Traduzione da Strategic Culture, 17 marzo 2025.
Lo stato sionista è profondamente diviso. La spaccatura è aspra e dolorosa perché entrambe le parti credono di trovarsi a combattere per l'esistenza stessa dello stato sionista. Il linguaggio corrente è diventato talmente velenoso (in particolare nei canali riservati in ebraico) che vi sono tutt'altro che rare le invocazioni al colpo di stato e alla guerra civile.
Lo stato sionista si sta avvicinando al baratro e le divergenze apparentemente inconciliabili potrebbero presto sfociare in scontro aperto: come scrive Uri Misgav questa settimana, una sua "primavera" è alle porte.
Il fatto è che lo stile del Presidente Trump -utilitaristico e decisamente orientato alla trattativa commerciale- può risultare efficace nell'emisfero occidentale laico; con lo stato sionista (o con l'Iran) Trump invece potrebbe fare poca o nessuna presa in un ambiente caratterizzato da una weltanschauung alternativa e che si basa su un concetto sostanzialmente diverso della moralità, della filosofia e della epistemologia rispetto al classico paradigma della deterrenza occidentale e della mera materialità del suo bastone e della sua carota.
Anzi, il solo tentativo di imporsi incutendo timore e minacciando di scatenare l'inferno se i suoi ordini non vengono rispettati potrebbe portare all'opposto del risultato cercato, ovvero a scatenare nuovi conflitti e nuove guerre.
Nello stato sionista esiste una composito fronte di arrabbiati -guidato per adesso da Netanyahu- che ha messo le mani sul potere dopo una lunga marcia attraverso le istituzioni, e che adesso si sta dedicando allo smantellamento dello "Stato profondo" all'interno della macchina statale. Di pari passo si è sviluppata una furibonda reazione a quella che viene percepita come una totale presa della scena.
Ad esacerbare questa frattura nella società concorrono due sue caratteristiche: quella di essere etnico-culturale e quella di essere ideologica. In terzo luogo, la frattura è anche escatologica e questo è il suo aspetto più esplosivo.
Nelle ultime elezioni nazionali nello stato sionista la "classe subalterna" ha finalmente infranto il tetto di cristallo, ha vinto le consultazioni ed è arrivata al potere. I mizrahi -gli ebrei provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa- erano stati per lungo tempo trattati come la classe più povera e meno importante della società.
Gli ashkenaziti -ebrei europei, in gran parte liberali e laici- costituiscono la gran parte dei professionisti che vivono nei centri urbani e fino a poco tempo fa costituivano anche il grosso della classe dirigente. Una élite che alle ultime elezioni è stata spodestata dalla coalizione dei nazionalisti religiosi e del movimento dei coloni.
L'inizio dell'attuale fase di quella che è stata una lunga lotta per il potere può forse essere collocato nel 2015. Come ha scritto Gadi Taub,
Fu allora che i giudici della Corte Suprema dello stato sionista tolsero l'essenza della sovranità -cioè il potere di decisione finale su quanto attiene il diritto e la politica- agli organi elettivi del governo e lo avocaronoo a se stessi. Il potere è ufficialmente in mano a un organo governativo non soggetto ad elezioni, che non è soggetto né a controlli né a contrappesi ad opera di nessun altro.
Nell'ottica della destra questa prerogativa di revisione giudiziaria che essa si è autoattribuita ha messo in mano alla Corte Suprema, scrive Taub, il potere di
stabilire le regole del gioco in politica, e non solo i suoi esiti concreti. Il potere esecutivo è quindi diventato l'enorme braccio investigativo della stampa. Come nel caso della bufala del Russiagate, in cui la polizia e il procuratore di Stato, più che raccogliere prove per un processo penale, si erano messi a produrre spazzatura politica da servire poi alla stampa.
Lo Stato profondo, nello stato sionista, è la bestia nera che sta consumando Netanyahu e il suo governo: in un discorso alla Knesset questo mese, per esempio, Netanyahu ha attaccato i media accusando le agenzie di stampa di "collaborare senza riserve con lo Stato profondo" e di creare "scandali". "La collaborazione tra la burocrazia dello Stato profondo e i media non ha funzionato negli Stati Uniti e non funzionerà nemmeno qui", ha detto.
Va specificato che al momento delle ultime elezioni politiche la Corte Suprema era formata da quindici giudici, tutti ashkenaziti tranne uno mizrahi.
Tuttavia sarebbe sbagliato vedere gli scontri fra i due schieramenti rivali come una oscura disputa sull'usurpazione del potere esecutivo e sulla fine della separazione tra i poteri dello Stato.
Il motivo sostanziale della contesa è invece una radicale disputa ideologica sul futuro e sul carattere dello stato sionista. Dovrà essere uno Stato messianico fondato sulla Halacha', in ossequio alla Rivelazione? O sarà invece uno Stato democratico, liberale e sostanzialmente laico? Ecco su cosa lo stato sionista sta andando in pezzi.
Dal punto di vista culturale i Mizrahim (intesi nell'accezione più ampia) e la destra considerano la sfera liberale dalle radici europee come se fosse a malapena ebraica sul serio. Da qui la loro intransigenza: la Terra di Israele deve essere intrisa per intero di ebraismo.
Sono stati gli eventi del 7 ottobre a cristallizzare in modo assoluto questa contesa, il cui carattere ideologico rappresenta il secondo fattore rilevante che rispecchia in gran parte la spaccatura generale.
La concezione classica della sicurezza, nello stato sionista, risaliva ai tempi di Ben Gurion e doveva fornire una risposta a un dilemma sempiterno: lo stato sionista non poteva imporre la fine del conflitto ai suoi nemici, e allo stesso tempo non poteva mantenere a lungo termine un grande esercito.
In quest'ottica pertanto lo stato sionista doveva fare affidamento su un esercito di riservisti, cui sarebbe servito un adeguato preallarme prima di una qualsiasi guerra. Diventava quindi essenziale che i servizi fossero in grado di comunicare l'allerta in caso di imminenti ostilità.
È stato questo prerequisito fondamentale a mancare clamorosamente il 7 ottobre.
Lo shock e la sensazione di disastro derivanti dal 7 ottobre hanno portato molti a pensare che l'attacco di Hamas avesse infranto in modo irrimediabile la concezione di sicurezza nello stato sionista: la politica di deterrenza aveva fallito, prova era il fatto che Hamas aveva attaccato comunque.
E qui ci avviciniamo al punto fondamentale della contesa in atto nello stato sionista: a finire distrutto il 7 ottobre non è stato solo il vecchio paradigma di sicurezza del Partito Laburista e delle vecchie élite dell'apparato di sicurezza. Tutto è crollato, certamente: ma dalle rovine è nata una visione del mondo di tutt'altro genere che esprimeva una filosofia e un'epistemologia radicalmente diverse rispetto al classico paradigma della deterrenza:
"Sono nato nello stato sionista, sono cresciuto nello stato sionista... ho prestato servizio nell'IDF", dice Alon Mizrahi; "Sono stato esposto a queste cose. Sono stato indottrinato in questo modo e per molti anni della mia vita ho creduto a tutto questo. Questo rappresenta un grave problema ebraico: non è solo [questione di un certo modo di intendere il] sionismo... Come puoi insegnare ai tuoi figli -e questo ha una validità quasi universale- che tutti quelli che non sono ebrei vogliono ucciderti. Quando condividi questa paranoia, ti autoassegni il benestare per fare qualsiasi cosa a chiunque... Non è un buon modo per fondare una società. Ed è davvero pericoloso".
Si veda qui sul Times un resoconto di un dibattito in una scuola superiore (avvenuto dopo il 7 ottobre) sulla liceità morale di spazzare via gli Amaleciti; uno studente chiede: "Come facciamo a condannare Hamas per aver ucciso uomini, donne e bambini innocenti se ci è stato ordinato di spazzare via gli Amaleciti?"
"Come possiamo vivere in una situazione normale un domani", si chiede Alon Mizrahi, "se questo è ciò che siamo oggi"?
La destra religiosa nazionalista sta suonando la carica perché cambi radicalmente la dottrina di sicurezza. Non crede più nel classico paradigma di deterrenza di Ben Gurion, in particolare dopo il 7 ottobre. La destra non crede che sia possibile arrivare a un accordo con i palestinesi e non vuole assolutamente uno stato binazionale. Secondo la concezione di Bezalel Smotrich, la dottrina di sicurezza dello stato sionista deve d'ora in poi contemplare una guerra incessante contro i palestinesi, fino a quando non saranno stati cacciati o eliminati.
Il vecchio establishment liberale è indignato. Come ha dichiarato la scorsa settimana uno dei suoi appartenenti, l'ex generale di brigata ed ex capo dell'ufficio di Netanyahu David Agmon,
"Bezalel Smotrich, io ti accuso della distruzione del sionismo religioso! Stai mettendo in piedi uno Stato retto dalla Halacha e dal sionismo Haredi, non dal sionismo religioso... Per non parlare del fatto che ti sei unito al terrorista Ben Gvir, che strumentalizza quei ragazzi delle colline che infrangono la legge e li fa continuare a infrangere la leggede, che va contro il governo, il sistema giudiziario e la polizia che è sotto la sua responsabilità. Netanyahu non è la soluzione. Netanyahu è il problema, è la testa del serpente. La protesta dovrebbe andare contro Netanyahu e contro la sua coalizione. La protesta dovrebbe pretendere la caduta di un governo malvagio".
Netanyahu è in un certo senso laico, ma per altri versi ha fatto sua la missione biblica del Grande Israele che ha annientato tutti i suoi nemici. Se vogliamo, possiamo considerarlo un neo jabotinskiano; suo padre era il segretario privato di Jabotinsky. Si trova in pratica in un rapporto di reciproca dipendenza con figure come Ben Gvir e Smotrich.
"Cosa vuole questa gente?", si chiede Max Blumenthal; "Qual è il suo obiettivo ultimo?"
"L'apocalisse", avverte Blumenthal, il cui libro Goliath ripercorre l'ascesa della destra escatologica nello stato sionista.
"Essi hanno un'escatologia basata sull'ideologia del Terzo Tempio: la Moschea di Al-Aqsa sarà distrutta e sostituita da un Terzo Tempio, si praticheranno i rituali ebraici tradizionali".
E per realizzare tutto questo, una "Grande Guerra" è quello che gli serve.
Smotrich si è sempre espresso con chiarezza su questo punto. Il piano per cacciare definitivamente tutti gli arabi dalla "Terra di Israele" richiederà qualcosa di fuori dall'ordinario, una "grande guerra", ha detto.
La questione più rilevante è: Trump e i suoi ne capiscono qualcosa? Perché tutto questo ha profonde implicazioni sul sistema cui Trump ricorre per arrivare ad accordi secondo la prassi tipica delle transazioni commerciali. "Bastone e carota" e razionalità laica non serviranno a gran che con chi ha una epistemologia piuttosto diversa, prende la Rivelazione come verità in senso letterale ed è convinto che essa imponga completa obbedienza.
Trump dice di voler porre fine ai conflitti in Medio Oriente e di arrivare a una "pace" regionale.
Il suo approccio laico e da trattativa commerciale alla politica, tuttavia, è del tutto inadatto a risolvere un conflitto che ha basi escatologiche. Il suo approccio da bravaccio in cui minaccia lo scatenarsi dell'inferno se non otterrà ciò che vuole non funzionerà, quando una delle due parti l'Armageddon lo vuole davvero.
Al suo "si scatenerà l'inferno" Trump potrebbe ricevere una risposta del tipo "Benissimo, si scateni pure".
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