venerdì 5 novembre 2021

"In sette al ristorante, in sei al museo: è il deserto Zeffirelli", frigna il "Corriere Fiorentino"

Gli "occidentalisti" fiorentini hanno portato in palmo di mano per decenni il signor Franco Zeffirelli, ostentandone sulle loro gazzette i meriti molto pregressi e moltissimo dimenticati.
Nel novembre del 2002 si tenne il Social Forum, un evento che per i fiorentini più seri rappresentò qualcosa di indimenticabile e che la feccia gazzettiera cercò di sporcare con ogni arma a disposizione. Il già assai maturo Franco Zeffirelli asserì convinto di essere pronto a incatenarsi sul Ponte Vecchio per impedirne la postulata devastazione. Molti volenterosi si dissero disponibilissimi ad assecondarlo e ad aiutarlo di persona, proponendo in tutta compostezza svariati metodi di fissaggio e varianti che andavano dal filo spinato ai rivetti, passando direttamente per l'impalamento accanto alla gioielleria Fallaci.
In uno scritto del 2010 riportammo per intero -a ulteriore titolo di scherno- un sunto di tutta la questione
Insomma, gli ambienti meglio vestiti della città hanno brigato, fatto e strafatto affinché venisse allestito in pieno centro -nel vecchio tribunale di Piazza San Firenze- un museo dedicato al suo indiscusso, indispensabile genio. E agli ambienti meglio vestiti della città il "Corriere Fiorentino" offre sempre e comunque sostegno, dal momento che non esiste idiozia da due spiccioli secreta da certa gente cui quella gazzetta non conferisca l'aura di Editto Pel Bon Governo. 
Si assiste quindi con una certa soddisfazione al fatto che sia proprio quel foglietto, con una mezza pagina pubblicata il 5 novembre 2021, a certificare la ovvia, prevedibile mediocrità dei risultati.
Il Museo Zeffirelli?
Fotine con le scrittine.
Mangioteca in una città e in un quartiere dove ci sono tre mangioteche in ogni isolato.
E un goccio di liquore annacquato a cinque euro, in una città e in un quartiere dove ci sono tre mescite in ogni isolato.
Tutte col goccio di liquore annacquato a cinque euro.
Più in là non ci vanno.
Fanno quasi rimpiangere i tempi in cui ogni edificio minimanente centrale che presentasse caratteristiche architettoniche appena superiori a quelle della scatola da scarpe diventava sede di una banca, secondo la prassi di una stolta età dell'abbondanza terminata qualche decennio fa lasciandosi dietro l'affettata aria di sufficienza tipica di certi ambienti, impermeabile ai rovesci e alle disconferme.


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