giovedì 25 aprile 2024

"Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema"

 

E invece ci sono tornati eccome. E velocissimi, anche.
Gli aperitivi a dieci euro e il clima di terrore a gratis.

La verità è che sono cattivo, ma questo cambierà, io cambierò. È l'ultima volta che faccio cose come queste, metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto, scelgo la vita. Già adesso non vedo l'ora, diventerò esattamente come voi; il lavoro, la famiglia, il maxitelevisore del cazzo, la lavatrice, la macchina, il cd e l'apriscatole elettrico, buona salute, colesterolo basso, polizza vita, mutuo prima casa, moda casual, valigie, salotto di tre pezzi, fai da te, telequiz, schifezze della pancia, figli a spasso nel parco, orario d'ufficio, bravo a golf, l'auto lavata, tanti maglioni, Natale in famiglia, pensione privata, esenzione fiscale, tirando avanti lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai.

Ewan McGregor, 1996.



E perché il sol dell'avvenire splenda ancora sulla terra,
Facciamo un po' di largo con un'altra guerra.

Franco Battiato, 1980.



mercoledì 24 aprile 2024

Alastair Crooke - Il sionismo finirà per autodistruggersi?

Traduzione da Strategic Culture, 22 aprile 2024.

(Questo articolo rappresenta la traccia per un intervento previsto al 25° Yasin (aprile), iniziativa accademica internazionale sullo sviluppo economico alla Università HSE di Mosca, aprile 2024)

Nell'estate che seguì l'offensiva (fallita) dello stato sionista contro Hezbollah del 2006, Dick Cheney sedeva un giorno nel suo ufficio lamentandosi ad alta voce del fatto che Hezbollah ne era suscito intatto e, peggio ancora, del fatto che gli sembrava che l'Iran fosse stato il principale beneficiario della guerra in Iraq degli Stati Uniti del 2003.
All'incontro era presente John Hannah, che avrebbe poi raccontato di come l'ospite di Cheney -l'allora capo dell'intelligence saudita il principe Bandar- avrebbe convintamente concordato. Tra lo stupore generale il principe Bandar affermò che si poteva comunque mettere l'Iran al suo posto. La Siria era l'anello "debole" tra l'Iran e Hezbollah: lo si sarebbe potuto spaccare attraverso un'insurrezione islamista, propose Bandar. Lo scetticismo iniziale di Cheney si trasformò in euforia quando Bandar disse che il coinvolgimento degli Stati Uniti non sarebbe stato necessario: sarebbe stato lui, il principe Bandar, a organizzare e gestire la cosa. "Lasciate fare a me", disse.
Bandar disse a quattr'occhi a John Hannah: "Il Re sa che a parte il collasso della Repubblica Islamica stessa, non c'è nulla che indebolirebbe l'Iran più della perdita della Siria".
Una nuova fase della guerra di logoramento contro l'Iran iniziò così. Si sarebbe spostato in modo decisivo l'equilibrio del potere regionale verso l'Islam sunnita e le monarchie del Golfo.
Il vecchio equilibrio dell'epoca dello Scià, in cui la Persia godeva del primato regionale, doveva finire: e finire definitivamente, speravano gli Stati Uniti, lo stato sionista e il re saudita.
L'Iran -già gravemente ferito dalla guerra imposta con l'Iraq- aveva deciso che non sarebbe mai più stato tanto vulnerabile. L'Iran aveva mirato a trovare un modo per mantenere una propria deterrenza strategica nel contesto di una regione dominata dallo schiacciante dominio aereo dei suoi avversari.
Ciò che è accaduto questo sabato 14 aprile -circa 18 anni dopo- è quindi di estrema importanza.
Nonostante le polemiche e il brusìo che sono seguiti all'attacco iraniano, lo stato sionista e gli Stati Uniti conoscono la verità: i missili iraniani sono riusciti a penetrare direttamente nelle due basi e nei siti aeronautici più sensibili e più difesi dello stato sionista. Dietro la retorica occidentale si nascondono lo shock e i timori dello stato sionista. Le sue basi non sono più intoccabili.
Lo stato sionista sa anche -ma non può ammetterlo- che il cosiddetto "attacco" non era un attacco, ma un messaggio con cui l'Iran affermava la nuova equazione strategica: qualsiasi attacco sionista all'Iran o al suo personale comporterà una rappresaglia iraniana nei confronti dello stato sionista.
Questo atto di fissare una nuova "equazione nell'equilibrio del potere" unisce i diversi fronti contro "la connivenza degli Stati Uniti verso le iniziative dello stato sionista in Medio Oriente, che sono al centro della politica di Washington e che per molti versi sono la causa principale di nuove tragedie", per dirla con le parole del Ministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov.
Questa equazione rappresenta un fronte fondamentale -insieme alla guerra della Russia contro la NATO in Ucraina- per convincere l'Occidente che il suo mito eccezionalista e redentore si è rivelato essere di una presunzione fatale, che deve essere abbandonato e che è necessario un profondo mutamento culturale in Occidente.
Le radici di questo conflitto culturale dalla più ampia portata sono profonde, ma finalmente sono emerse.
Il principe Bandar nel 2006 ha iniziato a giocare la carta sunnita, ma poi la partita è andata male. Per la maggior parte grazie all'intervento della Russia in Siria. E l'Iran è uscito dall'isolamento ed è saldamente attestato come potenza regionale di primo piano. È il partner strategico di Russia e Cina. E gli Stati del Golfo oggi stanno attenti più che altro al denaro, agli "affari" e alle tecnologie, piuttosto che alla giurisprudenza salafita.
La Siria, all'epoca presa di mira dall'Occidente e messa al bando, non solo è sopravvissuta a tutto ciò che l'Occidente poteva gettarle addosso, ma ha ritrovato il caloroso abbraccio dalla Lega Araba e la sua riabilitazione. E oggi la Siria sta lentamente ritrovando la strada per tornare a essere se stessa.
Tuttavia, anche durante la crisi siriana si sono verificate dinamiche impreviste nel gioco in cui il principe Bandar contrapponeva l'identità islamista all'identità laica socialista araba. Scrivevo nel 2012:
Negli ultimi anni abbiamo sentito i sionisti ribadire con forza la loro intenzione di essere riconosciuti come Stato nazionale specificamente ebraico, piuttosto che come stato sionista di per sé.
Uno Stato che avrebbe sancito diritti eccezionali per gli ebrei in campo politico, giuridico e militare.
[All'epoca] i paesi musulmani cerca[va]no di smantellare gli ultimi resti dell'era coloniale. Vedremo forse questa lotta prendere sempre più le forme di una lotta primordiale tra simboli religiosi ebraici e islamici, tra al-Aqsa e il Monte del Tempio?
Per essere chiari, ciò che era evidente già allora nel 2012 era "che sia lo stato sionista che il territorio circostante stanno marciando al passo con un linguaggio che li porta lontano dai concetti di fondo, in gran parte laici, con cui questo conflitto è stato tradizionalmente interpretato. Quali le potenziali conseguenze, visto che il conflitto per sua stessa logica diventa così uno scontro tra poli religiosi?".
Se dodici anni fa i protagonisti si stavano esplicitamente allontanando dai basilari concetti laici con cui l'Occidente aveva interpretato il conflitto, noi, al contrario, stiamo ancora oggi cercando di comprendere il conflitto palestinese attraverso la lente di concetti laici e di ispirazione razionale, anche se lo stato sionista è adesso evidente preda di una frenesia sempre più apocalittica.
Siamo bloccati di conseguenza nel tentativo di affrontare il conflitto attraverso gli strumenti politici utilitaristici e razionalisti cui ricorriamo abitualmente. E ci chiediamo perché la nostra interpretazione non funziona. Non funziona perché entrambi i contendenti hanno superato il razionalismo meccanicistico e si sono spostati su un piano diverso.


Il conflitto diventa escatologico

Le elezioni dello scorso anno nello stato sionista hanno comportato un cambiamento rivoluzionario: i mizrahim sono arrivati fino all'ufficio del Primo Ministro. Questi ebrei provenienti dal mondo arabo e nordafricano e che adesso costituiscono forse la maggioranza hanno abbracciato insieme ai loro alleati politici di destra un programma radicale: completare la fondazione dello stato sionista sulla Terra d'Israele (niente Stato palestinese, quindi); costruire il Terzo Tempio al posto di Al-Aqsa e istituire la legge halachica al posto della legge laica.
Niente di tutto questo può essere definito "laico" o liberale. Si tratta del rovesciamento rivoluzionario della élite aschenazita. Fu Begin a legare i mizrahim prima all'Irgun e poi al Likud. I mizrahim ora al potere considerano se stessi i veri rappresentanti dell'ebraismo e il loro progetto è l'Antico Testamento. E trattano con sufficienzza i liberali aschenaziti di origine europea.
Se pensiamo di poterci lasciare alle spalle i miti e i dettami della Bibbia in questa nostra epoca intrisa di laicismo, in cui gran parte del pensiero occidentale contemporaneo ignora queste prospettive liquidandole come confuse o irrilevanti, ci sbagliamo.
Come ha scrive un commentatore,
I personaggi politici dello stato sionista ormai infarciscono in continuazione i loro proclami di riferimenti biblici e di allegorie. Primo fra tutti Netanyahu... Dovete ricordare ciò che Amalek vi ha fatto, dice la nostra Sacra Bibbia, e noi lo ricordiamo - e stiamo combattendo..." Qui [Netanyahu] non solo invoca la profezia di Isaia, ma inquadra il conflitto come uno scontro della "luce" contro le "tenebre" e del bene contro il male, dipingendo i palestinesi come i figli delle tenebre che devono essere sconfitti dagli Eletti: Il Signore ordinò al re Saul di distruggere il nemico e tutto il suo popolo: "Va' dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini" (15:3)".
Potremmo definire questo modo di fare come "escatologia a caldo"; è un approccio che si sta diffondendo tra i giovani quadri militari dello stato sionista, al punto che l'alto comando ne sta perdendo il controllo sul campo dal momento che gli manca una una classe di sottufficiali.
D'altra parte, la rivolta lanciata da Gaza non si chiama "Alluvione di Al Aqsa" per niente. Al Aqsa è sia il simbolo di una storica civiltà islamica, sia il baluardo contro la costruzione del Terzo Tempio per il quale sono in corso i preparativi. Il punto è che Al-Aqsa rappresenta l'Islam in generale, non quello sciita, quello sunnita o quello ideologico.
Poi, a un altro livello, abbiamo per così dire una "escatologia spassionata": quando Yahyah Sinwar scrive di "vittoria o martirio" per il suo popolo a Gaza; quando Hezbollah parla di sacrificio; e quando la Guida Suprema iraniana parla di Hussein bin Ali (il nipote dell'Inviato) e dei suoi circa settanta compagni che nel 680 d.C. andarono per una causa di giustizia incontro al massacro contro un esercito forte di mille uomini, si tratta di un sentire semplicemente al di là della portata della comprensione occidentale, che è centrata sull'utilitarismo.
Non possiamo razionalizzare facilmente questo modo di porsi, secondo le modalità del pensiero occidentale. Tuttavia, come osserva l'ex ministro degli Esteri francese Hubert Védrine, l'Occidente pur essendo laico è "consumato dalla fiamma del proselitismo". Lo "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni" di San Paolo è diventato "andate a diffondere i diritti umani in tutto il mondo"... E questo proselitismo è estremamente radicato nel [DNA occidentale]: "Anche le persone meno religiose, totalmente atee, hanno ancora una mentalità di questo tipo [anche se] non sanno da dove venga".
Potremmo chiamarla "escatologia laica", per così dire. È certamente una conseguenza.


Una rivoluzione militare: adesso siamo pronti

L'Iran, nonostante la guerra di logoramento dell'Occidente, ha perseguito una sua astuta strategia fondata sul saper incassare sul piano strategico, e ha tenuto i conflitti lontani dai suoi confini. Una strategia che ha puntato molto sulla diplomazia e sul commercio, oltre che sul soft power come strumento per intrecciare rapporti costruttivi con paesi vicini e lontani.
Dietro questa facciata tranquilla, tuttavia, si nascondeva l'evoluzione verso la deterrenza attiva. Un percorso che richiedeva una lunga preparazione militare e la disponibilità di alleati.


La nostra comprensione del mondo è diventata antiquata

Solo in pochi casi, davvero in pochi casi, una rivoluzione militare può rovesciare il paradigma strategico predominante. Questa è stata tuttavia l'intuizione chiave di Qassem Suleimani. Questo è ciò che implica la deterrenza attiva: il passaggio a una strategia in grado di rovesciare i paradigmi predominanti.
Sia lo stato sionista che gli Stati Uniti hanno eserciti convenzionali molto più potenti di quelli dei loro avversari, che per lo più sono piccole formazioni ribelli o rivoluzionarie non statali. Compagini del genere nell'ottica colonialista tradizionale vengono considerati più che altro come ammutinati, nei cui confronti è generalmente considerato sufficiente un dispendio minimo di potenza di fuoco.
L'Occidente, tuttavia, non ha completamente afferrato il senso delle rivoluzioni militari in corso. Si è verificato uno spostamento radicale dell'equilibrio di potere tra l'improvvisazione a bassa tecnologia e i costosi, complessi e meno robusti sistemi d'arma.


Gli elementi aggiuntivi

A rendere il nuovo approccio militare iraniano davvero foriero di ampie trasformazioni sono stati due fattori aggiuntivi. Uno è stato la comparsa di un eccezionale stratega militare, finito poi assassinato; l'altro, la sua capacità di mescolare e dislocare questi nuovi strumenti in una matrice del tutto nuova. La fusione di questi due fattori, insieme a droni e missili da crociera a bassa tecnologia, ha portato a termine la rivoluzione.
La filosofia che guida questa strategia militare è chiara: l'Occidente ha investito troppo nel dominio aereo e nella potenza di fuoco a tappeto che gli è propria. Privilegia gli assalti del tipo "shock and awe", ma si esaurisce rapidamente nelle prime fasi dello scontro. Raramente può reggere a lungo. E l'obiettivo della Resistenza è proprio quello di esaurire il nemico.
Il secondo principio chiave che guida questo nuovo approccio militare riguarda l'attenta calibrazione dell'intensità del conflitto, alzando e abbassando la tensione a seconda dei casi e, allo stesso tempo, facendo in modo che sia la Resistenza a decidere della escalation.
In Libano nel 2006 Hezbollah è rimasto in profondità nel sottosuolo mentre l'aeronautica sionista imperversava. I danni fisici in superficie sono stati enormi, ma le forze di Hezbollah sono rimaste intatte e sono emerse dai profondi tunnel solo dopo. Poi sono arrivati i trentatre giorni di missili lanciati da Hezbollah, fino a quando non è stato lo stato sionista a decidere di mollare.
La risposta militare sionista all'Iran ha avuto un qualche significato strategico?
I sionisti sono convinti che senza deterrenza -cioè senza che il mondo abbia paura di loro- non possono sopravvivere. Il 7 ottobre ha tolto alla società sionista ogni freno al timore essa prova per la propria esistenza. La presenza stessa di Hezbollah non fa che esacerbarlo. E poi è arrivato l'Iran, che ha fatto piovere missili direttamente sullo stato sionista.
L'apertura del fronte iraniano, in un certo senso, ha inizialmente favorito Netanyahu: la sconfitta delle forze armate sioniste nella guerra di Gaza, l'impasse per il rilascio degli ostaggi, gli sfollati che continuano a essere sfollati nel nord del paese e persino l'assassinio degli operatori umanitari della World Kitchen sono stati temporaneamente dimenticati. L'Occidente ha di nuovo fatto gruppo a fianco dello stato sionista e di Netanyahu. I paesi arabi hanno ricominciato a collaborare. E l'attenzione si è spostata da Gaza all'Iran.
Fin qui tutto bene... per Netanyahu, senza dubbio. Netanyahu ha cercato per vent'anni di coinvolgere gli Stati Uniti in una guerra contro l'Iran; due presidenti statunitensi hanno rifiutato uno dopo l'altro questa pericolosa prospettiva. E per ridimensionare l'Iran l'assistenza militare degli Stati Uniti sarebbe davvero necessaria.
Netanyahu percepisce la debolezza di Biden e ha gli strumenti e le competenze necessarie a manipolare la politica statunitense: in effetti, lavorando in questo modo, Netanyahu potrebbe costringere Biden a continuare a fornire armi allo stato sionista e persino ad approvare il suo coinvolgimento nel conflitto di Hezbollah in Libano.


Conclusione

Lo stato sionista andrà avanti con la strategia degli ultimi decenni, inseguendo speranzoso la chimera di una de-radicalizzazione dei palestinesi a vantaggio della propria sicurezza.
Un ex ambasciatore dello stato sionista negli Stati Uniti sostiene che lo stato sionista non può avere la pace senza questa de-radicalizzazione in grado di cambiare veramente le cose. "Se la portiamo avanti bene", insiste Ron Dermer, "renderà più forte lo stato sionista e anche gli Stati Uniti". È in questo contesto che va inquadrata l'insistenza dell'esecutivo di guerra per una rappresaglia contro l'Iran.
Le argomentazioni razionali favorevoli alla moderazione vengono interpretate come un invito ad ammettere la sconfitta.
Tutto questo per dire che i cittadini dello stato sionista sono psicologicamente molto lontani dall'idea di riconsiderare l'essenza dell'iniziativa sionista, ovvero i diritti esclusivi degli ebrei. Per ora essi hanno preso una strada del tutto differente, affidandosi a una interpretazione della Bibbia che molti sono arrivati a considerare come una serie di prescrizioni obbligatorie imposte dalla legge halachica.
Hubert Védrine ci pone una domanda supplementare: "Riusciamo a immaginare un Occidente che riesca a preservare i sistemi sociali che esso stesso ha generato e che al tempo stesso non faccia proselitismo e non sia interventista? In altre parole, un Occidente che sappia accettare l'alterità, che sappia vivere con gli altri e accettarli per quello che sono?"
Secondo Védrine questo "non è problema da macchinosità diplomatiche: è questione di un profondo esame di coscienza, un profondo cambiamento culturale. Che deve avvenire nella società occidentale". È probabile che non si possa evitare un confronto tra lo stato sionista e i fronti della Resistenza schierati contro di esso.
Il dado è stato deliberatamente tratto.
Netanyahu sta giocando molto sul futuro dello stato sionista e dell'America. E potrebbe perdere.
Se ci sarà una guerra regionale e lo stato sionista dovesse uscirne sconfitto, cosa succederà?
Quando il senso di stanchezza e quello di sconfitta si faranno finalmente sentire e gli interessati andranno a raschiare il fondo del barile per trovare nuove soluzioni alle loro angosce strategiche, la soluzione veramente in grado di cambiare le cose potrebbe essere quella in cui un leader dello stato sionista pensasse all'impensabile: a un unico Stato tra il fiume e il mare.

mercoledì 10 aprile 2024

Alastair Crooke - Nel caos brutale della guerra le leggi, le convenzioni e le norme di condotta scompaiono

 


Traduzione da Strategic Culture, 8 aprile 2024.

Siamo sull'orlo di quella che potrebbe essere definita una guerra caotica. Non è la formula usata spesso in passato dallo stato sionista per intimidire gli avversari; stavolta è diverso.
Il reporter sionista Eddie Cohen ha dichiarato, all'indomani dell'attacco contro ial consolato iraniano: "Noi vogliamo la guerra, con l'Iran e con Hezbollah, e lo diciamo a chiare lettere. Non avete ancora capito?". "Lo stato sionista vuole trascinare l'Iran in una guerra su larga scala per poter colpire gli impianti nucleari iraniani", anche se questi impianti sono fuori dalla portata degli USA e dello stato sionista, sepolti sotto le montagne.
Cohen, e naturalmente i vertici militari dello stato sionista, lo sanno; nonostante questo lo stato sionista si sta chiudendo in una logica che può portare solo alla sconfitta. Le strutture nucleari iraniane sono al sicuro contro gli attacchi dello stato sionista. La distruzione delle infrastrutture civili iraniane, che invece sono obiettivi scoperti, può provocare molte vittime ma di per sé non farà crollare lo stato iraniano. Trita Parsi colloca in un contesto diverso l'obiettivo perseguito dallo stato sionista con l'attacco al consolato iraniano di Damasco:
Un aspetto importante, nella condotta seguita dallo stato sionista con la connivenza di Biden, è che esso si è impegnato in uno sforzo deliberato e sistematico volto a calpestare leggi e norme esistenti in materia di guerra.
Anche in tempo di guerra le ambasciate sono intoccabili? Lo stato sionista ha appena bombardato una sede diplomatica iraniana a Damasco.
Bombardare gli ospedali è un crimine di guerra? Lo stato sionista ha bombardato tutti gli ospedali di Gaza. Ha persino assassinato medici e pazienti all'interno degli ospedali.
La Corte Internazionale di Giustizia ha obbligato stato sionista a consentire la consegna di aiuti umanitari a Gaza? Lo stato sionista impedisce attivamente l'arrivo degli aiuti.
La morte per fame dei civili come metodo di guerra è vietata dal diritto internazionale umanitario? Lo stato sionista ha deliberatamente creato una carestia a Gaza.
I bombardamenti indiscriminati sono illegali secondo il diritto umanitario internazionale? Lo stesso Biden ammette che lo stato sionista sta bombardando Gaza in modo indiscriminato.
L'elenco continua. Tuttavia, ad essere molto significativa è la violazione da parte dello stato sionista dell'immunità che la Convenzione di Vienna accorda alle sedi diplomatiche, oltre al livello delle personalità uccise. È un segnale importante: lo stato sionista vuole la guerra... ma con il sostegno degli Stati Uniti, ovviamente.
L'obiettivo dello stato sionista, in primo luogo, è quello di fare scempio di norme, convenzioni e leggi di guerra; quello di creare un'anarchia geopolitica in cui tutto è permesso e che, con la Casa Bianca che assiste frustrata ma connivente a ogni scempio deliberato contro qualsiasi norma di condotta, permetta a Netanyahu di afferrare gli USA per le briglie e portare il cavallo della Casa Bianca all'acqua, ovvero alla sua "Grande Vittoria" regionale escatologica; una guerra necessariamente brutale al di là delle linee rosse esistenti e priva di qualsiasi limite.
Dal punto di vista simbolico è altrettanto significativo del bombardamento di Damasco il fatto che Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna -dopo un breve omaggio formale alla Convenzione di Vienna- si siano rifiutati di condannare la distruzione del consolato iraniano, mettendo così in dubbio l'immunità che la Convenzione di Vienna stabilisce per le sedi diplomatiche.
Implicitamente, il rifiuto di condannare questa iniziativa verrà ampiamente interpretato come una tacita approvazione del primo timido passo compiuto dallo stato sionista verso la guerra con Hezbullah e con l'Iran. Questo caotico nichilismo dello stato sionista, con il suo sapore biblico, tuttavia non ha alcun rapporto in termini puramente razionali con l'aspirazione di Netanyahu a una "Grande Vittoria". La realtà è che lo stato sionista ha perso la deterrenza. Essa non verrà ripristinata; lo impedisce la rabbia profonda che lo stato sionista ha suscitato nel mondo islamico con i massacri a Gaza degli ultimi sei mesi.
Tuttavia esiste una seconda ragione per cui lo stato sionista è intenzionato a violare deliberatamente il diritto e le norme umanitarie: Il giornalista sionista Yuval Abraham ha riferito in modo molto approfondito sulla rivista +972 come lo stato sionista abbia sviluppato un sistema di intelligenza artificiale chiamato Lavender per generare liste di individui da uccidere a Gaza. Non esiste quasi nessuna verifica per mano umana; solo una specie di approvazione che richiede una ventina di secondi, per assicurarsi che l'obiettivo indicato sia di sesso maschile, dato che non risulta che l'esercito della Resistenza schieri delle donne.
Il ricorso a queste liste di individui da eliminare è palesemente al di fuori di ogni legge, come riportato da varie fonti utilizzate da Abraham: la cosa può andare esente da critiche solo facendola diventare qualcosa di normale, come una iniziativa fra tante nella generale illegalità e rifacendosi di fatto a un eccezionalismo sovrano:
L'esercito sionista attacca sistematicamente gli individui presi come bersagli mentre si trovano nelle loro case -di solito di notte, quando c'è tutta la famiglia- piuttosto che nel corso delle attività militari... Sono stati utilizzati ulteriori sistemi automatizzati, tra cui uno chiamato "Dov'è papà?", pensati proprio per seguire gli individui da colpire una volta che sono entrati in casa... Tuttavia è successo che un'abitazione venisse colpita, di solito in piena notte, e che l'individuo preso di mira non ci fosse proprio.
Il risultato è che migliaia di palestinesi - la maggior parte dei quali donne, bambini o comunque persone non coinvolte nei combattimenti - sono stati spazzati via dagli attacchi aerei sionisti, soprattutto durante le prime settimane di guerra, a causa delle decisioni di un sistema di intelligenza artificiale".
"Non ci interessava uccidere gli operativi [di Hamas] quando si trovavano in un edificio militare... o erano impegnati in un'attività militare", ha detto A., un funzionario dei servizi, a +972 e Local Call. "Anzi, l'esercito sionista li ha bombardati senza esitare a casa loro, come prima opzione. È molto più facile bombardare la casa di una famiglia. Il sistema è stato ideato per cercarli in quei contesti".
"Inoltre... quando si trattava di colpire quelli che Lavender indicava come militanti di bassa truppa, l'esercito preferiva usare solo missili non guidati, comunemente noti come bombe stupide (in contrasto con le bombe di precisione, quelle "intelligenti") che possono distruggere interi edifici con i loro occupanti dentro e causare un numero significativo di vittime. Non si vogliono sprecare ordigni costosi per gente poco importante: per il paese è molto costoso e poi c'è carenza [di queste bombe]".
L'esercito ha anche stabilito, durante le prime settimane di guerra, che per ogni combattente di basso grado di Hamas indicato da Lavender era lecito uccidere fino a quindici o venti civili... nel caso in cui l'obiettivo fosse un ufficiale superiore di Hamas con il grado di comandante di battaglione o di brigata, in diversi casi l'esercito ha autorizzato l'uccisione di più di cento civili per eliminare un singolo comandante".
"Lavender -che è stato sviluppato per designare bersagli umani nella guerra in corso- ha contrassegnato come eliminabili circa trentasettemila palestinesi come sospetti militanti di Hamas; per lo più si tratta di bassi gradi (il portavoce delle forze armate sioniste ha negato l'esistenza di questa lista di individui da eliminare, in una dichiarazione a +972 e Local Call)".
Non c'è quindi motivo per stupirsi se lo stato sionista cerca di mimetizzare simili dettagli entro una serie di generalizzate e ordinarie violazioni del diritto umanitario: "Volevano permetterci di attaccare [i soldati semplici] in automatico. Questo è il Santo Graal. Una volta che si passa in modalità automatica, la designazione dei bersagli diventa incontrollabile".
Non è difficile ipotizzare cosa potrebbe stabilire la Corte Internazionale di Giustizia...
Qualcuno è convinto che a Lavender, questo zoppicante sistema di intelligenza artificiale, non verrebbe chiesto di sfornare liste di individui da eliminare se lo stato sionista decidesse di entrare in Libano? Un'altra ragione per collaudare prima a Gaza le procedure, detto per inciso.
Il punto essenziale del resconto di +972 Magazine (che cita molte fonti) è che le forze armate dello stato sionista non si sono concentrate sull'eliminazione delle Brigate Qassam di Hamas, come invece hanno sostenuto. "Mi ha molto sopreso il fatto che ci abbiano chiesto di bombardare una casa per uccidere un singolo soldato sul terreno; un bersaglio davvero di poca importanza nel contesto del combattimento", ha detto una delle fonti in merito al ricorso all'intelligenza artificiale per designare presunti militanti di bassa forza.
"Obiettivi di questo livello io li ho soprannominati 'obiettivi spazzatura'. Tuttavia, li consideravo eticamente pià ammissibili degli obiettivi che bombardavamo solo per 'deterrenza', i condomini evacuati e rasi al suolo solo così, tanto per distruggere qualcosa".
Questo resoconto chiarisce quanto siano infondate le affermazioni dello stato sionista sulla distruzione di diciannove dei ventiquattro battaglioni di Hamas: una fonte che critica Lavender a causa della sua imprecisione ne sottolinea un difetto ovvio: "Discrimina in modo vago". Come distinguere un combattente di Hamas da un qualsiasi altro civile di Gaza?
"Al suo apice, il sistema è riuscito a desginare trentasettemila individui come bersagli umani potenziali", ha detto B. "Ma i numeri cambiavano di continuo, perché dipende da come si stabiliscono i criteri per definire qualcuno come militante di Hamas. Ci sono stati momenti in cui i criteri per definire i militanti sono stati più ampi; il sistema ha iniziato a indicare di tutto, dal personale della protezione civile agli agenti di polizia; gente per cui sarebbe stato un peccato sprecare bombe".
Proprio durante la prima settimana di aprile, il ministro e componente del governo di guerra Ron Dermer è stato incaricato di recarsi a Washington per sostenere che il successo delle forze armate sioniste nel debellare diciannove battaglioni di Hamas giustificava un'incursione a Rafah, per distruggere i quattro o cinque battaglioni che lo stato sionista sostiene vi siano ancora presenti.
Ciò che è chiaro è che l'intelligenza artificiale ha rappresentato uno strumento fondamentale per lo stato sionista nella sua "vittoria" a Gaza. Lo stato sionista si accinge a vendere specchietti per le allodole profumati alla lavanda.
Al contrario i palestinesi, consapevoli di essere inferiori di numero, hanno una visione molto diversa: sono passati a un nuovo modo di pensare che dà al semplice atto di resistere un significato civile; un percorso che porta a una vittoria metafisica -e molto probabilmente anche a una sorta di vittoria militare- per il popolo palestinese; se non nel corso della loro vita, almeno in futuro. La natura asimmetrica del conflitto che lo stato sionista non è mai riuscito a comprendere sta proprio in questo.
Lo stato sionista vuole essere temuto, credendo che questo possa ripristinare il suo potenziale di deterrenza. Amira Hass scrive che, a prescindere dalla repulsione per questo governo e per i suoi componenti, "la grande maggioranza [dei cittadini dello stato sionista] crede ancora che la guerra sia la soluzione". E Mairav Zonszein, scrivendo su Foreign Policy, osserva che "il problema non è solo Netanyahu, è la società dello stato sionista".
Puntare il dito contro Netanyahu è facile, e distoglie l'attenzione dal fatto che la guerra a Gaza non è la guerra di Netanyahu, è la guerra dello stato sionista. E il problema non è solo Netanyahu, è l'elettorato dello stato sionista... Un'ampia maggioranza -l'88% dei cittadini ebrei dello stato sionista intervistati a gennaio- ritiene che lo stupefacente numero di morti palestinesi, che in quel momento erano più di venticinquemila, sia giustificato. Un'ampia maggioranza dell'opinione pubblica ebraica pensa anche che le forze armate dello stato sionista a Gaza stiano ricorrendo alla forza in modo adeguato, se non addirittura troppo scarso... Dare tutta la colpa al Primo Ministro non coglie l'essenza della questione. Non tiene conto del fatto che i cittadini dello stato sionista hanno da tempo precorso, permesso o comunque accettato il sistema di occupazione militare e di disumanizzazione dei palestinesi messo in atto da parte del loro Paese.
Né lo stato sionista né gli Stati Uniti hanno tuttavia una strategia globale per affrontare la guerra in corso. L'approccio dello stato sionista è tutto tattico: sostiene di aver ridotto Hamas ai minimi termini, di aver trasformato Gaza in un inferno umanitario e di aver preparato la scena per il "piano decisivo" che Bezalel Smotrich avrebbe ideato per i palestinesi. Ancora Amira Hass:
"Accettare uno status inferiore, emigrare ed essere cacciati sotto l'apparenza dell'adesione volontaria, o affrontare la sconfitta e la morte in guerra". Questo è il piano che si sta attuando a Gaza e in Cisgiordania, con la maggioranza dei cittadini dello stato sionista che si comporta da complice attivo ed entusiasta o che acconsente passivamente alla sua realizzazione.
Anche la visione statunitense è tattica... e molto lontana dalla realtà: prospettare la trasformazione di Gaza in uno staterello collaborazionista "sul tipo di Vichy"; immaginare che la pressione politica dei francesi in Libano costringerà Hezbollah a ritirarsi dalle terre in cui è radicato da sempre nel sud del Libano; immaginare che la Casa Bianca di Biden sia in grado di ottenere attraverso la pressione politica quello che lo stato sionista non può ottenere col ricorso alle armi.
A essere paradossale è il fatto che lo stato sionista e gli Stati Uniti hanno una loro immagine della situazione, ma sono convinti che si tratti della realtà. Anche questo va a vantaggio dell'Iran e del Fronte di Resistenza. Come dice il vecchio adagio, "non disturbare mai il tuo nemico mentre sta facendo un errore".

lunedì 8 aprile 2024

GKN a Campi Bisenzio: occorre immediatamente ripristinare la legalità contro l'insicurezza e il degrado

 

Firenze, un fine settimana di aprile in due posti a venti metri l'uno dall'altro.
La legalità da ripristinare.
Seconda edizione di un festival letterario organizzato in modo da irritare il più possibile chi merita di essere irritato il più possibile.
Degrado a cassettate e insicurezza a vagoni. 


La legalità.
Stracci.
E uno che si fa chiamare Calcutta che frigna nella filodiffusione di essere "coi piedi nel mare soltanto a pensare che sembriamo tutti falliti".

martedì 2 aprile 2024

Alastair Crooke - La guerra dello stato sionista, la scommessa di Netanyahu




Traduzione da Strategic Culture, 1 aprile 2024.

 Il sostegno del Partito Democratico statunitense allo stato sionista si sta rapidamente incrinando: Peter Beinart (redattore di Jewish Currents) ha usato l'espressione "fenditur ideologica". Dal 7 ottobre, questa "è diventata un terremoto" - una "Grande Faglia".
L'argomento è quello della fusione tra liberalismo e sionismo che da tempo connota il Partito Democratico:
La guerra dello stato sionista a Gaza ha amplificato una trasformazione nella sinistra statunitense. La solidarietà con i palestinesi sta diventando una componente essenziale della politica di sinistra, così come il sostegno al diritto all'aborto o l'opposizione ai combustibili fossili. E, come è accaduto durante la guerra del Vietnam e la lotta contro l'apartheid sudafricano, il fervore della sinistra sta rimodellando il mainstream liberale.
In parole povere con il contemporaneo spostarsi dello stato sionista verso l'estrema destra, si sono irrigidite le posizioni filopalestinesi negli Stati Uniti. Nel novembre 2023, il 49% degli elettori ebrei statunitensi si è detto contrario alla richiesta di Biden per l'invio di ulteriori aiuti militari allo stato sionista.
Uno dei vettori, una delle tendenze in atto nella politica statunitense, è questo.
Dalla parte opposta ci sono gli ebrei statunitensi più impegnati nel sionismo, quelli all'interno delle istituzioni, che notano come l'AmeriKKKa liberale stia diventando meno ospitale dal punto di vista ideologico. Stanno rispondendo a questo cambiamento facendo causa comune con la destra.
Netayanhu aveva già osservato una decina di anni fa che lo stato sionista e un Partito Democratico in crisi avevano preso strade divergenti, e aveva spostato il punto di riferimento del Likud e della destra sionista dai Democratici agli Evangelici statunitensi e quindi in generale in direzione del Partito Repubblicano. Come ha scritto nel 2022 un ex diplomatico di primo piano dello stato sionista come Alon Pinkas,
Netanyahu ha sempre avuto un orientamento transazionale. Così, più o meno nel corso degli ultimi dieci anni ha sviluppato una versione della "teoria della sostituzione" a proprio tornaconto: una maggioranza di cristiani evangelici sostituirà la grande maggioranza degli ebrei statunitensi. Dal momento che si tratta di una questione di numeri, sono gli evangelici l'alleato preferito.
Beinart scrive: "Nel Partito Democratico i sostenitori dello stato sionista non solo sono benvenuti, ma predominano anche. Solo che i leader di queste istituzioni non rappresentano più gran parte della loro base".
Il senatore Schumer, il più alto rappresentante ebreo nella vita pubblica, ha riconosciuto questo divario nel suo discorso all'inizio di questo mese, quando ha detto -nel passaggio più notevole del discorso- che "può capire l'idealismo che ispira tanti, giovani in particolare, a sostenere una soluzione con un solo Stato".
Una soluzione -per dirla senza mezzi termini- che non prevede l'esistenza di uno "Stato sionista". "Queste sono le parole di un politico che capisce che il suo partito sta subendo un profondo cambiamento". Il numero di giovani che stanno cambiando atteggiamento è più grande di quanto molti siano disposti a riconoscere, soprattutto tra i millennial e la generazione Z. Questi giovani si stanno unendo a un movimento di solidarietà con la Palestina che sta diventando sempre più ampio, ma anche più radicale. "Questo crescente radicalismo ha prodotto un paradosso: è un movimento che accoglie sempre più ebrei statunitensi ma che, di conseguenza, trova più difficile spiegare dove gli ebrei che vivono nello stato sionista possano trovare un posto nella sua visione della liberazione della Palestina", si preoccupa Beinart.
È per colmare questo vuoto che l'amministrazione Biden ha assunto una posizione scomoda al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite questa settimana: gli Stati Uniti si sono astenuti dalla risoluzione sul cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi.
La risoluzione era stata ideata dalla Casa Bianca per "venire incontro ad entrambe le parti", facendo appello ai più anziani ebrei statunitensi che ancora si identificano come progressisti e sionisti e -guardando dalla parte opposta- rivolgendosi a coloro che vedono la sempre più stretta alleanza tra le principali istituzioni sioniste e il Partito Repubblicano come scomoda e persino imperdonabile, oltre a volere l'immediata fine dei massacri a Gaza.
La manovra della risoluzione, tuttavia, non è stata ben ponderata. E questa scarsa ponderazione sta diventando una sorta di pratica abituale, alla Casa Bianca. Il contenuto è stato mal rappresentato dagli Stati Uniti, che hanno dichiarato che la risoluzione era "non vincolante". Il New York Times ha sbagliato a descrivere la risoluzione, affermando che essa "chiede" un cessate il fuoco. Non è così.
Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sono documenti giuridicamente vincolanti [come descritto qui]. Pertanto utilizzano un linguaggio molto specifico. Se il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite "invita" a fare qualcosa, non si hanno conseguenze concrete. La risoluzione su cui gli Stati Uniti si sono astenuti "non 'invita' stato sionista o Hamas a fare questo o quello; esige che facciano qualcosa".
L'amministrazione Biden ha cercato di tenere il piede in due scarpe e le ha mancate tutte e due, come era prevedibile. Come dice Beinart, "non è così semplice". Una risoluzione di facciata non servirà per venire a capo del cambiamento strutturale in atto: Gaza sta forzando la questione. Gli ebrei statunitensi che hanno dichiarato di essere sia progressisti che sionisti devono scegliere. E la loro scelta avrà enormi implicazioni elettorali negli stati chiave come il Michigan, dove l'attivismo della sinistra statunitense potrebbe rivelarsi determinante per l'esito delle elezioni presidenziali.
In pochi rimarranno soddisfatti, probabilmente, dalla manovra di Biden alle Nazioni Unite. I sionisti dello establishment sono irritati, la "sinistra" la considererà un pannicello caldo. L'errata definizione di "non vincolante", tuttavia, farà infuriare gli altri membri del Consiglio di Sicurezza, che ora punteranno a risoluzioni ancora più dure.
Cosa ancora più significativa, questa gàbola ha dimostrato a Netanyahu che Biden è debole. Lo scisma che si è aperto nel suo partito vi porta una certa instabilità: il baricentro politico del Partito Democratico può spostarsi da una all'altra delle correnti interne, o addirittura finire col rafforzare i repubblicani -che vedono il tacitare i palestinesi nell'ottica dell'interesse degli USA- facendolo allineare alla loro politica identitaria.
Netanyahu più di chiunque altro sa come si rimesta nel torbido.
Le mene alle Nazioni Unite hanno scatenato nello stato sionista quella che sembra proprio una bufera. Netanyahu ha reagito annullando la visita a Washington di una delegazione di alto livello per discutere i piani dello stato sionista per Rafah. Ha detto che la risoluzione "dà a Hamas la speranza che la pressione internazionale gli permetta di ottenere un cessate il fuoco senza liberare i nostri ostaggi". Il messaggio è: "La colpa è di Biden".
Poi stato sionista ha richiamato dal Qatar i negoziatori sulla questione degli ostaggi dopo che dieci giorni di colloqui non erano arrivati a nulla, dando il via a un gioco di responsabilità tra Stati Uniti e stato sionista. L'entourage di Netanyahu ha dato la colpa all'intransigenza di Hamas, avallata dalla risoluzione delle Nazioni Unite. Di nuovo lo stesso messaggio: "I colloqui sugli ostaggi sono falliti; la colpa è di Biden".
La Casa Bianca, secondo quanto riferito, vede questa bufera per lo più come una crisi in gran parte fabbricata e sfruttata dal premier sionista, impegnato in una guerra personale contro la Casa Bianca di Biden. Su questo, l'amministrazione Biden ha ragione, anche se la destra dello stato sionista è inferocita sul serio a causa di una risoluzione che viene vista come un'acquiescenza nei confronti dei 'progressisti'. "La colpa è di Biden", e tre.
È chiaro che le relazioni stanno andando a rotta di collo: L'amministrazione Biden sta cercando disperatamente di arrivare al rilascio degli ostaggi e ad un cessate il fuoco, cose da cui dipende per intero la sua strategia. E ne dipendono anche le prospettive di una rielezione di Biden. Biden sarà consapevole del fatto che decine di migliaia di palestinesi a Gaza probabilmente moriranno di fame a breve. E il mondo assisterà a questo sui social media, ogni giorno e ogni notte.
Biden è furioso. Dal punto di vista elettorale le cose non stanno andando bene per lui. Lo sa e sospetta che Netanyahu stia deliberatamente attaccando briga.
Per essere chiari, la questione essenziale è: chi è che sta interpretando correttamente la situazione politica in questo caso? Netanyahu ha molti detrattori sia in patria che nel Partito Democratico statunitense, ma durante i suoi diciassette anni al potere, il suo intuito per i cambiamenti all'interno della scena politica statunitense, il suo modo di fare nelle pubbliche relazioni e la sua consapevolezza del sentire degli elettori nello stato sionista non sono mai stati messi in dubbio.
Biden vuole che Netanyahu lasci. Questo è chiaro; ma a quale scopo? La Casa Bianca sembra avere grandi difficoltà a interiorizzare il fatto che se anche Netanyahu se ne va, la linea politica dello stato sionista rimarrebbe in gran parte inalterata. I sondaggi sono inequivocabili su questo punto.
L'irascibile e frustrato presidente alla Casa Bianca potrebbe trovare in un Gantz qualsiasi un interlocutore più malleabile e disponibile; e allora? A cosa servirebbe? La linea che lo stato sionista sta seguendo è determinata da un cambiamento di enorme portata nella sua opinione pubblica. E non esiste alcuna "soluzione" pratica evidente per Gaza.
E forse Biden ha ragione nel dire che il battibecco di Netanyahu con lui è artificioso. Come sostiene l'importante editorialista sionista Ben Caspit,
Negli anni '90, dopo che un giovane Netanyahu si era incontrato più volte con il Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, lo stesso Clinton espresse sorpresa per l'arroganza di Netanyahu. I rapporti con Clinton finirono male. Netanyahu perse le elezioni del 1999 e incolpò della cosa l'ingerenza statunitense.
Quando Netanyahu è tornato al potere nel 2009 ha affrontato un altro presidente democratico, Barack Obama. Avendo imparato la lezione con Clinton, che era popolare tra il pubblico dello stato sionista, Netanyahu ha trasformato il presidente statunitense in una specie di punching ball ad uso interno.
Ogni volta che Netanyahu perdeva qualche colpo nei sondaggi, se la prendeva con Obama e risaliva", ha detto una fonte che ha lavorato con Netanyahu in quegli anni, a condizione di restare anonima. "È riuscito a convincere il pubblico che Obama odia lo stato sionista, e a posizionarsi come l'unico in grado di tenergli testa".
Il punto è che la sfida di Netanyahu a Biden potrebbe avere un altro scopo. In parole povere, le "soluzioni" dell'esecutivo di Biden per Gaza e la Palestina sono impraticabili, dato il sentire comune nello stato sionista di oggi. Forse lo sarebbero state venticinque anni fa, ma all'epoca la linea degli Stati Uniti era quella di "rendere sicuro stato sionista", e questo inficiava qualsiasi soluzione politica, compresa quella basata su due stati.
Netanyahu promette (ancora) ai cittadini dello stato sionista una "vittoria totale" su Hamas, pur sapendo che debellare quella organizzazione è impossibile. Netanyahu cerca quindi di usire dalla impasse dando a Biden la colpa di aver impedito allo stato sionista di vincere contro Hamas.
Detto senza mezzi termini, contro Hamas non ci sono soluzioni militari facili. Anzi, soluzioni militari non ce ne sono proprio. I racconti sui sionisti che avrebbero annientato diciannove battaglioni di Hamas a Gaza sono solo propaganda a uso della Casa Bianca. Che, a quanto pare, crede alle parole dello stato sionista.
Netanyahu probabilmente sa che la situazione a Gaza diventerà quella di una insurrezione incessante; ne darà la colpa a Biden, che già si ritrova a fare da punching ball per aver cercato di imporre uno Stato palestinese a un stato sionista che non vuole saperne.
Allo stesso modo, la Casa Bianca sembra aver frainteso come stavano le cose, rispetto all'accordo sugli ostaggi; deve aver pensato che Hamas non fosse serio nelle sue richieste. Non ci sono stati quindi negoziati seri; piuttosto gli Stati Uniti hanno fatto ricorso alle pressioni usandoo gli alleati per spingere con le minacce Hamas a scendere a compromessi attraverso il Qatar, l'Egitto e altri Stati arabi invece di prendere in considerazione le sue richieste.
Solo che le pressioni diplomatiche, come era prevedibile, non sono state sufficienti. Non hanno influito sull'atteggiamento di fondo di Hamas.
"Siamo drammaticamente a un punto morto. Non stiamo facendo per finta. Esiste una divergenza sostanziale. Possiamo fare lo scaricabarile, ma questo non riporterà indietro gli ostaggi. Se vogliamo un accordo, dobbiamo prendere atto della realtà", ha dichiarato un funzionario dello stato sionista dopo che Barnea e gli altri sono tornati da Doha a mani vuote.
Avendo una certa esperienza diretta di questi negoziati, immagino che Netanyahu sappia che non sopravviverebbe politicamente al vero prezzo che dovrebbe pagare -in termini di prigionieri liberati- per ottenere un accordo.
Quindi, in breve, lo scontro architettato contro Biden sulla questione del "non voto" alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza potrebbe essere visto più come un modo messo in atto da Netanyahu per fronteggiare quelli che ai suoi occhi sembrano dettami politici irrealistici e fondati su una realtà che non ha nulla a che vedere con la odierna frenesia sionista a favore di una Nakba apocalittica. Nel frattempo, Netanyahu radunerà le sue truppe. Verranno esercitate pressioni dirette sulle potentissime strutture politiche filosioniste che esistono negli USA, che di concerto con le pressioni autogenerate dai repubblicani e dai leader istituzionali democratici filosionisti potrebbero riuscire a mettere la sordina alla sempre più avvertibile voce dei progressisti.
Per lo meno, queste pressioni potrebbero rappresentare un contrappeso tale da costringere Biden a sostenere silenziosamente lo stato sionista continuando ad armarlo, e anche ad abbracciare pubblicamente l'allargamento del conflitto voluto da Netanyahu come unico modo per ripristinare la deterrenza dello stato sionista, dato che sa che le operazioni militari a Gaza non contribuiranno a ripristinarla, né a procurargli una vittoria. A dire il vero, Biden si è messo all'angolo da solo abbracciando una linea politica ormai obsoleta di fronte a un panorama sionista e mediorientale in rapida evoluzione e non più suscettibile di alternative ormai irrilevanti.
D'altra parte, Netanyahu sta giocando forte sul futuro dello stato sionista e su quello degli USA. E potrebbe perdere.

martedì 26 marzo 2024

Alastair Crooke - L'Unione Europea, un pallone sgonfio nella geopolitica. Il gioco psicologico di Macron per tenerla in piedi

 


Traduzione da Strategic Culture, 24 marzo 2024.

Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha invitato l'Europa a passare a una "economia di guerra". Egli giustifica questa richiesta con l'immediato sostegno da fornire all'Ucraina, ma soprattutto come la necessità di rilanciare l'economia europea, che si è arenata, concentrandosi sull'industria della difesa.
Gli appelli risuonano in tutta Europa: "Siamo in un'epoca prebellica", afferma il premier polacco Donald Tusk. Macron, dopo aver più volte ventilato l'ipotesi in modo ambiguo, afferma: "Forse a un certo punto -non che io lo voglia- dovremo procedere con operazioni sul terreno per contrastare le forze russe [ovvero all'invio di truppe francesi in Ucraina]".
Cosa ha spaventato così tanto gli europei? Sappiamo che il briefing dei servizi segreti francesi di cui Macron è stato messo al corrente nei giorni scorsi è stato disastroso; sembra che lo abbia spinto a fare un primo passo verso un intervento militare diretto della Francia in Ucraina. I servizi segreti francesi hanno avvertito che il crollo del fronte e la disintegrazione delle forze armate ucraine come forza militare efficiente potrebbero essere imminenti.
Macron ha giocato d'astuzia: potrebbe inviare truppe? In un primo momento sembrava proprio di sì. Poi questa eventualità si è fatta incerta in modo frustrante, pur rimanendo forse sul tavolo. C'è stato un momento di assoluta confusione. Nessuno sapeva nulla di sicuro perché il Presidente è una persona volubile e il generale De Gaulle ha lasciato in eredità ai suoi successori poteri quasi regali. Quindi sì, dal punto di vista costituzionale Macron poteva farlo.
L'opinione generale in Europa era che Macron stesse facendo giochi mentali complicati, in primo luogo con il popolo francese e in secondo luogo con la Russia. Tuttavia, sembra che la sverzata di Macron possa avere una certa concretezza: Il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito francese ha dichiarato di avere ventimila uomini pronti ad essere schierati in trenta giorni. E il capo dell'agenzia di intelligence russa SVR Naryshkin ha stimato, più modestamente, che la Francia sembra si stia preparando a inviare in Ucraina un contingente che dapprincipio sarà di circa duemila uomini.
Occorre essere chiari su una cosa. Anche una divisione di ventimila uomini secondo gli standard della teoria militare classica dovrebbe essere in grado di tenere al massimo un fronte di dieci chilometri. L'arrivo di duemila o di ventimila ventimila soldati francesi non cambierebbe nulla dal punto di vista strategico; non fermerebbe il rullo compressore russo, molto più massiccio, che avanza verso ovest. A che gioco sta giocando Macron?
È tutto un bluff, forse?
Probabilmente Macron sta facendo la voce grossa perché intende presentarsi come l'uomo forte dell'Europa, specie agli occhi del suo elettorato francese.v Il suo atteggiamento si inserisce tuttavia in una congiunzione di eventi che per quella che potremmo definire la Unione Europea in geopolitica è più significativa.
Siamo espliciti: è stata fatta chiarezza, sono state fugate le ombre da uno spazio che fino a ora ne abbondava. Dopo la schiacciante vittoria di Putin alle elezioni, con un'affluenza record, è ormai chiaro che il Presidente Putin è al suo posto e che vi rimarrà. Tutte le ambiguità occidentali sul rovesciamento del governo a Mosca hanno rivelato la loro inconsistenza alla luce degli eventi.
Da alcune parti in Europa si sente sbuffare dalla rabbia. Ma smetteranno. Non c'è altra scelta. La realtà, come scrive il quotidiano Marianne citando un alto ufficiale francese che si esprimeva in termini derisori circa l'atteggiamento di Macron in Ucraina, è che "non dobbiamo commettere errori, davanti ai russi; siamo un esercito di cheerleader"; l'invio di truppe francesi sul fronte ucraino sarebbe "non ragionevole", semplicemente.
All'Eliseo, un consigliere rimasto anonimo ha sostenuto che Macron "voleva mandare un segnale forte... (con) espressioni calibrate al millimetro".
Ciò che più addolora i sempre speranzosi neocon dell'Unione Europea è che la netta vittoria elettorale di Putin coincide quasi perfettamente con una débacle dell'Unione Europea (e della NATO) in Ucraina. Non c'è solo l'implosione a cascata delle forze armate ucraine; c'è il fatto che la ritirata sta accelerando, e che l'Ucraina sta cercando di ritirarsi su un terreno inadatto e quasi indifendibile.
Una prospettiva cupa, per l'Unione Europea, in cui arriva un secondo elemento chiarificatore. Gli Stati Uniti stanno lentamente ma inesorabilmente voltando le spalle a Kiev in termini di armi e di finanziamenti, lasciando l'impotenza Europa allo sguardo di tutto il mondo.
L'Unione Europea non può sostituire l'appoggio degli Stati Uniti. Ma la cosa più dolorosa per certuni è che il ritiro degli Stati Uniti rappresenta un pugno nello stomaco per gran parte della leadership di Bruxelles, che si era gettata ai piedi dell'amministrazione Biden con una gioia quasi indecente, al momento dell'avvicendamento a Trump. Avevano sfruttato il momento per proclamare il consolidamento di una Unione Europea filoatlantica e favorevole alla NATO.
Ora, come scrive centrando perfettamente il punto l'ex diplomatico indiano MK Bhadrakumar, "la Francia [è] in gran montura, ma senza un posto dove andare a servirsene":
Sin dalla sua ignominiosa sconfitta nelle guerre napoleoniche, la Francia è intrappolata nella situazione dei Paesi che si trovano schiacciati tra le grandi potenze. Dopo la seconda guerra mondiale la Francia ha cercato di arginare questa situazione creando un asse con la Germania in Europa.
La Gran Bretagna si è adattata a un ruolo di potenza subalterna, mettendosi a livello mondiale in scia con il potere statunitense. La Francia invece non ha mai rinunciato a riconquistare la gloria di potenza globale. E continua a impegnarsi in questo senso.
L'angoscia dei francesi è comprensibile, poiché i cinque secoli di dominio occidentale nell'ordine mondiale stanno per finire. Questa situazione condanna la Francia a una condizione diplomatica che si presenta costantemente in uno stato di animazione sospesa, intervallata da improvvisi attacchi di attivismo.
I problemi, per le esaltate aspirazioni dell'Unione Europea come potenza globale, sono tre. In primo luogo, l'asse franco-tedesco si è dissolto, in quanto la Germania si è orientata verso gli Stati Uniti come nuova fonte di dogmatismo in politica estera. In secondo luogo, il peso della Francia è ulteriormente diminuito negli affari europei dopo che Scholtz ha abbracciato la Polonia (e non la Francia) come proprio paese privilegiato. In terzo luogo, le relazioni personali di Macron con il Cancelliere Scholz sono ai livelli minimi.
L'altro problema per il progetto geopolitico dell'Unione Europea è che aderire alle guerre finanziarie di Washington contro la Russia e la Cina ha fatto sì che "negli ultimi 15 anni gli Stati Uniti abbiano superato largamente l'Unione Europea e il Regno Unito messi insieme". Nel 2008, l'economia dell'Unione Europea era un po' più grande di quella statunitense... Oggi l'economia statunitense è più grande di quasi un terzo. [Ed] è più grande del 50% di quella dell'Unione Europea se non si considera il Regno Unito".
In altre parole, essere alleata degli USA nella loro scellerata guerra per procura in Ucraina è costato -e sta costando- caro all'Europa. Eurointelligence riferisce che un sondaggio condotto tra le piccole e medie imprese tedesche ha rilevato un radicale riorientamento sfavorevole all'Unione Europea. Su un campione di mille piccole e medie imprese, il 90% si è dichiarato in varia misura insoddisfatto dell'Unione Europea, cosa che sta spingendo molte di esse a trasferirsi dall'Europa agli Stati Uniti.
In parole povere, gli sforzi per costruire e per tenere in piedi l'idea di una "Europa geopolitica" stanno finendo in una disfatta. Il tenore di vita si sta abbassando e la promiscuità normativa di Bruxelles e gli alti costi energetici stanno portando alla deindustrializzazione e all'impoverimento dell'Europa.
In un'intervista concessa alla fine del 2019 alla rivista The Economist, Macron ha dichiarato che l'Europa si trovava "sull'orlo di un precipizio" e che doveva iniziare a pensare a se stessa come a una potenza geopolitica, per evitare di "non avere più il controllo del proprio destino". L'osservazione di Macron precede di 3 anni la guerra in Ucraina. Oggi, i timori di Macron sono realtà.
Passiamo adesso alle iniziative che l'Unione Europea intende prendere per far fronte a questa crisi. Il Presidente del Consiglio europeo Michel dice di voler raddoppiare gli acquisti di armi da produttori europei entro il 2030; di voler utilizzare i profitti dei beni russi congelati per finanziare l'acquisto di armi per l'Ucraina; di facilitare l'accesso alle risorse finanziarie per l'industria europea della difesa, anche emettendo un'obbligazione europea per la difesa e facendo in modo che la Banca europea per gli investimenti aggiunga gli scopi di difesa ai criteri con cui concede prestiti.
Michel vende tutto questo all'opinione pubblica come un modo per creare posti di lavoro e crescita. In realtà, però, l'UE sta cercando di creare un nuovo fondo cassa per sostituire gli acquisti di titoli sovrani degli Stati dell'UE da parte della BCE, un comportamento che l'impennata dei tassi d'interesse negli Stati Uniti ha di fatto eliminato.
Chiamare in causa l'industria della difesa è un mezzo per creare ulteriori flussi di cassa. Le varie "transizioni" ipotizzate dall'Unione Europea ( la transizione climatica, quella ecologia e quella tecnologica) richiedevano chiaramente mastodontiche emissioni di denaro. Una cosa a malapena gestibile quando i progetti potevano essere finanziati a tassi di interesse zero.
Ora l'esplosione del debito degli Stati dell'Unione Europea per le spese connesse alla pandemia e alle varie transizioni minaccia di portare l'intera "rivoluzione" geopolitica alla crisi finanziaria. Una crisi finanziaria che è effettivamente in corso.
La questione della difesa, spera Michael, può essere ammannita al pubblico come una nuova "transizione" da finanziare con mezzi non ortodossi. Wolfgang Münchau di EuroIntellignce, tuttavia, scrive delle "rosee prospettive dell'economia di guerra di Michel" - che vuole un'Europa geopolitica, e conclude la sua lettera con il noto adagio della guerra fredda per cui "se vuoi la pace devi prepararti alla guerra".
Le armi dell'economia di guerra di Michel sono lì a parlare al posto dei nostri fallimenti diplomatici? Qual è il nostro contributo storico a questo conflitto? Non dovremmo forse partire da questo? Il linguaggio usato da Michel è drammatico e pericoloso. Alcuni dei nostri cittadini più anziani ricordano ancora cosa significa vivere in un'economia di guerra. Il linguaggio disinvolto di Michel è irrispettoso.
Eurointelligence non è una voce critica isolata. La mossa di Macron ha diviso l'Europa, con una maggioranza fermamente contraria all'invio di truppe in Ucraina, cosa che comporterebbe una camminata da sonnambuli verso la guerra. Natacha Polony, redattrice di Marianne, ha scritto:
Non si tratta più di Emmanuel Macron o dei suoi atteggiamenti da capetto virile. Non si tratta più nemmeno della Francia o del suo indebolimento a causa di élite cieche e irresponsabili. Si tratta di sapere se accetteremo generalmente di camminare come sonnambuli verso la guerra. Una guerra di cui nessuno può dire che sarà controllata o limitata. Si tratta di capire se accetteremo di mandare i nostri figli a morire perché gli Stati Uniti hanno insistito per installare basi ai confini della Russia.
La questione più grande riguarda l'intera strategia geopolitica della Von der Leyen e di Macron", secondo cui l'Unione Europea deve pensare a se stessa come a una potenza geopolitica. È il perseguimento di questa chimera geopoliticam che è in gran parte un progetto egoistico, ad aver paradossalmente portato l'Unione Europea proprio sull'orlo della crisi.
La maggioranza degli europei desidera davvero essere una potenza geopolitica, se questo impone la cessione di ciò che resta della sovranità e dell'autonomia nazionale (e della supervisione parlamentare) al piano sovranazionale, ai tecnocrati di Bruxelles? Forse gli europei sono contenti che l'Unione Europea rimanga un blocco commerciale.
Allora perché Macron sta facendo tutto questo? Nessuno lo sa con certezza, ma il presidente francese sembra convinto di giocare con Mosca una complicata partita di psicodeterrenza, caratterizzata da una profonda ambiguità. In altre parole, la sua è solo un'altra operazione di guerra psicologica.
È possibile, tuttavia, che egli pensi che la sua ambigua e ondivaga minaccia di un dispiegamento europeo in Ucraina possa dare a Kiev un'arma negoziale sufficiente a convincere la Russia ad accettare che la "nuova Ucraina" rimanga nella sfera occidentale e persino nella NATO. In questo caso Macron affermerà di essere stato il "salvatore" dell'Ucraina.
Se così fosse, si tratterebbe di un'illusione. Il Presidente Putin, forte della sua recente vittoria elettorale, ha spazzato tranquillamente via l'offensiva psicologica di Macron: "La truppe francesi, in qualsiasi modo dispiegate, verrebbero considerate degli invasori e degli obiettivi legittimi per le nostre armi", ha chiarito Putin.

sabato 23 marzo 2024

Michael Lupino in arte "Welcome to Florence": insicurezza e degrado a Firenze

 

Nelle notti d'inverno fa freddo.
In quella del 16 gennaio 2024 a Firenze le persone serie -operatori sociosanitari, tecnici informatici, traduttori, portalettere, impiegati amministrativi- erano in buon numero a dormire perché la mattina dopo c'era da lavorare.
Le gazzette fiorentine del 23 marzo 2024 invece ci raccontano la storia del giovane Michael Lupino e di come l'ha passata lui, la notte del 16 gennaio.
Per questo genere di cose le gazzette attingono per lo più a documenti forniti ogni giorno dalla gendarmeria, ed è difficile che questo caso costituisca un'eccezione. Quella notte Michael (ancorché Lupino) si è fatto notare (qui su Archive) davanti a una balera con mescita di cui la gendarmeria si è occupata varie volte, e non sempre per segnalarne i frequentatori per una onorificenza al valore civile. Nel mezzo di un concitato scambio di vedute, a Michael (pur Lupino) sarebbe uscito di bocca anche un "lei non sa chi sono io", come nelle barzellette.
Tempo dopo e con tutta calma la gendarmeria avrebbe rilevato che Michael Lupino "non risulta svolgere alcuna attività lavorativa" e che in passato è stato "reiteratamente deferito all'autorità giudiziaria per resistenza e oltraggio, furto, ricettazione, lesioni personali, detenzione ai fini di spaccio". Sarebbe stato anche sanzionato per "uso personale di sostanze stupefacenti nonché per violazione delle misure anti-Covid", e il capo della gendarmeria a Firenze lo considera animato da "una totale mancanza di regole" e da una "spiccata pericolosità sociale".
Michael deve davvero tenerci, a fare le cose per bene.
E ci tiene anche la gendarmeria. Che non solo lo ha oberato di stramulte, ma lo ha anche invitato a non farsi vedere in giro per Firenze per quattro anni. Secondo loro quello che ha da fare (cioè nulla) può benissimo andare a farlo da un'altra parte.
Fin qui i fatti.
Di per sé nulla che farebbe venire voglia di infierire; ogni giorno il gazzettificio lorda il mondo con centinaia di episodi del genere.
Solo che Michael Lupino non è un Lupino qualsiasi.
E nemmeno un Michael qualunque.
Michael Lupino "gestisce la pagina social".
Oh, quella notte di gennaio ci ha insistito molto, su questo.
Giù la testa, inchiniamoci.
Al momento in cui scriviamo esiste effettivamente sul Libro dei Ceffi una autoschedatura a nome di un "Michael Lupino" di Firenze. Non viene aggiornata da anni e presenta contenuti perfettamente in linea con le res gestae fin qui ricordate e con la sostanziale pochezza di chi decide di mettere a parte dei propri miserabili affari un miliardo e rotti di potenziali spettatori.
Il 23 marzo si viene a sapere proprio dalle gazzette (qui in PDF) che la "pagina social" di cui Michael Lupino dice di essere il "gestore" corrisponde a un certo numero di account -"Welcome to Florence" e simili- che figurano su varie piattaforme informatiche per l'autoschedatura di massa, dal Libro dei Ceffi a Instagram.
Con centinaia di migliaia di utenti.
I contenuti sono quelli cui attingono gazzette e micropolitici in campagna elettorale permanente. Deiezioni canine, tipi estrosi, risse, marginalità estrema, liti condominiali, mucchi di spazzatura, umanità sofferente esibita allo scherno senza possibilità di replica. Pare di capire che lo "Welcome to Florence" stia a indicare che secondo Michael Lupino di tanto si compendierebbe la vita associata della città.
Nello stato che occupa la penisola italiana, specie a livello locale, le campagne elettorali della feccia "occidentalista" sono costruite per intero partendo da contenuti di questo genere. L'idea è quella di attribuire alle amministrazioni invise la responsabilità diretta di tutto quanto, arrostitori di gatti compresi (qui su Archive).
È proprio partendo da contenuti di questo genere che vengono alimentate le gazzette con i comunicati stampa e che vengono auspicati, avallati e tradotti operazionalmente da decenni i giridivite, le tolleranzezzèro, le strette e le svolte che nel "paese" dove mangiano spaghetti e più in generale in tutte le realtà dell'epoca contemporanea hanno reso sospetta e sanzionabile qualsiasi condotta esuli da ben determinati e definiti comportamenti di consumo.
Michael Lupino ha avuto un saggio -nemmeno fra i più severi- delle stesse "leggi" e dello stesso sistema repressivo che quelli come lui hanno contribuito a costruire.
Se fosse stato meno melaninodeficiente sarebbe finito schedato su un account analogo per molto meno che per una piazzata notturna davanti a una balera. Sui commenti che avrebbe raccolto, per lo più da parte di individui del suo livello, è caritatevole non trarre conclusioni. Trovarsi con le carte in regola per rientrare nel bacino elettorale "occidentalista" gli è invece valso ampio diritto di replica su una gazzettina on line, accomodante al punto da non schernirlo per essersi paragonato all'Alighieri e da non porgli domande imbarazzanti su come faccia a frequentare mescite e balere, stanti le dubbie fonti di reddito su cui può fare conto.
Per tacere dell'utilità che la pretesa di "raccontare Firenze" da parte di un elemento del genere potrebbe mai avere per l'amministrazione.