Traduzione da Strategic Culture, 6 gennaio 2020.
Si dava per inteso che il Presidente Trump non volesse in Medio Oriente una guerra suscettibile di nuocere alle rosee probabilità di una sua rielezione. Rosee fintanto che il mercato borsistico statunitense resta gonfio e che l'economia tiene, chiaro.
Pat Buchanan è stato tre volte candidato alla presidenza, e ha avvertito Trump che se un pericolo esiste sul cammino verso la rielezione lo si trova proprio nel Medio e nel Vicino Oriente. "I casi in cui la politica estera si è rivelata decisiva negli anni in cui si svolgono le elezioni non sono pochi". Inoltre, l'Iran non stava cercando di alzare il livello dello scontro; non ci stava provando Hezbollah, non ci stavano provando gli iracheni e neppure l'apparato di sicurezza dello stato sionista.
Insomma, l'equilibrio strategico, anche se messo a dura prova, grosso modo teneva. In altre parole, l'Iran e lo stato sionista si erano tenuti appena appena al di sotto dei parametri che definivano le rispettive e tacite "linee rosse", nonostante la retorica roboante. Tutti e due stavano praticando la strategia della pazienza, e l'equilibrio sembrava più o meno sostenibile... fino a quando non si è infranto, con l'assassinio di Qasem Soleimani e del capo delle Unità di Mobilitazione Popolare irachene Al-Muhadis. Assassinio ordinato da Trump.
Nonostante i repellenti toni del suo linguaggio, lo stato sionista non ha portato a segno alcun colpo strategico in Iraq e in Siria. Non ha ucciso iraniani in territorio siriano, fatta eccezione per le vittime nell'aeroporto T4 colpito lo scorso anno nella Siria orientale. Non ha messo nel mirino il capo dell'aeronautica iraniana alla fine dello scorso anno, nonostante alcune relazioni lo indicassero: in quel periodo non si trovava neppure in Iraq, d'altronde. La maggior parte degli attacchi aerei sferrati dallo stato sionista ha colpito magazzini nelle prime ore del giorno, quando non c'era personale. Lo stato sionista ha tagliato via qualcosa qua e là alla catena logistica iraniana, senza provocare alcun danno sul piano strategico.
L'Iran, dopo aver mandato a dire ai paesi el Golfo che era deciso a punire chi partecipava all'assedio econmico, si è chiaramente comportato con attenzione quando si è trattato di reagire alle pressioni. L'Iran ha mantenuto l'occhio fisso sulla situazione diplomatica a livello mondiale (ad esempio con le esercitazioni navali congiunte con Russia e Cina, nel Golfo Persico) mentre contrastava sul piano politico la nuova tattica ameriKKKana di fomentare proteste "colorate" in Libano e in Iraq e di cercare di colpire la Siria sul piano finanziario, rubandole introiti nel settore energetico.
Il punto è questo. Gli USA non si accontentavano più di sottoporre l'Iran alle sole sanzioni. Sotto traccia hanno alzato ovunque il livello dello scontro: hanno fomentato proteste in Iraq, in Libano e nello stesso Iran, hanno lanciato un'offensiva telematica su vasta scala contro l'Iran e infine hanno orchestrato un'operazione di messaggistica allo scopo di trasformare il fondato risentimento popolare contro il malgoverno regionale e contro la corruzione in un'arma diretta a indebolire l'Iran rivoluzionario.
Qualche successo gli USA lo stavano ottenendo, con questo trasformare le proteste in messaggi diretti contro l'Iran. Poi, però, nel corso dell'ultima settimana del 2019 hanno ucciso e ferito molti appartenenti alle forze di sicurezza irachene: Ketaib Hezbollah infatti è una componente delle forze armate irachene.
Alzare il livello fino a massime pressioni è una cosa (e l'Iran era fiducioso di poter farci il callo); assassinare un ufficiale di rango tanto elevato in missione ufficiale è un'altra, piuttosto diversa. Non si è mai dato il caso, in precedenza, dell'assassinio di una personalità estera tanto importante.
Anche le modalità non hanno precedenti. Soleimani era in Iraq in visita ufficiale. Vi era giunto dalla Siria come ospite di riguardo; ad aspettarlo all'aeroporto c'era un funzionario iracheno di pari grado, Al Muhandis, anch'egli assassinato insieme ad altre sette persone. Tutto alla luce del sole. il generale Soleimani usava tranquillamente il proprio telefono personale: era un funzionario di alto grado, se fosse stato ucciso da un altro paese si sarebbe trattato di un atto di guerra.
L'azione, che ha avuto luogo all'aeroporto internazionale di Baghdad, non costituisce solo il superamento di una linea rossa: è un'umiliazione, che colpisce l'Iraq, il governo e il popolo iracheno. Un'umiliazione che rovescerà l'orientamento strategico del paese. I tentativi che l'Iraq ha fatto fino a oggi di barcamenarsi tra Washington e l'Iran finiranno spazzati via dall'avventato arbitrio che Trump si è preso contro la sovranità nazionale irachena, che può benissimo segnare l'inizio della fine della presenza statunitense in Iraq (e quindi anche in Siria) e in definitiva della presenza ameriKKKana in Medio oriente.
Trump può anche raccogliere qualche facile ovazione, per questo suo "Noi siamo l'AmeriKKKa, cazzo!", che è l'espressione con cui un alto funzionario della Casa Bianca ha definito la dottrina Trump per la politica estera. Tuttavia i nodi possono arrivare presto al pettine, sottoforma di conseguenze non previste.
Perché lo ha fatto? Se davvero nessuno voleva la guerra, perché Trump ha alzato il livello dello scontro e ha rovesciato il tavolo? Fino a ora la strada per la rielezione era in discessa; perché giocare il jolly (dagli esiti sempre imprevedibili) di un nuovo conflitto in Medio Oriente?
Voleva forse far marcare una differenza con la gestione Obama di certe situazoini, e che non si voleva ritrovare con le rappresentanze USA assediate come a Bengasi? Era convinto che questi omicidi avrebbero compiaciuto lo zoccolo duro dei suoi sostenitori, che sono lo stato sionista e gli evangelici? O magari sono stati i sostenitori di Netanyahu a Washington a presentargli questa possibilità? Può anche darsi.
Nello stato sionista qualcuno si preoccupa perché ci sono tre o quattro fronti di guerra che si stanno avvicinando. I funzionari superiori dello stato sionista si sono recentemente chiesti se sia probabile che nei prossimi mesi scoppi una guerra regionale. Il Primo Ministro dello stato sionista sta combattendo per sopravvivere politicamente, e ha richiesto l'immunità per tre procedimenti giudiziari che lo riguardano dicendo che si trattava di un suo diritto e che c'era bisogno che lui "continuasse a guidare lo stato sionista" perché era in gioco il futuro del paese. Dall'esacerbare le tensioni con l'Iran Netanyahu non ha niente da perdere e tutto da guadagnare.
I politici di opposizione e i vertici militari dello stato sionista hanno fatto sapere che il Primo Ministro ha bisogno di arrivare ai ferri corti con l'Iran proprio per sottolineare come il paese "abbia bisogno" che egli resti al potere. Per motivi tecnici legati al funzionamento del parlamento, difficilmente le richieste di Netanyahu saranno prese in considerazione prima delle elezioni di marzo. Insomma, Netanyahu ha ancora un po' di tempo per montare il caso pro domo sua.
Alla base della prudenza dello stato sionista nei confronti dell'Iran non c'è tanto l'ostinazione di Netanyahu, ma l'atteggiamento incostante del Presidente Trump. Siamo sicuri che gli USA sosterrebbero senza riserve lo stato sionista, se esso si trovasse nuovamente coinvolto in una guerra in Medio Oriente? No, sembra pensino nello stato sionista e nei paesi del Golfo. Questa valutazione ha una portata significativa: nello stato sionista e negli uomini che esso ha a Washington c'è adesso qualcuno che considera Trump come una minaccia per la sicurezza dello stato sionista in un confronto con l'Iran. Trump ne era al corrente? La sua mossa azzardata serviva a impedire cedimenti in quello zoccolo duro per lui irrinunciabile, in vista delle elezioni? Non si sa.
Ed eccoci a tre interrogativi finali. Fino a quando l'Iran potrà reggere a questo aumento della tensione? Limiterà la propria rappresaglia al territorio iracheno? O gli USA supereranno un'altra linea rossa colpendo il territorio iraniano nei successivi botta e risposta?
Il Segretario di Stato Pompeo definisce le formazioni armate Hash’d a-Sha’abi -che siano parte o no ell'esercito iracheno- come sotto controllo iraniano; lo fa deliberatamente o è solo autismo politico? Sembra che la definizione venga usata come autorizzazione per attaccare tutte le molte unità Hash’d a-Sha’abi presenti sul terreno: dal momento che sono "sotto controllo iraniano" vanno considerate "forze terroristiche". Fallace corollario della definizione è l'idea che gli iracheni sarebbero favorevoli a queste eliminazioni. Ci sarebbe da sghignazzare se la questione non fosse così seria. Le forze dello Hash’d a-Sha’abi hanno condotto la guerra contro lo Stato Islamico e la grande maggioranza del popolo iracheno ne ha stima. Soleimani era in prima linea al fronte, insieme a queste formazioni irachene.
Non si tratta di pedine iraniane. Sono nazionalisti iracheni che condividono con i loro correligionari in Iran e in tutta la regione una comune identità sciita. Condividono la stessa visione culturale e hanno concezioni politiche simili, ma non sono certo dei burattini. Scriviamo questo avendone fatta esperienza diretta.
Mettere le cose in quel modo invece significa agevolare l'estendersi del conflitto: molti iracheni si sentiranno oltraggiati dagli attacchi degli USA sui loro connazionali, e li vendicheranno. Pompeo accuserà l'Iran, senza fondamento. Forse che l'idea di Pompeo è proprio quella di procurarsi un casus belli?
Ma che via d'uscita c'è? L'Iran reagirà di sicuro. La faccenda è stata messa in piedi solo per alzare il livello dello scontro rispetto a schermaglie di poca rilevanza... per arrivare a fino a che punto? Siamo consapevoli del fatto che la questione non è stata affrontata a Washington prima che il Presidente prendesse la sua decisione. Con l'Iran gli USA non hanno veri canali di comunicazione, oltre a quelli di basso livello; e non esiste alcun piano per i prossimi giorni così come non esiste una chiara via di uscita. Trump sta forse facendo ancora una volta affidamento sul suo istinto animale?
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