Un palloniere Murdoch-compatible.
Una delle varietà umane meno dotate di senso del ridicolo
Di pallone, qui, si è già trattato qualche tempo fa, trascurando l'aspetto più "politico" della questione, sulla quale un episodio verificatosi a Firenze qualche giorno fa permette di ritornare con qualche proprietà d'argomento.
Uno scambio d'opinioni piuttosto acceso, definito "assalto", "spedizione punitiva" eccetera eccetera del quale abbiamo già fatto cenno ha coinvolto i frequentatori del bar-circolo di una piccola società sportiva. Il gestore si è trincerato istantaneamente dietro la "apoliticità" di un luogo "dove si parla solo di calcio".
Ma sono davvero "apolitici" i luoghi del pallone? La nostra lunga frequentazione di esperti del settore, le esperienze giovanili sul campo, la parte "virtuale" del fenomeno rappresentata dalla sua pervasività mediatica fanno pensare l'esatto contrario.
Se ne potrebbe scrivere molto a lungo, ma limitiamoci a quanto successo a Firenze all'inizio di novembre. La storia non ha mobilitato soltanto i giornali, ma anche qualche blogger di buona memoria che è andato a ripescare un episodio di qualche anno fa. Le grida razziste di alcuni suoi calciatori costarono qualche multa e qualche punto di penalizzazione proprio ad una squadra che fa capo alla società nei cui locali è avvenuto il diverbio. La parte dell'articolo della Gazzetta dello Sport che riporta l'accaduto è interessante, soprattutto laddove questo del razzismo ostentato in campo e fuori viene definito "un malcostume generale". E stiamo parlando di ragazzini in un campo di periferia, dove i "valori" del pallonismo strapagato sono modelli da imitare.
Varie fonti che trattano il brevissimo ed incruento scontro del primo novembre citano un tale, che come palloniere pare che goda di una certa notorietà, come non presente al momento del fatto ma presentissimo alla gendarmeria, al momento dei "riconoscimenti". Il che fa pensare che i protagonisti dell'episodio siano soliti frequentare gli stessi ambienti pallonistici e che le motivazioni di certi risentimenti vadano cercate più in quella maleodorante sentina di piccinerie, vendette trasversali, risse da pollaio, regressioni, battibecchi e traffici scaltri e nebulosi che viene definita "tifo organizzato" che non nella politica militante vera e propria.
Negli ultimi anni il mondo dei pallonieri è entrato in pieno marasma. Dall'Australia Rupert ha mandato a dire che non vuole rompicoglioni tra i piedi: i pallonisti di tutti i colori devono pagare (e molto), comprare il merchandising ufficiale, farsi trattare dai gendarmi come i fellahin palestinesi si fanno trattare da Tsahal e soprattutto non disturbare lo spettacolo facendo quello che hanno sempre fatto. Una vera doccia fredda su anni ed anni di scontri di piazza, locali devastati sul serio, coltellate prese e date, fumogeni, antisemitismo d'accatto e coracci assassini tollerati in nome del denaro. Dalla sera alla mattina centinaia di migliaia di individui adusi a ben altre pratiche, ed in questo autorizzati da una prassi universale che ha nel profitto il suo unico vero limite, han dovuto imparare a recarsi allo stadio come si recherebbero in un negozio di cristalleria, a familiarizzare con quei "terzi tempi" mutuati dal rugby laddove era prassi ordinaria il promettersi -e in qualche caso il mantenere- di squartarsi vivi a vicenda, a cantare canzoncine caste e pure, ad esibire "striscioni privi di scritte offensive". Una moltitudine dai rituali ben definiti e dai comportamenti di consumo ancora più codificati, a cui una miriade di imprenditori fornisce da decenni beni e servizi dalle bandiere colorate agli armamentari nazionalsocialisti che fanno tanto bene alla coesione di gruppo, dalle palestre ai locali dedicati, rischia di trovarsi espulsa dalla sera alla mattina dall'ambiente che l'aveva prodotta. Rischia di trovarsi digiuna di rituali identitari e delle occasioni per praticarli. E i suddetti imprenditori di veder ridimensionato il proprio giro d'affari.
Come rimediare? Da qualche tempo clienti e venditori percolano nelle cosiddette "serie inferiori" i comportamenti finora sperimentati in alto loco. Il terreno è già pronto da anni, secondo quanto siamo andati spiegando. C'è però un problema: se per i venditori non è certo difficile vendere caterve di sciarpe sintetiche delle società di pallone più quotate anche ai pallonieri che vanno a vedere le partite del Borgorosso, la numerosità ridotta delle compagini, gli ambienti anche architettonicamente diversi, mal si prestano alle orge identitarie rispetto a quelli in cui il pallonaggio è nato ed ha prosperato a lungo. Non si può far tanto numero, ecco. Le situazioni in cui origina quella diluizione della responsabilità che ti faceva gettare uno scooter da cima d'una gradinata o che ti faceva contendere un autogrill agli avversari in furibonde battaglie a colpi di prosciutto sottovuoto è diventato difficile trovarle. Molti dei gruppi nati nel pallonismo hanno trovato che l'iconografia e la pratica politica di quella che definiscono "destra radicale" offrono la possibilità di rafforzare in modo gratificante i legami di gruppo e ricreare occasioni per la diluizione di responsabilità su accennata e li hanno adottati in blocco, con un'assimilazione che ha causato un ulteriore impoverimento di simboli e contenuti già nefasti per conto proprio. Lungi dal produrre "idee", anche del tipo più discutibile o ripugnante che si possa concepire, i fasciopallonieri da periferia affollano (per modo di dire) forum telematici i cui utenti esibiscono avatar scelti tra poche decine di soggetti; brancate di foto in seppia della Wehrmacht, rune di varia estrazione ed invenzione, gerarchi in divisa (finiti quasi tutti miserrimamente, ma guai a ricordarglielo e soprattutto a ricordargli il perché)... Ci sono ragazze che posano succinte in nero e con un'arma in mano riportando a mo' di firma motti a contenuto sessuale. Se si pensa che uno dei forum più trafficati prende il nome da un immondo romanzaccio di Filippo Tommaso Marinetti, si ha l'impressione di trovarsi di fronte a gente la cui massima aspirazione nella vita è recitare da comparse in un remake di Salon Kitty. Unici contenuti rilevabili: autoincensamento reciproco, vacuità pallonistiche, post monosillabici e una ristrettissima rosa di insulti (sempre i soliti quattro o cinque) rivolti ad "avversari politici" in grado di fare di meglio, di sidereamente meglio, anche in questo settore un tempo ritenuto appannaggio di facchini e carrettieri.
Interessi ristrettissimi, cervello in cantina, livello umano su cui sorvolare, competenze zero in tutti i campi dello scibile. L'unico prodotto della coesione di gruppo mantenuta a scapito di tutto il resto dall'adozione di un'iconografia e -fatto non secondario- da modelli di consumo ferreamente limitati è diventato l'azione violenta. La correlazione tra l'intensificarsi degli omicidi a sfondo discriminatorio, gli assalti squadristici, i pestaggi di piazza, le forme più repellenti di bullismo adolescenziale e la blindatura degli stadi decisa praticamente dalla sera alla mattina dopo la morte di un gendarme catanese avvenuta in circostanze ancora poco chiare illustra bene quanto sta accadendo in questi mesi. Bandite dalla loro scena dalla militarizzazione del set dove si gira lo spettacolo che fa guadagnare Rupert Murdoch, la violenza e la sopraffazione come modo abituale di rapportarsi con gli altri diventano pratica consueta in contesti sociali diversi dagli stadi in cui hanno incubato e prosperato in santa pace per decenni, benedette da una lunghissima serie di operatori economici.
E' bene sottolineare anche la natura essenzialmente commerciale del fenomeno in corso. La pratica politica del fasciopallonismo -anzi, dovremmo chiamarla la pratica manesca- ispira gadget a tema che a loro volta ne amplificano le parole d'ordine, oltre a servire al rafforzamento identitario. E questi gadget vengono commercializzati in parte attraverso gli stessi canali e gli stessi operatori che da tanto tempo alimentano a furia di sciarpe e di adesivi l'identitarismo masturbatorio dei pallonieri. L'altra parte arriva diritta via internet dai produttori, gente che in qualche caso ha fondato vere e proprie linee di abbigliamento che stanno dando il loro bravo contributo a rendere ancora più impresentabile una generazione di ventenni già messa male per conto proprio.
Il contesto sociale che si è venuto a creare dovrebbe rendere il mondo palloniero ancora più odioso nella sua interezza: caccia da sotto i riflettori quell'umanità spaventosa che ha accarezzato per decenni e che è diventata impresentabile in un batter di ciglia, e la spinge, ulteriormente retrocessa da tutti i punti di vista, a celebrare nelle strade i propri riti di sangue.
Uno scambio d'opinioni piuttosto acceso, definito "assalto", "spedizione punitiva" eccetera eccetera del quale abbiamo già fatto cenno ha coinvolto i frequentatori del bar-circolo di una piccola società sportiva. Il gestore si è trincerato istantaneamente dietro la "apoliticità" di un luogo "dove si parla solo di calcio".
Ma sono davvero "apolitici" i luoghi del pallone? La nostra lunga frequentazione di esperti del settore, le esperienze giovanili sul campo, la parte "virtuale" del fenomeno rappresentata dalla sua pervasività mediatica fanno pensare l'esatto contrario.
Se ne potrebbe scrivere molto a lungo, ma limitiamoci a quanto successo a Firenze all'inizio di novembre. La storia non ha mobilitato soltanto i giornali, ma anche qualche blogger di buona memoria che è andato a ripescare un episodio di qualche anno fa. Le grida razziste di alcuni suoi calciatori costarono qualche multa e qualche punto di penalizzazione proprio ad una squadra che fa capo alla società nei cui locali è avvenuto il diverbio. La parte dell'articolo della Gazzetta dello Sport che riporta l'accaduto è interessante, soprattutto laddove questo del razzismo ostentato in campo e fuori viene definito "un malcostume generale". E stiamo parlando di ragazzini in un campo di periferia, dove i "valori" del pallonismo strapagato sono modelli da imitare.
Varie fonti che trattano il brevissimo ed incruento scontro del primo novembre citano un tale, che come palloniere pare che goda di una certa notorietà, come non presente al momento del fatto ma presentissimo alla gendarmeria, al momento dei "riconoscimenti". Il che fa pensare che i protagonisti dell'episodio siano soliti frequentare gli stessi ambienti pallonistici e che le motivazioni di certi risentimenti vadano cercate più in quella maleodorante sentina di piccinerie, vendette trasversali, risse da pollaio, regressioni, battibecchi e traffici scaltri e nebulosi che viene definita "tifo organizzato" che non nella politica militante vera e propria.
Negli ultimi anni il mondo dei pallonieri è entrato in pieno marasma. Dall'Australia Rupert ha mandato a dire che non vuole rompicoglioni tra i piedi: i pallonisti di tutti i colori devono pagare (e molto), comprare il merchandising ufficiale, farsi trattare dai gendarmi come i fellahin palestinesi si fanno trattare da Tsahal e soprattutto non disturbare lo spettacolo facendo quello che hanno sempre fatto. Una vera doccia fredda su anni ed anni di scontri di piazza, locali devastati sul serio, coltellate prese e date, fumogeni, antisemitismo d'accatto e coracci assassini tollerati in nome del denaro. Dalla sera alla mattina centinaia di migliaia di individui adusi a ben altre pratiche, ed in questo autorizzati da una prassi universale che ha nel profitto il suo unico vero limite, han dovuto imparare a recarsi allo stadio come si recherebbero in un negozio di cristalleria, a familiarizzare con quei "terzi tempi" mutuati dal rugby laddove era prassi ordinaria il promettersi -e in qualche caso il mantenere- di squartarsi vivi a vicenda, a cantare canzoncine caste e pure, ad esibire "striscioni privi di scritte offensive". Una moltitudine dai rituali ben definiti e dai comportamenti di consumo ancora più codificati, a cui una miriade di imprenditori fornisce da decenni beni e servizi dalle bandiere colorate agli armamentari nazionalsocialisti che fanno tanto bene alla coesione di gruppo, dalle palestre ai locali dedicati, rischia di trovarsi espulsa dalla sera alla mattina dall'ambiente che l'aveva prodotta. Rischia di trovarsi digiuna di rituali identitari e delle occasioni per praticarli. E i suddetti imprenditori di veder ridimensionato il proprio giro d'affari.
Come rimediare? Da qualche tempo clienti e venditori percolano nelle cosiddette "serie inferiori" i comportamenti finora sperimentati in alto loco. Il terreno è già pronto da anni, secondo quanto siamo andati spiegando. C'è però un problema: se per i venditori non è certo difficile vendere caterve di sciarpe sintetiche delle società di pallone più quotate anche ai pallonieri che vanno a vedere le partite del Borgorosso, la numerosità ridotta delle compagini, gli ambienti anche architettonicamente diversi, mal si prestano alle orge identitarie rispetto a quelli in cui il pallonaggio è nato ed ha prosperato a lungo. Non si può far tanto numero, ecco. Le situazioni in cui origina quella diluizione della responsabilità che ti faceva gettare uno scooter da cima d'una gradinata o che ti faceva contendere un autogrill agli avversari in furibonde battaglie a colpi di prosciutto sottovuoto è diventato difficile trovarle. Molti dei gruppi nati nel pallonismo hanno trovato che l'iconografia e la pratica politica di quella che definiscono "destra radicale" offrono la possibilità di rafforzare in modo gratificante i legami di gruppo e ricreare occasioni per la diluizione di responsabilità su accennata e li hanno adottati in blocco, con un'assimilazione che ha causato un ulteriore impoverimento di simboli e contenuti già nefasti per conto proprio. Lungi dal produrre "idee", anche del tipo più discutibile o ripugnante che si possa concepire, i fasciopallonieri da periferia affollano (per modo di dire) forum telematici i cui utenti esibiscono avatar scelti tra poche decine di soggetti; brancate di foto in seppia della Wehrmacht, rune di varia estrazione ed invenzione, gerarchi in divisa (finiti quasi tutti miserrimamente, ma guai a ricordarglielo e soprattutto a ricordargli il perché)... Ci sono ragazze che posano succinte in nero e con un'arma in mano riportando a mo' di firma motti a contenuto sessuale. Se si pensa che uno dei forum più trafficati prende il nome da un immondo romanzaccio di Filippo Tommaso Marinetti, si ha l'impressione di trovarsi di fronte a gente la cui massima aspirazione nella vita è recitare da comparse in un remake di Salon Kitty. Unici contenuti rilevabili: autoincensamento reciproco, vacuità pallonistiche, post monosillabici e una ristrettissima rosa di insulti (sempre i soliti quattro o cinque) rivolti ad "avversari politici" in grado di fare di meglio, di sidereamente meglio, anche in questo settore un tempo ritenuto appannaggio di facchini e carrettieri.
Interessi ristrettissimi, cervello in cantina, livello umano su cui sorvolare, competenze zero in tutti i campi dello scibile. L'unico prodotto della coesione di gruppo mantenuta a scapito di tutto il resto dall'adozione di un'iconografia e -fatto non secondario- da modelli di consumo ferreamente limitati è diventato l'azione violenta. La correlazione tra l'intensificarsi degli omicidi a sfondo discriminatorio, gli assalti squadristici, i pestaggi di piazza, le forme più repellenti di bullismo adolescenziale e la blindatura degli stadi decisa praticamente dalla sera alla mattina dopo la morte di un gendarme catanese avvenuta in circostanze ancora poco chiare illustra bene quanto sta accadendo in questi mesi. Bandite dalla loro scena dalla militarizzazione del set dove si gira lo spettacolo che fa guadagnare Rupert Murdoch, la violenza e la sopraffazione come modo abituale di rapportarsi con gli altri diventano pratica consueta in contesti sociali diversi dagli stadi in cui hanno incubato e prosperato in santa pace per decenni, benedette da una lunghissima serie di operatori economici.
E' bene sottolineare anche la natura essenzialmente commerciale del fenomeno in corso. La pratica politica del fasciopallonismo -anzi, dovremmo chiamarla la pratica manesca- ispira gadget a tema che a loro volta ne amplificano le parole d'ordine, oltre a servire al rafforzamento identitario. E questi gadget vengono commercializzati in parte attraverso gli stessi canali e gli stessi operatori che da tanto tempo alimentano a furia di sciarpe e di adesivi l'identitarismo masturbatorio dei pallonieri. L'altra parte arriva diritta via internet dai produttori, gente che in qualche caso ha fondato vere e proprie linee di abbigliamento che stanno dando il loro bravo contributo a rendere ancora più impresentabile una generazione di ventenni già messa male per conto proprio.
Il contesto sociale che si è venuto a creare dovrebbe rendere il mondo palloniero ancora più odioso nella sua interezza: caccia da sotto i riflettori quell'umanità spaventosa che ha accarezzato per decenni e che è diventata impresentabile in un batter di ciglia, e la spinge, ulteriormente retrocessa da tutti i punti di vista, a celebrare nelle strade i propri riti di sangue.
Un post bellissimo, un articolo che nessun giornale avrebbe mai il coraggio di pubblicare. Il calcio è la vacca sacra di questi tempi.
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