mercoledì 24 aprile 2019

Alastair Crooke - L'irrazionale supera il razionale, e ci porta dritti verso la guerra



Traduzione da Strategic Culture, 22 aprile 2019.


Il 14 marzo il Consiglio per la Sicurezza Nazionale in Russia presieduto da Putin ha ufficialmente iniziato a classificare le intenzioni degli ameriKKKani non più come "pericoli militari" (opasnosti) ma direttamente come "minacce militari" (ugrozy). Insomma, il Cremlino si prepara alla guerra, anche se è intenzionato a difendersi soltanto.
Perché? Perché Putin lo farebbe? "Trump non vuole altre guerre... Ha sempre invocato buoni rapporti con Mosca. E adesso che Mueller non ha niente in mano...".
Un ritornello familiare, che fa pensare che un confronto armato con la Russia sia semplicemente impossibile: "Non avrebbe alcun senso, sarebbe irrazionale". Ecco, magari la Russia sta interpretando i fatti in un altro modo. Magari i russi si rendono conto che quando si tratta di guerra l'irrazionale supera spesso il razionale.
Secondo il modo di vedere dei russi, si stanno velocemente ponendo le basi per un conflitto in medio oriente. Da una parte abbiamo uno stato sionista più falco che mai, galvanizzato dalle generose dosi di "Grande Israele" ammannitegli dagli uomini di Trump; poi abbiamo Bolton che prosegue col suo inveterato odio per l'Iran, che cerca di mettere la Repubblica Islamica dell'Iran all'angolo e di farla implodere.
Delle vere e proprie zolle tettoniche stanno entrando in collisione, soprattutto perché il quadrante settentrionale della regione, Turchia compresa, adesso è in misura più o meno rilevante schierato con l'Iran. Mosca sarà consapevole del fatto che quando due zolle tettoniche entrano in collisione esse liberano plasma incandescente, e questo potrebbe arrivare a lambire la Russia con troppa facilità.
Ci sono poi altri cambiamenti tettonici: la Turchia sta pendendo verso la Russia e la Cina e lo stesso a quanto sembra può darsi stia facendo l'Egitto, dopo il recente alterco di al Sissi a Washington. In altri termini, gli Stati Uniti in Medio Oriente stanno rapidamente perdendo presa. E la Russia, che ne avesse o meno l'intenzione (non è che abbia attivamente cercato questo stato di cose) sta invece prendendo più campo.
Di solito casi come questo vanno a finire con Washington che decreta un solenne schiaffo a carico della prometeica impudenza dei russi. Solo che oggi come oggi in Medio Oriente l'AmeriKKKa non ha quasi più alleati rilevanti, ad eccezione del solito [lo stato sionista, N.d.T.].
E tanto basti per quanto riguarda gli aspetti razionali della questione. Che dire di quelli non razionali?
Cominciamo dai fondamentali: l'80% dei cristiani evangelici bianchi alle elezioni del 2016 ha votato per Trump, e la sua popolarità in questo settore dell'elettorato resta alta, attorno al 70%. Mentre altri settori dell'elettorato bianco possono essere rimasti delusi dalla linea seguita da Trump in politica estera (con l'abbraccio dell'Arabia Saudita) gli evangelici bianchi sono diventati la sua ultima e solida roccaforte. Non si tratta di numeri insignificanti perché ammontano a circa un quarto di tutti gli statunitensi.
Andrew Chesnut insegna studi religiosi e ci dice che il sionismo cristiano fra gli evangelici bianchi degli Stati Uniti è diventato l'orientamento teologico di maggioranza. In un sondaggio del 2015 il 73% dei cristiani evangelici ha detto che le vicende dello stato sionista sono profezia nel libro dell'Apocalisse. Per i cristiani sionisti la realizzazione di una "Grande Israele" è una delle condizioni fondamentali perché si arrivi all'Estasi [ad un finale escatologico, N.d.T.], Secondo Chesnut è una convinzione nota come dispensazionalismo premillenaristico, o come sionismo cristiano.
Lo stesso Trump è l'incarnazione di quanto vi sia di più contrario a un pio idealismo cristiano. Trump in chiesa non ci va. Trump è un laico che ha divorziato due volte e che si è vantato di aver assalito sessualmente delle donne. Eppure gli evangelici bianchi ne hanno fatto il proprio campione, scrive Julian Borger.
"Alcuni evangelici di primo piano considerano Trump come un re Ciro degli ultimi giorni, un equivalente dell'imperatore persiano che nel VI secolo a.C. liberò gli ebrei dalla cattività babilonese. Il paragone viene reso esplicito nel film di argomento religioso The Trump Profecy, passato [lo scorso anno] in 1200 sale cinematografiche. Nel film un vigile del fuoco in pensione afferma di aver sentito la voce di Dio che diceva 'Io ho scelto quest'uomo, Donald Trump, per tempi come questi...'.
"Con Ciro si indica un non credente scelto da Dio come strumento per gli scopi dei credenti", dice Katherine Stewart, che ha scritto molto sulla destra cristiana aggiungendo che gli evangelici bianchi apprezzano la determinazione con cui [Trump] ha rotto le regole democratiche per combattere quelle che considerano delle minacce ai loro valori e al loro modo di vivere.
Mike Pompeo e il vicepresidente Pence sono evangelici convinti, e appartengono a questo orientamento. Si tratta di un elemento che ha importanza concreta per la politica estera: quando era direttore della C.I.A. e prima ancora, come membro della Camera dei Rappresentanti, Pompeo ha fatto ripetutamente ricorso ad un linguaggio che definisce la guerra al terrorismo come una battaglia cosmica e divina fra il Bene e il Male. Pompeo si è riferito ai terroristi islamici dicendo che per destino "continueranno a premere contro di noi finché non saremo determinati nella pregare, nel levarci e nel combattere, finché non saremo determinati nel considerare che Gesù Cristo è il nostro salvatore ed è davvero l'unica soluzione per il nostro mondo."
L'inserimento del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione iraniani nella lista delle organizzazioni terroristiche è stata presentato da Pompeo esattamente in questi termini, che comportano una chiara connotazione dell'Iran come Male metafisico. Trump e il suo governo hanno adottato in blocco questo linguaggio apocalittico ed estatico. "Adorare nostro Signore e celebrare parimenti il nostro paese non è solo nostro diritto," ha detto Pompeo agli intervenuti ad un convegno a Kansas City nel 2015: "è un nostro dovere". Poi l'allora deputato del Congresso disse in una chiesa di Wichita: "Continueremo a combattere queste battaglie; è una lotta senza fine... fino all'Estasi. Facciatene parte; combattete anche voi"!
Il riferimento di Pompeo all'Estasi è importante: quello dell'Estasi, afferma Tara Burton, "è un concetto teologico essenzialmente ameriKKKano. Alla fine dei tempi i cristiani verranno sollevati, o elevati, fino al cielo. Molti politici repubblicani permettono a questo loro credo nella teologia dell'Estasi di influenzare la loro concezione politica. Dal momento che l'Estasi rappresenta un qualche cosa di desiderabile, perché è un segno del ritorno di Gesù Cristo, è desiderabile anche qualsiasi cosa possa accelerarla. Secondo molti evangelici le apocalittiche battaglie di Bene contro il Male, specie se hanno per teatro la "Terra Santa" del Medio Oriente, sono segno del fatto che i tempi ultimi tanto attesi possono davvero essere vicini".
Insomma, in cosa si traduce tutto questo? Ecco, un indizio è rappresentato dal miliardario dei casinò di Las Vegas Sheldon Adelson. Adelson ha donato a Trump e ad altri candidati repubblicani ottantadue milioni di dollari ai tempi delle elezioni del 2016. Trump ha consapevolmente corteggiato la destra ebraica della diaspora, ben fornita di denaro, ma il gesto di Adelson è significativo per il suo appassionato impegno verso la "Grande Israele" di Netanyahu e verso il rafforzamento dei legami fra la base evangelica repubblicana e lo stato sionista.
Sia chiaro che la missione di una "Grande Israele" è radicata allo stesso modo nella teologia biblica della fine dei tempi. David Ben Gurion, il "padre della patria", credeva fermamente in questa missione: "Io credo nella nostra superiorità morale e intellettuale, e nella nostra capacità di fare da modello per la redenzione della razza umana". Al vertice di Gerusalemme del 2003, cui parteciparono tre ministri dello stato sionista in carica insieme con Netanyahu e con Richard Perle allora parte del governo statunitense, il gruppo affermò solennemente: "Noi crediamo che uno degli scopi della rinascita di Israele ispirata dal divino sia quello di farne il centro di una nuova unità delle nazioni, che porterà a un'epoca di pace e di prosperità come annunciato dai profeti".
Come nota Larent Guyénot, di fatto il sionismo è sempre stato propenso alla costruzione di un "nuovo ordine mondiale" sotto la maschera del nazionalismo. Bolton si trova bene anche con i concetti tanto cari ad Adelson. Bolton non è un evangelico. Egli afferma che definirlo un neoconservatore "è senza dubbio poco accurato"; con questo intende dire esplicitamente che non ha mai condiviso l'intento di "diffondere la democrazia" come hanno fatto invece altri neoconservatori della corrente principale. Egli coltiva comunque la convinzione che gli USA (e lo stato sionista) siano stati "prescelti" per guidare e plasmare l'ordine mondiale. Magari non è un punto di vista strettamente religioso, ma è un esempio di primo piano di progetto laico che nega enfaticamente ogni aspetto religioso pur essendo in concreto il veicolo per il mito religioso giudaico-cristiano.
Bolton lo dice chiaramente: "Io descriverei me stesso come filoameriKKKano. Gli Stati Uniti costituiscono la più grande speranza di libertà che il genere umano abbia mai avuto nella storia; proteggere gli interessi nazionali ameriKKKani è la migliore strategia per il mondo."
Il mito millenaristico ameriKKKano, allora come oggi, affonda le proprie radici nella convinzione messianica che gli Stati Uniti abbiano un Destino Manifesto: "la nuova Gerusalemme" che rappresenterebbe la migliore speranza dell'umanità in un futuro utopistico. Credere di avere un destino speciale, di essere dei prescelti, si riflette nella convinzione che gli Stati Uniti debbano guidare l'umanità -o meglio, che abbiano il dovere di imporsi ad essa come guida- alla volta di un suo destino universale.
Il ruolo di Adelson è stato quello di far riemergere, mettendoci del proprio, la politica neoconservatrice rimasta screditata dopo l'invasione statunitense dell'Iraq, e di riconnetterla alla destra politica dello stato sionista riportando la situazione a com'era prima della guerra in Iraq. A tutto questo si è giunti attraverso l'ampia base elettorale evangelica che forma lo zoccolo duro degli elettori di Trump. Sia Pompeo che Bolton, a quanto sembra, sono pupilli di Adelson ed è stato Adelson a spingerli fino alle posizioni chiave che occupano alla Casa Bianca, nel contesto del suo progetto politico.
Con la riemersione della politica neoconservatrice arriva inevitabile anche il suo inveterato atteggiamento nei confronti della Russia, vista come un contendente esistenziale con cui si possono avere solo rapporti che portino al suo crollo e al rovesciamento del suo governo, con la guerra o con iniziative poco diverse dalla guerra. Tutto quanto contribuisce alla linea politica dell'Occidente è finalizzato a questo immutabile obiettivo.
L'ex diplomatico statunitense James Jatras ripete che [questi millenaristi ameriKKKani] "odiano la Russia non per quello che essa fa, ma per quello che essa è, ovvero un ostacolo al dominio assoluto [di un nuovo ordine mondiale] a guida statunitense. Il fatto che la Russia schieri i più potenti armamenti immaginabili forse puà limitare l'aspetto militare di quella agenda, ma non certo cambiarla. Iniziative come le mosse difensive messe in atto da Mosca dopo il rovesciamento del governo in Ucraina nel 2014, lo schieramento in Siria nel 2015 o l'attuale presenza in Venezuela vengono anzi considerate "prove" dell'aggressività russa, che si vuole 'costante, quasi geneticamente determinata', per dirla con le parole dell'ex direttore della CIA James Clapper".
"L'inutile indagine di Mueller è arrivata a conclusione; le cose non sono migliorate e non ci sono grandi aspettative da nutrire a questo proposito". Jatras cita [Gilbert] Doctorow:
"...Il graduale smantellamento dei canali di comunicazione, dei progetti simbolici della cooperazione in una vasta gamma di settori e l'attuale smantellamento di tutti gli accordi sulla limitazione degli armamenti la cui negoziazione e la cui ratifica hanno richiesto decine di anni, più i nuovi sistemi d'arma di prossimo approntamento che lasciano ad entrambe le parti meno di dieci minuti per decidere come rispondere a un allarme che segnala missili in arrivo, sono tutte cose che aprono la via all'incidente che porrà fine a tutti gli incidenti. Nel corso della guerra fredda ci sono stati dei falsi allarmi, ma una qualche pur ridotta misura di mutua fiducia rimaneva a suggerire compostezza. Tutto questo adesso non esiste più; se qualcosa va male siamo del gatto, tutti quanti."
Si potrebbe pensare che questo smantellamento a tutto campo di canali di comunicazione, accordi e impegni sia arrivato a causa di un qualche evento fortuito inatteso e privo di spiegazione. Una simile convinzione non è corretta. Si tratta del pensiero caratteristico di Bolton. Egli afferma:
"L'AmeriKKKa si è lentamente tarpata le ali con un folle coinvolgimento in istituzioni intenzionali come l'ONU e con accordi bilaterali ingeniui, che hanno concesso troppo ai nemici dell'AmeriKKKa ottenendo in cambio troppo poco. [Bolton] non ha visto altro che accordi svantaggiosi: uno era... il trattato sugli armamenti nucleari a medio raggio. Un altro era quello sul nucleare iraniano, cui Bolton ha instancabilmente lavorato perché diventasse carta straccia."

Perché Trump dovrebbe acconsentire a questo percorso sciagurato?

Katherine Stewart nota che Trump è cresciuto presibiteriano, ma quando ha cominciato ad accarezzare l'idea di concorrere per la presidenza ha preso sempre di più a rivolgersi a predicatori evangelici. Il fatto che Trump abbia scelto Pence come vice è un segno del suo impegno in questo senso.
Solo che dopo aver perso lo scorso novembre il controllo della Camera dei Rappresentanti, e sempre più sotto la lente a causa dei legami della sua campagna con il Cremlino, la reazione istintiva di Trump è stata quella di legarsi ancora più strettamente ai suoi sostenitori più leali. Quasi unico fra i principali gruppi demografici, quello degli evangelici bianchi è a stragrande maggioranza a favore del muro alla frontiera voluto da Trump che, afferma Stewart, certi predicatori assimilano alle fortificazioni della Bibbia.
Insomma, ecco chi sta con Trump, ecco chi lo appoggia politicamente. Bolton gli dà una qualche copertura nel deep state statunitense, gli evangelici e i "deprecabili" sono invece la base che sostiene il Presidente a fronte dei complotti per rimuoverlo dalla sua carica. Uno zoccolo duro che ignora, puramente e semplicemente, le denigrazioni che ogni giorno vengono rivolte a Trump.
E questo è il problema: in questo assetto ideologicamente irrazionale cova un grave pericolo. Un pericolo che è una minaccia per tutti e che può essere una spiegazione del perché i russi abbiano alzato il livello delle minacce statunitensi. L'istinto dice a Trump che mantenere un canale di conttatto con il signor Putin è fondamentale. Tuttavia la pubblicazione dei risultati dell'indagine Mueller non fermerà la demonizzazione della Russia, che si limiterà a rivolgersi a un'altra narrativa.
Le pressioni sul Presidente da parte della squadra di cui fanno parte Bolton e gli evangelici affiché si avvicini la fine dei tempi con una apocalittica battaglia tra il Bene e il Male, magari collegata alle ambizioni sioniste per una "Grande Israele", cresceranno inesorabilmente di intensità proprio in risposta alla debolezza degli USA e alla crisi in cui si trovano. Trump riuscirà a tenere duro? O magari userà l'Iran come contentino a fronte dell'Estasi che si avvicina, e per compiacere la sua base?
Il pericolo più grave è il fatto che Trump non nutre timori verso una guerra nucleare, almeno non come li nutrivano i presidenti delle passate generazioni. Trump ha manifestato -ufficialmente prima di assumere la carica di Presidente- uno strano e allarmante fatalismo in merito a un conflitto nucleare. Bolton macchinerà in modo da sfruttare questa stravaganza?
Sappiamo che Trump si considera "un esperto" di conflitti nucleari. In un'intervista del 1984 con lo Washington Post, Trump disse che sperava un giorno di diventare capo della commissone statunitense incaricata di negoziare con l'Unione Sovietica sulla questione degli armamenti nucleari. Trump disse che era in grado di contrattare con Mosca un ottimo accordo sulle armi nucleari. Paragonando il lavorare ad un accordo sugli armamenti con la stesura di un contratto immobiliare, Trump ribadì di avere un talento innato per un simile compito.
In un'intervista rilasciata a Playboy nel 1990 Trump disse: "Penso al futuro, ma mi rifiuto di figurarmelo; può succedere di tutto. Ma penso spesso a una guerra nucleare." Si spiegò: "Ho sempre pensato alla questione della guerra nucleare; è un elemento molto importante nel mio modo di pensare. Si tratta della cosa definitiva, della catastrofe ultima, del più grande problema che il mondo ha, e nessuno si concentra sui minimi particolari di esso."
Cinque anni dopo a Trump fu chiesto dove pensava che sarebbe stato di lì a cinque anni. "E chi lo sa?", rispose. "Magari arrivano bombe giù dal cielo, chissà. Siamo in un mondo malato. Ci rapportiamo con un sacco di svitati. E tu hai la bomba, e tu hai questo, e tu hai quello." Trump andò avanti esprimendo l'idea che la distruzione nucleare poteva essere all'orizzonte: "Assolutamente sì; voglio dire, penso che sia la natura umana ad essere insana. Se Hitler avesse avuto la bomba, non pensate che l'avrebbe usata? L'avrebbe messa nel mezzo della Fifth Avenue. Avrebbe usato la Trump Tower, fra la cinquantasettesima e la Ffith... e bum".
Ancora a Playboy, stavolta nel 2004, Trump ribadì il proprio scoraggiato punto di vista. A domanda "Le crede che la Trump Tower e gli altri suoi edifici porteranno il suo nome, di qui a cent'anni?" rispose "Non credo che qui ci sarà più alcun edificio, e a meno che non ci siano persone molto intelligenti a mandarlo avanti, di qui a cento anni il mondo non sarà come è oggi. Le armi sono troppo potenti, troppo forti."
Durante il dibattito per le elezioni presidenziali, il candidato Trump disse a dicembre: "Il problema più grave del mondo di oggi non è certo il riscaldamento globale del Presidente Obama... Il problema più grave è il nucleare, la proliferazione nucleare, e il fatto che c'è qualche pazzo, qualche esaltato che va e si fa la bomba. Secondo me, questo è il singolo problema più grave che il nostro paese deve affrontare oggi... Io penso che il nucleare sia potenza e devastazione; è una cosa molto importante per me."
David Corn ha scritto su Mother Jones che "Insomma, sembra che per decenni Trump sia stato ossessionato dall'idea che un conflitto nucleare possa rivelarsi inevitabile. Adesso si trova nella posizione adatta a fare qualcosa in merito". Come ha sottolineato l'ex direttore della National Intelligence James Clapper, "[Se] in un momento di stizza quello [Trump] decide di sistemare Kim Jong Un, si può fare in concreto molto poco per fermarlo." "Tutto il sistema [delle armi nucleari] è fatto per assicurare una pronta reazione, se necessario. Quindi c'è assai poco che si può fare per controllare l'esercizio di una opzione nucleare, il che è dannatamente inquietante."
Insomma, se un Presidente degli Stati Uniti in vena di fatalismo dovesse ordinare un attacco con armi nucleari tattiche (e l'AmeriKKKa in questo momento si sta impegnando nel lancio di ordigni tattici e si sta esercitando con gli alleati nel loro utilizzo per via aerea) magari perché crede che il ricorso alle armi nucleari tattiche sia in qualche senso inevitabile ed è messo su dal suo gruppo di invasati messianici, non c'è quasi nulla che possa impedirglielo.


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