rimasto ferito. Una approfondita conoscenza della realtà locale era un prerequisito fondamentale per poter portare a termine queste esecuzioni, programmate con tanta cura. L'agenzia di stampa AP ha riportato quanto detto dall'unico sopravvissuto della famiglia Al Sayyid. Ali, undici anni, avrebbe detto che "Gli esecutori avevano la testa rasata e portavano la barba lunga". Sono gli jihadisti fanatici ad avere questo aspetto, non la milizia Shabiha. Il ragazzino ha raccontato di essere sopravvissuto perché si è finto morto e si è sporcato apposta con il sangue di sua madre.
Il 1 aprile madre Agnès Maryam, dal monastero di Giacobbe (Deir Mar Yakub) situato a sud di Homs nel villaggio di Qara, ha descritto in una lunga lettera aperta il clima di violenza e di terrore in cui si vive nella zona. La sua conclusione è che gli insorti sunniti stiano praticando una graduale liquidazione di tutte le altre minoranze. Descrive la cacciata dei cristiani e degli alawiti dalle loro case, occupate poi dai ribelli, e le violenze inflitte a ragazzine che i ribelli considerano preda bellica; ha assistito con i suoi occhi alla morte di un commerciante: i ribelli prima lo hanno ucciso per strada a Wadi Sajjeh tramite un'autobomba, dopo che si era rifiutato di tenere chiuso il negozio; poi hanno riferito alle telecamere di Al Jazeera che il delitto era stato commesso dal regime. In chiusura della lettera, descrive come gli insorti sunniti nel quartiere Khalidijah di Homs abbiano chiuso ostaggi cristiani ed alawiti in un'abitazione e l'abbiano quindi fatta saltare, soltanto per poter poi dire che si trattava di un'atrocità del regime.
Per quale motivo in questo contesto i testimoni siriani citati dal mio scritto vanno considerati delle fonti credibili? Perché non appartengono a nessuna delle fazioni in conflitto: sono stati presi in mezzo e non gli interessa altro che fermare l'ulteriore inasprirsi delle violenze. Molte persone come queste sono già state uccise e questo è il motivo per cui nessuna di esse vuole rivelare la propria identità. In un momento in cui non è realizzabile una rassegna indipendente di tutto quello che accade sul terreno, non si può avere alcuna certezza che tutti gli eventi narrati siano accaduti esattamente nei termini in cui vengono descritti. Anche il massacro di Al Houla, seppure è avvenuto nella maniera qui descritta, non serve a trarre conclusioni che possano essere estese a casi simili. Come è stato fatto in Kosovo, ogni episodio di massacro dopo questa guerra andrà considerato come un caso unico.
Quali altri dati di fatto sostengono la versione qui presentata? La Frankfurter Allgemeine Zeitung non è stata la prima a riferire in questi termini del massacro di Al Houla. Altri resoconti, semplicemente, non possono competere con i grandi mass media. Il giornalista russo Marat Musin, che lavora per la piccola agenzia di stampa Anna, si trovava ad Al Houla il 25 ed il 26 maggio e divenne testimone oculare di parte degli avvenimenti oltre ad aver pubblicato le dichiarazioni di altri testimoni oculari. Oltre a lui, c'è anche l'arabista e giornalista freelance olandese Martin Janssen, che vive a Damasco e che ha contattato il monastero di Giacobbe di Qara che si era fatto carico di molte delle vittime del conflitto, con le suore che si dedicavano con tutte loro stesse al servizio umanitario nei giorni successivi al massacro.

I ribelli sunniti perpetrano la liquidazione di tutte le minoranze

Le suore hanno raccontato a Janssen di come il 25 maggio oltre settecento ribelli armati arrivati da Rastan abbiano sopraffatto un posto di blocco dell'esercito vicino a Taldou e di come gli stessi ribelli a massacro ultimato abbiano ammucchiato i corpi dei soldati e dei civili uccisi davanti alla moschea, e di come, il giorno successivo, abbano fornito la loro versione dei fatti attribuendo all'esercito regolare la responsabilità della strage, davanti alle telecamere dei mass media a loro favorevoli e davanti agli osservatori dell'ONU.
Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha annunciato il 26 maggio al Consiglio di Sicurezza che le circostanze in cui tutto questo è avvenuto non sono chiare. L'ONU ha potuto in ogni caso confermare che "c'è stato un attacco in cui sono stati impiegati l'artiglieria ed i mortai. Ci sono state anche altre forme di violenza, tra le quali gli spari a bruciapelo e gravi maltrattamenti".
Possiamo dunque ricostruire gli eventi nella loro sequenza. Dopo la preghiera del venerdi del 25 maggio, più di settecento uomini armati sotto la guida di Abdurrazzaq Tlass e di Yahya Yusuf sono arrivati, divisi in tre gruppi, da Rastan, da Kafr Laha e da Akraba ed hanno attaccato tre posti di blocco dell'esercito tutt'attorno a Taldou. I ribelli, forti della superiorità numerica, e i soldati dell'esercito regolare (molti dei quali sunniti anch'essi) hanno combattuto in scontri sanguinosi, in cui sono morti oltre venti soldati, per la maggior parte militari di leva. Durante e dopo gli scontri i ribelli, con l'aiuto di cittadini di Taldou, hanno eliminato le famiglie Sayyid ed Abdarrazzaq. Avevano rifiutato di unirsi alla ribellione.

sabato 16 giugno 2012

Moschea di Firenze: il gazebo del PDL in piazza dell'Isolotto



I lettori di questo blog  e del corrispondente sito sanno bene cosa pensiamo del non-problema "moschea di Firenze".
Repetita iuvant.
Dal momento che chi lavora tutto il giorno non ha alcunché da temere da parte di gente che non beve vino, non mangia maiale e non sperpera denaro in abiti costosi, pensiamo che la moschea si debba fare, si debba fare a spese pubbliche sottraendo esplicitamente risorse ai capitoli "sicurezza" e "gendarmeria", si debba costruire con materiali di pregio ed avendo in mente un edificio che sia degno della città di Firenze, secondo le stesse linee di pensiero seguite a suo tempo per la sinagoga di via Farini. La miglior collocazione per l'edificio sarebbe a nostro avviso il lato orientale di piazza Ghiberti, una volta sgomberati e demoliti, possibilmente con gli stessi sistemi che gli "occidentalisti" vorrebbero usare contro i centri sociali e le case occupate, gli edifici che vi sorgono e che da troppo tempo ospitano attività e macchinazioni alla base di un degrado e di una insicurezza tanto autentici quanto invisibili ad occhi "occidentalisti".
Additare al dileggio altrui le argomentazioni e soprattutto i portavoce ai quali si affidano i sostenitori del contrario significa assolvere ad uno di quei piacevoli doveri che spettano alle persone consapevoli.
I portavoce si chiamano Tommaso Villa e Andrea Badò. Firenze conta circa 370000 abitanti, e l'impressione è che 369998 di essi non li reputino degni della minima credibilità e della minima attenzione. Nel corso degli ultimi mesi lo schieramento "occidentalista" ha dato una tale prova di forza da passare dalle richieste di referendum consultivo alle chiacchierate tra amici nelle stanzine sul retro di qualche circolo ricreativo, trovare il quale dev'essere ogni volta un problema data l'abituale impopolarità che accompagna i mangiaspaghetti fiorentini qualsiasi cosa facciano, pensino o dicano. Nel maggio 2011 qualcuno si occupò persino di imporre agli "occidentalisti" di Firenze un brusco risveglio con annesso ridimensionamento, dandoci l'occasione per esporre una lunga serie di considerazioni perentorie e soprattutto confermando in modo concreto come le gazzette siano una cosa, la realtà quotidiana un'altra.
Gli scritti presentati in link espongono tutto quello che c'è da sapere per trarre conclusioni fin troppo generose sulla pratica politica "occidentalista" a Firenze e sulle "competenze" che essa riesce a coinvolgere; ad essi rimandiamo quanti fossero ancora desiderosi di saperne di più; in un anno l'unica cosa ad essere cambiata è l'ulteriore caduta di credibilità e di popolarità logicamente subìta da individui ed organizzazioni.
Le argomentazioni, da sempre evanescenti perché ridotte ad un appiglio ecoico alle istanze della propaganda -e si è visto su quali basi granitiche esse sorgessero- negli ultimi tempi si sono ridotte al dispetto di bottega, alla maldicenza, alla pura e semplice ciarla livorosa. Non che questo costituisca una novità: a costituire una novità è il fatto che i capricci "occidentalisti" non hanno più neppure quelle miserabili pezze d'appoggio travestite da avallo autorevole che fino ad oggi erano riusciti ad ostentare.
Il 15 giugno 2012 una serie di gazzette di indubbia autorevolezza ha preannunciato l'allestimento di un gazebo del PDL in piazza dell'Isolotto.
Domani, sabato 16 giugno, dalle ore 10 fino alle ore 13,30 in piazza dell’Isolotto presso il mercato, il Popolo della Libertà insieme ai Promotori della Libertà ed alla Giovane Italia [*] allestiranno un gazebo per informare la popolazione della possibile realizzazione della grande moschea all’interno del Quartiere 4.
Per i gazebo il PDL ha un'infatuazione di antica data, che non è certo servita ad evitare ai suoi esponenti di essere bersaglio di contestazioni tanto scomposte quanto di efficacia estrema e non ne ha minimamente migliorato le quotazioni a Firenze. L'allestimento di un punto propagandistico riconoscibile rappresenta comunque un'iniziativa lodevole: permette alle persone serie di porre all'attenzione degli attivisti di quel "partito" alcuni interrogativi concreti.
Ci siamo dunque recati per tempo in Piazza dell'Isolotto per chiedere a questi mangiatori di maccheroni fino a quando intendono sporcare Firenze con il loro collodio, e se non pare loro il caso di impiegare il tempo intraprendendo una qualche attività retribuita diversa dal divulgare menzogne. Tanto più che in materia di attività retribuite non esiste ambulante senegalese che non possa impartire loro una vera e propria lectio magistralis.
Le nostre speranze sono andate deluse: abbiamo esplorato ogni angolo della piazza, ogni banco di mercato.
Gazzette nonostante, alle ore dodici e ventidue del sedici giugno 2012 in piazza dell'Isolotto non c'era nessuno.
Nulla.
Neanche un volantino per terra.
Quanti non abbiano mai avuto occasione di frequentarla, devono sapere che la piazza ospita sì un mercato, ma ospita anche un'edicola che invece di esporre le locandine delle gazzette "occidentaliste" - si distinguono da quelle che pubblicizzano la pornografia minorile perché la pornografia minorile ha di solito impaginazione e contenuti infinitamente meglio curati- espone quella del settimanale anarchico Umanità Nova.
Il genius loci è questo, il che rende verosimile pensare che i mandolinisti dell'islamofobia con le còtiche siano stati perentoriamente invitati a togliersi di mezzo entro pochi minuti dal loro primo ingresso in piazza.
Il che significa, per quello che può valere, che la maggiore formazione "occidentalista" della penisola italiana e la sua emanazione "giovanile" non sono in grado di presidiare per mezza giornata un mercato di quartiere, neppure con la probabile e discreta vigilanza della gendarmeria politica.


[*] Il vocabolo è nell'originale. Ce ne scusiamo con i nostri lettori, in particolare con quanti avessero appena finito di pranzare.

mercoledì 13 giugno 2012

Il "Corriere della Sera" continua con l'informazione accurata, obiettiva e veridica sulla Repubblica Araba di Siria



La gazzettina dei Magdi Allam e dei Ferruccio de Bortoli tiene moltissimo alla propria autorevolezza.
E siccome è un imparziale e libero quotidiano "occidentale", e non un fogliaccio che pubblica la propaganda di qualche regime sanguinario, il "Corriere della Sera" fa dire ad un "rappresentante dell'ONU" che nella Repubblica Araba di Siria "I bambini vengono torturati, mutilati e uccisi. Poi i soldati li mettono sui carri armati, usati come scudi umani".
Ricostruiamo la scena: pare quasi di vederla.
Uno o più militari dell'esercito regolare della Repubblica Araba di Siria -sulla natura angelica e costruttiva dei "ribelli" il gazzettaio "occidentale" è impermeabile a qualsiasi confutazione- con baschi, fucile d'assalto e tutto il resto.
Catturano uno o più bambini.
Prima li torturano.
Poi li mutilano.
Poi li uccidono.
Finita la trafila prendono quello che ne rimane e lo dispongono con ordine meticoloso sul primo carro armato che passa.
L'essenziale è il rispetto della sequenza procedurale: l'esercito è un'organizzazione seria, mica come i paramilitari acchiappalesbiche che pullulano per le strade di Damasco!
Fin qui la spiegazione molto scarna ed essenziale; ai dettagli granguignoleschi pensino i nostri lettori, non occorre nemmeno troppa fantasia. L'importante è che una volta ultimata la trafila, la taumaturgica presenza dei cadaveri di bambino trasformi la natura essenziale dei carri armati, rendendoli perfetti come "scudi umani"...
Secondo questo occhiello la procedura è stata ripetuta, con ogni probabilità in maniera meccanica e routinaria, fino a raggiungere la quota stabilita di 1200 (milleduecento) "bambini da carro armato" in quindici mesi.
Se non stessimo parlando del "Corriere della Sera" verrebbe da pensare che un brutto miscuglio di traduzioni raffazzonate e di copia ed incolla fatti ancora peggio abbia giocato un brutto tiro ai gazzettinisti della "Redazione Online" accreditata di questo piccolo capolavoro, ma trattandosi appunto del "Corriere" nulla vieta di identificare il motore primo di simili barzellette in una quantità sostanziale di malafede cialtrona.
Il gioco ha funzionato per talmente tanto tempo che in redazione devono aver pensato di potersene fidare all'infinito: cosa importa se da anni, e con buoni argomenti, qualcuno va sostenendo che le fonti presentate come credibili da foglietti come questo hanno come unico recapito un sottoscala londinese?

martedì 12 giugno 2012

In Turchia si può giocare alla guerra. A Gaza no.


Suleiman Kahani di Palaestina Felix ci omaggia di un post in cui ci sono molte immagini come questa, che dovrebbe venire da Gaza.
Bambini con mimetiche addosso e fuciletti di legno, inquadrati in un qualcosa che sta a metà tra la recita ed il gioco della guerra.
La propaganda "occidentalista" ha sempre trovato immagini come queste coessenziali alle sue paure e ai suoi odi più perentori; per anni ed anni una torma di grassoni buoni a nulla ha ripetuto a chiunque volesse -o più spesso dovesse, per necessità professionale- prestare loro ascolto che nessuno meritava la redenzione democratica a mezzo missili da crociera più di chi osava fare questo a dei bambini.

Poi però si passa curiosando per le vie di Şanlıurfa nella Repubblica di Turchia.
E si scopre che nei mercatini si trovano monture perfino migliori, con i distintivi e i gradi dei Jandarma.
Nell'ordinamento militare turco i Jandarma non hanno soltanto compiti di gendarmeria; tocca a loro anche gran parte dei cosiddetti "compiti antiterrorismo", invariablmente rappresentati da operazioni controguerriglia contro gli indipendentisti del Kurdistan turco.
Va specificato che l'esercito turco ha agito per anni con la massima disinvoltura al di là dei confini con l'Iraq proprio accampando motivazioni di questo genere. Quando l'esercito regolare della Repubblica Araba di Siria si è preso libertà di portata infinitamente inferiore contro i gruppi armati che si introducono nel paese dal confine turco, l'episodio è servito a Recep Tayyip Erdoğan per gridare all'aggressione e invocare la mutua solidarietà del Patto Atlantico, rimanendo fino ad oggi fortunatamente inascoltato.
Contro i piccoli jandarma nessuno ha mai trovato alcunché da ridire: chissà che non siano già allo studio un po' dappertutto proposte di legge che prevedano un girodivite al gioco della guerra, con la tolleranzazzèro per chi vi partecipi prendendo le parti di formazioni e gruppi invisi agli "occidentalisti".
Il tutto, ovviamente, in nome della sihurézza e della lotta a i'ddegràdo.

domenica 10 giugno 2012

Pallonate polacche, pallonate ucraine e pallonieri consapevoli


A volte l'essenza della verità ha caratteri talmente perentori che nemmeno le gazzette riescono a stravolgerla o ad occultarla del tutto.
Nel giugno del 2012 in Ucraina e nella Repubblica di Polonia ci sono i pallonai pieni per via di un qualcosa che chiamano "campionato europeo".
Le gazzette di solito dividono le "informazioni" in materia in pallonate vere e proprie (la quota minoritaria) e in pallonate di contorno, di solito foto di ragazze poco vestite.Tra i pallonieri che guardano -potremmo definirli i pallonieri passivi, con esplicito richiamo ad un contesto diverso solo all'apparenza- qualcuno ha fotografato il tale che si vede qui, che dovrebbe essere russo e che con poca spesa ha adattato il suo aspetto al contesto in cui si trova.

sabato 9 giugno 2012

L'ambasciatore siriano all'ONU: il sostegno ai gruppi armati che stanno mettendo a ferro e fuoco il paese arriva da paesi arabi della regione


Manifestazione a favore del governo siriano. Damasco, primavera 2012 (Fonte: TurkishNews)

Traduzione da Syrian Free Press.

Il rappresentante alle Nazioni Unite della Repubblica Araba di Siria dottor Bashar Al Jafaari ha ribadito che il governo siriano è pronto a fare tutto quanto in suo potere per far sì che la missione dell'inviato dell'ONU sia coronata da successo; la Siria ha facilitato in tutti i modi possibili il piano di Annan e la missione degli osservatori dell'ONU. Per quanti intendano impegnarsi a un dialogo serio e a cambiamenti sostanziali la porta è sempre aperta, e non esistono problemi con quella parte dell'opposizione che rifiuta l'intromissione straniera.

Il massacro di Al Qubeir è stato commesso cinque ore prima che avvenisse un qualunque combattimento


Al Jafaari ha detto che il massacro di civili innocenti ad Al Qubeir è avvenuto cinque ore prima degli scontri armati: le immagini diffuse da Al Jazeera e da Al Arabia non ritraggono le vittime del massacro. "La tv siriana diffonderà le immagini autentiche... I canali televisivi specializzati in trasmissioni d'inchiesta hanno preso l'abitudine di mettere in onda filmati artefatti tutte le volte che è prevista una riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Gli abitanti di Al Qubeir hanno asserito che i fucilieri che hanno commesso questo crimine arrivavano da un altro villaggio di nome Jrejes e che la cosa ha indotto gli abitanti a chiedere l'intervento dell'esercito regolare.
"Quello che sta avvenendo in alcune regioni della Siria è un massacro odioso e ingiustificabile, ma alcune dichiarazioni che ho sentito in questa sede fanno il gioco di questo macello, perché la diagnosi della situazione da cui muovono è sbagliata e viene da salette di regia politiche e mediatiche che non hanno alcun rapporto con la situazione sul terreno", ha aggiunto Al Jaafari. "Il governo siriano porge la mano in segno di pace a tutti i poteri politici che non hanno sangue siriano sulle mani, affinché sia possibile arrivare a quella salda sicurezza cui tutti noi aspiriamo".

Il piano Annan sempre messo in dubbio da alcuni paesi

Al Jafaari ha detto che alcuni paesi hanno sempre messo in dubbio il piano Annan: anche prima che venisse messo in atto c'era qualcuno che ne valutava le possiblità di successo nel trenta per cento, mentre altri consideravano gli osservatori internazionali come testimoni mendaci, invocavano l'intervento militare straniero, esortavano i siriani a prendere le armi gli uni contro gli altri e a rifiutare il dialogo e offrivano sostegno a gruppi armati terroristici.
"Vorrei fare un esempio soltanto: la nave Luftallah 2 che trasportava armi dalla Libia, da far passare attraverso il Libano e da far arrivare ai gruppi armati siriani. Tre giorni fa un nuovo raggruppamento salafita chiamato "Fronte siriano dei ribelli" ha annunciato la propria costituzione ad Istanbul; il suo obiettivo dichiarato è quello di unificare le fazioni armate in Siria, considerato che è iniziata quella che a suo dire è "la battaglia per la liberazione della Siria"... E' chiaro che parole d'ordine come questa sono contrarie al piano di Annan".
Il rappresentante alle Nazioni Unite della Repubblica Araba di Siria ha sottolineato che determinati paesi sovrani che stanno sostenendo le azioni violente in Siria, nel tentativo di giustificare le azioni terroristiche, ribattono che la violenza messa in atto dalle formazioni armate altro non sarebbe che una difesa. "Gli attentati suicidi che hanno preso a bersaglio obiettivi siriani sono atti di autodifesa? Attaccare gli ospedali, il personale sanitario e le scuole conferisce alla cosa il crisma della democrazia?"
Al Jafaari ha detto che i paesi che stanno fornendo sostegno ai terroristi e che li stanno aiutando a perpetrare i loro crimini in Siria devono essere considerati complici di questo bagno di sangue e che la Siria è pronta ad accogliere una commissione d'inchiesta composta da rappresentanti di paesi di orientamento oggettivo e che non vedano di buon occhio le intromissioni straniere negli affari siriani.
Le accuse di Nabil Al Arabi contraddicono le prime conclusioni stilate dalla missione degli osservatori delle Nazioni Unite in Siria: "mi piacerebbe sapere", ha proseguito Al Jafaari, "cosa si pensa all'ONU delle sanzioni, illegittime ed unilaterali, imposte a ventitré milioni di cittadini siriani che sono rimasti senza gas e senza combustibili".

La pratica del terrorismo è stata scopertamente adottata da gruppi armati che si vantano delle proprie azioni

Al Jafaari ha aggiunto che ogni genere di azione terroristica è stata messa in atto da gruppi armati che si vantano apertamente dei propri atti, sottolineando che "coloro che negano di aver introdotto clandestinamente armi in Siria, che rigettano l'accusa di aver dato l'avvio al terrorismo e di aver sparso il sangue siriano per mano di Al Qaeda e dei gruppi sostenuti dai salafiti sono complici del terrorismo e dovrebbero risponderne alla giustizia".
Il segretario generale della Lega Araba, che nella lettera inviata al capo del Consiglio di sicurezza il 27 maggio aveva già accusato le autorità siriane del massacro di Al Houla scrivendo del "doloroso massacro perpetrato dall'esercito regolare siriano ad Al Houla”, è tornato oggi ad accusare le autorità siriane del massacro atroce, terribile ed ingiustificabile avvenuto nel villaggio di Al Qbeir, nei pressi di Hama.
"Quindi dobbiamo chiedere al segretario della Lega araba" ha proseguito Al Jaafari "come sia riuscito ad arrivare ad un giudizio tanto prematuro quanto emesso da lontano sotto ogni aspetto, oltre che contrario al primo rapporto degli osservatori delle Nazioni Unite, se le indagini conclusive appositamente centrate su questo efferato massacro non sono ancora terminate".

La Siria è pronta a ricevere una commissione d’inchiesta composta da paesi neutrali

"Oggi... su queste basi ed alla presenza del Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e del segretario generale della Lega Araba, annunciamo che la Siria è pronta a ricevere una commissione d’inchiesta composta da paesi neutrali, che rispettino la Carta delle Nazioni Unite e siano contrari a qualunque intromissione negli affari siriani".
Al Jaafari ha detto che “Abbiamo sentito un sacco di dichiarazioni e di discorsi sugli aiuti umanitari necessari in Siria, e ci domandiamo dove siano gli aiuti di cui si parla e che sarebbero in procinto di essere distribuiti con urgenza alle persone bisognose".
Secondo Al Jafaari il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Valerie Amos, ha menzionato in una nota formale che i contributi internazionali per soddisfare le esigenze umanitarie in Siria avrebbero raggiunto i centodiciotto milioni di dollari una settimana fa, ed ha espresso il timore che solo un terzo di questa quantità di denaro, trentasette milioni, siano stati stanziati per i programmi umanitari all’interno della Siria, mentre il resto del denaro dovrebbe essere speso per soddisfare le esigenze umanitarie dei siriani fuori del paese, mettendo in discussione l'atteggiamento delle Nazioni Unite su quelle sanzioni unilaterali che colpiscono oltre ventitré milioni di cittadini siriani.
Al Jaafari ha affermato che vari organismi internazionali hanno presentato diverse relazioni credibili sulle violazioni dei diritti umani commesse dai gruppi armati terroristici in Siria, tra le quali c'è il rapimento a scopo di lucro. Ha ricordato che un osservatore delle Nazioni Unite gli disse che a Homs era rimasto scioccato nel vedere come la maggior parte delle persone armate fossero bambini e adolescenti sotto i diciotto anni.

Secondo Annan i gruppi terroristici hanno intensificato gli attacchi, e gli attentati indicano il coinvolgimento di terzi

L’inviato delle Nazioni Unite per la Siria Kofi Annan ha detto che i gruppi armati terroristici in Siria hanno intensificato i loro attacchi, i quali "non servono gli interessi del popolo siriano".
Intervenendo alla sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla Siria, Annan ha detto che la recente serie di attentati in Siria ha ulteriormente complicato la situazione, aggiungendo che questi attentati indicano che una terza parte è attiva sulla scena.
L’inviato dell'ONU ha affermato che il governo siriano ha rilasciato detenuti e che sono stati raggiunti accordi sulla fornitura di aiuti umanitari; si considera che sia giunto il momento di prendere decisioni che consentano di agire in modo più incisivo per garantire l'attuazione dei sei punti del suo piano di pace.
"Se la situazione rimane la stessa, è probabile che in futuro si verifichino ancora più uccisioni, atrocità e violenza settaria, con il rischio di una guerra civile vera e propria destinata a chiudersi per i siriani con un quadro in cui non ci sono vincitori", ha detto Annan, affermando anche che il suo piano non starebbe funzionando.
"Inorridisco a fronte della nuova strage in cui, a due settimane dalla strage di Al Houla, un gran numero di persone è stato massacrato ad Al Qubeir, ad occidente di Hama; tra esse c'erano anche donne e bambini" ... "Offro sentite condoglianze alle famiglie delle vittime", ha detto Annan, sottolineando come sia importante che i colpevoli vengano assicurati alla giustizia.
Annan ha constatato che la crisi in Siria si sta aggravando e la violenza sta diventando sempre peggiore. "Le tensioni nel paese stanno diventando sempre più estreme e radicalizzate, ed i vicini della Siria sono sempre più preoccupati che la crisi possa estendersi ai loro paesi".
”Mentre chiediamo il rispetto del diritto internazionale e dei sei punti del piano, vorremmo fosse chiaro che è verosimile che ci siano ripercussioni nel caso in cui il piano non fosse attuato... Dobbiamo tracciare una rotta chiara per il processo di transizione politica, se vogliamo aiutare il governo siriano, l’opposizione e la società siriana a risolvere la crisi", ha detto Annan.
Annan ha anche affermato che è ancora possibile evitare il peggio e la Siria può uscire dalla crisi, giurando di non risparmiare alcuno sforzo per aiutare il popolo siriano.

Churkin: fornire armamenti alle fazioni armate non fa che aggravare le cose


Il rappresentante della Russia alle Nazioni Unite, Vitali Churkin, ha sottolineato che la pressione unilaterale sulla Siria non è utile e che le sanzioni non aiutano a risolvere la crisi, aggravando invece la situazione umanitaria nel paese; Churkin chiede che si metta fine al sostegno elargito in armamenti e denaro all'opposizione armata.
In un discorso tenuto durante la riunione dell’Assemblea generale dell’ONU, Churkin ha detto che deve cessare il sostegno a quella parte dell'opposizione armata che invoca l'intervento militare straniero. Ha aggiunto che la Russia chiede una conferenza sulla Siria, ribadendo l’impegno della Russia a mantenere le proprie posizioni sulla questione che prevedono la ricerca di una soluzione pacifica, attraverso un processo politico guidato dalla Siria stessa.

L'ambasciatore cinese: la Cina chiede che si raggiunga una soluzione pacifica della crisi in Siria

L’ambasciatore cinese alle Nazioni Unite Li Baodong ha detto che il suo paese auspica che si raggiunga una soluzione pacifica della crisi siriana tramite negoziati, senza interventi stranieri e senza rovesciamenti violenti del governo in carica.
“La Cina mantiene un ruolo attivo nella ricerca di una soluzione pacifica e concordata della crisi in Siria... La Cina segue gli ultimi sviluppi della situazione”, Baodong ha aggiunto in un discorso pronunciato nel corso della riunione. L'ambasciatore cinese ha invitato tutte le parti in causa a sviluppare i sei punti del piano Annan e ad impegnarsi in modo efficace per fermare la violenza, proteggere i civili e avviare un dialogo politico globale.

L’India a favore di una soluzione pacifica alla crisi in Siria


Il rappresentante dell’India alle Nazioni Unite, Hardip Singh Puri, ha sottolineato che il suo paese è favorevole ad una soluzione pacifica alla crisi siriana e al fatto che tutte le parti prendano impegni nei confronti del piano in sei punti dell’inviato delle Nazioni Unite Kofi Annan.
Nel suo discorso durante la riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla situazione in Siria, Singh Puri ha espresso crescente preoccupazione per gli attacchi contro civili e forze armate regolari, aggiungendo che l’India condanna tutte le forme di terrorismo e di violenza, indipendentemente da chi le commette.
Il rappresentante indiano ha sottolineato che insistere sull’aumento della militarizzazione dei contrasti in Siria avrebbe pericolose ripercussioni sulla pace e sulla stabilità della regione nella sua interezza. Ha aggiunto che l’India invita tutte le parti a desistere dalla violenza e a compiere progressi sui sei punti previsti dal piano di pace di Annan.

Iran: i gruppi armati terroristici ostacolano il piano Annan

Il rappresentante dell’Iran alle Nazioni Unite, Mohammad Khazai, ha sottolineato che i gruppi armati terroristici che non rispettano l’invito a porre fine alle violenze e le prese di posizione provocatorie assunte dai rappresentanti di alcuni paesi sono d'ostacolo al successo del piano dell’inviato delle Nazioni Unite per la Siria Kofi Annan.
In un discorso durante la riunione dell’Assemblea generale dell’ONU, Khazai ha sottolineato che i gruppi armati hanno intensificato senza alcun ritegno gli attacchi terroristici contro i cittadini, che stanno distruggendo proprietà pubbliche e che commettono rapimenti di persone. Ha invocato il potenziamento del piano Annan per la risoluzione della crisi, considerando questa strada come l'unica possibile per giungere ad un processo politico guidato dalla Siria.

venerdì 8 giugno 2012

Firenze è preda del degrado, dell'insicurezza e del terrorismo



La traduzione operazionale dell'"occidentalismo" è rappresentata dalla distruzione di ogni società civile reattiva e consapevole e dalla sua sostituzione con un aggregato di individui privi di legami sociali e dediti esclusivamente a consumi forsennati e dozzinali. L'incubo distopico che l'"occidentalismo" vuole tradurre in realtà è rappresentato da un mondo in cui turres eburneae isolate da tutto sono circondate da un volgo aggressivo e lacero, tenuto a bada da eserciti privati.
La "libera informazione" ha operato per moltissimi anni in piena consapevolezza, come non ci stancheremo mai di sottolineare, affinché i sudditi dello stato che occupa la penisola italiana vivessero in una perenne condizione di diffidenza e di sospetto reciproco e criminalizzando di fatto qualunque comportamento non spostasse denaro da chi ne ha poco a chi ne ha molto. Si tratta di un contributo piuttosto rilevante alla costruzione della distopia "occidentalista", i cui autori, in un mondo rimasto a quote più normali, sarebbero senz'altro stati perentoriamente chiamati a rendere conto del proprio operato.
I nostri lettori sanno bene che in questa sede non si è mai fatto gran che per nascondere il profondo disprezzo che la sedicente "libera informazione" merita in blocco per il solo fatto di esistere.
Il fenomeno relativamente nuovo, ed in sorprendente e piacevole crescita, è rappresentato dal fatto che le istanze "occidentaliste" si scontrano ogni giorno che passa con una realtà sempre più scopertamente ostile. Un'ostilità spontanea, scontata e perentoria che salta fuori negli angoli più impensati. Un'ostilità fatta di alzate di spalle e di aperta derisione che il clima sociale fiorentino non ha mai fatto veramente mancare, come testimoniò a suo tempo l'accoglienza di adamantino e salutare disprezzo riservata all'abbaiare di Oriana Fallaci e dalla gelida e scostante indifferenza con cui Firenze ne tollerò l'agonia. Si tratta di pagine che è bene togliere dall'oblio e riconsegnare al ridicolo che loro spetta, perché meglio di molte altre rendono conto della realtà gazzettiera.
Il risultato di tutto questo, grazie all'intoccabile "libero mercato", è che negli ultimi anni varie gazzettine locali di Firenze sono state prima sommerse dall'ostilità e dai resi, e alla fine sono affogate nei debiti dopo aver fatto tiratura definendo terrorismo qualunque cosa non portasse redditi alla loro committenza. Nella definizione rientravano tranquillamente anche gli scambi di secchiate d'acqua con cui qualche studente festeggiava la fine dell'anno scolastico, materia come qualunque altra adatta ad invocare giridivite e tolleranzezzèro.
Facciamo dunque il verso alla marmaglia delle redazioni, speriamo in altri e meritati fallimenti e inneggiamo ancora una volta al terrorismo, all'insihurezza e a i'ddegrado.

giovedì 7 giugno 2012

Una pista cattolica per l'attentato di Brindisi



Il 19 maggio 2012 vicino ad una scuola superiore di Brindisi è esploso un ordigno artigianale che ha ucciso una ragazza e ne ha ferite altre. Un sottotitolo di gazzetta faceva dire al ministro degli affari interni dello stato che occupa la penisola italiana che "Non è un tipico atto di mafia, ma lo Stato c'è".
In capo a qualche settimana la gendarmeria mette le mani su un certo Giovanni Vantaggiato, che avrebbe agito per motivi tutti suoi.
Niente "stato", niente "anarchici".
E meno che mai una "pista islamica". Gli audaci interventi urbanistici nella New York settembrina cominciano ad allontanarsi e l'agenda setting a cambiare: anche perché dei risultati di certo stone turning e di certi democracy exports di cui furono pretesto meno si parla e meglio è.
Quindi l'interesse gazzettiero e politichesco per una "pista islamica" alla base dell'attentato si è manifestato come tale solo nelle ciance di qualche buono a nulla con la cravatta, ed è rimasto confinato alle ciarle da mescita e a qualche forum telematico tenuto in vita dall'occidentalame più fedele alle consegne.
Solo che ci sono cose per le quali è bene avere la memoria lunga.
Fino all'altro ieri moltissima gente che lavora tutto il giorno ha fatto le spese del tornaconto mediatico e politico degli "occidentalisti": l'avvocato Carlo Corbucci ha riempito senza difficoltà le oltre millesettecento pagine del suo "Il terrorismo islamico - Falsità e mistificazione" limitandosi a riportare i casi più eclatanti in cui l'Islam -o meglio, la provenienza anagrafica da un certo paese sovrano piuttosto che da un altro- e la propensione al delitto efferato sono stati considerati sinonimi.
Tenendo presente tutto questo diventa possibile il divertissement che consiste nel fare il verso alle gazzette e alla loro committenza, usando la stessa "logica" con la quale hanno sostenuto per tanto tempo la loro miserabile fortuna. Specularmente a quanto i fogliettisti hanno statuito per anni, possiamo concederci la libertà di statuire con la stessa fondatezza che sono sinonimi il cattolicesimo -o meglio, la provenienza da un certo paese sovrano piuttosto che da un altro- e la propensione al delitto efferato.
Secondo le gazzette, Giovanni Avvantaggiato viene da Copertino, e con ogni probabilità è suddito dello stato che occupa la penisola italiana.
Il caso è di una gravità senza pari. Copertino è il paese natale di San Giuseppe da Copertino, protettore degli studenti. E anche degli aviatori, per via di certi miracoli di levitazione attribuitigli. Questo porta ad ipotizzare che qualche democracy exporter abbia bombardato Afghanistan ed Iraq tenendo un'immagine del santo nella cabina del proprio aereo, portando acqua alla fondatezza di quanto sosteniamo, ma andiamo pure oltre.
Ce ne sarebbe di che imbastire almeno una settimana di titoli strillati, in cui sostenere (tacciando ovviamente di terrorista chiunque osi obiettare) il malevolo influsso della dottrina cattolica, la nequizia che essa legittima, la voglia di sangue innocente che pervade chiunque si accosti al magistero pontificio, ed altra mercanzia dello stesso genere; si potrebbero consultare gli archivi della gendarmeria e stilare "numeri monografici" sulla disposizione dei cattolici di Copertino all'assassinio a tradimento, sulla violenza abituale letteralmente imposta ai fedeli dalla devozione a San Giuseppe, e via di questo passo.
L'effetto di produzioni fogliettistiche di questo genere suonerebbe per lo meno assurdo, ma è un assurdo cui si arriva facilmente cambiando pochi vocaboli e "ragionando" come "ragionano" nelle redazioni.

La realtà invece è parecchio più pedestre ed è spesso, per non dire sempre, opposta agli interessi gazzettieri.
Sicché niente Islam, niente "stato", niente "anarchici".
Qualcosa di molto meno.
Qualcosa di molto peggio.

mercoledì 6 giugno 2012

Il mutuo eufemistico e i miracoli in caserma


Impressioni rapide di una giornata qualsiasi.

Mutuo in tasca.
In tasca.
Nulla di peggio, agli occhi di tanti autonominati guardiani della "civiltà occidentale", che bistrattare gli istituti bancari e le loro pubblicità.
Questo "mutuo in tasca" promette di essere un "servizio" che consente sostanzialmente di indebitarsi ancor prima di sapere per quale motivo lo si è fatto.
Lo slogan è del tutto appropriato a descrivere eufemisticamente la situazione dei sottoscrittori.


Dai mutui in tasca si può passare ai miracoli in caserma. Ci pensano la pubblicità e le gazzette "occidentaliste": tutto gratis.
E chi ride è un terrorista.
...il conferimento della medaglia d'oro al valore all'appuntato scelto Antonio Santarelli, uno dei due carabinieri aggrediti il 25 aprile dello scorso anno da parte di quattro giovani e morto dopo un anno di coma durante il controllo di un'auto dei giovani a Sorano.
Nello stato che occupa la penisola italiana la gendarmeria sta compiendo un'autentica rivoluzione nell'impiego operativo di uomini e risorse. Nella lotta a i'ddegràdo e all'insihurézza neppure una diagnosi di coma è in grado di impedire ad un gendarme il normale svolgimento dei propri compiti.
Impossibile non crederci, se tanto assicurano i gazzettisti dell'ANSA.

martedì 5 giugno 2012

La poesia dei Talebani. Quelli che bruciano le scuole e avvelenano le studentesse.


Sul blog di Miguel Martinez è comparsa all'inizio di giugno del 2012 una serie di considerazioni su un testo poetico in lingua inglese recentemente dato alle stampe, Poetry of the Taliban.
E' probabile che chi scrive su Kelebeklerblog abbia persino letto il libro da cima a fondo, contrariamente all'uso corrente che impone di esprimersi su qualsiasi argomento senza averne alcuna competenza e che nel farlo si debba avere ogni cura di attenersi a conformismi dallo spaghettesco e mandolinistico squallore.
Tutti sanno che un "occidentalista" trova disdicevole svolgere attività retribuite diverse dalla prostituzione o dal parassitismo, qualsiasi significato si decida di attribuire a questi vocaboli; il risultato è che la maggior parte di costoro ha moltissimo tempo a disposizione.
Sicché è bastato che passasse qualche ora dalla pubblicazione perché un commentatore dei più fedeli al proprio ruolo specificasse che
Sicuramente apprezzeranno molto la poesia dei talebani anche le donne col viso sfregiato dall’acido, le bambine date in sposa a dieci anni, le maestre le cui scuole i barbuti hanno fatto saltare in aria con la dinamite.
Nulla di troppo irritante: il mainstream nella sua interezza e i frequentatori di ristoranti cui esso fa da propagandista esprimono da oltre dieci anni concetti improntati alla stessa cognizione di causa.
Ad una risposta del gestore del blog, famoso tra quanti lo conoscono per la sincera simpatia che prova per i diversamente pensanti, ha proseguito:
Quindi non è vero che in Afghanistan ci sono stati casi di donne col viso sfregiato dall’acido per non essersi sottomessi al marito?
Quindi non è vero che in Afghanistan le bambine vengono sposate a dieci, undici o dodici anni?
Quindi non è vero che i talebani non permettono alle bambine e alle donne di studiare?
Si può rispondere con un sì o con un no.
Si noti specialmente l'ultima frase. E' tipico dell'atteggiamento da "talk show" dei politici "occidentalisti" e dei loro giornalai rifiutare risposte diverse da quelle utilizzabili per descrivere il punteggio di una partita al pallonaio: un modo come un altro per escludere abitualmente la competenza e l'obiettività da qualsiasi materia in discussione. Questo espediente retorico -entrato da tempo nell'uso dell'ultimo degli sfaccendati dotato di apparecchio televisivo- imporrebbe all'interlocutore di scegliere se accettare le proposizioni imposte dall'"occidentalista" di turno oppure denegarle, diventando in questo caso passibile di bombardamento preventivo e meritevole di democratizzazione a mezzo B52.
Dal momento che in questa sede si mette una certa cura a distinguersi sotto ogni punto di vista da chi trascorre presumibilmente le proprie giornate ingrassando e visionando filmati pornografici, invece di rispondere con un sì o con un no si risponde traducendo una dichiarazione diffusa dall'Emirato Islamico dell'Afghanistan alla fine di maggio 2012. Al di là delle schermaglie propagandistiche, è essenziale notare che i portavoce di Karzai ammettono senza problemi che i Taliban non sono contrari all’educazione delle donne; in "occidente" invece -e non c'è da stupirsene- dieci anni di guerra non sono serviti neppure a questo.


Traduzione da Voice of Jihad, Islamic Emirate of Afghanistan.

Dichiarazione dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan sugli incendi delle scuole e sull'avvelenamento delle studentesse

Giovedi 31 maggio 2012
Giovedi 10 rajab 1433

Secondo quanto riferito dai media negli ultimi tempi nella provincia di Takhar sarebbero state avvelenate delle studentesse. In precedenza si era sentito di qualcosa di simile nella provincia di Khost ed in altre località del paese. Alcuni massmedia filocolonialisti e contrari alla jihad, che come prassi ordinaria riferiscono di fatti come questi prima di ogni altro, hanno senza mezzi termini accusato l'Emirato Islamico e non hanno atteso che il portavoce ufficiale dell'Emirato Islamico si esprimesse in merito. Tra l'altro i mass media fanno finta di non sapere che nel 2011, in una conferenza sui sistemi educativi tenutasi a Londra, il ministro dell'educazione del governo fantoccio di Kabul ha esplicitamente ammesso che quella che lui definisce l'opposizione armata non è contraria all'educazione di ragazze e ragazze. Allo stesso modo il viceministro dello stesso dicastero ha dichiarato che a distruggere le scuole sono dei gruppi criminali e non i talebani. Vorremmo anche ricordare come il 22 febbraio scorso nella zona di Kashkot, all'interno del distretto di Khewa, un insegnante e nove studenti siano rimasti feriti nell'indiscriminato bombardamento compiuto da elicotteri degli eserciti invasori. Il servilismo dei mass media ha fatto loro chiudere entrambi gli occhi su fatti come questo, che sono la realtà quotidiana.
E' un fatto che negli ultimi tempi gli invasori hanno martirizzato e bruciato civili innocenti e bambini nella zona di Zangawat, nel distretto di Panjwai, e che hanno oltraggiato i corpi dei martiri prima di bruciarli. Nella base aerea di Bagram hanno commesso l'atto imperdonabile di oltraggiare il Sacro Corano. Gli invasori e i loro servi adesso cercano di distogliere l'attenzione della nazione afghana e quella della comunità internazionale dalle loro azioni barbare e dai loro crimini, mettendo di proposito in giro voci come quella sull'avvelenamento delle studentesse.
L'Emirato Islamico dichiara ancora una volta che si tratta di avvenimenti orribili, con ogni probabilità perpetati da qualche organizzazione spionistica come i servizi segreti del governo fantoccio di Kabul, in nome della sicurezza nazionale.
La politica dei Mujahedin non ha bisogno di molti chiarimenti: resistenza armata contro gli eserciti invasori e contro coloro che li sostengono, fino alla liberazione del paese.
Gli invasori e i mass media sul loro libro paga diffondono menzogne sul conto dei Mujahedin; menzogne che sono parte della guerra mediatica e non hanno alcun riscontro nel reale.
L'Emirato Islamico si dichiara completamente estraneo ai fatti e assicura che i criminali di questa specie, se tratti in arresto all'interno del paese, saranno puniti secondo la legge islamica.