Traduzione da Strategic Culture, 1 maggio 2018.
Per quanto riguarda la Cina, John Mauldin racconta un aneddoto assai in tema.
Verso gli anni Novanta del secolo scorso Robert Rubin, Segretario del Tesoro sotto la presidenza Clinton, stava negoziando i termini per l'ammissione della Cina al WTO. Le mie fonti dicono che in sostanza chiedeva molte delle cose, identiche, che Trump vuole adesso... Solo che nel 1998, nel bel mezzo dello scandalo Lewinski, Clinton pretese una vittoria. Proprio come l'attuale presidente. E Rubin non riuscì a conseguirne una, irremovibile com'era sulle sue posizioni sull'accesso al mercato, le garanzie sulla proprietà intellettuale eccetera. Clinton tolse i negoziati a Rubin e li affidò al Segretario di Stato Madeleine Albright, con la precisa consegna di arrivare a conclusione.La Albright non era un'esperta di traffici commerciali e non afferrò le implicazioni. I cinesi capirono il suo muoversi con impaccio e tennero duro. Per farla breve, stando alle mie fonti la Albright cedette. Clinton ebbe la sua vittoria e noi ci trovammo impelagati in un accordo commerciale schifoso. Ha ragione Trump a dire che siamo legati mani e piedi a un cattivo accordo, anche se mi chiedo se egli riesca ad avere una piena comprensione della cosa. Magari qualcuno gli ha anche parlato del rovescio della medaglia, ma questo non è mai emerso da nessuno dei suoi discorsi. E il rovescio della medaglia era che l'accesso al WTO, finalmente ottenuto nel 2001, ha permesso alla Cina di cominciare a far legalmente propri i mercati, e di accedere alla proprietà intellettuale statunitense senza pagare alcun prezzo...Adesso fa differenza? Probabilmente no... Ma la questione interessa la rivalità di cui parlavamo prima. Cina e USA possono rimanere insieme in un'organizzazione come il WTO? Trump sembra dubitarne ed ha minacciato di uscirne. Potremo trovarci un giorno a guardare a questo periodo in cui un solo organismo sovrintendeva al commercio internazionale come ad una aberrazione, come a un bel sogno mai diventato realtà. Se è così, prepariamoci a grandi cambiamenti.
Questo va al cuore di una delle questioni geopolitiche più importanti che Europa e AmeriKKKa devono affrontare. Mauldin ci fornisce poi un parere su cui esiste ampio consenso, che "nonostante i toni retorici, non credo che [Trump] sia ideologicamente contrario al commercio internazionale. Penso voglia che gli USA 'siano vincenti' e che sul significato di questa espressione sia molto accomodante". Insomma, è piuttosto probabile che Trump finisca per fare come Clinton, ma l'AmeriKKKa ha una qualche alternativa realistica rispetto all'assecondare una Cina in ascesa? Dai tempi di Clinton il mondo è cambiato, e questa non è più solo una questione di accapigliarsi sulle condizioni commerciali.
Xi Jinping si trova all'apice del sistema politico cinese. La sua influenza adesso ne permea ogni livello; è il leader più potente dai tempi del Presidente Mao. Kevin Rudd, ex Primo Ministro australiano da lungo tempo esperto di questioni cinesi, scrive che "non è roba per deboli di cuore.... Xi è cresciuto facendo politica ai massimi livelli. Grazie a suo padre Xi Zhongxun... ha conseguito un vero e proprio dottorato non solo su come sopravvivere ad essa, ma anche su come avervi la meglio. Ecco perché i è rivelato essere il politico più formidabile della sua epoca. Xi Jinping è riuscito a svuotare, accerchiare, mettere fuori gioco e infine a rimuovere tutti i propri avversari politici. L'espressione cortese per definire quanto ha fatto è consolidamento del potere. E ci è senz'altro riuscito."
E qui arriviamo al punto. Il mondo che Xi ha in mente è del tutto incompatibile con le priorità di Washington. Xi non è solo più potente di tutti i suoi predecessori Mao escluso, ma ne è consapevole e intende lasciare il proprio segno nella storia del mondo. Un segno di portata pari, se non superiore, a quello lasciato da Mao.
Prima della sua scomparsa nel 2015 Lee Kuan Yew era il più importante sinologo del mondo, e sapeva tracciare con precisione il risultato della sorprendente parabola cinese degli ultimi quarant'anni: "La Cina ha un tale peso nell'equilibrio mondiale che il mondo deve trovare un equilibrio nuovo. Non è possibile far finta che si tratti di un altro grande attore. Questo è il più grande attore nella storia del mondo.
Nel 2021 ricorre il centesimo anniversario dalla fondazione del Partito Comunista Cinese, e Xi è chiaramente intenzionato a far sì che in quell'anno la Cina illustri i risultati conseguiti rispetto agli obiettivi del primo centenario. Per il 2021 la Cina si attende di essere la più potente economia mondiale (e lo è già, su una base di parità di potere di acquisto) e una potenza emergente di classe mondiale sia dal punto di vista politico che da quello militare. Secondo Richard Haas, Presidente dello US Council for Foreign Relations, "L'ambizione di lungo periodo [della Cina] è quella di smantellare il sistema di alleanze statunitense in Asia e di sostituirlo con un più condiscendente (dal punto di vista di Pechino) ordine di sicurezza regionale, in cui spettino ad essa un posto d'onore e magari una sfera d'influenza commisurata alla propria importanza." Se non altro, Haas almeno questo lo ha capito.
Per raggiungere gli obiettivi del primo dei due centenari (il secondo è nel 2049) la Cina può perseguire un percorso economico, uno economico-politico e uno politico-militare.
Made in China 2025 è il nome di una politica industriale di vasta portata, destinataria di massicci finanziamenti statali per ricerca e sviluppo (decentotrentadue miliardi di dollari nel 2016) e che comprende esplicitamente l'integrazione di componenti a doppia destinazione nel complesso dell'innovazione militare. Oltre all'incremento della produttività il suo principale obiettivo è quello di fare della Cina la prima potenza tecnologica del mondo e di renderla per il 70% autosufficiente nei campi dei materiali e dei componenti strategici. Sul piano teorico è cosa nota, ma forse la marcia verso l'autosufficienza intrapresa sia dalla Cina che dalla Russa indica qualcosa di più drastico. Entrambi i paesi si stanno allontanando dal modello liberale classico alla volta di un modello economico basato sull'autonomia, e su un'economia a guida statale come quella caldeggiata da economisti come Friedrich List, secondo un modello messo poi in secondo piano dal prevalere del pensiero di Adam Smith.
La seconda politica di punta è la famosa iniziativa della "Nuova Via della Seta", destinata a collegare la Cina all'Europa. In Occidente, spesso, l'elemento economico viene derubricato a "mera infrastruttura", sia pure su grande scala. La sua concezione invece rappresenta uno schiaffo all'iperfinanziarizzato modello economico occidentale. In una famosa nota critica sul pesante affidarsi della Cina ad una crescita basata sul debito, in stile occidentale, un autore rimasto anonimo (che si pensa essere lo stesso Xi o un suo stretto collaboratore) ribadiva con sarcasmo il concetto secondo cui certi grandi alberi potrebbero essere cresciuti sulle nuvole. Come dire che gli alberi hanno bisogno di radici, e di crescere al suolo. Invece della "attività" virtuale e finanziarizzata dell'Occidente, una vera attività economica nasce dall'economia reale, con le radici affondate nel suolo. La "Nuova Via della Seta" è proprio questo: un grande catalizzatore per l'economia reale.
Il suo risvolto politico è ovviamente evidente: essa creerà un immenso blocco commerciale e di influenza ed essendo basato sul continente sposterà il potere strategico fuori dalle rotte marittime appannaggio dell'Occidente, alla volta di vie terrestri su cui il potere militare convenzionale dell'Occidente è limitato. Allo stesso modo esso sposterà potere finanziario dal sistema basato sul dollaro allo yuan e ad altre valute.
L'altro aspetto, che ha suscitato assai meno clamore, è il modo in cui Xi è riuscito a far coincidere i propri obiettivi con quelli della Russia. Il Cremlino si è dapprima mostrato cauto sul progetto della "Nuova Via della Seta" quando Xi lo lanciò nel 2013, ma si è poi appassionato all'idea dopo l'attacco occidentale contro i suoi interessi in Ucraina e col prospettarsi del progetto statunitense e saudita per abbattere il prezzo del greggio. I sauditi volevano fare pressione sulla Russia perché abbandonasse Assad, gli USA per indebolire Putin indebolendo il rublo e le finanze governative.
Nel 2015, insomma, il Presidente Putin aveva garantito che l'Unione Economica Euroasiatica della Russia e la cinese Fascia Economica della Via della Seta sarebbero state unite, e due anni dopo è stato l'ospite d'onore al convegno intitolato "One belt, one road" tenutosi a Pechino.
Ad essere intressante è il modo in cui la Russia ha integrato la visione di Xi nella sua visione di una "Più grande Eurasia" intesa come una sostanziale antitesi a un ordine mondiale finanziarizzato e a guida ameriKKKana. Il Cremlino è ben consapevole che nel campo del commercio e in quello finanziario la posizione della Russia in Eurasia è molto più debole di quella della Cina. L'economia cinese d'altronde ha un volume che è dalle otto alle dieci volte quello dell'economia russa.
I punti di forza della Russia sono per tradizione nel campo politico-militare e in quello diplomatico. Lasciando alla Cina le iniziative economiche, Mosca aspira a diventare il principale artefice di un'architettura euroasiatica nei campi della politica e della sicurezza, di una concertazione fra le principali potenze e i principali produttori di energia del continente asiatico.
In questo senso il Presidente Putin ha trovato nella sua politica denominata "una sola mappa e tre regioni" una simmetria e una complementarità russe alla politica basata sullo sviluppo di vie commerciali intrapresa da Xi. Si può considerarlo, volendo, un controbilanciamento asimmetrico alla mera forza economica di Xi. Bruno Maçães ha scritto:
Nell'ottobre 2017, l'amministratore delegato di Rosneft Igor Sechin ha preso l'inusuale iniziativa di presentare un resoconto geopolitico sul tema degli "ideali dell'integrazione euroasiatica" durante un'assemblea tenutasi a Verona. Una delle mappe proiettate durante la presentazione mostrava il supercontinente, quello che nei circoli russi viene chiamato "più grande Eurasia" diviso in tre regioni principali. Secondo Sechin la divisione fondamentale non è quella tra Europa e Asia, ma quella tra regioni che consumano energia e regioni che producono energia. Le prime si trovano agli estremi occidentali ed orientali del supercontinente: l'Europa con la Turchia e l'Asia del Pacifico, con l'India.In mezzo, si trovano tre regioni produttrici di energia: la Russia con l'artico, il Caspio e il Medio Oriente. E' interessante notare che la mappa non presenta queste tre regioni come divise, ma le delimita tutte e tre con una linea. Sono contigue e formano un unico blocco, almeno dal punto di vista strettamente geografico.
Questa mappa, afferma Maçães, "illustra un tratto importante della nuova concezione che la Russia ha di sé. Dal punto di vista della geopolitica dell'energia, l'Europa e i paesi dell'Asia del Pacifico sono perfettamente equivalenti e costituiscono fonti alternative di richieste energetiche... Se si considerano le tre aree delimitate [dalla mappa], si nota che due di esse sono già capeggiate e organizzate da un attore di primo piano: la Germania nel caso dell'Europa e la Cina per l'Asia del Pacifico".
Il rinnovato interesse della Russia per il Medio Oriente e il suo intervento vanno interpretati in questa prospettiva. Consolidando la propria preminenza in tutte e tre le regioni produttrici di energia, la Russia può plasmare su un piano di parità con la Cina il nuovo sistema euroasiatico. Gli interessi russi vertono adesso soprattutto sull'allineare su politiche comuni la regione centrale produttrice di energia più che sul tentare di tenere in vita vecchi desideri sul far parte dell'Europa.
Questa politica comune è anche obiettivo di Xi. Laddove un tempo la Rivoluzione Culturale di Mao ha cercato di spazzar via l'ancestrale passato cinese per sostituirlo con il "nuovo uomo socialista" del comunismo, Xi ha presentato sempre più il partito come l'erede e il successore a un impero cinese con cinquemila anni di storia, conculcato solo da un Occidente saccheggiatore. Così scrive Graham Allison, autore di Destined for War: Can America and China Escape Thucydides’s Trap? Il Partito ha ricordato le umiliazioni sofferte per mano del Giappone e dell'Occidente "per creare un senso di coesione che era venuta meno, e per definire un'identità cinese in sostanziale contrapposizione con la modernità ameriKKKana".
In ultimo, Xi si è impegnato a fare di nuovo della Cina un paese forte. Egli crede che un esercito "in grado di combattere e di vincere guerre" sia essenziale per realizzare ogni altro costituente del "ringiovanimento" del suo paese. L'AmeriKKKa è militarmente più "strutturata" della Cina, ma Mosca dispone di armi tecnologicamente migliori, e sotto questo aspetto anche la Cina sta facendo rapidi passi avanti nei confronti dell'Occidente. La diretta collaborazione strategica e militare fra Cina e Russia (la Cina si è messa dietro la Russia anche dal punto di vista militare oltre che da quello politico) è stata evidente nella recente guerriglia dell'informazione sull'affare Skripal e sugli armamenti chimici in Siria scatenata da USA e Regno Unito contro la Russia. Questa cooperazione è un deterrente contro azioni militari statunitensi nei confronti di entrambi i paesi.
Nel confronto con Pechino, a Washington esistono varie voci che stanno cercando di definire il modo con cui l'AmeriKKKA dovrebbe rapportarsi con la Cina. La voce di Trump è stata la più rumorosa, ma esistono anche ideologi che invocano un sostanziale azzeramento degli accordi commerciali e di quelli sulla proprietà intellettuale. I militari statunitensi affermano con chiarezza che gli USA devono restare la potenza egemone nella regione dell'Asia del Pacifico, e che la Cina non può essere messa in condizioni di estrometterne gli USA. Insomma, a Washington vige una rara comunanza di intenti fra i vari personaggi da think tank e fra appartenenti ai due principali partiti politici, limitatamente a un punto preciso: la Cina rappresenta la minaccia numero uno a un ordine mondiale basato su regole dettate dagli ameriKKKani... ed è necessario ridimensionarla.
Ora, in quale dei vari campi che abbiamo su elencato gli USA pensano di poter in qualche modo far retrocedere la Cina e più in concreto ridimensionarla, senza arrivare alla guerra?
Realisticamente, Xi può concedere a Trump una quantità sufficiente di concessioni di minore portata (per esempio su questioni inerenti il possesso e la proprietà intellettuale) da fargli cantare vittoria, facendone una specie di altro Clinton, e comprarsi così qualche anno di tranquilla pace economica intanto che gli USA continuano ad ammassare deficit commerciale e deficit di bilancio. Ma alla fine, l'AmeriKKKa dovrà decidere di venire a patti con la realtà. O di rischiare altrimenti la recessione nel migliore dei casi, e la guerra nel peggiore.
La situazione si farà tesa sia sul piano economico che su quello geopolitico, soprattutto perché quanti affermano di conoscere Xi sembrano sicuri del fatto che oltre a voler fare nuovamente della Cina il "più grande attore nella storia del mondo", Xi aspira anche ad essere colui che finalmente torna a fare della Cina un solo paese, riunendo alla madrepatria non solo lo Xinjiang e il Tibet, ma anche Hong Kong e Taiwan. Dal punto di vista culturale, l'AmeriKKKa può reggere al pensiero della "democratica" Taiwan che diventa militarmente unita alla Cina? Potrebbe scambiarlo con una soluzione per la Corea del Nord? Non sembra probabile.
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