lunedì 19 novembre 2018

Alastair Crooke - Nel commercio internazionale e in politica estera gli USA vanno verso il punto di rottura



Traduzione da Strategic Culture, 9 ottobre 2018.


L'amministrazione Trump sta puntando tutto sul rosso, sulla roulette di un commercio e di una politica estera sottoposti alle radicali pressioni statunitensi. Scommettono sul fatto che un puro e semplice perseguire i meri interessi commerciali statunitensi senza fare prigionieri possa ripristinare l'egemonia economica ameriKKKana. Solo che come ha spiegato Vali Nasr sul The Atlantic la radicale politica della terra bruciata messa oggi in pratica dai corrispondenti affondi in politica estera di Donald Trump non ha solo lo scopo di far tornare gli USA al loro status quo, ma quello di costringere alla resa chiunque resista all'egemonia statunitense, sia egli amico -come il Canada- o sia una delle cosiddette "potenze revisioniste" o degli stati in possesso di armamenti nucleari.
È sempre più chiaro che quello che Trump spera di ottenere con una campagna di forti pressioni non corrisponde alla visione del gruppo che si occupa della sicurezza nazionale. In considerazione del comportamento che Trump ha tenuto con Kim Jong Un e delle sue dichiarazioni sull'Iran, l'obiettivo [di Trump] è quello di portare la Corea del Nord e l'Iran al tavolo dei colloqui. Gli appartenenti al suo entourage invece parlano come se fossero intenzionati piuttosto a costringere i due paesi alla resa. Pyongyang e Teheran questo lo capiscono molto bene. [corsivo dell'autore, N.d.T.]
Il punto essenziale però è che quando alla roulette si punta su un colore piuttosto che su un altro si vince o si perde tutto.
Per quanto riguarda le politiche commerciali, la vecchia pretesa degli Stati Uniti di voler correggere le storture nel settore è ormai un'impostura. La loro linea politica oggi non è altro che la persecuzione ad oltranza del tornaconto economico statunitense. Il Ministero del Commercio per esempio ha recentemente imposto restrizioni a dodici società russe che stanno "comportandosi in modo contrario alla sicurezza nazionale o agli interessi degli Stati Uniti in politica estera". Nessuna delle dodici società ha niente a che vedere con l'apparato militare russo o rappresenta una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti. Esse stanno solo costruendo un nuovo aereo passeggeri.
Come dimostra Arkady Savitsky, il vero obiettivo degli Stati Uniti è rappresentato dalla aviazione civile russa: "un esame più accurato della lista nera mostra che gli Stati Uniti hanno sanzionato società coinvolte nella produzione dell'aereo civile russo Irkut MC-21". Lo MC-21 un jet passeggeri di nuova generazione caratterizzato dall'utilizzo di materiali compositi e di leghe metalliche avanzate. Queste sanzioni insomma non servono ad altro che a proteggere il vantaggio mercantile della Boeing -più che la sicurezza nazionale delle Stati Uniti- e a sabotare i piani per applicare la tecnologia dello MC-21 al jet commerciale wide body CR929 al cui sviluppo collaborano Cina e Russia.
Ovviamente la Russia è stata definita dagli Stati Uniti una "potenze revisionista", ma lo stesso non vale per il Canada. Eppure, nell'accordo recentemente annunciato fra Stati Uniti Messico e Canada secondo il Globe and Mail il governo canadese è stato costretto a rassegnare una parte vitale della sovranità nazionale agli Stati Uniti:
Pochi hanno compreso l'accordo capestro che consente agli Stati Uniti di controllare la diplomazia canadese definito in modo piuttosto esplicito tra i commi dell'articolo 32.10: '...accordi di libero scambio con paesi non ad economia di mercato..." Nonostante il signor Trudeau abbia assicurato in termini vaghi che questo articolo ha effetti insignificanti, in presenza di questo accordo il Canada non è più libero di stringerne uno con la Cina.
Adesso Ottawa è tenuta a notificare agli altri contraenti se intende stringere un accordo commerciale con un paese "non ad economia di mercato", che è una perifrasi per indicare la Cina. Il Canada non è libero di considerare la Cina come un paese ad economia di mercato... Le relazioni commerciali di Ottawa e il suo impegno per la diversificazione economica saranno [adesso] soggetti alle interferenze di Washington. Agli USA viene in sostanza dato potere di veto: Pechino sarà costretta a negoziare con Washington se vuole stringere un accordo di libero scambio con il Canada o con il Messico.
Cedendo su un punto tanto fondamentale, il Canada ha prodotto un precedente che l'amministrazione Trump potrebbe usare per costringere altri partner commerciali come l'Unione Europea o il Giappone a prevedere clausole simili nei loro trattati commerciali, producendo così una polarizzazione del mondo: da una parte un sistema basato sul dollaro e legato agli Stati Uniti, cui è vietato l'accesso a chi fa affari con la Cina a meno che gli USA non concedano il proprio benestare, dall'altra quanto resta, condannato alla marginalizzazione.
Questo approccio al commercio, che punta a creare una rottura, ha iniziato a creare una spaccatura fra il governo Trump e Wall Street. Una Wall Street che fino a poco tempo fa si mostrava assolutamente ottimista sul fatto che nella stanza dei bottoni ci fossero gli USA e nessun altro. I mercati adesso sono preoccupati per le conseguenze sul commercio mondiale e sui profitti delle società statunitensi che potrebbe avere un inasprirsi di questa guerra fredda... ovvero, se la pallina della roulette non si fermasse sul rosso.
Quali conseguenze avrebbe una vittoria di Trump, vittoria su cui non è molto concentrato dal momento che sta continuando a punzecchiare russi e cinesi? Questo interrogativo evidenzia esattamente l'incertezza causata dalla spaccatura che sta nascendo fra Trump e il suo gruppo di combattenti della guerra commerciale guidato dall'ideologia. Solo che non sappiamo cosa questo voglia dire. Probabilmente Trump si accorderebbe con il Presidente Xi semplicemente alzando la mano, come Trudeau, e chiedendo un accordo commerciale; anche in questo caso si tratterebbe di un accordo di cui farebbero le spese la sovranità nazionale della Cina e le sue grandi aspirazioni per il futuro.
Il Robert Lighthizer di Trump andrebbe avanti su questa strada fino all'esaurimento della disponibilità dei cinesi ad umiliarsi. Ma ci sono segnali che fanno pensare che i suoi consiglieri vogliano di più. Molto di più. Steve Bannon, che dice di aver partecipato direttamewnte all'ideazione delle politiche commerciali di Trump nei confronti della Cina, lo dice chiaramente:
"La strategia di Trump è quella di estendere su una scala senza precedenti la guerra commerciale alla Cina, di farne qualcosa di insopportabilmente doloroso per Pechino. E Trump non mollerà prima di aver vinto." Bannon ha detto (in un'intervista al South China Morning Post, che) l'intento non era solo quello di costringere la cina a cessare con le sue "pratiche commerciali inique"; l'obiettivo finale era quello di "reindustrializzare l'AmeriKKKa perché il settore manifatturiero è il cuore della potenza di un paese.
"Non è solo una questione di dazi. Ma di dazi su una scala e su una profondità cui mai si è pensato prima nella storia degli Stati Uniti," ha detto Bannon. Ha detto che Pechino ha confidato su "tornate e tornate di colloqui" per togliere efficacia alle misure punitive degli USA, ma che le tattiche dilatorie non avrebbero funzionato. "Cercano sempre un dialogo strategico per tirare le cose per le lunghe. Non hanno mai preso in considerazione l'idea che qualcuno avrebbe davvero fatto qualcosa del genere."
In pratica Bannon sta dicendo che l'obiettivo degli USA è quello di sradicare le attività statunitensi dalla Cina e ricondurle in patria; questo significa tagliare e scompaginare le ramificate catene di rifornimento delle società statunitensi e trapiantarle -con i loro posti di lavoro- di nuovo negli USA. Solo che in questo modo le società statunitensi perderanno per prima cosa proprio quella competitività sui costi che le ha condotte in Cina. Cercare di compensare l'aggravio di costi alleggerendo ulteriormente la tassazione sulle società, come si intenderebbe fare ad ottobre, rischia di portare gli interessi sui prestiti a livelli da giorno del giudizio, e al crollo del valore delle emissioni statali.
Quindi il piano di Trump e di Lighthizer funziona soltanto se il mercato borsistico statunitense continua a crescere quanto basta perché i dazi facciano capitolare la Cina. Ma Xi non può mollare tanto facilmente, neppure volendo. La Cina ha tutt'altri progetti, che sono scritti nello statuto del Partito Comunista Cinese; questo significa che la Cina, a livello collettivo, può solo considerare le cose nel lungo termine. La questione adesso riguarda l'autostima dei cinesi; non esiste che un colpo assestato dall'Arte dell'Accordo li costringa a suicidarsi, e a farlo velocemente, pubblicamente e in modo umiliante. Non è neppure nella natura di Xi. Xi ha messo su un animo d'acciaio. Animo che gli deriva dal fatto di provenire da una famiglia che non apparteneva al giro di quelle che contano; non sarà lui a cassare il "destino" della Cina così come viene definito dal Partito Comunista.
Quello che la Cina è intenzionata a fare è il compiere qualche mossa verso un'ulteriore apertura del mercato, verso le riforme e verso una maggiore capacità di attrarre imprese. Trump può anche dire che si tratta di una sua vittoria e smettere con la guerra; ma lo farà davvero? Le considerazioni di Bannon su una Cina intenzionata a "tirarla per le lunghe" senza introdurre cambiamenti autentici, e il suo commento per cui il vero scopo di tutto questo è la reindustrializzazione dell'AmeriKKKa, mettono qualche dubbio swulla prospettiva che si possa giungere presto ad una tregua. Il gruppetto dei guerrieri commerciali vuole lo scalpo, proprio.
Le due linee temporali in contrasto fra loro, quella delle pressioni ameriKKKane che si basano sulla perdurante percezione di un'economia solida e che hanno bisogno di una vittoria in tempi rapidi, e quella della politica cinese che ha bisogno di tempi lunghi, determineranno il risultato di questo braccio di ferro. I mercati statunitensi assistono al rifluire di un fiume di dollari dentro i beni rifugio delle azioni ordinarie statunitensi, cosa che sta tenendo a galla gli indici; tuttavia si tratta di un fenomeno effimero che avrà una fine. A quel punto potranno affermarsi altre tendenze verso la decrescita, tendenze di segno contrario e probabilmente all'insegna della recessione.
Nel più lungo periodo, se si potrà parlare di più lungo periodo, il "resto del mondo" si metterà al lavoro per costruire nuove vie e nuove strutture commerciali, proprio per aggirare gli USA e i loro dollari tossici e vulnerabili alle sanzioni. Il rosso di Trump uscirà prima che prenda forma concreta questo abbandono del dollaro?
Questa ultima analisi tuttavia omette di considerare il fatto che la prospettiva di una tregua o di una qualche vittoria in questa guerra commerciale viene ogni giorno falcidiata da parte di altra gente. Il puro sfruttamento della privilegiata posizione economica della sola AmeriKKKa da parte di Robert Lighthizer si è rivelato essere il posto ideale per mettere d'accordo i falchi della politica estera, che possono da lì perseguire il proprio nirvana politico, il ripristino dello stato sionista come potenza militare egemone in Medio Oriente, la distruzione dell'Iran, l'affossamento del progetto euroasiatico e la vendetta contro la Russia, colpevole du aver guastato la festa all'egemonia unipolare ameriKKKana riaffacciandosi in Medio Oriente.
"In aprile il Presidente degli USA ha detto che le sue armi avrebbero presto lasciato la Siria e che la decisione su quanto vi sarebbero rimaste sarebbe stata presa 'molto velocemente'," scrive Arkady Savitsky. "Ce ne andremo dalla Siria, probabilmente molto presto. Lasciamo che se ne occupino altri, ora," aveva detto Trump. "Invece John Bolton ha recentemente affermato che gli USA in Siria sarebbero rimasti" finché non se ne fossero andati gli iraniani... Non ce ne andremo fino a quando truppe iraniane si troveranno fuori dai confini dell'Iran, alleati e milizie compresi"... Secondo il Military Times [statunitense], questa dichiarazione "indicava un sostanziale cambiamento di assetto dalle correnti operazioni antiterrorismo a quello di una missione centrata sulle manovre geopolitiche e sulla guerra per interposizione."
Questo è il scondo allineamento mancato (per usare la terminologia di Vali Nasr) fra Trump e -stavolta- i falchi ideologici della sua politica estera.
Ed ecco il secondo fattore che va a incidere sui calcoli della guerra commerciale. In questo caso stiamo parlando di una massiccia espansione in corso d'opera di una determinata inziativa in politica estera, di cui sono autori Bolton ed altri. "Chiaramente Trump pensa che la sua strategia basata sull'esercizio del massimo della pressione porterà ad accordi storici, sia con la Corea del Nord che con l'Iran," scrive Vali Nasr: "Anche se gli sviluppi della situazione con la Corea del Nord hanno dato a Trump qualche motivo per sperare, questa non sarà una strategia vincente. All'ONU, all'inizio di ottobre... il Ministro degli Esteri della Corea del Nord ha rifiutato qualsiasi mossa verso una denuclearizzazione intesa come completa e incondizionata fine dei programmi nucleari e missilistici, a meno di tangibili concessioni da parte degli USA. La pressione, in altre parole, può aver convinto Kim Jong Un a intraprendere un dialogo, ma da sola non servirà a portare a Trump l'accordo che desidera. Nonostante l'accattivante offensiva di Trump, la sua amministrazione sembra stia cercando di ottenere quello che John Bolton ha chiamato 'un risultato in stile Libia', in riferimento all'accordo del 2003 con cui Muhammar Gheddafi abbandonò il programma nucleare libico e spedì fuori dal paese il know how."
Ad essere esposti a radicali pressioni in politica estera non sono solo la Corea del Nord e l'Iran; tutti quanti si trovano nella stessa situazione. Un'epidemia. il Segretario agli Interni degli USA, Zinke, a settembre ha ricordato minacciosamente che la marina statunitense è in grado di impedire ai russi di ottenere idrocarburi dal Medio Oriente: "Gli Stati Uniti sono in grado, treamite la nostra Marina, di mantenere aperte le vie marittime e, se necessario, di bloccarle... per assicurarsi che la loro energia non arrivi sul mercato". E poi: "La Russia deve interrompere lo sviluppo segreto di un sistema missilistico da crociera proibito o gli USA cercheranno di distruggerlo prima che diventi operativo," ha detto il 2 ottobre l'inviato di Washington alla NATO.
Il punto è questo: le guerre commerciali potrebbero cessare se la Cina concedesse a Trump l'accordo commerciale che vuole, e se l'Iran e la Corea del Nord concedesserto a Trump gli accordi sul nucleare che vuole. Ma questo non succederà, perché di mezzo ci sono concezioni geopolitiche contrapposte.
Xi, quasi di sicuro, non è contrario per principio a fare qualche concessione commerciale agli USA; la Cina potrebbe farne qualcuna anche senza contropartita. Solo che l'insistenza degli USA sulla questione di Taiwan, il continuo e aggressivo confronto dell'AmeriKKKa con i cinesi sul Mar della Cina Meridionale, le sanzioni contro la Cina per aver acquistato armamenti russi, l'imposizione di sanzioni in stile Magnitsky contro individui e imprese russe (che la Cina crede saranno presto estese anche al suo caso) adesso rappresentano un'altra dimensione della Guerra Fredda, militarizzata e ancor più finanziarizzata.
Sembra ormai inevitabile che si vada verso l'imposizione alla Cina di sanzioni in stile Magnitsky, datoo che Mike Pence ha detto che "la Cina ha influenzato e interferito nelle questioni interne degli USA e nelle elezioni" e ha rilevato che le intromissioni russe negli affari interni degli USA non sono nulla rispetto a quanto fatto dai cinesi. Sono questi gli ostacoli veri che ci sono in mezzo. E che fanno prepotentemente pensare a tutti gli osservatori che l'AmeriKKKa non punta solo a "scambi più equi" con la Cina, ma vuole anche dargli una regolata sul piano militare e tecnologico, su quello dell'influenza regionale e nel campo dei tentativi di costruire le infrastrutture necessarie a realizzare catene di rifornimento proprie (noti anche come Iniziativa "Belt and Road").
E se Trump arriva prima al punto di rottura, o se al tavolo da gioco il rosso non esce? Un editorialista finanziario ha sarcasticamente scritto:
Trump sta facendo tutto quello che può per mettere fine ai giorni in cui gli USA potevano prendere in prestito qualsiasi cosa volessero in qualsiasi quantità volessero. A dire il vero non è che esista una ricetta precisa... Non è che sia chiaro cosa si dovrebbe fare. Ma se si comincia facendo tutto quello che Trump sta facendo -battibeccare con tutti gli alleati, enfiare a ruota libera il deficit governativo proprio nel punto saliente della ripresa economica, abbandonare qualunque idea di responsabilità fiscale, minacciare sanzioni su tutto a tutti quelli che cercano di onorare l'accordo che Obama raggiunse con l'Iran (in questo modo quasi pregando in ginocchio chicchessia di trovare il modo di aggirare il sistema bancario statunitense per curare i propri affari), cacciare chiavi inglesi negli ingranaggi del commercio mondiale senza dire chiaramente cosa si vuole ottenere di preciso (a vantaggio di un paese che strutturalmente... deve vedersela con una bilancia commerciale in deficit).
Insomma, ecco quello che si potrebbe fare. Si potrebbe andare a finire sul nero...

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