Traduzione da Strategic Culture, 20 maggio 2024.
Alon Pinkas, ex diplomatico sionista di alto livello e ben introdotto alla Casa Bianca, parla senza mezzi termini di uno stato di cose reale a proposito dello stato sionista, e insiste sul fatto che non è più possibile far passare la cosa sotto silenzio.
Esistono adesso due Stati [ebraici] che hanno visioni contrastanti su ciò che la nazione dovrebbe essere. Lo stato sionista ha un problema che tutti conoscono ma che nessuno intende affrontare. No, non è l'occupazione, anche se proprio l'occupazione è la sua causa principale.Il problema che tutti conoscono ma che nessuno intende affrontare è che lo stato sionista che si sta gradualmente ma inesorabilmente dividendo [in uno Stato laico, liberale e ad alta tecnologia]... e in una teocrazia ultranazionalista e suprematista ebraica con tendenze messianiche e antidemocratiche, che incoraggia l'isolamento.Il sionismo... si è trasformato e ha cambiato volto attraverso il movimento dei coloni e gli zeloti di estrema destra; è diventato una cultura politica nel filone di Masada e ha al centro l'idea della redenzione dell'antico regno nella terra degli avi. (Masada fu la piazzaforte dei Sicarii nel 73 d.C.).
Pinkas prosegue:
In sostanza nello stato sionista è in corso una guerra civile. Non si può parlare di una Gettysburg, ma la spaccatura è ampia e profonda e sta diventando evidente. I due sistemi di valori politici non sono conciliabili. "La lotta contro gli arabi (o l'Iran) è una lotta per l'esistenza"; l'unico filo conduttore resta questo, ma si sta indebolendo. È una definizione al negativo di una identità nazionale: indica un nemico e una minaccia comuni, ma dice ben poco di ciò che ci unisce, dal punto di vista del tipo di società e di paese che vogliamo essere.Persino la narrativa comune più fondamentale, la Dichiarazione d'Indipendenza, viene oggi messa in discussione e alcuni dei suoi principi essenziali sono motivo di contesa sul piano politico.
Ovviamente si capisce in quale campo Pinkas collochi il proprio mondo; tuttavia
al di là della riflessione sul 7 ottobre, c'è una crescente consapevolezza che parole come unità, un unico destino e non abbiamo scelta e nessun altro paese sono diventati cliché vuoti e privi di significato. Al contrario, sempre più cittadini dello stato sionista, in entrambi gli schieramenti, considerano il loro Paese sostanzialmente diviso in due entità distinte e non conciliabili.
Vi suona familiare, anche se il contesto è un altro?
Dovrebbe esserlo. Perché è la metafora di una ineluttabile spaccatura che interessa anche l'Occidente. La guerra a Gaza ha fatto precipitare in Occidente l'apertura di fenditure già latenti. Anche questo, non è più possibile nasconderlo. Da un lato esiste un progetto di ingegneria sociale illiberale che si spaccia per liberalismo. Dall'altro, un progetto di recupero dei valori "eterni" (per quanto imperfetti) che un tempo erano alla base della civiltà europea.
Il conflitto in Medio Oriente ha messo in luce in Occidente i parallelismi tra due sfere.
Anche in questo caso, i parallelismi e le somiglianze sono sconfortanti. Come dice Pinkas:
Il divario è reale, si sta allargando e sta diventando incolmabile. Divisioni e fratture politiche, culturali ed economiche si stanno ampliando, accompagnate da un vetriolo tossico che si presenta come discorso politico. Persino la più fondamentale delle narrative comuni, la Dichiarazione di Indipendenza, è ora messa in discussione e alcuni dei suoi principi fondamentali sono motivo di contesa sul piano politico.
Pinkas si riferisce allo stato sionista; lo stesso però vale anche per gli Stati Uniti, dove i principi fondamentali della Costituzione -ad esempio la libertà di parola- sono motivo di contesa sul piano politico. Pinkas cita anche l'affermazione della destra secondo cui Tel Aviv "è una bolla", ma aggiunge: "Per quanto riguarda il definire Tel Aviv una bolla, hanno ragione; ma anche New York è una bolla, anche Parigi e Londra sono bolle". Bolle geografiche, oltre che ideologiche. Eppure Pinkas non riesce ad afferrare l'essenza del paradosso che egli stesso crea: non è forse questo il nocciolo del problema? Non sono le élite metropolitane statunitensi ossessionate dalla tecnologia contrapposte a tutto il resto del paese, derubricato a lande sorvolabili? Queste bolle sono esse stesse il problema, non un qualche cosa su cui si possa transigere.
Oggi decine di migliaia di studenti in Occidente protestano contro il massacro di palestinesi in corso, mentre i detentori del potere istituzionale sostengono senza remore l'annientamento di Hamas e di tutti i civili complici. Una definizione che qualcuno estende a tutti coloro che vivono a Gaza.
Le due visioni del mondo non condividono una percezione comune. Esse costituiscono visioni contrastanti del futuro e dell'essenza stessa dei rispettivi paesi. Il 7 ottobre ha fatto esplodere il simulacro status quo dello stato sionista e, allo stesso tempo, ha scardinato l'ordine politico tanto in Occidente quanto nello stato sionista.
Ciò che è importante capire è che entrambe le visioni così polarizzate -quella della pur contestata storia nazionale e quella di un futuro comune- sono per ciascuna comunità quella autentica. Le due visioni hanno una loro legittimazione separata. Ciò significa che correre ai ripari sul piano meramente politico non servirà a liquidare zeitgeist ormai consolidati. Ciascuna delle partie deve prima accettare la legittimità dell'altro, pur rimanendo in disaccordo, perché sia possibile lasciare il passo alla politica.
La metafora di Pinkas ha un'applicazione più ampia: dopo aver affermato che "lo stato sionista ha un problema che tutti conoscono ma che nessuno intende affrontare. No, non è l'occupazione, anche se proprio l'occupazione è la sua causa principale", Pinkas aggiunge più avanti nel suo scritto che "lo stato sionista non occupa solo territorio; circa cinque milioni di palestinesi vivono sotto occupazione. In effetti, da 57 anni lo stato sionista vive in un continuo ripetersi del settimo giorno della Guerra dei Sei Giorni. Questa realtà, che negli anni '70 veniva definita temporaneità prolungata, è diventata una caratteristica permanente dell'ecosistema politico e geopolitico dello stato sionista".
Questa situazione è diventata una trappola, per lo stato sionista.
Perché lo stato sionista e l'Occidente starebbero decadendo entrambi? Innanzitutto perché sono diventati così interconnessi a livello di strutture di potere (sia negli Stati Uniti che in Europa) che è difficile capire chi abbia più peso all'interno di queste strutture di potere e mediatiche, se Tel Aviv o la Casa Bianca. Questo significa che sono due realtà che dipendono l'una dall'altra per quanto riguarda la rispettiva posizione sul piano internazionale e che entrambi sono vulnerabili a un qualsiasi scossa colpisca l'ordine mondiale.
Oggi l'Occidente sembra rifuggire dalle pratiche del colonialismo propriamente detto, oltre che da quelle praticate dallo stato sionista; tuttavia ha perseguito fin dai tempi della seconda guerra mondiale politiche all'insegna del lucro e del colonialismo finanziario. Questo processo è diventato una struttura permanente dell'ecosistema politico e geopolitico occidentale.
La conseguenza è che con l'emergere netto e cupo della prassi colonialista a Gaza la maggioranza della popolazione mondiale ha iniziato a considerare esplicitamente colonialisti sia lo stato sionista che l'Occidente. Non viene fatta alcuna distinzione: l'ordine basato sulla supremazia statunitense viene considerato nient'altro che un ripetersi dell'ecosistema coloniale. Per questo gli eventi di Gaza, tra le altre cose, hanno scatenato una nuova ondata di sentimento anticolonialista in tutto il mondo.
Si tratta di una dinamica che, trovando una forte risonanza tra gli studenti occidentali in protesta -e tra molti dei più anziani- sta incrinando le strutture di leadership occidentali, minacciando la preparazione puntigliosamente curata delle elezioni presidenziali statunitensi di novembre.
Infine, la stretta integrazione delle due strutture collegate si è riversata nello spirito che impronta la politica estera occidentale: proprio come la risposta dello stato sionista al 7 ottobre è stata quella di scagliarsi contro "Hamas" e Gaza, così l'Occidente, vedendo il proprio "ecosistema egemonico" sfidato da Russia e Cina emula lo stato sionista nel suo considerare la forza militare come fondamento della propria deterrenza e del proprio primato globale.
Il Presidente Putin -prefigurando le attuali tensioni con l'Occidente- in un discorso di fondamentale importanza pronunciato a Monaco di Baviera nel 2007 espresse forti critiche verso quello che definì il dominio monopolistico degli Stati Uniti nelle relazioni globali e verso il loro "smodato e quasi incontrollato ricorso alla forza nelle relazioni internazionali".
Avrebbe potuto dire lo stesso dello stato sionista, nel suo contesto regionale.
Avrebbe potuto dire lo stesso dello stato sionista, nel suo contesto regionale.
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