domenica 19 febbraio 2017

Alastair Crooke - Con l'amministrazione Trump nella diplomazia statunitense arrivano i businessmen capaci negli affari



Traduzione da Conflicts Forum, 23 dicembre 2016.

Sembra che diverso tempo fa (attorno all'anno 2000) quando il signor Trump per la prima volta cominciò a baloccarsi con l'idea di concorrere alla presidenza, in qualità di candidato potenziale contribuì ad uno scritto propagandistico recentemente riscoperto da Uri Friedman.
Trump scriveva:
"Durante la guerra fredda la politica estera aveva la forma di una grande partita a scacchi" tra l'Unione Sovietica, gli Stati Uniti ed i loro alleati; ogni altro paese faceva da "spettatore". A suo dire, la caduta dell'URSS aveva però cambiato le regole del gioco:" noi stringiamo accordi con tutti tigli altri paesi del mondo sulla base del caso specifico. Molti di questi spettatori non sembrano poi così innocenti." Per come stavano le cose secondo il signor Trump "l'epoca delle partite a scacchi è finita... La politica estera americana deve essere affidata a qualcuno che fa affari." Secondo lui c'erano già stati dei precedenti in questo senso [nell'epoca che andava da Roosevelt a Nixon].
"Chi davvero si intende di affari," scriveva Trump, "riesce a tenere aperte più possibilità contemporaneamente, a valutare gli interessi competenti delle altre nazioni e soprattutto a mettere sempre al primo posto i migliori interessi dell'AmeriKKKa. Il vero affarista sa quando è il caso di insistere e quando è il caso di mollare. Sa quando bluffare e quando minacciare, ben sapendo che alle minacce si deve ricorrere solo quando si è pronti a metterle in pratica. Il vero affarista è scaltro, riservato, concentrato, e non arriva mai ad accordarsi per qualcosa di meno di quello che voleva. Sono passati molti anni da quando l'AmeriKKKa ha avuto un presidente del genere."
Lo spirito di Trump presenta una linea coerente che va dal 2000 al 2016; si tratta di temi che la recente campagna presidenziale ci ha reso familiari. Nel suo libretto Trump spiega molto chiaramente di avere, e di avere tutt'oggi, intenzioni piuttosto radicali: gli Stati Uniti stanno cercando una figura nuova che provenga dall'esterno del mondo della politica; Trump avverte anche gli ameriKKKani di quello che devono attendersi da lui: "Io mi presento davvero in modo diverso. Non sono di plastica, non seguo un copione e nessuno mi manipola. Io vi dico quello che penso. Si tratta quasi di una cesura rispetto ai soliti politici in caccia di poltrone. Magari gli elettori la troverebbero una boccata d'aria fresca. La cosa che io vi garantisco che la troverebbero interessante."
Insomma, eccoci giunti ai "tempi interessanti". A tutt'oggi nessuno davvero sa cosa concludere sulla squadra di Trump dal punto di vista della linea politica o di un possibile equilibrio tra avventatezza e pratica affaristica "scaltra, riservata, concentrata". Trump ci viene a dire che la prima qualità che cerca nei componenti della sua squadra è la lealtà, ma tiene anche a mostrarsi orgoglioso del fatto che riesce a mettere insieme elementi disparati e contrari che vengono da lui lasciati correre una volta che l'alchimia si è rivelata funzionante."Quando mi accorgo di avere una squadra che funziona, lascio che mi faccia vedere cosa riesce a fare."
La carica di tutti questi pratici di affari potrebbe davvero rappresentare una boccata d'aria fresca: un decisa rottura con i decenni passati, nel corso dei quali si è imposta una scatenata ideologia neoliberista, effettuata senza troppi riguardi. Il Medio Oriente caotico e frammentato di oggi segna il ritorno a cuccia dei cialtroni residuo di un'epoca profondamente segnata dall'ideologia e che ha fatto abbastanza danni.
Insomma, Trump ha per lo meno sparigliato questa schiera.
Nel libretto, come nella recente campagna elettorale, ricorrevano anche due temi di cui Trump si mostrava particolarmente orgoglioso. Il primo era definito come "la tempesta incombente" e trattava del disastro economico, del tonfo imminente ("peggiore del 1929") e della necessità di controllarne lo sviluppo; il secondo invece era la minaccia terroristica, e rifletteva la frustrazione di Trump a fronte dell'atteggiamento in massima parte ambivalente tenuto nei confronti della minaccia dell'Islam radicale. Ovviamente entrambi i temi avranno un ruolo di primo piano nel corso del suo mandato.
Al di là di questi insistenti ammonimenti, ripetuti anche quest'anno, secondo i quali chiunque fosse stato il nuovo presidente degli USA si sarebbe ritrovato ad affrontare l'inesorabile prospettiva di una crisi economica sistemica ("la grande, brutta bolla") la tendenza dei mercati rispetto a quelle che adesso vengono chiamate "Trumpeconomie" è stata paradossalmente quella di reagire in maniera assolutamente euforica, al di là di qualche iniziale esitazione. Ray Dalio gestisce il fondo speculativo più grande del mondo, il Bridgewater, e fa risalire la tendenza dei mercati all'avido anelito per la possibilità di un macroscopico mutamento economico; un mutamento ancor più radicale della passaggio dai "socialisti ai capitalisti" avvenuto nel Regno Unito, in USA ed in Germania fra il 1979 ed il 1982. Dalio pensa che "stiamo per assistere ad un profondo mutamento ideologico guidato dalla presidenza, che avrà un impatto profondo sia sugli USA che sul mondo intero."
Il mutamento di rotta tra la vecchia amministrazione e la nuova sarà probabilmente ancor più marcato del cambiamento che fra il 1979 ed il 1982 portò dai socialisti ai capitalisti nel Regno Unito, in USA ed in Germania quando Margaret Thatcher, Ronald Reagan e Helmut Kohl arrivarono al potere. Per capire questo mutamento ideologico si può leggere 'Gli anni a Downing Street" di Margaret Thatcher, o pensare al mutamento economico e politico della Cina, segnato dall'essere passati dal "proteggere la ciotola del riso" allo "essere ricchi è motivo di orgoglio".
I cambiamenti dell'amministrazione Trump potrebbero avere un impatto anche più vistoso sull'economia statunitense di quanto si potrebbe inferire sulla base dei cambiamenti introdotti nelle pure e semplici politiche della tassazione e della spesa, perché potrebbero innescare spiriti animali ed attrarre capitali produttivi. Sull'innesco degli spiriti animali, se l'amministrazione riesce ad avviare un circolo virtuoso in cui le persone possono arricchirsi, l'impegno di denaro che passa da una condizione di liquido che non rende praticamente più nulla a quella di in investimenti a rischio potrebbe essere ingente.
[Per quanto riguarda la politica estera] possiamo aspettarci che l'amministrazione Trump si comporti in modo relativamente aggressivo. Anche prima di assumere la presidenza, Trump già metteva in questione la politica su "una sola Cina", che è già una mossa scioccante. Probabilmente anche il comportamento verso l'Iran, il Messico e la maggior parte degli altri paesi sarà del pari aggressivo."
"In linea di massima saranno i combinatori di affari a mandare avanti il governo," ha detto Dalio, gestore del fondo speculativo più grande del mondo. "La loro sfrontatezza renderà quasi di sicuro incredibilmente stimolanti i prossimi quattro anni, e ci terrà tutti con il fiato sospeso."
Dalio enuncia reciso il suo punto di vista. La sua euforia probabilmente contribuisce alla corrente tendenza al rialzo dei mercati, ed è condivisa da altri dello stesso ambiente; la tendenza dei mercati però oggi come oggi tende a comportarsi in maniera frastornata, senza tenere in alcun conto la sostanza delle cose. Le entusiastiche dichiarazioni di Dalio inoltre contrastano con gli ammonimenti che lo stesso Trump ha ripetuto in merito ad un'inevitabile ed incombente tempesta, ed è probabile che il pendolo cambi nuovamente direzione.
E che dire del concetto di businessman "capace negli affari" in diplomazia? Certo, può anche avere qualche merito. Il mondo degli addetti alla politica estera può anche arricciare il naso, ma il perseguire a ruota libera risultati concreti, come principio guida di una politica estera, può portare a soluzioni innovative per problemi diplomatici non trattabili altrimenti. Certo, ogni medaglia ha il suo rovescio, e può essere che entino in gioco pedine di scambio prima impensabili. La questione di ciò che è negoziabile e di ciò che non lo è si trasforma in una perenne fonte di incertezza. Possiamo già vedere la Cina mettere le mani avanti contro l'eventualità che sul tavolo delle relazioni economiche con gli USA faccia la sua comparsa la carta dell'"una sola Cina". Anche Iran e Russia stanno cominciando a cercare contromosse "prima impensabili" con cui affrontare l'ostentata imprevedibilità di Trump.
I businessmen capaci negli affari inoltre sono propensi a vedere le loro controparti come simili a loro, come amministratori delegati che agiscono innanzitutto sulla spinta di considerazioni economiche. Questo ragionamento però è difettoso, perché nella maggior parte dei casi le controparti non sono amministratori delegati e non sono loro a decidere; sono persone emerse da un ambiente nazionale, politico, culturale e morale specifico, riflettono i valori del loro paese e ne sono a loro volta un prodotto. Possono anteporre i valori agli interessi materiali, e lo fanno, anche se la cosa può comportargli dei costi.
Trump viene comunemente considerato capace di assumersi rischi, e sembra nutrire prospettive meno ottimistiche di Dalio. Personaggi come Steve Bannon, che è l'eminenza grigia dell'ideologia di Trump, condividono la stessa visione meno ottimistica. Bannon attribuisce proprio agli eccessi dei businessmen capaci negli affari delle parti di Wall Street la colpa della grande crisi finanziaria del 2008. Bannon crede sicuramente nello spirito imprenditoriale dei primi anni dell'AmeriKKKa, ma ha anche detto piuttosto chiaramente che
La crisi del 2008, la crisi finanziaria intendo -dalla quale non credo siamo ancora usciti, sia detto per inciso- credo sia stata causata dall'avidità; soprattutto dall'avidità delle banche di investimento. Si pensi alla mia vecchia banca, la Goldman Sachs... Ecco perché, detto esplicitamente, negli Stati Uniti non ci siamo mai davvero ripresi dalla crisi del 2008. Questa è una delle ragioni per cui lo scorso quadrimestre abbiamo avuto una crescita negativa, 2,9% in meno nonostante l'economia statunitense sia molto, molto solida.
 Una delle ragioni è che non abbiamo mai identificato ed affrontato alla radice i problemi del 2008; tra questi soprattutto il fatto -pensateci- che nessuna accusa penale è mai stata mossa a nessuno dei banchieri coinvolti nella crisi del 2008. Ma c'è di peggio. A nessuno è stato revocato alcun bonus, alcuna prebenda... penso che questo rappresenti una parte di ciò che alimenta la rivolta populista rappresentata dal tea party. Quindi penso si possano prendere molti, molti provvedimenti, soprattutto per rimettere in carreggiata le banche e far loro trovare un impiego per la liquidità di cui dispongono. Penso ci sia proprio bisogno di un repulisti generale nei bilanci delle banche.
Bannon sembra dire che i businessmen capaci negli affari lasciati liberi di agire sono piuttosto parte dei problemi ameriKKKani che non parte delle soluzioni. L'idea che quello che va bene per gli affari va bene anche per l'AmeriKKKa poteva anche essere vera, in una qualche misura, fino al 1929 perché almeno i profitti venivano reinvestiti all'interno del paese, e poi negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta quando i beni prodotti in AmeriKKKa ancora costavano generalmente meno di quelli prodotti all'estero. Ma dagli anni Settanta in poi il processo si è rovesciato. La globalizzazione ha arricchito i capitalisti, ed impoverito il rimanente della popolazione ameriKKKana.
Torniamo a quella che è stata l'intuizione politica fondamentale per Trump: sono stati la consapevolezza e l'accertato lungo declino economico della maggior parte degli ameriKKKani per nascita, la loro sofferenza e la loro disillusione a portarlo alla presidenza. Stipendi e salari nel 1970 costituivano il 51% del PIL statunitense; adesso sono il 42%.
"I decenni successivi alla seconda guerra mondiale hanno assistito ad una lenta, costante erosione della superiorità tecnologica e produttiva ameriKKKana, e ad un lento e costante abbandono dei capitali. La globalizzazione ha indebolito l'AmeriKKKa. Dal punto di vista della prosperità globale, è più economico produrre in Cina, quindi bisogna delocalizzare in Cina. Dal punto di vista del lavoratore ameriKKKano invece questo è un tradimento, è una politica che distrugge gli Stati Uniti come potenza industriale, come nazione, come comunità di cittadini. Donald Trump è il primo politico di alto livello consapevole di questo semplice dato di fatto," ha scritto Vladimir Brovkin.
Si tratta di un grosso problema strutturale. Negli ultimi quarantacinque anni le politiche che piaccono a Ray Dalio, favorevoli all'offerta e fatte di tagli alle tasse e alle spese del fisco, non hanno potuto nulla contro il problema sistemico della globalizzazione ed hanno solo aggravato il deficit commerciale degli Stati Uniti. Il quantitative easing ha semplicemente peggiorato le cose perché ha diluito il valore reale del potere d'acquisto che ancora rimaneva ai redditi. Il fatto di detenere l'unica valuta di riserva del mondo, il quantitative easing e il riciclo di quelli che erano stati petrodollari in credito per i consumatori interni ha alimentato una prosperità illusoria; adesso, non è più così. Innescare nuovamente gli spiriti animali, come pretende Dalio, non è una cosa negativa, ma non va a colpire nessuno di questi problemi strutturali. Problemi che hanno causato un crollo della domanda, e deflazione del debito. Gli scritti di Trump fanno pensare che egli sia consapevole del fatto che questo profondo problema sistematico esiste.
Un ritorno degli "spiriti animali", ovvero della stessa avidità che ha portato alla crisi del 2008, sicuramente non è cosa cui stia pensando Steve Bannon.
La globalizzazione in un senso più ampio significa crisi anche per l'Europa. La rigidità strutturale introdotta dai cambi fissi dell'euro tuttavia, in mancanza di qualsiasi meccanismo di riciclo tra paesi dell'eurozona -a differenza del deficit statunitense, in cui il riciclo dei petrodollari fa rientrare a Wall Street tutti i dollari in deficit- è in crisi allo stesso modo, almeno sul microlivello europeo. Lo stato che occupa la penisola italiana sta lentamente perdendo produttività, industrie e posti di lavoro a scapito della Germania, che invece trae beneficio da una moneta deprezzata; tra i due paesi esiste una relazione analoga a quella che esiste tra AmeriKKKa e Cina. La soluzione peculiare dell'Europa nei confronti di questa rigidità del sistema è stata un'austerità che rovescia una svalutazione complessiva interna dei costi sui paesi in deficit. Una cosa disastrosa, ma l'Euro in sé preclude virtualmente qualunque altra possibilità.
La soluzione di Trump per i problemi strutturali della globalizzazione? Abbandonare, o rinegoziare, il NAFTA e gli altri accordi commerciali, costruire un muro al confine con il Messico e arrivare ad accordi stringenti con la Cina. A questo proposito ha già iniziato a costruire una posizione di forza: la sua telefonata a Taiwan è stato un atto apertamente ostile. Sta parlando senza mezzi termini di tariffe doganali e accusando la Cina di manipolare la propria valuta. Ecco cosa sta mettendo sul tavolo delle trattative.
Funzionerà? Una delle ragioni che fa pensare di no è che la stessa Cina, paradossalmente, sta avvertendo proprio alcuni degli stessi effetti negativi della globalizzazione di cui il signor Trump si sta lamentando a gran voce. Un articolo su Shenzhen dello Wall Street Journal spiega bene per quali motivi la Cina, alle prese con una potenziale "rivolta del tè" ad opera di operai e borghesi delusi, poco può offrire agli USA per alleviare la loro parte di scontento per la globalizzazione.
Shenzhen, un tempo sonnacchioso villaggio, oggi è l'epicentro in espansione dell'industria cinese delle elettroniche di consumo; il settore in testa alle esportazioni del paese. Le due fabbriche della Foxconn Technology impiegano qualcosa come 230000 lavoratori e producono per Apple e per competitori mondiali, tra i quali il gigante cinese delle comunicazioni Huawei Technologies Co., basato a Shenzhen.
Molti dirigenti affermano comunque che non hanno timore del signor Trump. Pensano che le forze economiche che hanno trasformato quella che era una zona isolata della provincia di Guangdong in un mare di grattacieli siano troppo grandi perché si possa richiamarle indietro. Anche se il signor Trump impone tariffe ai beni made in China come ha minacciato di fare, pianificare, produrre e spedire beni elettronici da questa regione della Cina meridionale è diventato un processo di una tale efficienza che potrebbe comunque rendere non competitivi gli USA, dicono.
Più del signor Trump, ad impensierire le attività di qui è la semplice sopravivenza nel processo darwiniano del commercio mondiale. Shenzhen è senz'altro una realtà vincente sul piano della globalizzazione, ma è interessata dalle stesse forze competitive che il signor Trump sta cercando di rovesciare negli USA, quelle che il presidente eletto ha accusato di aver annichilito l'industria statunitense ed i suoi posti di lavoro [il corsivo è nostro].  
A partire dal 2010 i salari sono aumentati, e molte delle fabbriche di abbigliamento e di giocattoli di Shenzhen, un tempo floride, si sono trasferite in regioni della Cina meno onerose, ed in paesi come il Vietnam. Adesso hanno cominciato a trasferirsi anche alcuni produttori di elettroniche di consumo; altri stanno tagliando i costi del lavoro usando robot invece di operai...
Il signor Trump sta usando la costrizione e le lusinghe per far sì che le imprese producano negli USA... Ma non è chiaro quali risultati concreti, e quanti posti di lavoro, una simile mossa riuscirà a produrre. Un'altra tendenza attuale presso la Foxconn è il passaggio a fabbriche maggiormente automatizzate, che utilizzano robot che fanno risparmiare sui costi. "Se questi lavori torneranno negli USA, saranno lavori per persone che comandano mille robot in fabbriche automatizzate", dice Christopher Balding, professore di finanza alla sede di Shenzhen dell'Università di Pechino. "Saranno lavori per gente che si intende di robotica, non per quelli che hanno votato per Trump".
Il tasso di crescita del settore manifatturiero a Shenzhen ha rallentato, mentre si stanno affermando settori come quello del software e della ricerca scientifica. Alcune piccole industrie stanno passando dalla produzione al design e al branding. In due anni la Qiwo Smartlink Technology Ltd. è passata dalla produzione di fotocamere di fascia bassa e aggeggi da pochi soldi per conto terzi ad operare nel campo del design, con un fatturato annuo di cento milioni di dollari. "Tutta la catena dei fornitori e le relative imprese si trovano qui, non penso siu possa trasferire tutto negli USA," dice James Guo, capo del settore esportazione della Qiwo.
Dazi statunitensi più alti non faranno altro che accelerare processi già in atto, dicono gli industriali di Shenzhen. Le fabbriche potranno abbandonare, certo, ma per trasferirsi in province della Cina dove la mano d'opera ha costi inferiori, non certo negli USA. La città al tempo stesso acquisirà posti di lavoro nel design, nella pianificazione, nel marketing; un processo già in corso. Uno di questi giovedì sera, allo spazio per ricercatori Hax di Shenzhen, il ventiseienne Junyi Song stava lavorando ad un braccio robot che spera di rivendere a settemila economici dollari a pezzo. Un prezzo che consentirebbe anche alle piccole imprese di rimpiazzare il lavoro umano con l'automazione.
"Il futuro è questo," ha detto il signor Song.
Shenzhen è un'icona, e manda un messaggio chiaro: persino qui, nel centro mondiale dell'economia tecnologica, i posti di lavoro nel manifatturiero sono destinati a scomparire e a dirigersi verso regioni più a buon mercato del contesto globale. Il signor Trump non deve risolvere solo un problema economico sistemico, ma anche un problema culturale. Shenzhen dispone quasi letteralmente di un esercito di ingegneri entusiasti e dalla formazione universitaria, che si impegnano per il miglioramento economico della Cina. L'Europa e gli USA non ce l'hanno. Trump avrà anche la sua rivoluzione da fare, eliminare l'amarezza occidentale, il senso di disperazione e la perdita di energia cui i fallimenti della globalizzazione hanno dato la stura. Il signor Dalio sentirà anche i suoi spiriti animali che bussano alla porta, ma la maggior parte degli europei e degli ameriKKKani non li sentono. Anzi.
Tutto ciò premesso, pare che il signor Trump si stia muovendo nella direzione giusta. Addio a David Ricardo e alle sue dottrine sul vantaggio comparativo: la globalizzazione si sta disfacendo da sola. La correzione di rotta che verrà imposta a livello mondiale a questa tendenza ormai esausta sarà verosimilmente turbolenta, e forse violenta; è piuttosto probabile che la crisi la accompagnerà e la precedera. Almeno Trump sembra sufficientemente realista circa i compiti che lo attendono; Dalio e i mercati, magari, no. Questo non significa che la sua diplomazia cinese a base di "businessmen capaci negli affari" avrà successo. Può anche non averlo.

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