Traduzione da Strategic Culture, 24 marzo 2025.
Il 18 marzo c'è stata la prevista telefonata tra i presidenti Trump e Putin. È stata un successo, nel senso che è andata in modo tale che entrambe le parti possono definirne gli esiti come "positivi". E non ha portato a una rottura perché Putin ha concesso proprio il minimo, una tregua negli attacchi alle infrastrutture energetiche. Sarebbe stato facile arrivare allo scontro, ovvero a una impasse in cui Trump avrebbe attaccato Putin come ha fatto con Zelensky, dato che in Occidente si stanno nutrendo fantasiose e irrealistiche aspettative per cui si sarebbe trattato di un incontro decisivo per giungere a una spartizione definitiva dell'Ucraina.
Potrebbe anche essere stata un successo nel senso che è servita a mettere le basi per il grosso del lavoro, che adesso è in mano a due squadre di personalità esperte nella meccanica dettagliata del cessate il fuoco. Continua a rimanere misterioso il motivo per cui non ci avesse pensato in precedenza la delegazione statunitense a Riyadh; forse per mancanza di esperienza? In effetti il cessate il fuoco è stato trattato come se fosse un qualche cosa che viene fuori dal nulla in virtù di una firma statunitense; le aspettative occidentali si sono impennate, nella convinzione che i dettagli non contassero; tutto ciò che restava da fare -in questa zoppicante stima- era "dividersi la torta".
Data la dinamica di un cessate il fuoco -che deve essere totale, dato che i cessate il fuoco sono quasi sempre condannati al fallimento- nella telefonata di martedi c'era poco da discutere su questo argomento. Secondo quanto riferito e come prevedibile, la discussione sembrava essersi spostata su altre questioni; innanzitutto su temi economici, e poi sull'Iran. Rilevando ancora una volta che il processo di negoziazione tra Stati Uniti e Russia non si riduce alla sola Ucraina.
Quindi, come arrivare a mettere in pratica il cessate il fuoco? Semplice. Cominciando a districare il groviglio di impedimenti che impediscono di avere normali relazioni. Putin, prendendo in esame un solo aspetto di questo problema, ha osservato che
Le sanzioni [da sole] non sono né temporanee né mirate. Costituiscono [piuttosto] un meccanismo di pressione sistemica e strategica contro la nostra nazione. I nostri concorrenti cercano continuamente di limitare la Russia e di ridurne le capacità economiche e tecnologiche... sfornano questi pacchetti incessantemente.
Si devono quindi affrontare e sistemare molti mucchi di macerie geostrategiche risalenti a molti anni fa, prima che una normalizzazione del quadro generale possa iniziare sul serio.
Quello che balza agli occhi è che mentre Trump sembra avere una fretta disperata, Putin non pare proprio nelle stesse condizioni. E non andrà di fretta. Il suo stesso elettorato non accetterà che con gli Stati Uniti si arrivi a un accordo raffazzonato e tendenzioso destinato a implodere in mezzo a recriminazioni che gridano all'inganno e di come Mosca sia stata nuovamente ingannata dall'Occidente. Questo processo di normalizzazione strategica i russi lo stanno pagando con il sangue. Deve per forza funzionare.
Cosa c'è dietro l'evidente fretta di Trump? È il bisogno di procedere a velocità vertiginosa sul fronte interno per andare avanti, prima che l'insieme delle forze dell'opposizione negli Stati Uniti -più le loro consimili in Europa- abbia il tempo di riorganizzarsi e di silurare la normalizzazione con la Russia?
Oppure Trump teme che un lungo intervallo prima dell'attuazione di un cessate il fuoco consentirà alle forze di opposizione di fare pressione perché riprendano le forniture di armi e la condivisione delle informazioni, intanto che il rullo compressore militare russo continua la sua avanzata? O forse Trump teme -come ha detto Steve Bannon- che riarmando l'Ucraina metterebbe il cappello sulla guerra e si assumerebbe la colpa di una grave sconfitta dell'Occidente e della NATO?
Ancora, Trump forse prevede che Kiev potrebbe collassare all'improvviso come è successo al governo Karzai in Afghanistan. Trump è profondamente consapevole del disastro politico che sono state per Biden le immagini degli afghani aggrappati ai carrelli degli aerei da trasporto statunitensi che decollavano, mentre gli Stati Uniti evacuavano il paese in una scena da Vietnam.
Eppure, ancora una volta, potrebbe essere qualcosa di diverso. Ho imparato a tempo debito, come facilitatore dei cessate il fuoco tra Palestina e stato sionista, che non è possibile instaurare un cessate il fuoco in una località (ad esempio a Betlemme), mentre le forze militari dello stato sionista in quel momento mettevano a ferro e fuoco Nablus o Jenin. Il contagio emotivo e la rabbia legati a un conflitto non possono essere sottoposti a restrizioni in una località soltanto; si riverserebbero in un'altra. È un fenomeno noto. E ha rovinato le intenzioni implicitamente sincere che c'erano dietro il cessate il fuoco.
Forse Trump ha fretta soprattutto perché sospetta che il suo sostegno incondizionato allo stato sionista finirà per coinvolgerlo in un conflitto mediorientale di vaste proporzioni? Il mondo di oggi, grazie a Internet, è molto più piccolo di prima: è possibile fare il pacificatore e il guerrafondaio allo stesso tempo, e pretendere di essere presi sul serio come campioni della pace?
Tump e i politici statunitensi controllati dalla lobby vicina allo stato sionista sanno che Netanyahu e gli altri vogliono che gli Stati Uniti contribuiscano a togliere di mezzo quell'Iran che è il rivale regionale dello stato sionista. Trump non può ridimensionare la sfera di influenza degli USA nell'emisfero occidentale e al tempo stesso continuare a far valere il peso degli Stati Uniti come egemone mondiale; manderebbe in fallimento il governo statunitense. Trump riuscirà a ridurre gli Stati Uniti a una fortezza o i problemi all'estero -ad esempio l'instabilità dello stato sionista- porteranno alla guerra e faranno deragliare la sua amministrazione, dato che si tratta di questioni intrecciate l'una all'altra?
Qual è la visione di Trump per il Medio Oriente? Di certo ne ha una, che è radicata nella sua inscalfibile fedeltà agli interessi dello stato sionista. Il piano è quello di distruggere finanziariamente l'Iran o di decapitarlo, per rafforzare una Grande Israele. La lettera di Trump alla Guida Suprema Ali Khamenei specificava una scadenza di due mesi per raggiungere un nuovo accordo sul nucleare.
Il giorno dopo la sua missiva, Trump ha detto che gli Stati Uniti con l'Iran sono arrivati alle ultime battute.
"Non possiamo permettere che abbiano un'arma nucleare. Succederà qualcosa molto presto. Preferirei concludere un accordo pacifico piuttosto che ricorrere all'altra scelta, ma l'altra scelta risolverà il problema".
Il giornalista statunitense Ken Klippenstein ha notato che il 28 febbraio due bombardieri B-52 in volo dal Qatar hanno sganciato bombe su una "località segreta" in Iraq. Questi bombardieri con capacità nucleare recavano un messaggio il cui destinatario "era chiaro come il sole: la Repubblica Islamica dell'Iran". Perché dei B-52 e non degli F-35, anch'essi in grado di trasportare bombe? Forse perché le bombe bunker buster sono troppo pesanti per gli F-35? Lo stato sionista ha degli F-35, ma non i bombardieri pesanti B-52.
Poi il 9 marzo, scrive Klippenstein, è stata fatta una seconda dimostrazione: un B-52 ha volato in una missione a lungo raggio a fianco di caccia dello stato sionista, esercitandosi in operazioni di rifornimento aereo. La stampa dello stato sionista ha riferito correttamente il vero scopo dell'operazione: "preparare le forze sioniste a un potenziale attacco congiunto con gli Stati Uniti contro l'Iran".
Poi, il 17 marzo il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz si è vantato del fatto che i molteplici attacchi aerei anglo-statunitensi hanno "eliminato" i massimi funzionari Houthi, rendendo molto chiaro che tutto questo riguarda l'Iran:
"Questa è stata una risposta schiacciante che ha effettivamente preso di mira vari leader Houthi e li ha eliminati. E la differenza qui è: primo, reprimere la leadership Houthi; secondo, ritenere l'Iran responsabile".
Marco Rubio ha spiegato alla CBS: "Stiamo facendo un favore al mondo intero, sbarazzandoci di questi tizi".
Trump ha poi proseguito con lo stesso tema:
"Ogni colpo sparato dagli Houthi sarà considerato da questo momento in poi come un colpo sparato dalle armi e dalla leadership dell'IRAN, l'IRAN sarà ritenuto responsabile, ne subirà le conseguenze, e quelle conseguenze saranno terribili!"
In un altro articolo, Klippenstein scrive:
"Fra le opzioni a disposizione di Trump per trattare con Tehran adesso ne figura una che durante il suo primo mandato non aveva a disposizione: la guerra a tutto campo, armi nucleari comprese (i missili Trident II a bassa potenza). I documenti del Pentagono e della società sotto contratto che sono riuscito a ottenere descrivono l'impegno nella pianificazione cui è intenta la squadra operativa congiunta sia a Washington che in Medio Oriente, per perfezionare le future operazioni inerenti "un grande conflitto regionale" con l'Iran. I piani sono il risultato di una rivalutazione delle capacità militari dell'Iran, nonché di un cambiamento sostanziale nella linea di condotta delle ostilità da parte degli USA."
La novità è che la componente “multilaterale” include per la prima volta uno stato sionista che opera all'unisono con i partner arabi del Golfo, sia direttamente che indirettamente. Il piano include anche diverse contingenze e livelli di ostilità, secondo i documenti citati da Klippenstein; dalla "azione di crisi" (ovvero la risposta a eventi e attacchi) alla pianificazione "deliberata" (che si riferisce a scenari prestabiliti che derivano da crisi che sfuggono al controllo). Un documento avverte della "possibilità concreta" che la guerra "si intensifichi oltre le intenzioni del governo degli Stati Uniti" e abbia un impatto sul resto della regione, richiedendo un approccio multiforme.
I preparativi delle ostilità contro l'Iran sono così strettamente secretati che persino alle società appaltatrici coinvolte nella pianificazione bellica è vietato menzionare anche quelli non coperte da segreto, osserva Klippenstein:
"Anche se ai presidenti viene spesso fornita una serie di opzioni militari e il Pentagono cerca di indirizzare il Presidente verso quella che esso preferisce, Trump ha già dimostrato la sua propensione a scegliere l'opzione più provocatoria.Allo stesso modo, il via libera di Trump agli attacchi aerei dello stato sionista contro Gaza, che hanno ucciso centinaia di persone [lo scorso] lunedì ma che a quanto pare avevano come obiettivo la leadership di Hamas, può essere visto come in linea con la scelta delle maniere forti".
Dopo essere riuscito ad assassinare il generale iraniano Qassem Suleimani nel 2020, Trump sembra essersi convinto che l'azione aggressiva è relativamente a costo zero, osserva Klippenstein.
Come ha notato Waltz nella sua intervista alla stampa:
"La differenza è che questi [attacchi in Yemen] non erano punture di spillo del tipo mordi e fuggi e che alla fine si rivelano inutili. Questa è stata una risposta schiacciante che ha effettivamente preso di mira vari leader Houthi e li ha eliminati".
Klippenstein avverte che "il 2024 potrebbe essere alle nostre spalle, ma le sue lezioni non lo sono. L'assassinio da parte dello stato sionista di alti funzionari di Hezbollah in Libano è stato ampiamente percepito da Washington come un successo clamoroso e con pochi aspetti negativi. Trump probabilmente ha fatto proprio questo assunto quando ha fatto sferrare l'attacco contro la leadership Houthi questa settimana".
Se gli osservatori occidentali considerano tutto ciò che sta accadendo come una ripetizione della politica del contrappasso di Biden o come attacchi limitati da parte dello stato sionista ai sistemi di allarme e di difesa aerea iraniani, potrebbero fraintendere ciò che sta accadendo dietro le quinte. Ciò che Trump potrebbe fare ora, che è proprio quello che sta scritto nel copione sionista, sarebbe attaccare i centri di comando e di controllo dell'Iran, compresa la leadership iraniana.
Questo –molto probabilmente– avrebbe un profondo effetto sulle relazioni di Trump con la Russia e con la Cina. A Mosca e a Pechino scomparirebbe persino l'idea che Trump sia capace di una qualche trattativa. Quale sarebbe il prezzo del suo ripristino del "quadro generale" da "pacificatore" se, sulla scia delle guerre in Libano, Siria e Yemen, iniziasse una guerra con l'Iran? Trump vede l'Iran attraverso una prospettiva tanto difettosa da fargli pensare che distruggendolo arriverebbe alla pace per mezzo della forza?
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