Per la prima volta sono gli altri a dettare legge all'Occidente
piuttosto che ricevere istruzioni su come conformarsi alle linee rosse ameriKKKane.
piuttosto che ricevere istruzioni su come conformarsi alle linee rosse ameriKKKane.
Traduzione da Strategic Culture.
Il sospiro di sollievo nei corridoi occidentali è parso quasi di sentirlo. Anche se non ci sono stati progressi nell'incontro virtuale fra Biden e Putin, i colloqui, non a caso, hanno avuto come argomento principale un tema che nell'immediato è molto preoccupante: l'Ucraina. Si teme da più parti che il vulcano ucraino possa esplodere da un momento all'altro.
Durante l'incontro si è concordato sulla proposta di avviare una discussione "a basso livello" da governo a governo sulle linee rosse russe e su qualsiasi arresto dell'espansione della NATO verso est. Jake Sullivan, tuttavia, ha gettato acqua sul fuoco quando ha perentoriamente sottolineato che gli Stati Uniti non si sono impegnati in alcun modo su entrambe le questioni. Biden (come annunciato in anticipo), ha avvertito la Russia che un suo intervento in Ucraina comporterebbe forti contromisure, sia economiche che di altro genere.
L'elemento più rilevante tuttavia è il fatto che gli Stati Uniti stanno solo minacciando sanzioni contro la Russia e ventilando lo spostamento di più truppe nella regione, piuttosto che un esplicito intervento militare occidentale e della NATO in Ucraina. In precedenti dichiarazioni Biden e altri funzionari statunitensi sono stati vaghi su quale sarebbe stata la risposta di Washington a un'invasione russa: hanno ripetutamente parlato di "conseguenze", pur rinnovando il proprio impegno per la tutela della sovranità ucraina.
Si può davvero ricominciare a respirare? In realtà, no. In concreto l'immediata importanza della questione ucraina è sempre stata una sorta di depistaggio: La Russia non ha alcun desiderio di impelagarsi nel fango denso e vischioso di un pantano regionale, per quanto la cosa potrebbe venir apprezzata da qualcuno in Occidente. E le forze di Kiev sono stanche, malandate e demoralizzate dopo mesi passati al freddo nelle trincee lungo la linea di contatto. H
anno poca voglia di affrontare le milizie del Donbass (a meno che qualcuno non le aiuti dall'esterno). Su cosa fare con quella vasta e oscura distopia che è l'Ucraina in tutte le sue varie manifestazioni, non si è arrivati a niente. Il presidente Putin ha tirato fuori l'accordo di Minsk, ma nessuno a quanto pare ha abboccato e la lenza è rimasta inerte. Né si è arrivati a nulla su cosa fare con il crescente mucchio di macerie di quelle che una volta si chiamavano "relazioni diplomatiche" USA - Russia. Oggi, chiamarle relazioni diplomatiche è una freddura che non fa ridere nessuno.
Non si prevedono festeggiamenti, quindi. Le fazioni visceralmente anti-Putin negli Stati Uniti e a Kiev sono imbestialite: un senatore repubblicano americano, Roger Wicker, ha avvertito che in caso di un qualsiasi stallo sull'Ucraina, "non escluderei un'azione militare. Penso che cominciamo a sbagliare se togliamo opzioni dal tavolo, quindi spero che il presidente tenga sul tavolo anche questa". Alla domanda su cosa contemplerebbe un'azione militare contro la Russia, Wicker ha detto che potrebbe significare "che teniamo duro con le nostre navi nel Mar Nero e facciamo piovere distruzione sul potenziale militare russo", aggiungendo che gli Stati Uniti non dovrebbero nemmeno "escludere di prendere l'iniziativa di un'azione nucleare" contro la Russia.
Intanto l'Ucraina continua a languire. Se adesso dev'essere tregua, allora si tratta solo di questo, di una tregua. I falchi negli Stati Uniti e in Europa non hanno alzato bandiera bianca: L'Ucraina è un'arma troppo adeguata alle loro esigenze per essere gettata via alla leggera.
Questo concentrarsi sulla crisi ucraina, tuttavia, è come considerare un albero senza vedere il bosco: abbiamo tre bombe pronte a esplodere. Tre fronti diversi ma strettamente correlati, ora legati da obiettivi strategici e sincronia imperscrutabili: l'Ucraina, Taiwan, e il vacillante accordo sul nucleare iraniano che in questo momento sta scatenando a Tel Aviv un'angoscia indicibile.
Il bosco che scompare a fronte di questi tre alberi è insito nella questione irrisolta dell'edificio della sicurezza europea, della sicurezza del Medio Oriente e, in effetti, di tutto il costrutto della sicurezza globale. L'ordine esistente basato sulle regole è arrivato oltre la data di scadenza: non garantisce la sicurezza e non riflette la realtà degli attuali equilibri tra le grandi potenze. È diventato un agente patogeno. In poche parole, è troppo fossilizzato nella lietkultur del secondo dopoguerra.
In una recente intervista alla CNN Fareed Zakaria ha chiesto a Jake Sullivan, consigliere di sicurezza di Biden: Allora, cos'è che dopo tutti i vostri 'discorsi da duri' siete stati in grado di concordare con la Cina, cosa è stato negoziato? "Domanda sbagliata", ha replicato tagliente Sullivan. "Metro sbagliato", ha ribadito fiaccamente: non chiedetemi degli accordi bilaterali - chiedetemi che cos'altro ci siamo assicurati. Il modo giusto di pensare alla questione, ha detto, è: "Abbiamo stabilito i termini di una competizione efficace in cui gli Stati Uniti sono in grado di difendere i loro valori e far avanzare i loro interessi; non solo nell'Indo-Pacifico, ma in tutto il mondo...".
"Vogliamo porre le condizioni per cui due grandi potenze opereranno in un sistema internazionale per il prossimo futuro - e vogliamo che i termini di quel sistema siano favorevoli agli interessi e ai valori ameriKKKani: Si tratta piuttosto di una disposizione favorevole in cui gli Stati Uniti e i loro alleati possono plasmare le regole internazionali su come affrontare questioni del tipo che in sostanza finiscono per rivelarsi importanti per la gente del nostro paese [l'AmeriKKKa] e per gli altri popoli in tutto il mondo...".
È questa lietkultur massimalista che ci sta portando a un punto in cui queste tre questioni esplosive insieme rischiano di sovvertire alle radici l'ordine globale. Bisogna andare molto indietro nel tempo per trovare un momento in cui il nostro mondo si è trovato tanto vulnerabile a un improvviso rovescio della sorte, a quello che Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph definisce "l'incubo dell'Occidente: una guerra su tre fronti".
Cosa sta succedendo? Beh, è certamente una cosa che ha delle ripercussioni molto vaste. E perché gli Stati Uniti si ostinano a tenere un atteggiamento tanto perentorio in merito all'ordine globale, per cui le altre grandi potenze non avrebbero il diritto di fissare proprie linee rosse in materia di sicurezza? Il motivo è dato di 'quattro cavalieri' dei grandi cambiamenti. La pandemia che porta a un sistema di regolamentazione sanitaria globale, l'emergenza climatica che porta a un regime globale di crediti e debiti per le emissioni di anidride carbonica, la rivoluzione tecnologica e dell'intelligenza artificiale che ci porta in un'era globale di automazione e bot (e di perdita di posti di lavoro) e, in quarto luogo, la transizione dall'economia classica a quella della teoria monetaria moderna applicata a livello globale, che richiede una reimpostazione globale del mucchio planetario di debiti che non saranno mai pagati.
La visione di Sullivan sul "futuro prevedibile" è essenzialmente concepita intorno a questo progetto di instaurazione di un ordine superiore: Il mantenimento di "regole per affrontare le questioni" globali congegnate per riflettere gli interessi degli Stati Uniti e degli alleati, come base da cui i fondamenti delle "transizioni" in materia di salute, cambiamento climatico, tecnocrazia manageriale e monetaria possano essere sottratti alla prerogativa dei parlamenti nazionali e portati a un livello sovranazionale fatto di collettivi manageriali aziendali e tecnologici incentrati sulla competenza, che non devono rispondere alla supervisione dei parlamenti nazionali.
Ripartiti in questo modo in ambiti come le precauzioni sanitarie, il ripristino del clima, la promozione di "miracoli" tecnologici e l'emissione di denaro separata dalla tassazione, i punti chiave delle transizioni non hanno un sapore ideologico e in qualche modo diventano quasi utopici.
Si capiva bene che tutte queste transizioni avrebbero sovvertito inveterati modi di vivere antichi e profondamente radicati, e inevitabilmente avrebbero scatenato la dissidenza; ecco il perché delle nuove forme di "disciplina" sociale, e perché è così importante che si usurpi la facoltà di controllare facendola passare dalla responsabilità nazionale al piano sovranazionale. Certamente non si sta rendendo la gente "felice" (come nel caso di Davos).
Mah, il substrato ideologico di questo "ordine superiore" può essere occultato alla vista, in quanto non di parte, ma è colui che decide gli standard internazionali, i protocolli, le metriche e le regole per queste transizioni ad essere sovrano, come ebbe a notare Carl Schmitt.
Sullivan ha almeno la correttezza di essere franco sull'ideologia che sottende la transizione: "Vogliamo che i termini di quel sistema siano favorevoli agli interessi e ai valori ameriKKKani: Si tratta piuttosto di una disposizione favorevole in cui gli Stati Uniti e i loro alleati possono plasmare le regole internazionali su come affrontare questioni del tipo che in sostanza finiscono per rivelarsi importanti per la gente del nostro paese [l'AmeriKKKa] e per gli altri popoli in tutto il mondo...".
In questo caso stiamo chiaramente parlando di qualcosa che va ben oltre la portata dei vertici di Biden con Xi e Putin, e i colloqui di Vienna sull'accordo per il nucleare iraniano. Il presidente Putin ha avvertito che non avrebbe permesso alcuno sconfinamento di infrastrutture o forze della NATO in Ucraina, e che la Russia avrebbe agito con decisione per impedirlo. Allo stesso modo, l'Iran ha dichiarato esplicitamente che qualsiasi attacco da parte dello stato sionista ai suoi impianti nucleari non sarà tollerato e si tradurrebbe nella distruzione da parte iraniana delle infrastrutture vitali dello stato sionista su tutto il suo territorio.
La posizione dell'Iran e della Russia è identica a quella della Cina nei confronti di Taiwan: il presidente Xi lo ha chiarito nel vertice virtuale che ha tenuto con Biden il 15 novembre. Xi ha avvertito che non è tollerabile alcuna iniziativa secessionista da parte di Taiwan e che nel caso la risposta sarebbe militare.
A Vienna, l'Iran ha semplicemente statuito quali sono le sue "linee rosse": nessuna discussione sui missili balistici iraniani, nessuna discussione sul ruolo regionale dell'Iran e nessun congelamento dell'arricchimento fino a quando non sarà stato concordato un meccanismo per revocare le sanzioni e garantire che non vengano ripristinate; di fatto un ritorno al quadro originale dell'accordo del 2015. L'Iran chiede garanzie vincolanti contro il ripristino arbitrario delle sanzioni, che la normalizzazione dei traffici commerciali non possa essere di nuovo ostacolata in modo informale in contrasto con i termini dell'accordo -come è accaduto sotto Obama quando il Ministero del Tesoro degli Stati Uniti perseguiva una propria politica volta a minare il commercio, in contrasto con quella della Casa Bianca- e che tutte le sanzioni vengano revocate.
La cosa cui si dovrebbe fare caso è il contesto: si noti che la posizione iraniana è quasi identica nel contenuto a quella enunciata dalla Russia nei confronti degli Stati Uniti rispetto all'Ucraina: Putin chiede a Washington che gli interessi russi e le relative "linee rosse" siano formalmente riconosciuti e accettati; che siano stipulati accordi legalmente vincolanti per quanto riguarda la sicurezza della Russia in Europa orientale, la richiesta perentoria che non vi siano altre espansioni della NATO verso est e il veto alla presenza di qualsiasi infrastruttura della NATO in Ucraina.
Tutto questo rappresenta una novità assoluta; in geopolitica, coincidenze di questo tipo non si verificano spontaneamente. È evidente che le tre potenze sono strategicamente coordinate sul piano politico e probabilmente anche su quello militare.
Gli stati occidentali sono rimasti sbalorditi; è la prima volta che sono gli altri a indicare dei limiti invalicabili piuttosto che ricevere istruzioni su come conformarsi alle linee rosse ameriKKKane. Sono sconcertati e non sanno come reagire. Inoltre, come nota acutamente Anatol Lieven, alcune azioni avrebbero gravi conseguenze strategiche: "A parte il danno economico globale che risulterebbe da una guerra in Ucraina e le maniere con cui la Cina approfitterebbe di una tale crisi, l'Occidente ha un motivo molto valido per evitare una nuova guerra: l'Occidente perderebbe". Lieven prosegue: "Un conflitto rischierebbe anche di diventare una guerra mondiale; perché è praticamente certo che la Cina sfrutterebbe una guerra tra Stati Uniti e Russia e metterebbe gli Stati Uniti sotto la minaccia di rischiare due guerre contemporaneamente... e la sconfitta in entrambe".
Per ora, gli Stati Uniti e i loro alleati ripetono i soliti discorsi su "tutte le opzioni sul tavolo", sulle sanzioni che paralizzano e sulla formazione di una coalizione internazionale che eserciti pressioni per opporsi a questa mancanza di conformità. Perché senza la conformità dei concorrenti (ovvero l'effettivo isolamento politico e la condanna di questi stati), il supremo obiettivo di portare i punti chiave della transizione apparentemente "non ideologici" ad una sfera sovranazionale dotata di propri standard, protocolli eccetera (i "termini del sistema" nelle parole di Sullivan) non sarà raggiunto. Non sarà possibile aggiornare la suite di programmi del "Consenso verso Washington" se questi tre stati semplicemente rifiutano le "regole" di Sullivan.
Non sarà comunque facile arrivare a un ripristino dell'assetto strategico. L'Occidente è incastrato nella guerra dei meme, il che rende una ripartizione dell'ordine strategico ancora più difficile. Qualsiasi compromesso sulla narrativa per cui la Russia non può dettare limiti invalicabili, non può mettere veti all'adesione dell'Ucraina alla NATO né stabilire dove la NATO posssa o no posizionare i suoi missili e le sue armi nucleari rischia di mostrare Biden come un debole. I repubblicani hanno già incolpato preventivamente quella che chiamano la "debolezza" di Biden di aver incoraggiato il "pericoloso avventurismo" di Mosca.
Forse questi due vertici -insieme alla posizione dell'Iran a Vienna- rappresentano l'inizio della fine dell'ordine basato sulle regole dell'Occidente, e un conto alla rovescia verso un nuovo equilibrio geo-strategico tra i due blocchi e in ultima analisi, quindi, verso la pace o la guerra.
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