Traduzione da Strategic Culture, 3 dicembre 2018.
I vertici dell'Unione Europea stanno cercando di arginare una crisi che sta emergendo sempre più velocemente e che comprende l'ascesa di paesi ribelli (il Regno Unito, la Polonia, l'Ungheria, lo stato che occupa la penisola italiana) o di realtà culturali storiche insubordinate come la Catalogna. Tutti esplicitamente delusi dal concetto di un convergere costrittivo verso un ordine uniforme amministrato dalla UE, con la sua austera disciplina monetaria. Si mette in discussione anche la pretesa della UE di rappresentare in qualche modo parte di un ordine civile e di valori morali superiori.
Se nel dopoguerra l'unificazione europea ha rappresentato il tentativo di sfuggire all'egemonia angloameriKKKana, le realtà di "riaffermazione culturale" che stanno cercando di collocarsi come spazi sovrani interdipendenti rappresentano a loro volta il tentativo di sfuggire ad un'egemonia di altro genere, quella della uniformità amministrativa dell'Unione Europea.
Per giungere a questo peculiare ordine europeo, che si sperava all'inizio sarebbe stato diverso dall'imperium angloameriKKKano, l'Unione Europea è stata comunque costretta a fare affidamento sul costrutto archetipico della "libertà" come giustificazione dell'impero che caratterizza proprio quest'ultimo e che è diventato il costrutto delle "quattro libertà" dell'Unione e da cui derivano le cogenti uniformità della UE in materia di uniformità in ogni campo, della regolamentazione di ogni aspetto della vita, della concertazione fiscale ed economica. Il progetto europea si è trovato a essere cosiderato come un qualcosa che spazza via modi di essere differenziati e antichi.
Il fatto stesso che a livelli diversi e in regioni culturali e geografiche diverse siano state fatte certe analisi indica che l'egemonia dell'Unione Europea si è già indebolita al punto che essa potrebbe non essere in grado di arginare appieno l'affermarsi di questa nuova ondata. Per l'esattezza, l'Unione Europea deve capire se può riuscire a far rallentare e ad imbrigliare in qualche modo l'ascesa di questo processo culturale di riacquisizione di sovranità che rischia di mandare in frantumi l'ostentata "solidarietà" europea e di fare a pezzi la sua struttura di frontiere perfettamente regolate e di mercato comune.
Fu il filosofo della politica Carl Schmitt a lanciare un perentorio ammonimento contro la prospettiva di quello che considerava un acceleratore del katechon negativo. Il concetto sarebbe appropriato per definire la situazione in cui l'Unione Europea si trova in questo momento. Il concetto di katechon nell'antichità indicava l'esistenza di una tendenza sottostante gli eventi storici, orientata in senso contrario. Un qualche proposito, una qualche azione positiva -ad esempio da parte dell'Unione Europea- può finire con l'accelerare proprio quei processi che intendeva rallentare o fermare. Secondo Schmitt, questo fornisce una spiegazione al paradosso per cui un'azione di contenimento come quella intrapresa dalla UE può in realtà trasformarsi nel suo opposto, in una non voluta accelerazione degli stessi processi cui l'Unione Europea intende opporsi. Schmitt parla di "effetto involontario", che porta ad effetti opposti rispetto a quelli voluti. Agli antichi, questo non faceva che ricordare che gli esseri umani spesso altro non sono che meri oggetti della storia, più che suoi soggetti attivi.
Esiste la possibilità che l'azione frenante imposta alla Grecia, alla Gran Bretagna, all'Ungheria e adesso anche allo stato che occupa la penisola italiana si riveli proprio un acceleratore del katechon di Schmitt. Dal punto di vista dell'economia lo stato che occupa la penisola italiana è rimasto per decenni a languire nel limbo. Il suo nuovo governo si sente obbligato ad alleviare in qualche misura le tensioni che si sono accumulate nel corso degli anni e a cercare di rivitalizzare la crescita. Solo che il rapporto fra indebitamento e PIL è alto, e l'Unione Europea insiste sul fatto che se ne devono accettare le conseguenze e si deve obbedire alle regole.
Il professor Michael Hudson (in un nuovo libro) illustra come il freno imposto alla UE all'indebitamento dello stato che occupa la penisola italiana costituisca esempio di una certa tendenza alla rigidità sul piano psicologico, che ignora il dato storico e che può proprio sfociare in un katechon, un risultato opposto a quello cercato. Intervistato da John Siman, Hudson afferma:
Nelle antiche società della Mesopotamia si dava per inteso che a salvaguardia della libertà c'era la protezione dei debitori. Per il funzionamento dell'economia delle società mesopotamiche, nel terzo e nel secondo millennio prima di Cristo, esisteva e prosperava un modello correttivo. Potremmo chiamarlo "colpo di spugna"... si trattava della remissione dei debiti dei piccoli coltivatori, una remissione necessaria e periodica. Necessaria perché i piccoli coltivatori, in qualsiasi contesto sociale in cui vigano interessi sui debiti, sono inevitabilmente a rischio di impoverimento, di espropriazione e infine di riduzione in schiavitù... ad opera dei propri creditori. [Necessaria anche perché] è dinamica costante nella storia la centralizzazione del potere nelle mani delle élite finanziarie, che controllano l'economia in modo predatorio e sfruttatorio. La loro apparente libertà [gli viene] a spese delle autorità preposte al governo e dell'economia nel suo complesso. Di conseguenza [si tratta] dell'opposto della vera libertà come veniva intesa all'epoca dei sumeri...[Nei secoli successivi] divenne inevitabile che nella storia greca e romana un numero sempre maggiore di piccoli coltivatori si trovasse indebitato al di là di ogni possibilità di riscatto e finisse col perdere la terra. Altrettanto inevitabile fu l'ammasso di ingenti latifondi da parte dei loro creditori, che andarono a formare un'oligarchia parassita. Questa intrinseca tendenza alla polarizzazione sociale deriva dalla concezione dei debiti come non remittibili ed è la vera dannazione senza rimedio della civiltà occidentale dall'ottavo secolo prima di Cristo in poi. Lo stigma originale che non può essere coperto o cancellato.Secondo Hudson il lungo declino dell'impero romano che portò alla sua caduta non comincia, come pensava Gibbon, con la morte di Marco Aurelio. Comincia quattro secoli prima, in seguito alla devastazione delle campagne della penisola italiana condotta da Annibale nel corso della seconda guerra punica (218-201 a. C.). Dopo quella guerra i piccoli coltivatori della penisola non riuscirono mai più a recuperare le loro terre, che -come osserva Plinio il Vecchio- vennero sistematicmente inglobate dai praedia, i grandi latifondi dell'oligarchia. [Oggi sono le piccole e medie imprese originarie della penisola italiana che vengono inglobate dalle società oligarchiche estese su tutto lo spazio economico europeo.]Tuttavia, fra gli studiosi contemporanei -continua Hudson- "Arnold Tonybee è praticamente l'unico a sottolineare l'importanza che l'indebitamento ebbe nella concentrazione della ricchezza e della proprietà a Roma" (p. xviii) - e l'importanza dello stesso nella spiegazione del declino dell'impero romano..."Le società mesopotamiche non erano interessate all'uguaglianza," dice all'intervistatore, "ma erano civili. E dal punto di vista finanziario erano tanto sofisticate da capire che siccome gli interessi sui debiti crescono in modo esponenziale mentre la crescita dell'economia segue nel migliore dei casi una curva ad S, se non esiste un'autorità centrale a proteggerli i debitori finiscono a lungo andare per trovarsi schiavi dei creditori. I monarchi mesopotamici quindi venivano incontro a cadenze regolari ai debitori che rischiavano di finire stritolati; erano consapevoli della necessità di farlo e per secoli e secoli promulgarono remissioni a colpo di spugna.
L'Unione Europea ha punito la Grecia per la sua prodigalità, ed è pronta a punire lo stato che occupa la penisola italiana nel caso esso infranga le regole fiscali dell'Unione. L'Unione Europea sta tentando un'iniziativa che Schmitt avrebbe definito "azione dirompente" per conservare la propria egemonia.
In questo caso tuttavia, l'Unione Europea vede davvero la pagliuzza nell'occhio altrui e ignora la trave che ha nel proprio. Lakshman Achuthan, dello Economic Cycle Research Institute, scrive:
Lo scorso anno il debito complessivo degli USA, dell'eurozona, del Giappone e della Cina è cresciuto oltre dieci volte più del PIL complessivo. Degno di nota è il fatto che l'economia mondiale, che sta rallentando di concerto nonostante l'impennarsi del debito, si trovi in una situazione che ricorda quella presentata dalla Regina Rossa in Alice attraverso lo specchio: "Vedi, in questo posto si deve correre quanto più si può per rimanere nello stesso posto. Se si vuole andare da qualche parte, si deve correre almeno il doppio più velocemente!" dice la Regina Rossa ad Alice.
Solo che questo correre più veloce, ovvero far impennare il debito ancora di più, alla fin fine non può arrivare a soluzione altro che andando in default o facendo gonfiare l'indebitamento oltre misura. Si considerino gli USA: il loro PIL è a +2.5%, il debito federale è pari al 105% del PIL, il Tesoro paga un miliardo e mezzo di dollari di interessi al giorno, e il debito cresce del 5-6% rispetto al PIL. Una situazione insostenibile.
Le richieste avanzate dalla Grecia e dallo stato che occupa la penisola italiana per un alleviamento del loro debito possono essere considerate delle suppliche, dopo la cattiva gestione economica del passato; Hudson però ci dice che le pretese dei sumeri e dei babilonesi non avevano basi del genere, ma erano radicate in una tradizione conservatrice radicata nei rituali del rinnovamento cosmologico e nelle loro periodicità. L'idea mesopotamica alla base della remissione del debito letteralmente non contemplava il concetto di quello che noi chiameremmo "progresso sociale". Anzi, i provvedimenti disposti dal monarca in occasione dei giubilei servivano a ripristinare le basi che sottendevano all'ordine sociale, il maat. "Le regole del gioco non cambiavano. Però a ciascuno era concessa una nuova mano di carte."
Hudson nota che "i greci e i romani sostituirono il concetto ciclico del tempo e del rinnovamento sociale con quello del tempo lineare [diretto verso una "fine dei tempi"]". Quindi "La polarizzazione economica divenne irreversibile, e non meramente temporanea", col venir meno dell'idea del rinnovamento. Hudson avrebbe anche potuto aggiungere che il tempo lineare e la perdita dell'obbligo all'oblio e al ripristino delle condizioni di partenza hanno avuto un ruolo di sostegno fondamentale per i progetti unversalistici europei fondati su un percorso lineare verso la trasformazione dell'umanità, ovvero nell'utopismo.
La contraddizione fondamentale è questa: una polarizzazione e un ineluttabile baratro economico stanno trasformando l'Europa in un continente minato da una contraddizione interna senza soluzione. Da una parte esso rampogna lo stato che occupa la penisola italiana per la sua situazione debitoria, dall'altra con la BCE ha spinto la repressione dei tassi di interesse fino a farli diventare negativi e ha monetizzato debito per un importo pari a un terzo del prodotto globale europeo. Come poteva l'Unione Europea non prevedere che banche e attività non si buttassero a lucrare sulle differenze di prezzo che esistono fra le emissioni statali? A che titolo pretendeva che le banche non gonfiassero i bilanci con debiti a fondo perduto fino a diventare "troppo grandi per fallire"?
L'esplosione del debito a livello mondiale è un grosso problema. Un problema che travalica di gran lunga il microcosmo dello stato che occupa la penisola italiana. Come l'impero romano nell'antichità, l'Unione Europea si è sclerotizzata nel proprio ordinamento ed è diventata un ostacolo al cambiamento; non ha alternative all'aggrapparsi a quell'azione frenante che finirà per produrre effetti completamente opposti a quelli desiderati: un katechon negativo involontario.
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