Traduzione da Strategic Culture, 3 marzo 2020.
Un influente pezzo grosso della Lega Araba ha fatto tuoni e fulmini poco tempo fa: era impossibile per il mondo arabo accettare qualcosa di diverso dal laicismo moderno del ventunesimo secolo; l'Islam andava bandito. Il golpe in Egitto ("Se volete chiamarlo così...") contro il governo dei Fratelli Musulmani era stato, a suo dire, un'iniziativa assolutamente adeguata. Un governo di ispirazione islamica non sarebbe stato tollerabile e hanno fatto proprio bene a rovesciarlo, e si faceva bene anche a respingere l'influenza iraniana sul mondo arabo.
Di argomenti a sostegno di quanto sopra, non ne presentava neanche uno. Emotività allo stato puro, per dirla con Alasdair MacIntrye. Vale a dire, nient'altro che l'espressione di una preferenza, la definizione di un atteggiamento o di un sentire, con il proposito di produrre nell'uditorio una risposta emotiva: proprio quello che è successo. Insomma: in un ambiente che ha virato sull'emotivo come il Medio Oriente di oggi, non è certo dalla ragione che ci si possono attendere delle soluzioni; dobbiamo soltanto tenere duro e decidere il nostro atteggiamento a livello soggettivo. Le questioni morali, nel migliore dei casi, non sono altro che retorica.
Questo fa pensare che l'istanza sul piano morale di questo luminare su quanto serve al "ventunesimo secolo" del mondo arabo non sia poi razionale come vorrebbe essere. Non è affatto razionale, anzi. Quando ogni argomentazione morale non è altro che l'esplicitazione di una preferenza soggettiva, qualsiasi serio tentativo di comprensione razionale è destinato a fallire.
Un approccio emotivo come questo alla presenza di istanze discordanti quanto basta (c'erano manifestanti "populisti" iraniani e arabi ad assistere) presenta solo le potenzialità perché la situazioni degeneri in una ridda di urla o peggio. Discutere in questi termini non porta in nessun caso a qualche soluzione. Si tracciano innanzitutto le linee, e poi i partecipanti si mettono di qua o di là. Nello schierarsi tuttavia pare che essi perdano la capacità di ascoltare gli altri, di condividere i valori o anche i dati di fatto. Tutti si accalorano, ma nessuno ci vede chiaro.
Ebbene, la questione non riguarda tanto i meriti -o i pretesi difetti- dell'Islam come viene inteso nella Repubblica dell'Iran. Riguarda il completo tradimento perpetrato dalle élite arabe nei confronti dei rispettivi popoli.
Le autocrazie e le oligarchie arabe moderne si presentano come neutrali, laiche, razionali e prive di valori intesi come punti fermi, intanto che si adoperano in favore di esiti già decisi, come con il colpo di stato contro il presidente Morsi. In realtà esse stanno semplicemente scimmiottando l'ideologia occidentale neoliberista e mercantilista. Chiudendo di fatto ogni via di scampo alla crisi che incombe sui paesi del Medio Oriente.
Il problema in questo modo di affrontare le cose, concretizzato dal "moderno ventunesimo secolo" di un pezzo grosso dei nostri giorni, è che esso testimonia fino a che punto le istituzioni civili e politiche più importanti del mondo arabo sono state sistematicamente indebolite da quelle stesse élite che avrebbero dovuto guidarle e rappresentarle.
Abbiamo tutti bisogno di certe istituzioni; della famiglia, delle associazioni religiose e laiche, e ovviamente delle istituzioni formali del governo. Esse costituiscono, insieme al retaggio di archetipi morali, miti e letteratura che le sostiene, la struttura durevole della vita comunitaria. Assegnano dei ruoli, insegnano l'autocontrollo, rafforzano l'uniformità e così conferiscono significato alla vita. E così facendo formano la personalità di quanti vi partecipano.
Il tradimento delle élite si misura dal grado in cui le istituzioni sono state indebolite, in nome del potere e per anestetizzare lo scontento popolare e i movimenti di protesta.
Negli ultimi tempi lo scontento nei confronti del sistema nei paesi arabi ha avuto ampia visibilità per il Libano e l'Iraq, ed ampia visibilità ha avuto anche il recrudere del vecchio clima nei paesi del Golfo; è stato un tentativo di conferire un particolare tono alle manifestazioni di piazza, indirizzando lo scontento per i problemi del mondo arabo contro l'Iran tramite l'orchestrazione di una fitta presenza sui media sociali. Ovviamente in queste manovre c'è lo zampino di Washington, che fomentando gli scontri settari spera di indebolire e di contenere l'Iran.
Sono state le élite globaliste del ventunesimo secolo nel loro insieme -quelle arabe comprese- ad aver minato di proposito le istituzioni più importanti per la vita della gente comune. Nel fare questo hanno abolito la maggior parte, se non tutti, i modi per dare sfogo in maniera civile alla crescente pressione dello scontento. Proprio il globalismo privo di valori ha cercato di disancorare il singolo dalle pastoie del genere, dell'identità storica e dall'idea stessa di comunità. Il risultato è stato quello di attirare discredito e delegittimazione su gran parte di queste importanti istituzioni.
A colpire di più è stato il fatto che nello stesso momento in cui questo pezzo grosso della élite araba scopriva le carte e bandiva gli islamici dalla democrazia, i dimostranti della nuova ondata di proteste che percorre la regione mettevano ben in chiaro, per giunta nello stesso scambio di battute, che adesso, loro, la democrazia la disprezzano. La disprezzano quanto la disprezzano gli stessi autocrati. Secondo i manifestanti, la democrazia è stata manipolata in tutto e per tutto in nome degli interessi delle élite, ed è diventata lo strumento per imbrigliare e soffocare il dissenso. E questo lo dicono, senza mezzi termini.
Ricorrendo a un discorso infarcito di una morale di facciata e pieno di vocaboli come bene, giustizia e dovere, queste élite hanno privato il discorso politico regionale del suo vecchio contesto, islamico o filosofico che fosse. Ed era il contesto che conferiva significato al discorso politico regionale. Tolto quello, sono rimasti i toni accesi e nessuno a vederci chiaro.
E allora, potrebbe chiedere il lettore. E allora in Medio Oriente lo scontento cresce; cosa vorranno i manifestanti, a parte la cacciata delle loro élite? Non è chiaro; un'ondata giacobina? Di sicuro, in tutta la regione il modello di governo praticato dalle élite attuali non fa certo venire in mente il bene, la giustizia o il dovere ma l'avidità, l'egoismo e la corruzione.
Arrivati a cotanto risultato, gli autocrati si affidano -o meglio, si consolano- con la peculiarità che è stata definita come "resilienza dell'autocrazia mediorientale": il fenomeno, imprevisto, per cui le monarchie e gli autocrati si sono dimostrati più capaci di reggere rispetto alle repubbliche.
Ora che il Medio Oriente si trova con le spalle al muro cosa faranno, reggeranno al colpo, introdurranno delle riforme o si abbandoneranno alla repressione?
Per il caso del Libano e della Giordania, è chiaro che il modello economico da cui entrambi i paesi sono stati dipendenti in passato non funziona più. Probabilmente nessuno dei due riuscirà a dimostrarsi in grado di riformarlo. Le loro élite non possono e soprattutto rifiutano di farlo. Qualsiasi nuovo modello è al di là del raggiungibile, in entrambi i casi.
La Giordania e il Libano non sono delle eccezioni. Ci sono altri paesi con le spalle al muro, sia a causa di un modello economico regionale ormai fallito sia a causa degli aut aut su cui l'amministrazione Trump ha basato la propria politica per riplasmare il Medio Oriente, che è la traduzione operazionale del suo concetto del destino di Israele e della sua missione giudaico-cristiana.
Chiaro che gli ultimatum connessi allo stato sionista, diretti via via alla Giordania, al Libano, all'Iraq, alla Siria e all'Iran stanno facendo alzare e inasprire la pressione su questi paesi e le tensioni al loro interno. Difficile capire quale potrebbe essere la loro risposta. Qualcuno potrebbe anche crollare; altri, come l'Iran o il Libano, potrebbero considerare il rispondere a Washington -magari in un modo cosiddetto asimmetrico- come l'unica reazione possibile.
Il greggio ai minimi, la popolazione che cresce a vista d'occhio, le alte aliquote fiscali, l'acqua che scarseggia e i mutamenti climatici che si accaniscono sull'agricoltura rappresentano fattori di crisi veri e presenti, anche per i paesi del Golfo.
La creazione di un laicismo a misura di ventunesimo secolo da parte delle autocrazie arabe ha creato anche un vuoto di valori morali che finirà inevitabilmente per essere colmato da maschi alfa, che vi sfogheranno la loro brama di potere e il loro rancore. Da un altro punto di vista, per dirla con MacIntyre, un mondo governato dalle emozioni non è né stabile né autosufficiente. Anzi, diventa un campo di battaglia per intenti contrastanti, fintanto che non si afferma un qualche uomo forte o un qualche dittatore.
Con l'allentarsi dei legami comunitari e dei valori morali che essi rappresentano, è inevitabile che i singoli perdano la strada. Perdono la propria virtus, intesa come in antico come il proprio posto, i propri legami con un dato contesto sociale insieme con la considerazione che gliene derivava e col concetto stesso di darsi da fare per una comunità, o per qualcosa di più ampio del loro mero narcisismo.
Mujyahidd è un blogger saudita molto stimato. Ha preso diligente nota di ciò che questo comporta per i giovani sauditi di oggi: corse sfrenate con le auto nei centri cittadini, dilaganti rapine a mano armata e furti d'auto in pieno giorno, nessuno a tutelare l'ordine costituito, festini zuppi di alcol e di eccessi.
Mujyahidd è un osservatore assennato, e si chiede semplicemente cosa stia succedendo a una società come quella saudita, che è conservatrice e tradizionalista ma tutto d'un tratto mostra anche tratti licenziosi. Il problema rappresentato da due culture incompatibili e dai contrasti laceranti costrette a coesistere potrà essere risolto, o finirà prima o poi per mandare in pezzi il regno?
Le riforme autentiche come tali, proprio come in altri paesi mediorientali, sono state impedite dalla necessità delle élite di concentrarsi sulla propria sopravvivenza. Una cosa che è sempre stata più importante.
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