Gli yankee sono rimasti col grugno spaccato nella Terra dei Due Fiumi, sulla quale dovevano passare come un rullo compressore e che invece riescono a tenere solo a prezzo di compromessi costosissimi e nella crescente indifferenza (se non insofferenza) dell'opinione pubblica mondiale, perpetuando sotto un'altra bandiera le mostruose ingiustizie sociali un tempo ascritte in toto alle colpe di Saddam Hussein e della sua élite di fiancheggiatori.
Nell'Afghanistan invaso pare che il peggio debba ancora venire e che in otto anni la resistenza quella vera non sia stata neppure intaccata.
In queste condizioni il giornalame ha dovuto mettere un brusco freno al trionfalismo, sia quello prodotto in proprio sia quello prodotto per i poteri di riferimento.
Qualche mese fa il cambio di segno politico della presidenza yankee ha anche messo all'angolo "teocon" ed altra spazzatura "occidentalista" in servizio 24/7 (come dicono loro, "tutti i santi giorni" come diciamo noi), risparmiando al pubblico i Mel Gibson, le esegesi d'accatto sugli scritti di Samuel Huntington, la sbrigativa sicumera di businessmen alla Madoff e molti altri prodotti di una visione del mondo coerentissima coi tempi, che più di altre univa dilettantismo, cattiveria deliberata, piccineria, incompetenza, consumismo ed egoismo manicomiali.
Il mutare del contesto non è certo dovuto a chissà quale fulminazione sulla via di Damasco: è solo l'esito forzato dei risultati pazzeschi conseguiti da otto anni di guida planetaria improntati ai criteri suddetti. Di fatto ha però imposto un certo freno all'arditezza "occidentalista", di cui rimangono comunque in giro per il mondo anche troppi alfieri, come il cadavere politico Saakashvili, il governo dell'entità sionista e le lobby connesse, il governo dello stato che occupa la penisola italiana.
In questo contesto è avvenuta, nella Repubblica Islamica dell'Iran, la riconferma di Mahmoud Ahmadinejad alla carica di presidente, secondo l'andamento fin qui seguito che ha visto la riconferma di tutti i presidenti uscenti.
Quattro anni fa il voto fu disertato da una grossa percentuale degli elettori, sfiduciati nella possibilità di un cambiamento e nelle prospettive stesse della Repubblica Islamica. Questa volta non è stato così, anche se il risultato è stato opposto a quello che l'affluenza avrebbe portato a pensare. Quando si presentò per il suo primo mandato, Ahmadinejad fu eletto di misura dopo una campagna elettorale che aveva impostato sulla lotta alla corruzione, sulla valorizzazione del contributo dato dai poveri alla sopravvivenza della Repubblica durante la "guerra imposta" con l'Iraq, e sulla propria fama di individuo modesto, schivo ed alieno da ogni ostentazione. La fama di antisemita di ferro, costruita in "occidente" travisando un linguaggio politico imbevuto di allegorie ed immagine familiari per il credente sciita secondo una prassi in cui si profondono quella malafede e quell'incompetenza che sono la vera essenza della "informazione" prodotta dai mass media "occidentali", è stata smentita dai fatti: Ahmadinejad, di cui circolano varie immagini che lo ritraggono insieme a rappresentanti del Neturei Karta, ha incassato addirittura il voto della comunità ebraica iraniana.
Al di là dei brogli, che in considerazione dei risultati numerici avrebbero dovuto avere una portata imponente, è probabile che Ahmadinejad non sia stato votato solamente dagli ex combattenti, o da quella parte della popolazione rimasta esclusa dai benefici portati dalla modernizzazione del paese.
Nel corso del suo mandato Ahmadinejad non ha ostacolato affatto la modernizzazione tecnologica ed infrastrutturale del paese ed ha praticamente dato fondo alle risorse economiche destinate alle emergenze sociali, costruite ai tempi del petrolio a centoottanta dollari al barile, per migliorare il tenore di vita degli impiegati pubblici e degli insegnanti, secondo una prassi che farebbe inorridire un "liberale" europeo, ma la cui logica è avallata dalla costituzione iraniana e dal substrato ideologico del fondatore della Repubblica Islamica.
Se si scorrono i molti articoli presenti sui media mainstream in merito alla realtà della Repubblica Islamica, è facile notare che le critiche perennni che la sedicente libera stampa "occidentale" rivolge alla Repubblica Islamica ed ai suoi governanti ruotano a grande maggioranza su due argomenti cardine: la pena capitale ed il contrasto a determinati comportamenti di consumo.
Sulla pena capitale c'è da chiedersi quale diritto abbia un aggregato di sudditi animato da un'autentica foia forcaiola nei confronti di tutto e di tutti, quale è quello amorevolmente accudito dai mass media che operano nella penisola italiana, di esprimere la propria opinione in merito ai metodi repressivi adoperati altrove. Un volgo che accetta acriticamente i campi di concentramento in corso di realizzazione, che idolatra l'ingiustizia sociale ed i suoi fautori e che si presta supino ad ogni demonizzazione dell'Altro che i politicanti decidano di mettere in atto, è l'ultimo a poter trarre conclusioni su contro di qualcuno.
Il contrasto a determinati comportamenti di consumo è ammesso in società in cui essi comportamenti hanno, giustamente, la valenza residuale che deve essere loro propria. Logico che venga considerato inammissibile in un contesto come quello "occidentale", in cui l'utilizzo demenziale -se non distruttivo- delle nuove tecnologie, il consumismo fine a se stesso e la valorizzazione dei comportamenti mercificatori costituiscono parte integrante e in qualche caso primaria della vita sociale comunemente intesa.
In queste condizioni è poco realistico pensare che con la lettura delle gazzette e dei materiali che ne derivano si possa inquadrare la realtà della Repubblica Islamica con il minimo di obiettività necessaria. Chi riuscisse ad assecondare il sano proposito di fare a meno di tutta la spazzatura che inonda edicole e televisori, rivolgendosi a fonti letterarie più serie, non avrebbe motivo per stupirsi delle apparenti contraddizioni continuamente citate da un mainstream per il quale è impensabile diffondere qualcosa che non sia improntato alla denigrazione e al suscitare odio.
Scoprirebbe ad esempio che il fondamento della Repubblica è rappresentato dalla competenza e dalla responsabilità di coloro che sono chiamati a governare, dal loro sincero spirito di servizio e dal rapporto di reciproca fiducia che deve esistere tra governanti e governati. Un rapporto su cui si basa la legittimità dell'azione di governo.
Scoprirebbe che la Guida, l'ayatollah Khamenei, è stato tra i più accesi sostenitori della diffusione di internet nel paese: il suo sito istituzionale è ricco di contenuti e povero di spazzatura, in direzione opposta a quella delle gazzette che lo denigrano.
Scoprirebbe che la sobrietà è imposta alla classe politica dalla costituzione, che al suo articolo 142 prevede per le massime cariche del potere giudiziario il preciso dovere di esaminare la consistenza patrimoniale delle più alte cariche della Repubblica, dalla Guida spirituale ai deputati ai ministri e quella dei loro parenti prima e dopo la durata della loro carica, per verificare che nessuno si sia arricchito in modo contrario alla legge.
L'aneddotica sull'ayatollah Khomeini insiste sulla sua sobrietà e la regolarità della sua vita. Una condotta che l'opinione pubblica iraniana considera a tutt'oggi in modo favorevole, se si esprime in massa in favore di un Ahmadinejad che agli occhi "occidentali" spicca per il vestire dimesso (se non trasandato) e per la poca o nulla attenzione prestata alla propria immagine pubblica così come viene intesa nel pollaio starnazzante della politicanza "occidentale".
Si facciano tutti i paragoni che si vogliono con l'osceno spettacolo dei politicanti peninsulari, uno spettacolo che l'accettazione neanche tanto tàcita da parte dei sudditi ha finito in pochi anni per far percepire come coessenziale alla loro funzione e al loro ruolo.
Il furore mediatico contro la Repubblica Islamica non è assolutamente guidato da senso di umanità o da sincero interesse per le condizioni di vita della popolazione, ma dalla necessità di demonizzare qualunque prospettiva si discosti dalla dittatura del consumismo su cui ogni "occidentale" è tenuto a basare la propria esistenza, pena l'emarginazione di fatto. Denunciare questo stato di cose non significa idealizzare la Repubblica Islamica, ma restituire un minimo di correttezza all'ottica profondamente e scientemente deformata con cui essa viene presentata dal suo nascere.
Nell'Afghanistan invaso pare che il peggio debba ancora venire e che in otto anni la resistenza quella vera non sia stata neppure intaccata.
In queste condizioni il giornalame ha dovuto mettere un brusco freno al trionfalismo, sia quello prodotto in proprio sia quello prodotto per i poteri di riferimento.
Qualche mese fa il cambio di segno politico della presidenza yankee ha anche messo all'angolo "teocon" ed altra spazzatura "occidentalista" in servizio 24/7 (come dicono loro, "tutti i santi giorni" come diciamo noi), risparmiando al pubblico i Mel Gibson, le esegesi d'accatto sugli scritti di Samuel Huntington, la sbrigativa sicumera di businessmen alla Madoff e molti altri prodotti di una visione del mondo coerentissima coi tempi, che più di altre univa dilettantismo, cattiveria deliberata, piccineria, incompetenza, consumismo ed egoismo manicomiali.
Il mutare del contesto non è certo dovuto a chissà quale fulminazione sulla via di Damasco: è solo l'esito forzato dei risultati pazzeschi conseguiti da otto anni di guida planetaria improntati ai criteri suddetti. Di fatto ha però imposto un certo freno all'arditezza "occidentalista", di cui rimangono comunque in giro per il mondo anche troppi alfieri, come il cadavere politico Saakashvili, il governo dell'entità sionista e le lobby connesse, il governo dello stato che occupa la penisola italiana.
In questo contesto è avvenuta, nella Repubblica Islamica dell'Iran, la riconferma di Mahmoud Ahmadinejad alla carica di presidente, secondo l'andamento fin qui seguito che ha visto la riconferma di tutti i presidenti uscenti.
Quattro anni fa il voto fu disertato da una grossa percentuale degli elettori, sfiduciati nella possibilità di un cambiamento e nelle prospettive stesse della Repubblica Islamica. Questa volta non è stato così, anche se il risultato è stato opposto a quello che l'affluenza avrebbe portato a pensare. Quando si presentò per il suo primo mandato, Ahmadinejad fu eletto di misura dopo una campagna elettorale che aveva impostato sulla lotta alla corruzione, sulla valorizzazione del contributo dato dai poveri alla sopravvivenza della Repubblica durante la "guerra imposta" con l'Iraq, e sulla propria fama di individuo modesto, schivo ed alieno da ogni ostentazione. La fama di antisemita di ferro, costruita in "occidente" travisando un linguaggio politico imbevuto di allegorie ed immagine familiari per il credente sciita secondo una prassi in cui si profondono quella malafede e quell'incompetenza che sono la vera essenza della "informazione" prodotta dai mass media "occidentali", è stata smentita dai fatti: Ahmadinejad, di cui circolano varie immagini che lo ritraggono insieme a rappresentanti del Neturei Karta, ha incassato addirittura il voto della comunità ebraica iraniana.
Al di là dei brogli, che in considerazione dei risultati numerici avrebbero dovuto avere una portata imponente, è probabile che Ahmadinejad non sia stato votato solamente dagli ex combattenti, o da quella parte della popolazione rimasta esclusa dai benefici portati dalla modernizzazione del paese.
Nel corso del suo mandato Ahmadinejad non ha ostacolato affatto la modernizzazione tecnologica ed infrastrutturale del paese ed ha praticamente dato fondo alle risorse economiche destinate alle emergenze sociali, costruite ai tempi del petrolio a centoottanta dollari al barile, per migliorare il tenore di vita degli impiegati pubblici e degli insegnanti, secondo una prassi che farebbe inorridire un "liberale" europeo, ma la cui logica è avallata dalla costituzione iraniana e dal substrato ideologico del fondatore della Repubblica Islamica.
Se si scorrono i molti articoli presenti sui media mainstream in merito alla realtà della Repubblica Islamica, è facile notare che le critiche perennni che la sedicente libera stampa "occidentale" rivolge alla Repubblica Islamica ed ai suoi governanti ruotano a grande maggioranza su due argomenti cardine: la pena capitale ed il contrasto a determinati comportamenti di consumo.
Sulla pena capitale c'è da chiedersi quale diritto abbia un aggregato di sudditi animato da un'autentica foia forcaiola nei confronti di tutto e di tutti, quale è quello amorevolmente accudito dai mass media che operano nella penisola italiana, di esprimere la propria opinione in merito ai metodi repressivi adoperati altrove. Un volgo che accetta acriticamente i campi di concentramento in corso di realizzazione, che idolatra l'ingiustizia sociale ed i suoi fautori e che si presta supino ad ogni demonizzazione dell'Altro che i politicanti decidano di mettere in atto, è l'ultimo a poter trarre conclusioni su contro di qualcuno.
Il contrasto a determinati comportamenti di consumo è ammesso in società in cui essi comportamenti hanno, giustamente, la valenza residuale che deve essere loro propria. Logico che venga considerato inammissibile in un contesto come quello "occidentale", in cui l'utilizzo demenziale -se non distruttivo- delle nuove tecnologie, il consumismo fine a se stesso e la valorizzazione dei comportamenti mercificatori costituiscono parte integrante e in qualche caso primaria della vita sociale comunemente intesa.
In queste condizioni è poco realistico pensare che con la lettura delle gazzette e dei materiali che ne derivano si possa inquadrare la realtà della Repubblica Islamica con il minimo di obiettività necessaria. Chi riuscisse ad assecondare il sano proposito di fare a meno di tutta la spazzatura che inonda edicole e televisori, rivolgendosi a fonti letterarie più serie, non avrebbe motivo per stupirsi delle apparenti contraddizioni continuamente citate da un mainstream per il quale è impensabile diffondere qualcosa che non sia improntato alla denigrazione e al suscitare odio.
Scoprirebbe ad esempio che il fondamento della Repubblica è rappresentato dalla competenza e dalla responsabilità di coloro che sono chiamati a governare, dal loro sincero spirito di servizio e dal rapporto di reciproca fiducia che deve esistere tra governanti e governati. Un rapporto su cui si basa la legittimità dell'azione di governo.
Scoprirebbe che la Guida, l'ayatollah Khamenei, è stato tra i più accesi sostenitori della diffusione di internet nel paese: il suo sito istituzionale è ricco di contenuti e povero di spazzatura, in direzione opposta a quella delle gazzette che lo denigrano.
Scoprirebbe che la sobrietà è imposta alla classe politica dalla costituzione, che al suo articolo 142 prevede per le massime cariche del potere giudiziario il preciso dovere di esaminare la consistenza patrimoniale delle più alte cariche della Repubblica, dalla Guida spirituale ai deputati ai ministri e quella dei loro parenti prima e dopo la durata della loro carica, per verificare che nessuno si sia arricchito in modo contrario alla legge.
L'aneddotica sull'ayatollah Khomeini insiste sulla sua sobrietà e la regolarità della sua vita. Una condotta che l'opinione pubblica iraniana considera a tutt'oggi in modo favorevole, se si esprime in massa in favore di un Ahmadinejad che agli occhi "occidentali" spicca per il vestire dimesso (se non trasandato) e per la poca o nulla attenzione prestata alla propria immagine pubblica così come viene intesa nel pollaio starnazzante della politicanza "occidentale".
Si facciano tutti i paragoni che si vogliono con l'osceno spettacolo dei politicanti peninsulari, uno spettacolo che l'accettazione neanche tanto tàcita da parte dei sudditi ha finito in pochi anni per far percepire come coessenziale alla loro funzione e al loro ruolo.
Il furore mediatico contro la Repubblica Islamica non è assolutamente guidato da senso di umanità o da sincero interesse per le condizioni di vita della popolazione, ma dalla necessità di demonizzare qualunque prospettiva si discosti dalla dittatura del consumismo su cui ogni "occidentale" è tenuto a basare la propria esistenza, pena l'emarginazione di fatto. Denunciare questo stato di cose non significa idealizzare la Repubblica Islamica, ma restituire un minimo di correttezza all'ottica profondamente e scientemente deformata con cui essa viene presentata dal suo nascere.
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